Corruzione: non rileva il solo fatto che l'attività del pubblico ufficiale presenti margini più o meno ampi di discrezionalità
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Cassazione penale sez. VI, 19/10/2017, (ud. 19/10/2017, dep. 02/10/2018), n.43576

Il solo fatto che l'attività del pubblico ufficiale (o dell'incaricato di pubblico servizio) presenti margini più o meno ampi di discrezionalità non vale, di per sè, ad escludere la configurabilità della corruzione impropria in luogo di quella propria, ben potendo risultare che l'atto discrezionale compiuto o da compiere sia comunque idoneo alla migliore soddisfazione dell'interesse pubblico, nonostante che il suo compimento sia fatto dipendere dalla indebita retribuzione.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Palermo, con la sentenza del 19 maggio 2016, ha confermato la sentenza del 23 aprile 2014 con la quale il Tribunale di Palermo aveva dichiarato colpevoli dei reati di cui agli artt. 318 e 319 c.p., come rispettivamente ascritti, N.A., B.S., Br.Pa., Ca.Mi., Ci.Se.Ma.Gi., Co.Gi., C.P., D.B.S., F.A., L.P.F., L.G., Lo.An., M.G., Mu.Ma., N.S., P.G., Pa.Gi., Pr.Ro., S.S., Sc.Fr., So.Gi., So.Ro., V.A.M. e V.G.M.. La Corte di appello, richiamata l'analitica esposizione in fatto della sentenza di primo grado, ha ritenuto acquisito un solido quadro probatorio che aveva consentito di ricostruire la esistenza di un rodato sistema di pagamento di tangenti, corrisposte dagli utenti della Motorizzazione civile di Palermo in favore dei funzionari, in cambio della positiva e rapida evasione delle pratiche di competenza.

2.In particolare, N.A., condannato alla pena di anni otto, mesi nove e giorni cinque di reclusione, è stato riconosciuto responsabile di novanta episodi di corruzione ascrittigli al capo B), nelle sue varie articolazioni, condotte di cui rispondono, come privati corruttori, i rimanenti imputati. Il N. è stato individuato, sulla scorta dei filmati registrati dal sistema di videoripresa installato nell'ufficio a seguito della denuncia di illecite prassi che venivano seguite, come il destinatario di pagamenti eseguiti dai titolari ovvero collaboratori di autoscuola, onde agevolare gli esami per il conseguimento o il rinnovo della patente di guida in favore dei rispettivi allievi, ovvero da imprenditori e persone comunque interessate al disbrigo di pratiche amministrative di competenza di detto ufficio, quali immatricolazioni di auto e collaudi, evasi a vista e senza neppure l'esame del veicolo. Per un episodio, ascrittogli al capo B 8bis), è stato, inoltre, riconosciuto responsabile del reato di falso di cui all'art. 479 c.p., poichè si era accertato che egli aveva apposto, su una pratica di collaudo, evasa il g. 15 maggio 2009 e recuperata dagli agenti che eseguivano un controllo nell'ufficio, la precedente data del 29 aprile 2009. Per gli episodi del 3 aprile 2009, controparte A.S. (capo B1); del 27 febbraio e 8 aprile 2009, controparte C.P. (capo B8); del 22 aprile 2009, controparte D.S. (capo B13); del 28 febbraio 2009 e 25 marzo 2009, controparte L.G. (capo B20); del 1 aprile 3009, controparte O.G., (capo B25), la condotta del funzionario è stata ricondotta al reato di cui all'art. 318 c.p., poichè non era stato possibile individuare l'attività di ufficio svolta in occasione delle consegne di denaro.

Br.Pa. è stato riconosciuto responsabile del reato di cui agli artt. 319 - 321 c.p., in relazione al pagamento di tangenti in favore di L.C.E., funzionario del medesimo ufficio della Motorizzazione Civile e incaricato sia dell'esame dei candidati che si presentavano a sostenere l'esame di guida oltre che proposto ad individuare le date delle sedute di esame, giudicato separatamente. In questo caso (reato di cui al capo C6) il filmato documenta la consegna di banconote, poggiate sulla scrivania dal ricorrente e subito ricoperte dalla mano del funzionario che le aveva intascate, poco prima dell'esame di un cittadino cinese allievo dell'autoscuola del Br. che aveva assistito all'esame. Anche Lo.An., capo C3), M.G. (in relazione al reato di capo C8), Pa.Gi., capo C11), N.S., capo C4), V.G.B. (capo C3) e V.G.M. (capo C13) sono stati condannati per il reato di corruzione in favore del L.C..

La Corte palermitana ha confermato il trattamento sanzionatorio già inflitto in primo grado ai privati concorrenti del N., rispettivamente condannati alla pena di mesi undici e giorni quindici di reclusione So.Gi. e Ro.; alla pena di un anno di reclusione Co.Gi.; alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, Br.Pa., Ci.Se.Ma.Gi., C.P., D.B.S., F.A., N.S., Pr.Ro., S.S., V.A.M., V.G.M.; a quella di anni uno, mesi quattro e giorni quindici di reclusione Ca.Mi., L.P.F., Mu.Ma., P.G., Pa.Gi.; alla pena di anni due e mesi otto di reclusione B.S.. Individuata la pena base in quella di anni due di reclusione, la pena è stata diminuita per l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche (riconosciute a Co.Gi., L.G., Sc.Fr., So.Gi., So.Ro.) e quella di cui all'art. 323 bis c.p. (applicata a B.S., con giudizio di equi v. alla contestata recidiva reiterata; a Br.Pa., Ca.Mi., Ci.Se.Ma.Gi., Co.Gi., C.P., D.B.S., F.A., L.P.F., L.G., con mero giudizio di equi v. alla recidiva, Lo.An., M.G., Mu.Ma., N.S., P.G., Pa.Gi., Pr.Ro., S.S., So.Gi., So.Ro. V.A.M., V.G.B. e V.G.M.).

3. Hanno proposto ricorso, con motivi sottoscritti dai rispettivi difensori di fiducia e di seguito sintetizzati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione i seguenti imputati che denunciano:

3.1 N.A.:

3.1.1 Inosservanza ovvero erronea applicazione della legge processuale (art. 192 c.p.p.) e penale (art. 319 c.p.) e vizio di motivazione nella interpretazione degli elementi di prova ai fini della ritenuta sussistenza delle condotte e della loro qualificazione giuridica. Deduce il ricorrente che la scarsa qualità dei filmati, dai quali non è verificabile che i presunti corruttori abbiano consegnato denaro, e il mancato sequestro di patenti ovvero altri documenti costituenti atti contrari ai doveri di ufficio, non consentono di ritenere accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che si sia in presenza di corruzione propria ovvero impropria, con le intuibile conseguenze in punto di pena. La Corte di appello ha valutato le dichiarazioni rese dal N. in sede di interrogatorio di garanzia ed in un contesto "delirante" solo in chiave accusatoria non riconoscendo v. alla successiva ritrattazione nè agli ulteriori elementi di prova, quali le dichiarazioni del dirigente dell'ufficio, secondo le quali la scelta dell'esaminatore della pratica non poteva essere orientata e le oggettive disfuzioni dell'ufficio attestata dalla mole degli atti deliberati e valutando a carico del ricorrente anche i dinieghi opposti dai presunti corruttori e la marginalità del sistema di corruttela, ricostruito dai giudici, rispetto al numero di pratiche evase dall'Ufficio che ha competenza sulla più popolosa provincia siciliana. Apodittica, ai fini della individuazione dell'atto contrario ai doveri di ufficio, è anche la valutazione del tenore delle domande rivolte ai candidati che sostenevano l'esame per il conseguimento della patente di guida. Con riguardo al delitto di cui all'art. 479 c.p., non è acquisita la prova univoca che la compilazione del documento, sul quale sarebbe stata apposta la data del 29 aprile 2009, sia avvenuta il 15 maggio 2009. Analoghi vizi inficiano il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza di cui all'art. 323 bis c.p., avuto riguardo alla "esiguità" delle somme che si presume venissero consegnate (50 Euro), del numero di episodi riscontrati nei cinque mesi di indagini (circa un centinaio) e che consente di ridimensionare i fatti;

3.1.2 inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e carenza di motivazione sul mancato riconoscimento della circostanza di cui all'art. 54 del codice di comportamento (D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e D.P.R. 16 aprile 2013, n. 63) che consente di ricondurre le poche accertate consegne di denaro, a una regalia, ovvero spirito di affetto e utilità di modico valore, mai sollecitate.

3.2 B.S.:

3.2.1 Vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 321,319 e 321 bis c.p.. La Corte di merito ha valorizzato a carico del B. l'equivoco tenore del filmato, le dichiarazioni confessorie rese dal N. in sede di interrogatorio di garanzia, ma ritrattate in dibattimento e prive di riscontri e la mancanza di giustificazioni offerte dal B., in aperta violazione delle regole che disciplinano la formazione della prova e la valutazione della gravità indiziaria ai fini della sussistenza degli elementi materiale e psicologico del reato e in mancanza, peraltro, della individuazione di pratiche amministrative del ricorrente, che non è titolare di agenzia automobilistica ovvero di autoscuola. Analoghi vizi inficiano il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e il mancato giudizio di prevalenza della circostanza di cui all'art. 323 bis c.p., avuto riguardo alla funzione mitigatrice riconosciuto alle circostanze innominate.

3.3 Br.Pa.:

3.3.1 Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riguardo ai motivi di appello disattesi con motivazione apodittica, generica e meramente ripetitiva di quella di primo grado, sul punto della cattiva qualità dei filmati, che non consentivano la ricostruzione della esistenza di un accordo tra il pubblico ufficiale e il corruttore; il passaggio di denaro e la esistenza di un atto del pubblico ufficiale e la sua contrarietà ai doveri di ufficio quale contropartita del pagamento. Non è accertato che l'esame per il conseguimento della patente di guida di F.X. si sia svolto in violazione della normativa che ne disciplina le modalità e la Corte non ha esaminato i rilievi difensivi del N. secondo il quale, il passaggio di denaro con l'imputato trovava fondamento nell'acquisto di titoli di viaggio nè le prassi operative dell'Ufficio, che non consentivano di orientare la scelta del funzionario;

3.3.2 vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3, 192 e 319 c.p., poichè l'omessa motivazione, su rilevanti questioni che involgono la ricostruzione della condotta di reato, si risolve in una violazione dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e di acquisizione di elementi univoci nella ricostruzione della condotta di reato e che, nel caso, sono frutto di vero e proprio travisamento;

3.3.3 vizio di violazione di legge per il mancato esame delle deduzioni difensive concernenti la sussunzione del fatto nell'ipotesi di corruzione propria, piuttosto che di corruzione impropria susseguente, non essendo stato accertato che gli esami erano stati facilitati e, dunque, che oggetto della presunta dazione fosse il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio piuttosto che un modesto regalo corrisposto dopo il superamento dell'esame. Il reato di corruzione impropria susseguente, peraltro, non è punibile perchè la relativa fattispecie incriminatrice è stata introdotta solo con la L. 6 novembre 2012, n. 190;

3.3.4. analoghi vizi inficiano il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in presenza di imputato incensurato, del suo corretto comportamento processuale e dell'esiguità del danno patrimoniale.

3.4 Ca.Mi.:

3.4.1 Con unico e articolato motivo vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza del reato di corruzione in mancanza di prova della contrarietà ai doveri di ufficio dell'esame per il conseguimento della patente di guida da parte del candidato che si assume presentato dal ricorrente. La sentenza impugnata affronta in maniera superficiale le deduzioni svolte con i motivi di appello e fonda la contrarietà dell'atto ai doveri di ufficio richiamando la semplicità delle domande poste al candidato e la presenza del Ca. alla prova, ma trascurando che questi mai era intervenuto nel corso dell'esame e che aveva ammesso di avere potuto consegnare denaro al N., ma per motivi leciti sicchè meramente presuntiva e apodittica è l'argomentazione contraria della Corte di merito, al pari della prova posta a fondamento della sentenza impugnata sulla contrarietà dell'atto ai doveri di ufficio.

3.5 Ci.Gi.:

3.5.1. Vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza del reato di corruzione in mancanza di prova della contrarietà ai doveri di ufficio dell'esame per il conseguimento della patente di guida posta a fondamento della contestazione e illogicamente ritenuta sussistente in forza delle modalità furtive della consegna e delle modalità di svolgimento dell'esame in mancanza di prova dell'accordo convenuto tra il Ci. e il N.. La consegna della somma, ammessa dal Ci., trova la sua causale in una richiesta lecita del funzionario che aveva sollecitato al ricorrente il versamento di un contributo economico, invito rivolto al Ci. sia personalmente che come presidente di un consorzio di autoscuole - richiesta comprovata dalla documentazione acquisita - per finanziare un progetto sulla sicurezza stradale. Anche le modalità di svolgimento dell'esame dei candidati dell'autoscuola del Ci. non depongono per la illiceità della prova poichè la perizia eseguita ha accertato che il "correttore", consegnato al Ci. dal N., era stato utilizzato solo per favorire i candidati dell'autoscuola D.B., che sedevano di fronte alla scrivania del N., senza mai uscire dal raggio di ripresa della telecamera, circostanza questa che era stata riferita anche dal candidato che si assume presentato dal ricorrente. La sentenza impugnata affronta in maniera superficiale le deduzioni svolte con i motivi di appello e fonda la contrarietà dell'atto ai doveri di ufficio richiamando la semplicità delle domande poste al candidato e la presenza del Ca. alla prova, ma trascurando che questi mai era intervenuto nel corso dell'esame e che aveva ammesso di avere potuto consegnare denaro al N., ma per motivi leciti sicchè del tutto apodittica è l'argomentazione contraria della Corte di merito. Presuntiva è la prova posta a fondamento della sentenza impugnata sulla contrarietà dell'atto ai doveri di ufficio.

3.5.2 vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 319 - 321 c.p., poichè la dazione di una somma di assoluta modestia fa propendere nel senso della inesistenza di un accordo criminoso avente ad oggetto atti contrari ai doveri di ufficio poichè l'offerta o promessa deve essere in grado di turbare psicologicamente il pubblico funzionario, onde ritenere integrato il fatto-reato nella sua tipicità ed offensività;

3.5.3 vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata assoluzione dalle ulteriori ipotesi di reato contestate nel capo di imputazione che faceva riferimento non solo all'esame del Viola ma ad altre, e non indicate nè accertate, pratiche che il N. avrebbe evaso a favore del ricorrente;

3.5.4 vizio di violazione di legge per la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., in presenza di un unico episodio e di particolare tenuità del fatto;

3.5.5 vizio di illogicità della motivazione per il diniego delle circostanze attenuanti generiche, motivato con riguardo al comportamento negativo dell'imputato, che non aveva mostrato sintomo di resipiscenza sol perchè non vi era stata confessione degli addebiti ed a fronte di un comportamento processuale irreprensibile.

3.6 Co.Gi.;

3.7 P.G.;

3.8 Sc.Fr.;

3.6.1 Con comuni motivi i ricorrenti denunciano: erronea applicazione della fattispecie incriminatrice, il delitto di corruzione, e vizio della motivazione in assenza della corretta verifica dei requisiti materiali e psicologici del reato contestato, che è configurabile in presenza di un pactum sceleris, raggiunto su un piano di sostanziale parità, laddove il contesto ambientale emerso nel corso del giudizio di merito orienta la qualificazione giuridica delle condotte accertate in quella di concussione ambientale in presenza di una volontà costrittiva o induttiva del pubblico ufficiale attestata dal ruolo prevaricatore del N. che aveva imposto ed aggiornato una tariffa che imponeva l'acquiescenza delle persone che si rivolgevano all'ufficio, come attestato dalle dichiarazioni rese dallo S. e dallo Sc., nel corso dell'interrogatorio di garanzia;

3.6.2 con riferimento alla posizione della P., secondo la ricorrente, manca la prova della consegna di somme di denaro ed è ravvisabile il vizio di violazione di legge per la mancata sussunzione dei fatti nella fattispecie di cui all'art. 318 c.p., come ritenuto dal Tribunale del riesame riguardo alla posizione della ricorrente, non essendo accertato il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio se non quello del rilascio, in tempi più celeri, della relativa documentazione;

3.6.3 analoghi vizi inficiano la dosimetria della pena inflitta, tenuto conto della personalità degli imputati, del comportamento processuale tenuto; la mancata applicazione dell'attenuante speciale di cui all'art. 323 bis c.p., in favore della Sc., poichè i fatti ascrittile vanno valutati nel delineato contesto ambientale, e il diniego delle circostanze attenuanti generiche in favore della P., tenuto conto delle modalità dell'azione delittuosa e della concreta offensività delle condotte di reato;

3.6.4 violazione di legge, in relazione all'art. 157 c.p., perchè i reati ascritti risultano prescritti alla data del 15 gennaio 2017.

3.9 C.P..

3.9.1 Vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità del reato di corruzione in mancanza di prova sulla consegna di una somma di denaro da parte dell'imputato non essendo stato accertato che nella carpetta consegnata al N. fosse contenuto denaro. Erroneamente i giudici di appello hanno valorizzato le dichiarazioni della M., asseritamente presente nella stanza al momento dei fatti, con conseguente inattendibilità delle multiformi dichiarazioni rese e travisamento della prova. La sentenza di appello non ha dato risposta su questi punti alle deduzioni contenute nei motivi di gravame;

3.9.2 erronea applicazione della legge penale (art. 319 c.p.) sia perchè non è accertata la dazione in favore del N. sia per la mancanza di prova sulla contrarietà ai doveri di ufficio dell'atto posto in essere dal funzionario, non essendo stata accertata la natura delle pratiche evase. Tale mancato accertamento ridonda su un indefettibile elemento della fattispecie di corruzione, rilevante anche per accertare se si sia in presenza di corruzione propria ovvero di corruzione impropria, con una sostanziale abrogazione, in fatto, di tale ultima fattispecie incriminatrice. L'evasione "a vista" delle pratiche, laddove il collaudo sia di tipo amministrativo e non tecnico, come ad esempio in materia di immatricolazione di veicoli provenienti dall'estero, si risolve in un controllo della sola documentazione prodotta sicchè l'evasione a vista non lede alcun principio di buona amministrazione e men che mai il dovere di imparzialità.

3.9.3 violazione di legge, in relazione all'art. 157 c.p., perchè, in presenza di due so. sospensioni (dal 3 ottobre 2012 al 28.11.2012 e dal 16 settembre al 18 novembre 2013) il reato ascritto al C. si è prescritto alla data del 15 gennaio 2017.

3.10 D.B.S..

3.10.1 Vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza del reato di corruzione in mancanza di prova della dazione di una somma di denaro al funzionario, in violazione delle risultanze della disposta perizia a stregua della quale non si era potuto accertare che il D.B. avesse consegnato al N. una somma di denaro, e della contrarietà ai doveri di ufficio dell'esame del G. per il conseguimento della revisione della patente di guida, esame posto a fondamento della contestazione e illogicamente ritenuta sussistente nonostante la perizia avesse riscontrato che i candidati avevano sostenuto un regolare esame rispondendo, sia pure con qualche incertezza, alle domande loro poste e in mancanza di prova dell'accordo convenuto. Nè è provato che il Ci., presente all'esame, abbia aiutato i candidati per il superamento della prova nella compilazione del questionario, aiuto negato dal G. e dal V. che si erano limitati a chiedere aiuto all'istruttore. La sentenza impugnata non risponde alle censure svolte con i motivi di appello su tali punti nè affronta adeguatamente il problema della qualificazione giuridica del fatto che, con riguardo ad altri coimputati ( L.G. e D.S.) era stata risolta dal Tribunale del riesame ritenendo configurabile il reato di cui all'art. 318 c.p., con interpretazione avallata dalla Corte di cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.

3.11 F.A..

3.11.1 Violazione di legge, in relazione all'art. 601 c.p.p., art. 157 c.p.p., comma 8 bis, e art. 161 c.p.p., per la omessa notifica nel domicilio dichiarato, in sede di interrogatorio di garanzia del 2 febbraio 2011, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., del decreto di citazione nel giudizio di appello per l'udienza del 22 settembre 2015, notifica eseguita ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, al difensore di fiducia, con conseguente nullità della sentenza e degli atti conseguenti, non sanata in mancanza di prova della conoscenza della vocatio in iudicium con conseguente violazione dei diritti di difesa dell'imputato, non comparso nel giudizio di appello;

3.11.2 violazione di legge, in relazione all'art. 268 c.p.p., comma 1, e art. 271 c.p.p., per la ritenuta utilizzabilità delle risultanze dell'operazione di intercettazione ambientale eseguite negli uffici di N.A., poste a fondamento del giudizio di colpevolezza del ricorrente, in mancanza del verbale delle operazioni compiute, ai sensi dell'art. 268 c.p.p., e art. 89 disp. att. c.p.p., poichè l'atto indicato nella sentenza di primo grado si riferisce ad altre operazioni mentre la nota menzionata dalla Corte di appello non può considerarsi equipollente del verbale mancante perchè atto privo della indicazione di elementi (orario delle operazioni e loro modalità)incidenti sul diritto di difesa;

3.11.3 manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione posta a sostegno della ritenuta remunerazione del pubblico ufficiale poichè le riprese video non consentono di rilevare la consegna di denaro e il contesto ricostruito dai giudici di merito, senza mai confrontarsi con le deduzioni difensive, si risolve in una inammissibile presunzione di reità; L'accertamento del sinallagma corruttivo non può prescindere dalla verifica della concreta utilità dispensata dal privato avuto riguardo, con riguardo al F., della esiguità ed epsiodicità degli illeciti accertati; della inutilizzabilità, nei confronti del ricorrente, delle dichiarazioni rese dal N., acquisite in violazione del disposto di cui all'art. 503 c.p.p., comma 5; di quelle della M., perchè le parti avevano rinunciato all'acquisizione della prova e, comunque, della mancanza di riscontri estrinseci al dictum della M.. Neppure le dichiarazioni dei tre coimputati, G., B. e M., contengono elementi utili a carico del ricorrente e della genericità degli elementi evincibili dalla visione dei filmati. Nè rileva la clandestinità delle modalità di consegna che non è univocamente significativa della illiceità dell'azione compiuta;

3.11.4 omessa valutazione e travisamento delle prove contrastanti la presunzione di pagamento in mancanza di precedenti rapporti tra il F. ed il N. poichè ai tempi dell'accertamento l'autoscuola del F. era operativa da meno di un anno e non vi erano state occasioni di precedenti esami sostenuti con il N. e vero e proprio travisamento della prova derivante dal sonoro dell'audio che aveva registrato un rumore incompatibile con il deposito di banconote nel cassetto della scrivania;

3.11.5 manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata sussunzione del fatto nell'ipotesi di cui all'art. 318 c.p.. In mancanza di prova di accordo, il presunto pagamento si colloca ad un momento successivo al superamento dell'esame da parte del candidato e la remunerazione va ricondotta ad un atto regolare in presenza di evidenze formali e sostanziali di irregolarità della prova, effettivamente sostenuta dall'imputato e dell'autonomia del giudizio espresso dal N. sulla idoneità del candidato e presunta dalla Corte di merito valorizzando l'atteggiamento bonario ovvero disponibile del N.;

3.11.6 omessa motivazione sulla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., in presenza di episodi non abituali e di particolare tenuità del fatto, in ragione del valore delle somme asseritamente corrisposte;

3.11.7 analoghi vizi inficiano il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche avuto riguardo alla incensuratezza del F., alla episodicità del caso ed all'assidua partecipazione al processo.

3.12 L.P.F.

3.12.1 Contraddittorietà della motivazione fondata sul travisamento delle risultanze processuali, denunciata con il gravame e non valutata dalla Corte di merito, in merito all'accertamento di una dazione di denaro, ritenuta sussistente sulla scorta del travisamento delle prove con riferimento al contenuto della perizia e alle dichiarazioni rese dalla teste M.;

3.12.2 violazione di legge per la mancata sussunzione dei fatti nella fattispecie di cui all'art. 318 c.p., non essendo accertata nè la dazione di denaro nè il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio, ritenuti irrilevanti ai fini della configurabilità del reato. Tale mancato accertamento ridonda su un indefettibile elemento della fattispecie di corruzione, rilevante anche per accertare se si sia in presenza di corruzione propria ovvero di corruzione impropria, fattispecie illecita non ravvisabile in presenza di una condotta di mera accelerazione delle pratiche, come correttamente rilevato dal Tribunale del Riesame e in carenza di qualsiasi riscontro documentale sulle pratiche che avevano interessato il L.P.;

3.12.3 violazione di legge, in relazione all'art. 157 c.p., perchè i reati ascritti risultano prescritti alla data del 15 gennaio 2017.

3.13 L.G..

3.13.1 Vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza del reato atteso che i pagamenti effettuati dal ricorrente - e da questi ammessi - erano finalizzati ad evitare un'azione pregiudizievole del funzionario e, cioè, i tempi di attesa per la evasione delle pratiche di collaudo dei suoi automezzi. In particolare il L. in seguito al primo incontro con il funzionario si era determinato, su induzione del N. a pagare la somma da questi richiestagli per ottenere il rilascio di lecita documentazione. Tali risultanze probatorie, erroneamente valutate, imponevano di sussumere la condotta del N. nel delitto di concussione per induzione, come dedotto nei motivi di appello che non sono stati oggetto di approfondita valutazione nella sentenza impugnata;

3.13.2 vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per il giudizio di mera equivalenza con la recidiva delle concesse attenuanti generiche: il giudice di appello si è limitato ad una formula stereotipa di rigetto della richiesta difensiva che allegava la modesta entità dei fatti e la manifesta resipiscenza dell'imputato ai fini del giudizio di prevalenza;

3.13.3 mancanza di motivazione in punto di aumento di pena per la continuazione fra reati.

3.14. Lo.An..

3.14.1 Vizio di motivazione e vizio di violazione di legge per la ritenuta configurabilità del reato di cui all'art. 319 c.p., in mancanza della individuazione dell'oggetto del presunto illecito mercimonio e di prova dell'accordo illecito. I giudici di appello non hanno esaminato le deduzioni difensive limitandosi a riportare le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado e, cioè, le dichiarazioni - ritrattate - dal N. e i dati evincibili dalla riprese, che non consentivano di verificare la consegna di denaro e della mancata verifica del superamento dell'esame da parte del candidato favorito dal ricorrente.

3.15. M.G..

3.15.1 Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 318 c.p., e vizio di motivazione. Con valutazioni stereotipe e in mancanza di adeguata valutazione delle deduzioni della difesa nei motivi di appello la Corte è pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado in mancanza della individuazione dell'atto di mercimonio oggetto dell'accordo illecito e della funzione contraria ai doveri di ufficio che il L.C. doveva svolgere. Nè è provato che questi abbia prelevato dal cassetto la somma contenuta nella carpetta consegnata.

3.16 Mu.Ma..

3.16.1 Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riguardo ai motivi di appello disattesi con motivazione apodittica, generica e meramente ripetitiva sul punto della prova del presunto mercimonio, sul rapporto sinallagmatico tra pubblico ufficiale e l'imputato, sulla presunta utilità conseguita dal N. e sulla causa della dazione. La sentenza impugnata, trascurando le deduzioni difensive, contiene una motivazione di mera apparenza;

3.16.2 vizio di violazione di legge per il mancato esame delle deduzioni difensive concernenti la sussunzione del fatto nell'ipotesi di corruzione propria piuttosto che di corruzione impropria susseguente non essendo stata accertata nè la consegna di denaro - ricostruita in via del tutto presuntiva- nè la tipologia di atto, genericamente indicato come pratica, che il pubblico funzionario avrebbe adottato a favore del ricorrente e la sua contrarietà ai doveri di ufficio, elementi rilevanti ai fini della configurabilità della fattispecie di corruzione propria ovvero impropria e se questa fosse antecedente ovvero susseguente e, quindi, non punibile perchè la relativa fattispecie incriminatrice è stata introdotta solo con la L. 6 novembre 2012, n. 190;

3.16.3 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riguardo ai motivi di appello disattesi con motivazione apodittica, generica e meramente ripetitiva sul punto del presunto mercimonio, sul rapporto sinallgmatico tra pubblico ufficiale e l'imputato, sulla presunta utilità conseguita dal N. e sulla causa della dazione, con riguardo alla condotta oggetto di contestazione nella prima parte del capo B23). La sentenza impugnata, trascurando le deduzioni difensive, contiene una motivazione meramente apparente e presuntiva, quanto alla consegna di una somma di denaro;

3.16.4 vizio di violazione di legge per il mancato esame delle deduzioni difensive concernenti la sussunzione del fatto nell'ipotesi di corruzione propria piuttosto che di corruzione impropria susseguente non essendo stata accertata nè la consegna di denaro - ricostruita in via del tutto presuntiva- ed alla contrarietà ai doveri di ufficio dell'esame orale sostenuto dal candidato, elementi rilevanti ai fini della configurabilità della fattispecie di corruzione propria ovvero impropria e se questa fosse antecedente ovvero susseguente e, quindi, non punibile perchè la relativa fattispecie incriminatrice è stata introdotta solo con la L. 6 novembre 2012, n. 190.

3.17. Pa.Gi..

3.17.1 Violazione di legge, in relazione all'art. 601 c.p.p., art. 157 c.p.p., comma 8 bis, e art. 161 c.p.p., per la omessa notifica nel domicilio dichiarato, in sede di interrogatorio di garanzia del 3 febbraio 2011, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., del decreto di citazione nel giudizio di appello per l'udienza del 22 settembre 2015, notifica eseguita ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, al difensore di fiducia, con conseguente nullità della sentenza e degli atti conseguenti, non sanata in mancanza di prova della conoscenza della vocatio in iudicium con conseguente violazione dei diritti di difesa dell'imputato, non comparso nel giudizio di appello;

3.17.2. vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 177,178 e 179 c.p.p., per la erronea applicazione degli artt. 453 e 454 c.p., e art. 455 c.p., comma 1 bis, e art. 416 c.p., e conseguente nullità del decreto di giudizio immediato e degli atti successivi. Il decreto di giudizio immediato veniva, infatti, emesso al di fuori dei canoni tassativi previsti dalla legge e, cioè, l'evidenza della prova e il termine di novanta giorni dalla iscrizione poichè quella degli imputati era avvenuta nel primo semestre del 2010. Nè ricorrevano i presupposti per l'adozione del decreto di giudizio immediato cautelare poichè il Tribunale del riesame aveva ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza e il giudizio cautelare era ancora pendente alla data di esercizio dell'azione penale;

3.17.3 manifesta illogicità della motivazione e vizio di violazione di legge per la ritenuta sussistenza del fatto nell'ipotesi di cui all'art. 318 c.p., non essendo accertato il pagamento di una somma in favore del L.C., vista la qualità del filmato, e, comunque, anche in caso di accertato pagamento, non essendo accertato l'importo della somma consegnata, in ipotesi esigua e che non poteva costituisse indebita retribuzione. La Corte distrettuale non aveva risposto alle deduzioni difensive sul punto;

3.17 analoghi vizi inficiano il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche avuto riguardo alla incensuratezza del Pa. ed alla episodicità del fatto.

3.18. N.S..

3.18.1. Vizio di motivazione e vizio di violazione di legge per la ritenuta ipotesi di cui all'art. 319 c.p., in mancanza della individuazione dell'atto contrario ai doveri di ufficio. I giudici di appello non hanno esaminato le deduzioni difensive limitandosi a riportare le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado e, cioè, le dichiarazioni - ritrattate - dal N. e i dati evincibili dalla riprese, che non consentivano di verificare il superamento dell'esame da parte del candidato favorito grazie alla mediazione del ricorrente;

3.18.2. erronea qualificazione giuridica del fatto che, se ricondotto alla veloce trattazione della pratica del N. è, più correttamente, sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 318 c.p., poichè la condotta di agevolare una pratica amministrativa non ha in sè i connotati della irregolarità e può sussumersi nella fattispecie di corruzione impropria peraltro non sussistente in presenza di un modico donativo che non ha avuto influenza nella formazione dell'atto.

3.19. S.S..

3.19.1. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riguardo ai motivi di appello disattesi con motivazione apodittica, generica e meramente ripetitiva sul punto della cattiva qualità dei filmati, che non consentivano la ricostruzione della esistenza di un accordo tra il pubblico ufficiale e il corruttore; il passaggio di denaro e la esistenza di un atto del pubblico ufficiale e la sua contrarietà ai doveri di ufficio quale contropartita del pagamento. Non è accertata, in particolare, la possibilità che sulla pratica del S., trattata nei giorni precedenti fosse sfuggita, per mera dimenticanza, l'apposizione della firma tenuto conto che la cattiva qualità del filmato non consente di individuare il contenuto della cartella e cosa il S. abbia consegnato al pubblico ufficiale, nè è stata individuato il profilo di contrarietà ai doveri del pubblico ufficiale dell'atto del N. non essendo state sul punto approfondite le indagini. Nè la Corte si è confrontata con le censure poste a fondamento della decisione del Tribunale che aveva annullato l'ordinanza impositiva della misura cautelare per carenza dei gravi indizi di colpevolezza, valorizzando anche le dichiarazioni rese dal S. che aveva sostenuto come sulla pratica trattata dal funzionario fosse sfuggita la firma;

3.19.2. vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 125 c.p., comma 3, artt. 192 e 319 c.p., poichè l'omessa motivazione, su rilevanti questioni che involgono la ricostruzione della condotta di reato, si risolve in una violazione dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e sull'obbligo di acquisizione di elementi univoci nella ricostruzione della condotta di reato e che, nel caso, sono frutto della violazione delle regole che sovraintendono al giudizio di gravità indiziaria, a mente dell'art. 192 c.p.p.;

3.19.3. vizio di violazione di legge per il mancato esame delle deduzioni difensive concernenti la sussunzione del fatto nell'ipotesi di corruzione propria piuttosto che di corruzione impropria susseguente, non punibile perchè la relativa fattispecie incriminatrice è stata introdotta solo con la L. 6 novembre 2012, n. 190;

3.19.4. analoghi vizi inficiano il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in presenza di imputato incensurato, del suo corretto comportamento processuale e dell'esiguità del danno patrimoniale.

3.20. Pr.Ro..

3.20.1 Vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 319 c.p., fondata su elementi di prova le furtive modalità di consegna di qualcosa di indistinto, in assenza di interlocuzione con il funzionario e il complessivo contesto probatorio, onde ritenere comprovato il pagamento in mancanza, peraltro, di prova del compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio del destinatario della dazione poichè la candidata, asseritamente favorita, aveva risposto a tutte le domande. La mera violazione del dovere di imparzialità posto a fondamento della condanna, profilo della condotta che non si trasferisce nell'atto, non giustifica la sussunzione del fatto nel reato di corruzione potendo, al più, essere ricondotto nella fattispecie di cui all'art. 318 c.p..

3.21 So.Ro..

3.22 So.Gi..

3.21.1 Vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 177,178 e 179 c.p.p., per la erronea applicazione degli artt. 453 e 454 c.p., e art. 455 c.p., comma 1 bis, e art. 416 c.p., e conseguente nullità del decreto di giudizio immediato e degli atti successivi. Il decreto di giudizio immediato veniva, infatti, emesso al di fuori dei canoni tassativi previsti dalla legge e, cioè, l'evidenza della prova e il termine di novanta giorni dalla iscrizione poichè quella degli imputati era avvenuta nel primo semestre del 2010. Nè ricorrevano i presupposti per l'adozione del decreto di giudizio immediato cautelare poichè il Tribunale del riesame aveva ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza e il giudizio cautelare era ancora pendente alla data di esercizio dell'azione penale.

3.21.2 violazione di legge, in relazione all'art. 601 c.p.p., art. 157 c.p.p., comma 8 bis, e art. 161 c.p.p., per la omessa notifica nel domicilio dichiarato, in sede di interrogatorio di garanzia del 3 febbraio 2011, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., del decreto di citazione nel giudizio di appello per l'udienza del 22 settembre 2015, notifica eseguita ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, al difensore di fiducia, con conseguente nullità della sentenza e degli atti conseguenti, non sanata in mancanza di prova della conoscenza della vocatio in iudicium con conseguente violazione dei diritti di difesa dell'imputato, non comparso nel giudizio di appello;

3.21.3 inosservanza ovvero erronea applicazione della legge processuale (art. 192 c.p.p.) e penale (art. 319 c.p.) e vizio di motivazione nella interpretazione degli elementi di prova ai fini della ritenuta sussistenza delle condotte e della loro qualificazione giuridica. La Corte di merito si è limitata al mero richiamo della motivazione della sentenza di primo grado omettendo un serio vaglio delle deduzioni svolte con i motivi di appello ed incentrate sulla insussistenza della prova di un accordo convenuto tra gli imputati ed il N. e che, in un processo a carico di più imputati, si è limitata alla ricostruzione della consuetudine accertata vigente negli uffici della motorizzazione civile. Generiche risultano le valutazioni sugli elementi costitutivi del reato di corruzione sia in relazione alla contrarietà ai doveri di ufficio dell'atto, perchè la prassi ricostruita a carico dei So. non corrispondeva al sistema ricostruito in sentenza, perchè la dazione, in un'unica occasione, non era contrassegnata da modalità furtive, e, quindi, in carenza di elementi che denotino univocamente la riconducibilità del fatto al delitto di corruzione propria piuttosto che alla a quella impropria. Nè la Corte di merito, con riguardo alla pratica che aveva interessato i So., aveva ricostruito i tempi tecnici di rilascio della pratica al fine di pervenire alla conclusione della violazione del dovere di imparzialità e correttezza del funzionario. Non è, dunque, argomentata la contrarietà dell'atto assunto ai doveri di ufficio.

3.23 V.A.M..

3.23.1 vizio di violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla interpretazione delle dichiarazioni rese dalla candidata, asseritamente agevolata a seguito dell'iniziativa corruttiva del ricorrente, alla stregua della disciplina positiva della materia della revisione della patente di guida. Nè è provata la consegna di denaro dall'imputato al N., poichè la risultanze della videoregistrazione mostrano la consegna, secondo la ricostruzione del perito di ufficio, di qualcosa di indistinto;

3.22.2 analoghi vizi inficiano il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sollecitate con i motivi di appello con richiamo alla condizione di incensuratezza dell'imputato e della episodicità del fatto sicchè del tutto infondato è l'argomento del diniego, cioè che l'imputato non aveva fornito elementi per una positiva valutazione a tal fine.

3.24 V.G.B..

3.25 V.G.M..

Con ricorsi distinti ma motivi analoghi.

3.24.1 erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione sul punto della ricostruzione del pactum sceleris. La Corte, replicando le motivazioni della sentenza di primo grado e senza vaglio approfondito dei motivi di appello, ha valorizzato, con riguardo alla posizione di V.G.B., le dichiarazioni rese dal N. in sede di interrogatorio di tenore ben diverso da quelle rese in dibattimento e le risultanze del filmato che, come dimostrato dalla difesa mediante testimonianza resa dal consulente di parte, non consentivano di ricostruire alcun passaggio di denaro. Di ben diverso tenore, a fronte di identiche circostanze di fatto sugli spostamenti del V. riportati dal filmato, riguardo alla posizione di tale Ca., incorrendo, così nel vizio di contraddittorietà della motivazione. Nè, con riferimento all'episodio di cui al capo C5) - in relazione alla posizione di altro funzionario ed a quella di V.G.M. le incerte risultanze del filmato hanno trovato corrispondenza in alcun elemento poichè nulla ha riferito in proposito il L.C..

3.24.2 analoghi vizi inficiano il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e delle circostanze di cui all'art. 62 c.p., n. 4, e art. 323 bis c.p., avuto riguardo alla incensuratezza degli imputati alla "esiguità" delle somme che si presume venissero consegnate (50 Euro):

3.24.3 vizio di violazione di legge per la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., in presenza di un episodio e di particolare tenuità del fatto.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con dichiarazione di intervenuta prescrizione dei reati rispettivamente ascritti a F.A., Pa.Gi., So.Gi. e So.Ro.. Sono inammissibili i ricorsi proposti dai rimanenti imputati.

2.Carattere preliminare ed assorbente, rispetto alla posizione di F.A., Pa.Gi., So.Gi. e So.Ro., riveste la fondatezza dell'eccezione di rito formalizzata nell'interesse dei predetti imputati rispettivamente illustrata ai punti 3.11.1., 3.17.1., 3.21.1 e 3.22.1.

2.1. La notifica agli imputati F.A., Pa.Gi., So.Gi. e So.Ro. del decreto di citazione in grado d'appello, è stata effettuata con le modalità di cui all'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, sul presupposto, illustrato nell'ordinanza del 22 settembre 2015, che gli imputati non avessero dichiarato o eletto domicilio. La Corte di appello di Palermo, inquadrata la nullità dedotta dalla difesa come nullità di ordine generale, a regime intermedio, l'ha ritenuta sanata per carenza di concreto pregiudizio del diritto di difesa, in ragione del vincolo fiduciario che lega l'imputato al difensore dallo stesso nominato, valorizzando la mancata dimostrazione, da parte dell'interessato, "della perdita di contatto, di rapporto, di collegamento effettivo tra il cliente ed il difensore" e sul presupposto, secondo l'interpretazione patrocinata dal giudice territoriale, enunciato nella sentenza n. 19602/2008 delle Sezioni Unite, seguita da numerose decisioni delle Sezioni semplici, tutte orientate nel senso della valorizzazione del richiamato rapporto fiduciario fra legale e cliente.

2.2. Rileva il Collegio che il presupposto in fatto dal quale muove l'impugnata ordinanza è erroneo poichè dal verbale di interrogatorio di garanzia reso dal F. in data 2 febbraio 2011, dal Pa. e da So.Gi. e So.Ro. in data 3 febbraio 2011, risulta che gli imputati avevano dichiarato domicilio ciascuno presso la propria abitazione, luogo nel quale erano stati notificati il decreto di giudizio immediato del 2 maggio 2011 e ulteriori atti del procedimento, richiamati nei ricorsi. Consegue che, nella fattispecie in esame, deve trovare applicazione l'indirizzo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte secondo il quale è nulla la notifica del decreto di citazione eseguita, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, presso il difensore di fiducia qualora l'imputato abbia ritualmente dichiarato domicilio per le notificazioni (ex multis Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, Micciullo, Rv. 239396 e, di recente, Sez. 6, n. 11954 del 15/02/2017, Emma e altro, Rv. 269558).

2.3.Nè consta sperimentato un tentativo di notifica, non andato a buon fine, del decreto di citazione al giudizio di appello eseguito presso il domicilio dichiarato, tentativo che, in caso di impossibilità della notifica, avrebbe legittimato il ricorso alla notifica presso il difensore di fiducia, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4 bis. Dagli atti acquisiti, ai quali la Corte di legittimità accede avuto riguardo alla natura del vizio dedotto, risulta infatti che la Corte di merito ha proceduto alla notifica del decreto di citazione a giudizio mediante notifica al difensore di fiducia direttamente, pur in presenza di notifiche eseguite, in primo grado, al domicilio dichiarato dal F. e dai ricorrenti innanzi indicati.

2.4.Non ignora il Collegio la esistenza di un indirizzo di questa Corte di legittimità, successivo alla richiamata sentenza resa a Sezioni Unite già citata, secondo cui le notificazioni all'imputato non detenuto successive alla prima sono eseguite mediante consegna al difensore di fiducia, ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, forma di notifica che deve ritenersi prevalente su ogni altra, a meno che il difensore di fiducia non dichiari immediatamente all'autorità che procede di non accettare la notificazione per conto del suo assistito (Sez. 6, n. 31569 del 28/06/2016 Rv. 267527). Secondo tale indirizzo la notificazione mediante consegna al difensore di fiducia, di cui all'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, non presuppone il previo infruttuoso esperimento della stessa con le modalità di cui ai commi precedenti, bensì soltanto che si tratti di una notificazione "successiva" ad altra già eseguita, con le modalità ordinarie, non già nel grado, ma nel corso dell'intero processo poichè, una volta che il primo atto sia stato notificato con qualsivoglia delle modalità di cui all'art. 157, commi da 1 ad 8, e sia quindi intervenuta la nomina di un legale di fiducia, la notifica dei successivi atti ben può essere eseguita mediante diretta consegna al difensore medesimo, facendo affidamento sul vincolo che ormai lo lega al proprio assistito (Sez. 3, n. 19366 del 08/03/2016, Bersanetti, Rv. 266584; Sez. 4, n. 7917 del 25/01/2016, Bianco, Rv. 266231).

Ritiene, tuttavia, il Collegio che le conclusioni di tale indirizzo, pur inserendosi tendenzialmente nelle linee maggiormente evolutive del rapporto imputato-difensore, privilegiando la figura del difensore di fiducia ed assegnando alla notifica all'imputato, mediante consegna al difensore di fiducia, un ruolo del tutto fisiologico, quale forma ordinaria di notificazione, non siano condivisibili poichè da siffatta interpretazione della portata dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, consegue l'assegnazione di una inammissibile prevalenza del domicilio "legale" su quello dichiarato o eletto dall'imputato, portata che non è compatibile con una lettura sistematica della norma in cui il disposto del richiamato comma 8 bis, si inserisce, con le ipotesi considerate dai commi precedenti dell'art. 157 cit., e con il complesso delle disposizioni in tema di notifica, segnatamente gli artt. 161 e 162 c.p.p..

Tali interferenze sono già state analizzate con la richiamata sentenza a Sezioni Unite che ha espresso un orientamento avallato dal giudice delle leggi (sentenza Corte Cost. n. 136 del 2008), secondo il quale l'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, assicura le condizioni minime sufficienti a garantire una corretta e tempestiva informazione dell'imputato su tutti gli atti processuali che lo riguardano proprio perchè norma "non vincolante in modo incondizionato", poichè resta pur sempre aperta la possibilità di avvalersi delle forme ordinarie di notifica degli atti sia per iniziativa del difensore, il quale può dichiarare all'autorità procedente di non accettare la notificazione, sia per iniziativa dell'imputato, mediante dichiarazione del domicilio o sua elezione presso un qualunque soggetto, e ciò in ogni fase del procedimento, determinando, in tal modo, l'inapplicabilità della norma censurata di sospetto di costituzionalità in relazione al diritto dell'imputato ad essere informato della vicenda processuale ed al suo diritto di difesa. La struttura del complessivo sistema delle notificazioni impone di leggere la disposizione contenuta nell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, nell'ambito dell'articolo che la contiene e che regola la sequenza delle notificazione nel caso in cui si debba effettuare la prima notificazione all'imputato, che non abbia eletto o dichiarato domicilio, prevedendo che, una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l'imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore; questi può "immediatamente", quindi antecedentemente alla prima notificazione presso di lui, dichiarare all'autorità che procede di non accettare la notificazione, altrimenti il processo nei suoi vari gradi seguirà con la notificazione al difensore di fiducia. In caso di mancata nomina del difensore di fiducia, si procederà a norma dell'art. 161 c.p.p., commi 2 e 4. Se, invece, a seguito della prima notifica, o per altra evenienza processuale che abbia comportato un diretto contatto con l'autorità giudiziaria, come nel caso in esame, in sede di interrogatorio di garanzia all'esito di esecuzione del provvedimento cautelare, vi sono state elezione o dichiarazione di domicilio, si seguiranno direttamente le forme dettate dall'art. 161 c.p.p. e ss., con la notifica nel luogo dichiarato o eletto ai fini delle notificazioni, con la conseguenza che l'operatività dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, è subordinata all'assenza di una dichiarazione o elezione di domicilio e che tutte le successive notificazioni, qualora l'imputato abbia nominato un difensore di fiducia e non abbia dichiarato o eletto domicilio, devono essere eseguite mediante consegna al difensore, ferma restando l'assenza di una preclusione all'esercizio della facoltà dell'imputato stesso di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni anche dopo la nomina di un difensore di fiducia, esercizio che ha l'effetto di paralizzare la regola contenuta nel citato art. 157 c.p.p., comma 8 bis.

2.5. In presenza della descritta configurazione sistematica dell'istituto in esame, e della natura della nullità, non ha pregio l'ulteriore argomento valorizzato dalla richiamata ordinanza della Corte di appello per disattendere l'eccezione difensiva, secondo il quale la nullità della citazione a giudizio era da ritenersi sanata, per carenza di concreto pregiudizio del diritto di difesa, in ragione del vincolo fiduciario che lega l'imputato al difensore dallo stesso nominato, valorizzando la mancata dimostrazione, da parte dell'interessato, "della perdita di contatto, di rapporto, di collegamento effettivo tra il cliente ed il difensore". Le argomentazioni della Corte distrettuale richiamano un indirizzo, anche questo, avallato dalla giurisprudenza di questa Corte ma superato dalla più recente sentenza emessa dalla Sezioni Unite di questa Corte che, secondo le informazioni provvisorie diffuse alla data dell'odierna pronuncia, ha affermato che nel caso di dichiarazione o di elezione di domicilio dell'imputato, la notificazione della citazione a giudizio mediante consegna al difensore di fiducia anzichè presso il domicilio dichiarato o eletto, produce una nullità a regime intermedio, che non è sanata dalla mancata allegazione da parte del difensore di circostanze impeditive della conoscenza dell'atto da parte dell'imputato (Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, Tuppi). Sebbene la conoscenza effettiva dell'atto può concretamente dedursi da una notifica siffatta, la nullità rimane configurabile, e ritualmente deducibile, come nella fattispecie oggi in esame, senza che sia possibile, in assenza di una sanatoria codificata, sterilizzare automaticamente un vizio, che si ammette integrare una nullità di ordine generale, ogniqualvolta la notifica, pur irregolare, sia compiuta a mani del difensore di fiducia venendo, per tale via a configurarsi un'ulteriore presunzione legale di conoscenza.

2.6.La nullità della vocatio in jus determina, quale inevitabile corollario, la declaratoria di nullità di tutti gli atti successivi a quello introduttivo del giudizio di gravame e, quindi, della sentenza di appello nei confronti di F.A., Pa.Gi., So.Gi. e Ro.. Tuttavia nelle more della trattazione del processo in Cassazione è maturata la prescrizione, in quanto, anche tenuto conto della sospensione del corso della prescrizione (pari a mesi cinque e giorni 22, in relazione ai rinvii dal 16 aprile 2012 all'8 maggio 2012; dal 16 settembre 2013 al 18 novembre 2013; dal 12 gennaio 2016 al 7 aprile 2016), risultano trascorsi, alla data del 24 marzo 2017, 19 marzo 2017 e 13 aprile 2017, i termini di prescrizione massima dalla data di commissione dei fatti (il 29 aprile 2009; 25 marzo 2009 e 8 e 22 aprile 2009) rispettivamente ascritti agli imputati al capo B14), al capo C11) ed al capo B31). Pertanto, emergendo dagli atti le condizioni per la declaratoria ai sensi dell'art. 129 c.p.p., di una causa di non punibilità, a ciò consegue la pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendo i reati ascritti ai ricorrenti estinti per intervenuta prescrizione. Infatti il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'art. 129 c.p.p., impone che nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, sia data prevalenza alla prima, salvo che l'operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio (Sez. 4, n. 36896 del 13/06/2014, Volpato, Rv. 260299), circostanza che non ricorre nel caso in esame, come sarà meglio chiaro all'esito dell'esame dei ricorsi dei coimputati che involgono censure comuni a quelle svolte dagli imputati F.A., Pa.Gi., So.Gi. e So.Ro. e per i quali si perviene a declaratoria di inammissibilità delle proposte impugnazioni.

3. Non hanno pregio le ulteriori censure proposte dai ricorrenti Pa.Gi., So.Gi. e Ro..

4. E', invero, manifestamente infondata l'eccezione proposta dai ricorrenti poichè la decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato. La giurisprudenza di legittimità alla quale il Collegio aderisce ha osservato che il provvedimento adottato dal giudice per le indagini preliminari chiude una fase di carattere endoprocessuale priva di conseguenze rilevanti sui diritti di difesa dell'imputato, salva l'ipotesi in cui il giudice del dibattimento rilevi che la richiesta del rito non è stata preceduta da un valido interrogatorio o dall'invito a presentarsi, integrandosi in tal caso la violazione di una norma procedimentale concernente l'intervento dell'imputato, sanzionata di nullità a norma dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 180 c.p.p.). (Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014 - dep. 14/10/2014, Squicciarino, Rv. 260018), violazione che, nel caso, neppure risulta proposta in ricorso ove vengono contestati i requisiti di evidenza della prova e tempestività della richiesta - con riguardo ai termini del giudizio immediato ovvero custodiale - estranei al perimetro di deducibilità innanzi tracciato.

5. Con riguardo alla denunciata mancanza di elementi accessori relativi alle operazioni di intercettazione ambientale (modalità della registrazione; localizzazione degli impianti; apparecchiature impiegate e nominativo delle persone che hanno proceduto all'operazione), ritiene il Collegio che tale mancanza è inidonea a determinare la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni trattandosi di adempimenti e formalità di tipo tecnico e meccanico che non incidono sul contenuto dell'acquisizione (cfr. Sez. 1, n. 8836 del 02/12/2009 - dep. 2010, Bragaglio e altri, Rv. 246377), poichè la sanzione processuale della inutilizzabilità non può essere estesa a vizi ed inosservanze diverse da quelle espressamente richiamate dall'art. 271 c.p.p., a ciò ostando il principio di tassatività delle nullità od inutilizzabilità e che l'inosservanza delle disposizioni previste dall'art. 89 disp. att. c.p.p., non comporta conseguenze in punto di utilizzabilità dei risultati dell'attività captativa legittimamente disposta ed eseguita.

6.L'esame del Collegio deve muovere dalla denuncia del vizio di motivazione, declinato nella forma di carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, in ordine agli elementi strutturali del reato di corruzione, e che investe la ritenuta esistenza di una consegna di denaro al N.; di un accordo corruttivo, secondo i ricorrenti erroneamente ritenuto provato; la individuazione dell'atto di ufficio - che nella prospettazione dei ricorrenti non è stato neppure accertato - in vista del quale i funzionari, N. ovvero L.C., avrebbero accettato il pagamento di una retribuzione e, a seguire, la impossibilità di ravvisarne la contrarietà alla legge ovvero ai doveri dell'ufficio. Secondo tutti i ricorrenti, N.A., B.S., Br.Pa., Ca.Mi., Ci.Se.Ma.Gi., Co.Gi., C.P., D.B.S., F.A., L.P.F., L.G., Lo.An., M.G., Mu.Ma., N.S., P.G., Pa.Gi., Pr.Ro., S.S., Sc.Fr., So.Gi., So.Ro., V.A.M. e V.G.M., i vizi di motivazione della sentenza impugnata hanno comportato vizio di violazione di legge sia con riguardo ai canoni di valutazione della prova indiziaria - recati dall'art. 192 del codice di rito - che della fattispecie incriminatrice applicata. Con argomentazioni in buona parte comuni tutti i ricorrenti.

7. Nessuno dei vizi denunciati è ravvisabile nella decisione impugnata.

8. Manifestamente infondata è la denuncia di carenza della motivazione della sentenza ( Br.Pa., sub 3.3.1.; L.P.F., 3.12; D.B.S., 3.16.1., Mu.Ma., motivi sub 3.16.; N.S., 3.18, S.S., 3.19; V.G.B. e V.G.M., 3.24 e 3.25., e in termini più generici dagli altri imputati) per mancato esame delle deduzioni difensive.

Il Collegio aderisce senza riserve all'orientamento secondo cui è affetta da nullità per difetto di motivazione la sentenza di appello che, a fronte di motivi specifici di impugnazione con cui si propongono argomentate critiche alla ricostruzione del giudice di primo grado, si limiti a ripetere la motivazione di condanna, senza rispondere a ciascuna delle contestazioni adeguatamente mosse dalla difesa con l'atto di appello (Sez. 2, n. 56395 del 23/11/2017, Floresta, Rv. 271700). Cionondimeno, affinchè si produca tale effetto, non è sufficiente che il giudice di appello non abbia singolarmente esaminato ciascuno dei rilievi o delle argomentazioni difensivi ma è necessario che l'omissione concerna rilievi e argomentazioni decisive, ovverosia in grado di influenzare la logicità e la completezza dell'apparato motivazionale.

La sentenza della Corte palermitana, anche topograficamente, è strutturata, svolte alcune comuni premesse, intorno alla puntuale disamina dei motivi di gravame proposti da ciascun imputato e si sviluppa attraverso argomentazioni che non denunciano alcun vizio di logicità, men che mai ictu oculi rilevabile, enucleando gli elementi rilevanti a carico dei singoli imputati nella lettura degli elementi di prova e confrontandosi criticamente con le censure difensive che sono state oggetto di autonoma ed originale risposta, secondo un percorso che assolve alla primaria funzione di controllo e garanzia del giudizio di appello.

9. Sono manifestamente infondati anche i denunciati vizi di intrinseca carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alle argomentazioni difensive che attaccano la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto accertato un passaggio di denaro tra gli imputati (motivi questi comuni a tutti i ricorrenti e, in special modo, al N., 3.1.1, B., 3.2.1, Br.Pa., 3.3.1., P.G., 3.6., C.P., 3.9., D.B.S., 3.10, L.P.F., 3.12.1., Mu.Ma., sub 3.16., S.S., 3.19.1., Pr.Ro., 3.20., V.A.M., 3.23.1, V.G.B. e V.G.M., sub 3.24.1. e 3.25.1.)

I giudici palermitani hanno ritenuto che l'esame dei filmati aveva consentito la ricostruzione delle modalità di pagamento della tangente e del suo importo cinquanta Euro - che i coimputati consegnavano direttamente nelle mani del N., denaro che, in qualche occasioni, veniva celato in un foglietto o in una carpetta che il N. o gli stessi interessati riponevano in un cassetto della scrivania del funzionario e, nella maggior parte dei casi, di individuare anche la pratica evasa dal N. in occasione della consegna; analoghe modalità venivano seguite anche per la consegna di somme di denaro in favore del L.C.. La anomala prassi della consegna di carpette o foglietti è stata confermata anche da una collega del N. e del L.C., cioè la teste M.R.M. (cfr. pag. 55 e ss. della sentenza di primo grado).

Nelle sentenze di merito sono stati esaminati sia gli episodi - e sono la maggior parte - nel corso dei quali le videoriprese consentono di verificare che al N. viene consegnato qualcosa di indistinto sia gli episodi nei quali viene consegnata al N. proprio una somma di denaro e si tratta delle consegne eseguite da B.M. il 1 aprile 2009 (capo B) e B2); da Ca.Mi. il 6 aprile 2009; da C.G. il 25 marzo 2009; da C.P. il 15 maggio 2009; da Ci.Se.Ma.Gi. il 25 marzo 2009; da Giovanni L. il 9 marzo 2009 e il 4 maggio 2009; da N.S. il 30 marzo 2009; da O.G. il 1 e 3 aprile e 8 maggio 2009.

E la consegna di una somma di denaro è stata ammessa dal N., nel corso dell'interrogatorio di garanzia al quale veniva sottoposto dopo l'esecuzione dell'ordinanza cautelare a suo carico e dagli odierni imputati Co.Gi. (capo B10), L.G. (capo B19), Sc.Fr. (capo B30) (in questa occasione, veniva sequestrata nel cassetto la carpetta consegnata dalla donna, all'interno della quale si trovavano due banconote da 50 Euro ciascuna), da So.Gi. e So.Ro. (capo 31) nonchè da C.G., da D.B.S., da G.L., da S.S., separatamente giudicati.

Sulla scorta di tale ricostruzione fattuale, la Corte distrettuale è correttamente pervenuta alla conclusione che in relazione a tutti e ciascuno degli episodi corruttivi ascritti al N. ed ai coimputati, fosse ravvisabile un passaggio di denaro, anche nei casi in cui la visione del filmato non consentiva di verificare che proprio il denaro fosse stato oggetto di consegna. La conclusione della Corte disattende consapevolmente quella raggiunta dai consulenti di parte degli imputati L.P., V.G.B. e V.G.M. che avevano confermato come non fosse possibile individuare la consegna di denaro, apprezzando, accanto alle risultanze del filmato, le dichiarazioni di taluni degli imputati e dello stesso N. secondo valutazioni logiche e coerente che, nei pochi mesi di intercettazione e ripresa, avevano consentito di ricostruire comportamenti per facta concludentia tenuti dai ricorrenti e, a ragione, ritenuti espressione di un sistema, piuttosto che frutto di decisione episodica ed occasionale. Le valutazioni espresse dalla Corte palermitana non sono, pertanto, tacciabili dei vizi di illogicità e contraddittorietà della motivazione.

In particolare, i giudici di appello hanno ben individuato e chiarito che, in relazione alla maggior parte degli episodi, dal filmato non è evincibile la consegna di denaro - rilievo che esclude radicalmente il vizio di travisamento nella sua primaria accezione - e nondimeno sono pervenuti alla conclusione che, anche in tali casi, al N. ed al L.C., era stata consegnata una somma di denaro (indifferente a questo fine è verificare se il N. l'abbia o meno prelevata dal cassetto nel quale era stata collocata, poichè la somma era certamente pervenuta nella sua disponibilità che è l'elemento necessario e sufficiente ai fini della integrazione della condotta) sulla scorta delle complessiva ricostruzione delle risultanze processuali rivenienti dalle ammissioni del N. e dalla ricostruzione delle modalità dell'azione quale evincibili dal filmato.

Si tratta di affermazioni, ampiamente e congruamente motivate, che, lungi dall'essere frutto di incompletezze valutative o travisamenti del contenuto informativo della fonte di prova (i filmati) non sono sindacabili nella presente sede di legittimità, non potendo questa Corte operare una semplice sostituzione dei parametri di apprezzamento della singola fonte, posto che ciò determinerebbe un improprio scivolamento del giudizio di legittimità verso un terzo grado di merito.

10.1. Tale ragionamento va esteso anche alla valutazione delle dichiarazioni confessorie del N. (onde disattendere il motivo di ricorso di questi e degli altri ricorrenti sul punto), dichiarazioni che la Corte palermitana ha confrontato sia con le risultanze dei suindicati filmati che con le ammissioni di Co.Gi. (capo B9), L.G. (capo B19), Sc.Fr. (capo B30), So.Gi. e So.Ro. (capo 31) nonchè da C.G., da G.L., da S.S. e da D.B.S..

Nessun dubbio può essere formulato in ordine alla piena affidabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni contenute nel verbale di interrogatorio di garanzia, dichiarazioni che i giudici del merito hanno assoggettato ad una verifica di veridicità, genuinità e l'attendibilità, fornendo ampia ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di intendimento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione sul soggetto, del tutto genericamente allegata dalla difesa con riguardo ad una situazione psicologica delirante, della quale, tuttavia, i giudici del merito non hanno trovato traccia nel verbale di interrogatorio, e, che, di conseguenza, li ha condotti a disattendere la generica ritrattazione compiuta in dibattimento, ispirata da intento puramente difensivo, che non inficia il giudizio sulla valore persuasivo delle precedenti affermazioni. Anche in tal caso, facendo applicazione di ordinari canoni logici e di massime di esperienza, i giudici di appello hanno valorizzato il contenuto della ammissione dell'addebito suffragato, quale elementi di risconto a carico dei coimputati, dalle risultanze del filmato. Da ciò consegue la genericità e manifesta infondatezza dei correlativi motivi di ricorso, in particolare del N..

11. Del tutto coerentemente con le risultanze evincibili dal filmato la consegna di somme di denaro al N. ed al L.C., è stata ritenuta sintomatica di un accordo preventivo convenuto con gli odierni coimputati, titolari delle autoscuole, agenzie automobilistiche e, comunque, soggetti professionali interessati all'evasione delle pratiche di competenza della Motorizzazione. A tal riguardo, con argomentazioni immuni da censure sul piano logico, i giudici del merito hanno valorizzato le modalità, riservate, clandestine e furtive, della consegna di biglietti ripiegati o di carpette consegnate dai coimputati ed alle quali corrisponde che il N. intaschi (nel senso letterale del termine, conservando i primi nella giacca o nei pantaloni, ovvero le seconde nel cassetto della scrivania); la mancanza di intese o di osservazioni contestuali alla consegna.

Tale accordo, del resto, è stato riferito da Co.Gi., da L.G., da Sc.Fr., da So.Gi. e So.Ro., da C.G., da G.L., da S.S..

Nella sentenza impugnata sono state inoltre richiamate le dichiarazioni rese da C.G. (latore di più consegne di somme di denaro che egli stesso riponeva nel cassetto della scrivania e che in una occasione venne notato mentre consegnava direttamente al N. una somma di denaro) il quale riferiva di avere appreso nell'ambiente di lavoro della disponibilità del N. e di avere iniziato a corrispondergli dai primi mesi del 2009, cinquanta Euro per ogni pratica che riguardava collaudi ed immatricolazioni e, in seguito, a richiesta del N., cento Euro a pratica e che ha anche descritto il vantaggio che ricavava, consistente nella immediata evasione della pratica; dal Co., che ha riferito di avere consegnato al N. 50 Euro per ciascuna delle pratiche, avendo appreso di tale consuetudine vigente negli uffici della Motorizzazione civile di (OMISSIS); da D.B.M., che ammetteva di avere consegnato 50 Euro al N. in relazione all'esame per il conseguimento della patente di guida di un allievo della sua autoscuola; da G.L., il quale riferiva di avere appreso della prassi vigente negli uffici della Motorizzazione e di essersi determinato a corrispondere le somme al N. per ottenere una rapida evasione delle pratiche e non subire la perdita di clienti; da Sc.Fr. che, appreso nell'ambiente di lavoro della pratica corruttiva, vi aveva aderito per competere con le altre agenzie operanti nel settore e che, dopo che il N. aveva esitato le pratiche di interesse, era solita porgere al medesimo una carpetta nella quale aveva, in precedenza collocato la somma di Euro 50,00; da So.Gi. e So.Ro. che avevano seguito lo stesso clichè vedendo, così, ridotto il tempo di attesa di evasione delle pratiche di interesse poichè altrimenti avrebbe dovuto attendere circa un mese; da S.A., al quale si riferiscono ben tredici degli episodi di corruzione accertati, il quale ha riferito di avere corrisposto al N., per ciascuna delle pratiche di interesse, cento Euro, consegnati a mani del N. o inseriti in una carpetta, in occasione dei collaudi che interessavano i suoi automezzi e che non sempre il funzionario aveva eseguito, limitandosi ad individuare le date dei finti collaudi in corrispondenza delle date nelle quali il N. aveva espletato servizi esterni.

12.Dalla compiuta disamina ed apprezzamento di tale compendio probatorio svolto nella sentenza impugnata consegue la genericità e manifesta infondatezza delle censure (motivi sub 3.3.1 di Br.Pa., sub 3.10.1 di D.B.S.; sub 3.12 di L.P.F.; sub 3.14 di Lo.An.; sub 3.18.1. S.S.; sub 3.19.1. da Pr.Ro.) che denunciano vizio di motivazione a riguardo della ritenuta sussistenza dell'accordo corruttivo intervenuto fra il N. ed i ricorrenti, che appare comprovato attraverso inequivocabili facta concludentia evincibili dal comportamento serbato dal funzionario corrotto e dai privati corruttori in occasione del disbrigo, contestualmente al pagamento, delle pratiche di interesse e che sono oggetto di specifica contestazione, fin dalla imputazione, con la precisa indicazione dei canditati all'esame per la patente di guida beneficiati ovvero con riguardo alla evasione di pratiche inerenti a collaudi ed altri provvedimenti di competenza dell'ufficio della Motorizzazione, a meno che per alcuni specifici episodi del 22 aprile 2009 (sub B13), del 25 marzo e 4 maggio 2009 (sub B20) e 1 aprile 2009 (sub B25) inquadrati nella fattispecie di cui all'art. 318 c.p., nei quali non è stato individuato, in coincidenza con la indebita dazione, uno specifico atto dell'ufficio compiuto o da compiersi da parte del N.. Il ragionamento seguito dai giudici del merito è piano e lineare nelle conclusioni che non realizzano alcuna torsione delle regole di giudizio, imponendo all'imputato di giustificare un'alternativa ragione di consegna delle somme, secondo la tesi patrocinata nel ricorso del B. e che disattendono le alternative spiegazioni offerte da taluni degli imputati (come quelle del Br. e del Ci.), ritenute francamente inverosimili a fronte del comprovato contesto descritto, con maggiore genuinità ed affidabilità, dai coimputati.

13.Ne consegue che sono, altresì, privi di pregio quei motivi di ricorso ( B.S., motivo sub 3.2.2.; Lo.An., sub 3.14.1., di M.G., sub 3.15, di Mu.Ma., sub 3.16.2, di P.G., sub 3.6.2.; di L.P.F., sub 3.12.1.; di L.G., sub 3.13.1.; di Lo.An., sub 3.14.1; di S.S., sub 3.19.1. S.S.) che concernono la individuazione degli atti compiuti dal N. in occasione delle dazioni: la visione dei filmati ha consentito, infatti, di identificare puntualmente e sono difatti analizzati nella sentenza di primo grado e sinteticamente richiamati in quella di appello-, in relazione a ciascuna delle dazioni, quale fosse l'atto compiuto dal N. e remunerato dagli odierni ricorrenti, consistenti o nell'agevolazione dell'esame di guida per i candidati presentati dai titolari delle varie autoscuole (si tratta degli episodi ascritti al N. ai capi B1), B2), B6), B9), B11), B12), b14), B15), B21), B22), B23), B28), B29), B34), B35), B36) ovvero nella evasione a vista, spesso oggetto di ripresa diretta nel filmato, di pratiche di interesse, negli episodi contestati sub capi B4), B10), B13), B17), B18), B19), B20), B24), B25), B27), B30), B31), B32), fattispecie del tutto diverse da quei casi - sussunti nella fattispecie di cui all'art. 318 c.p. - nei quali risulta comprovato un pagamento dei privati, in mancanza dell'espletamento di pratiche di immediato e diretto interesse individuate nel corso delle indagini. A fronte delle precisazioni contenute nei capi di imputazione e dell'attenta ricostruzione compiuta dai giudici di merito si rivelano generiche le deduzioni difensive nella parte in cui la mancata individuazione dell'atto viene fatta discendere dal mancato sequestro delle pratiche oggetto di contestazione, frutto, evidentemente, di una scelta discrezionale dell'organo inquirente, argomentazione che, nella maggior parte dei ricorsi, avvalora la tesi degli imputati sulla configurabilità, piuttosto che del delitto di corruzione ai sensi dell'art. 319 c.p., di quello di cui all'art. 318 c.p., con le inevitabili conclusioni da trarsi in punto di trattamento punitivo.

14. Ritiene il Collegio che le proposte censure, sollevate da tutti i ricorrenti, che concernono la ritenuta sussistenza di un preventivo accordo corruttivo e la individuazione dell'atto di ufficio, nonchè la sua contrarietà ai doveri di ufficio, come di seguito precisata, inquadrate nello schema di quelli di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), si risolvono, a ben vedere, in censure di merito in quanto propongono una alternativa lettura delle fonti di prova, non consentita in sede di legittimità ed esulano dal dedotto vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione che, come noto, ai fini della rilevabilità nel giudizio per cassazione, attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez.3, n. 23528 del 6 giugno 2006, Bonifazi, Rv. 234155) essendo il giudizio limitato alla sola verifica della sussistenza dell'esposizione dei fatti probatori e dei criteri adottati al fine di apprezzarne la rilevanza giuridica nonchè della congruità logica del ragionamento sviluppato nel testo del provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive, a meno che le scelte compiute dai giudici di merito non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche (cfr. Sez. 3, n. 40542 del 12 ottobre 2007, Rv. 238016) ovvero dell'ipotesi in cui il giudice del merito sia incorso in un vero e proprio vizio di travisamento della prova che consta, essenzialmente nella indicazione del contenuto della prova in modo difforme da quello reale.

15. Anche con riguardo alla ritenuta contrarietà degli atti del pubblico ufficiale ai doveri di ufficio le conclusioni alle quali i giudici del merito sono pervenuti, logicamente argomentate, sono in linea con i principi elaborati dalla Corte di legittimità. Se è vero, infatti, che la prova della dazione indebita di una utilità in favore del pubblico ufficiale, costituisce solo un indizio, sul piano logico, della finalizzazione della stessa al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale, nel caso in esame le descritte modalità dei fatti - comprovate dal contenuto dei filmati e delle riprese audiovisive - risultano univocamente sintomatiche della esistenza di un preventivo accordo che, assunto in violazione dei doveri di correttezza e imparzialità del pubblico ufficiale, proietta la sua illegittimità sia sul compimento di atti di contenuto ampiamente discrezionale, come gli esami di guida, sia sul rapido e favorevole disbrigo delle pratiche di immatricolazione, collaudo e revisione sottoposte all'esame del N. ed evase "a vista", come conclamato dai filmati.

15.1. I ricorrenti N.A., B.S., C.P., L.G., Lo.An., N.S., M.G., Pa.Gi. e S.G., con riguardo a tale ultimo aspetto, hanno richiamato le dichiarazioni del dirigente dell'ufficio, secondo le quali, in ragione della struttura dell'ufficio e della mole degli atti, la scelta dell'esaminatore della pratica non poteva essere orientata. Osservano, inoltre, l'ricorrenti che l'evasione delle pratiche, laddove il collaudo sia di tipo amministrativo e non tecnico, come ad esempio in materia di immatricolazione di veicoli provenienti dall'estero, la verifica del funzionario si risolve in un mero controllo della sola documentazione prodotta sicchè l'esame a vista non lede alcun principio di buona amministrazione e men che mai il dovere di imparzialità. Al più, una sollecita trattazione della pratica - secondo i ricorrenti - sarebbe, più correttamente, sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 318 c.p. poichè la condotta di agevolare una pratica amministrativa nei tempi di trattazione non ha in sè i caratteri della fattispecie illecita, comunque inesistente in presenza di un modico donativo diretto al funzionario istruttore che non ha avuto influenza nella formazione dell'atto.

15.2. Tutti i ricorrenti sostengono che il procedimento seguito dalla Corte di appello ai fini della individuazione dell'atto contrario ai doveri di ufficio in relazione alle fattispecie nelle quali è contestato il positivo superamento dell'esame di guida, è apodittico poichè non possono essere valorizzate a tal riguardo le descritte modalità furtive di consegna delle somme, in assenza di interlocuzione con il funzionario, tenuto conto che i candidati esaminati hanno regolarmente risposto alle domande, con la conseguenza che la mera violazione del dovere di imparzialità, posto a fondamento della condanna, non si trasferisce nell'atto e non giustifica la sussunzione del fatto nel reato di corruzione potendo, al più, essere ricondotto nella fattispecie di cui all'art. 318 c.p.. In presenza di atti di natura largamente discrezionali, secondo i ricorrenti, non possono essere ritenute rilevanti, ai fini della contrarietà dell'atto, la valutazione del tenore delle domande rivolte ai candidati che sostenevano l'esame per il conseguimento della patente di guida, ovvero la mera presenza all'esame del titolare della scuola guida che presentava il candidato (come nei casi del Ca., Ci., D.B.), non intervenuti nell'esame. Nè, con riguardo alla contestata corruzione a carico del Ci. sono acquisiti elementi di illiceità della prova dal momento che il "correttore", consegnato al Ci. dal N., era stato utilizzato, come risulta dalla visione dei filmati, solo per favorire i candidati dell'autoscuola D.B., che sedevano di fronte alla scrivania del N., circostanza questa che era stata riferita anche dal candidato che si assumeva presentato dal ricorrente e, comunque, un aiuto del funzionario era stato negato dal G. e dal V. che si erano limitati a chiedere aiuto all'istruttore.

15.3. I ricorrenti deducono, infine, che la dazione di una somma di assoluta modestia fa propendere nel senso della inesistenza di un accordo criminoso avente ad oggetto atti contrari ai doveri di ufficio poichè l'offerta o promessa deve essere in grado di turbare psicologicamente il pubblico funzionario, onde ritenere integrato il fatto-reato nella sua tipicità ed offensività e, comunque, l'accertamento del sinallagma corruttivo non può prescindere dalla verifica della concreta utilità dispensata dal privato, ricostruita nelle fattispecie in esame in via del tutto presuntiva. Nè è accertato il momento di formazione dell'accordo, cioè se antecedente ovvero susseguente al compimento dell'atto con la conseguenza che, in tale caso, la condotta non è punibile perchè la relativa fattispecie incriminatrice è stata introdotta solo con la L. 6 novembre 2012, n. 190.

15.4. Sotto diversa prospettiva nel ricorso di Co.Gi., P.G., Sc.Fr. (motivi sub 3.6), si rileva che il contesto ambientale emerso nel corso del giudizio di merito orienta la qualificazione giuridica delle condotte accertate in quella di concussione ambientale in presenza di una volontà costrittiva o induttiva del pubblico ufficiale attestata dal ruolo prevaricatore del N. che aveva imposto, ed aggiornato, una tariffa che imponeva l'acquiescenza delle persone che si rivolgevano all'ufficio, come attestato dalle dichiarazioni rese dallo S. e dalla Sc., nel corso dell'interrogatorio di garanzia. Nel ricorso di L.G., 3.13, si osserva che i pagamenti effettuati dall'imputato, e da questi ammessi, erano finalizzati ad evitare un'azione pregiudizievole del funzionario e, cioè, i tempi di attesa per la evasione delle pratiche di collaudo dei suoi automezzi. In particolare, L.G. ha sostenuto che, in seguito al primo incontro con il funzionario si era determinato, su induzione del N., a pagare la somma da questi richiestagli per ottenere il rilascio di lecita documentazione. Tali risultanze probatorie, erroneamente valutate, imponevano di sussumere la condotta del N. nel delitto di induzione indebita, come dedotto nei motivi di appello che non erano stati oggetto di approfondita valutazione nella sentenza impugnata.

15.5. Con riferimento al reato di cui all'art. 479 c.p., il N., oltre alle comuni considerazioni svolte sull'accordo e sul pagamento, sostiene che non è stata verificata la possibilità che sulla pratica di immatricolazione del C., trattata nei giorni precedenti, fosse sfuggita, per mera dimenticanza, l'apposizione della firma, tenuto conto che la cattiva qualità del filmato non consente di individuare il contenuto della cartella e cosa il suo interlocutore gli abbia consegnato. Anche il S., in riferimento al reato di cui al capo B29) sostiene che la pratica presentata al N. ed evasa a vista, era stata già trattata e doveva solo essere completata. Nè la Corte si è confrontata con le censure poste a fondamento della decisione del Tribunale che aveva annullato l'ordinanza impositiva della misura cautelare per carenza dei gravi indizi di colpevolezza, valorizzando anche le dichiarazioni rese dal S. il quale aveva sostenuto che sulla pratica trattata dal funzionario era sfuggita la firma. Secondo il S., dunque, la condotta era riconducibile alla fattispecie di corruzione impropria susseguente, non punibile perchè la relativa fattispecie incriminatrice è stata introdotta solo con la L. 6 novembre 2012, n. 190.

16. L'esame dei motivi di ricorso comporta una breve premessa sui caratteri distintivi del reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.), corruzione per l'esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e concussione (art. 317 c.p.) e induzione indebita (art. 319 quater c.p.).

17. I reati ascritti ai ricorrenti si collocano, temporalmente in epoca antecedente alla riforma dell'art. 318 c.p., con la L. n. 190 del 2012, disposizione che, come noto, incriminava l'accettazione di un retribuzione per il compimento di un atto conforme ai doveri di ufficio, distinguendo tra corruzione impropria antecedente e corruzione impropria susseguente.

17.1. La giurisprudenza di questa Corte ha già affermato, e non vi sono ragioni per discostarsi da tale principio, che il nuovo testo dell'art. 318 c.p., così come integralmente riscritto dalla L. n. 190 del 2012, art. 1, comma 75, non ha proceduto ad alcuna abolitio criminis, neanche parziale, delle condotte previste dalla precedente formulazione in quanto ha sostituito alla precedente causale del compiendo o compiuto atto dell'ufficio, oggetto di "retribuzione", il più generico collegamento, della dazione o promessa di utilità ricevuta o accettata, all'esercizio (non temporalmente collocato e, quindi, suscettibile di coprire entrambe le situazioni già previste nei due commi del precedente testo dell'articolo) delle funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale, così configurando, per i fenomeni corruttivi non riconducibili all'area dell'art. 319 c.p., una fattispecie di onnicomprensiva "monetizzazione" del munus pubblico, sganciata in sè da una logica di formale sinallagma e idonea a superare i limiti applicativi che il vecchio testo, pur nel contesto di un'interpretazione ragionevolmente estensiva, presentava in relazione alle situazioni di incerta individuazione di un qualche concreto comportamento pubblico oggetto di mercimonio (Sez. 6, n. 19189 del 11/01/2013 - dep. 03/05/2013, Abbruzzese, Rv. 255073).

Scopo della rivisitazione della norma è stato quello di assegnare rilevanza penale ad un fenomeno molto diffuso, cioè quello del "pubblico ufficiale pagato in vista di una sua generica disponibilità" verso il privato, quella che si suole definire la "messa a libro paga" del pubblico ufficiale, tesi che sembra confermata anche dalla sentenza innanzi richiamata.

Secondo autorevole tesi dottrinaria la condotta tipica descritta dalla vigente fattispecie di cui all'art. 318 c.p., assegna rilevanza penale autonoma al mercimonio della funzione, a prescindere dalla individuazione di un atto specifico di ufficio, non essendo strutturata in termini di sinallagmaticità della prestazione tra intraneus e privato, conclusione confermata dalla sostituzione, a livello semantico, del termine "retribuzione" con la locuzione "denaro o altra utilità". Proprio l'uso del termine retribuzione aveva condotto gli interpreti a ravvisare quale elemento costitutivo del reato di cui all'art. 318 c.p., il requisito della proporzione tra il vantaggio conseguito dal privato e l'entità dell'utilità oggetto di dazione o promessa, diversamente dalla fattispecie di cui all'art. 319 c.p. ove era sufficiente che la "datio" fosse correlata all'atto contrario ai doveri di ufficio che il pubblico ufficiale, per l'accordo intervenuto, deve compiere o ha compiuto ed aveva dato aidito all'interpretazione giurisprudenziale orientata ad escludere dall'ambito della corruzione impropria tutte quelle ipotesi di scambio nelle quali non potesse ravvisarsi un rapporto sinallagmatico fra le due prestazioni costituenti l'accordo corruttivo (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni e altri, Rv. 203972). Superando le discussioni che investivano la originaria previsione di cui all'art. 318 c.p., a seconda che si fosse in presenza di corruzione cd. antecedente o susseguente, la individuazione del bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 318 c.p., appare ravvisabile, nella violazione del principio di imparzialità della pubblica amministrazione, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione - indicati nell'art. 97 Cost., comma 1 - che risalenti ma ancora attuali affermazioni di questa Corte individuano quale bene giuridico tutelato dall'art. 319 c.p. (ex multis Sez. 6, n. 7259 del 12/01/1990 - dep. 24/05/1990, Lapini, Rv. 184397).

Ritiene il Collegio che sia innegabile che la modifica normativa operata con la L. n. 190 del 2012, ha trasposto nella norma un orientamento giurisprudenziale che sanziona espressamente la corruzione per la funzione, rompendo con l'impostazione propria del dispositivo normativo ancorato al rapporto sinallagmatico tra atto dell'ufficio (contrario o dovuto) ed accettazione di promessa e/o percezione di utilità da parte del pubblico agente (cfr. sul punto Sez. 6, n. 47271 del 25/09/2014, Casarin, Rv. 260732).

Non è sopito, tuttavia, il dibattito sulla effettiva portata della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 318 c.p., a confronto con la fattispecie, topograficamente contigua, della corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, oggi sanzionata in maniera più grave rispetto alla figura di reato di cui all'art. 318 c.p..

Anche la giurisprudenza di questa Corte, oltre alla dottrina, afferma che la nuova configurazione del sistema punitivo dei reati di corruzione, appare strutturata da una norma di carattere generale, quale la corruzione per l'esercizio della funzione (art. 318 c.p.), posta in rapporto di genere a specie rispetto alla corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.), rispetto alla quale quest'ultima si configurerebbe quale norma s. (Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, Chisso, Rv. 261354), richiedendo uno specifico atto oggetto di mercimonio. Si aggiunge che la disposizione di cui all'art. 318 c.p., risulta strutturata come fattispecie di reato di pericolo (Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, Chisso, Rv. 261353), con la funzione di anticipazione della soglia di punibilità, e conseguente meno grave trattamento sanzionatorio, rispetto a condotte che, caratterizzate dal nesso sinallagmatico con il compimento - o la omissione - di uno specifico atto contrario ai doveri d'ufficio, sono configurabili come reato di danno.

Si osserva, infine, che la previsione di cui all'art. 318 c.p., ha eliminato la necessità non solo di prevedere un'espressa sanzione per la corruzione collegata al compimento di atti dell'ufficio non contrario a legge ma anche di stabilire il compimento o meno di un atto dell'ufficio e la relativa natura, con la conseguenza che l'accettazione di indebite promesse o (evenienza più verosimile) la percezione di indebite utilità collegate semplicemente all'esercizio della pubblica funzione, rendono la condotta punibile a norma dell'art. 318 c.p., coprendo l'area della vendita della funzione in quelle situazioni in cui non sia noto il finalismo del suo mercimonio o in cui l'oggetto di questo sia sicuramente rappresentato da un atto dell'ufficio (cfr. sentenza n. 47271 del 25/09/2014, cit.).

18. Tale orientamento ermeneutico è sotteso alla decisione dei giudici palermitani nel caso in esame nella parte in cui hanno ritenuto sussumibile la condotta del N. nell'art. 318 c.p., per quelle fattispecie concrete in cui, accertata la datio e il compimento di un atto di ufficio, non era stato possibile, in concreto, individuare la pratica trattata dal funzionario.

19. L'ampio concetto di esercizio delle funzioni o dei poteri oggi posto a fondamento dell'art. 318 c.p., non esime, comunque, l'interprete dalla individuazione, là dove possibile, di un atto dell'ufficio di competenza del pubblico ufficiale ai fini della esatta perimetrazione del l.p.ta delle norme incriminatrici di cui all'art. 318 c.p., e art. 319 c.p., e, a tal riguardo, ritiene il Collegio che sono ancora validi gli orientamenti di questa Corte, espressi in riferimento al reato di corruzione propria, univoci nell'attribuire un significato molto ampio alla nozione di "atto d'ufficio", che comprende una vasta gamma di comportamenti umani, effettivamente o potenzialmente riconducibili all'incarico del pubblico ufficiale, e quindi non solo il compimento di atti di amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di proposte, l'emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato (Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006 - dep. 22/11/2006, Moschetti ed altri, Rv. 234992).

Necessario e sufficiente, ai fini della sussunzione di una condotta nella nozione penalistica di atto di ufficio, è che tale condotta sia posta in essere in un contesto funzionale nel quale tale condotta comunque si pone mentre resta estranea a tale nozione solo la condotta commessa in occasione dell'ufficio e che, quindi, non concreta l'uso di poteri funzionali connessi alla qualificazione soggettiva dell'agente (Sez. 6, n. 7731 del 12/02/2016, Pasini, Rv. 266543).

Nè è determinante che l'atto sia compreso nell'ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale qualora l'atto rientri nelle competenze dell'ufficio cui appartiene in relazione al quale eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto (Sez. 6, n. 23355 del 26/02/2016, Margiotta, Rv. 267060; Sez. 6, n. 20502 del 02/03/2010, Martinelli, Rv. 247373) ciò perchè, ai fini della realizzazione del reato, assume forza esponenziale non l'atto ma il comportamento, che può riferirsi a qualsiasi segmento della sequenza procedimentale e non necessariamente al provvedimento conclusivo. L'atto dell'ufficio non deve essere inteso, dunque, in senso strettamente formale, ma può essere integrato anche da comportamenti materiali costituenti esplicazione dei poteri-doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata (così Sez. 5, n. 36859 del 16/01/2013, Mainardi, Rv. 258040).

L'attenzione della giurisprudenza di questa Corte, fin da risalenti pronunce, si è concentrata nell'esame delle condizioni che, in presenza dell'esercizio di poteri discrezionali del pubblico ufficiale, configurano la contrarietà dell'atto ai doveri di ufficio e sulla configurabilità, in presenza di atti discrezionali, della fattispecie di cui all'art. 318 c.p..

Si è, così, affermato che la corruzione cosiddetta "impropria", di cui all'art. 318 c.p., è configurabile non soltanto con riguardo agli atti vincolati del pubblico ufficiale, ma anche con riguardo a quelli discrezionali, sempre che questi non siano contrari ai doveri d'ufficio, indipendentemente dall'indebita retribuzione la quale, di per sè, comportando violazione del solo dovere "esterno" che impone di non accettarla, e non anche del dovere "interno", che impone di rispettare le regole che presiedono all'emanazione dell'atto, non implica necessariamente contrarietà dell'atto medesimo ai doveri d'ufficio, ben potendo esso risultare comunque idoneo alla miglior soddisfazione dell'interesse pubblico, sì da poter essere considerato, in effetti, al pari dell'atto vincolato, come l'unico possibile. Per converso, quando l'indebita retribuzione, o la relativa promessa, siano finalizzate a far sì che la facoltà discrezionale sia esercitata in modo difforme da quello altrimenti suggerito dall'equilibrata e disinteressata valutazione della situazione concreta, si sarà in presenza di corruzione cosiddetta "propria", cioè per atti contrari ai doveri d'ufficio (Sez. 6, n. 10851 del 08/11/1996, Malossini ed altri, Rv. 206225).

In altre decisioni si afferma che, in tema di corruzione, il solo fatto che l'attività del pubblico ufficiale (o dell'incaricato di pubblico servizio) presenti margini più o meno ampi di discrezionalità non vale, di per sè, ad escludere la configurabilità della corruzione impropria in luogo di quella propria, ben potendo risultare che l'atto discrezionale compiuto o da compiere sia comunque idoneo alla migliore soddisfazione dell'interesse pubblico, nonostante che il suo compimento sia fatto dipendere dalla indebita retribuzione. (Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003 - dep. 2004, Balsano ed altri, Rv. 227101).

Decisivo è, dunque, l'accertamento, ai fini della contrarietà o meno dell'atto discrezionale ai doveri di ufficio, del rispetto delle regole di esercizio del potere discrezionale da parte del pubblico ufficiale e del generale dovere di imparzialità del pubblico ufficiale come declinato nel concreto esercizio della funzione.

In particolare, si è ritenuto violato il dovere d'ufficio di agire con imparzialità nella ricerca dell'interesse pubblico quando, a fronte della possibilità di adottare più soluzioni, il pubblico ufficiale operi la sua scelta in modo da assicurare il maggior beneficio del privato a seguito del compenso promesso o ricevuto, poichè in tal caso l'atto trova il suo fondamento prevalentemente nell'interesse del privato. (Sez. 6, n. 11462 del 12/06/1997, Albini GM ed altri, Rv. 209699). Il delitto di corruzione impropria, e non quello di corruzione propria, si è aggiunto, è configurabile in relazione ad un atto adottato dal pubblico ufficiale nell'ambito di attività amministrativa discrezionale, soltanto qualora sia dimostrato che lo stesso atto sia stato determinato dall'esclusivo interesse della pubblica amministrazione e che pertanto sarebbe stato comunque adottato con il medesimo contenuto e le stesse modalità anche indipendentemente dalla indebita retribuzione (Sez. 6, n. 36083 del 09/07/2009, Mussoni e altri, Rv. 244258).

Sotto altro aspetto si è evidenziato che ciò che caratterizza l'ipotesi criminosa dell'art. 319 c.p., non è tanto la legittimità dell'atto - anche se questa può essere l'indice rilevatore - ma la non conformità dello stessa tutti i doveri d'ufficio che possono venire in considerazione, e tra questi indubbiamente quello dell'imparzialità, bene assistito da norma costituzionale e, inoltre, che per valutare la contrarietà della condotta del pubblico ufficiale ai suoi doveri, l'attenzione deve incentrarsi non sui singoli atti, ma sull'insieme del servizio reso al privato, per cui, anche se ogni atto separatamente considerato corrisponde ai requisiti di legge, l'asservimento della funzione, per denaro, agli interessi privati concreta il reato di cui al sopracitato articolo e non già di cui all'art. 318 c.p., (Sez. 6, n. 7577 del 12/06/1996 - dep. 29/07/1996, Aragozzini ed altri, Rv. 205889).

L'approdo di tale excursus è individuabile in quelle decisioni di questa Corte secondo le quali, ai fini della determinazione della contrarietà dell'atto ai doveri d'ufficio, occorre aver riguardo non solo all'astratta legittimità formale dello stesso, ma anche al percorso che ha condotto alla sua adozione: a significare, cioè, che ove emerga che poteri discrezionalmente spettanti al pubblico ufficiale siano stati asserviti al raggiungimento dell'esito prestabilito, con rinuncia a priori alla imparziale comparazione degli interessi in gioco - da accertarsi in fatto essere avvenuti a monte, onde evitare non consentite ingerenze nella sfera propria della pubblica amministrazione - anche in tal caso l'atto si configurerà come contrario ai doveri d'ufficio, esulando perciò dalla sfera di applicabilità del vigente art. 318 c.p. (cfr., in parte motiva, Cass. Sez. 6, sent. n. 18707 del 09.02.2016, Rv. 266991; nonchè Sez. 6, sent. n. 30762 del 14.05.2009, Rv. 244530).

20. Poste queste premesse metodologiche ritiene il Collegio che correttamente i giudici distrettuali sono pervenuti ad affermare la penale responsabilità del N. qualificando come delitto di cui all'art. 318 c.p., quelle fattispecie rispetto alle quali non si era potuta individuare la concreta pratica evasa dal funzionario pur essendo stata accertata, in un contesto quale quello disvelato dalle indagini protrattesi per alcuni mesi, sia la consegna di una somma di denaro che, dal contenuto delle conversazioni intercettate e delle riprese effettuate, l'interessamento del N. alla trattazione di una pratica comunque rientrante nelle sue mansioni, piuttosto che un versamento come prezzo di eventuali, futuri e imprecisati atti omissivi o commissivi del pubblico funzionario, vuoi perchè vengono intercettati passaggi di documenti vuoi perchè vengono registrate conversazioni che fanno riferimento a pratiche in istruttoria di interesse dell'interlocutore del N.. In particolare nella sentenza di primo grado - alla quale quella di appello rimanda - sono riportati, in relazione agli episodi del 29 aprile 2009 (controparte A.S., cfr. pag.90); la consegna e prelievo di documenti, oltre che la consegna di banconote come pure si verifica in corrispondenza degli episodi del 27 febbraio 2009 e 8 aprile 2009 (controparte C.P., cfr. pag. 136 e 140); del 22 aprile 2009 (controparte D.S., sub B13), pag. 175); del 28 febbraio 2009 e 25 marzo 2009 (controparte L.G., capo B20), pag. 223), del 1 aprile 2009, controparte O.G., capo B25) pag. 255). Sono, queste, fattispecie del tutto diverse da quella che, relativa alla posizione di L.G. ed al reato di corruzione propria, nella fase cautelare ha comportato l'annullamento dell'ordinanza cautelare, dal momento che gli elementi acquisiti non erano stati ritenuti conducenti alla individuazione di specifiche pratiche ovvero esami di guida, adottati in violazione dei doveri di ufficio.

Il corrispettivo versato in corrispondenza della trattazione di una pratica di ufficio, anche se non è individuato l'atto oggetto di mercimonio, consente di ritenere che si sia in presenza della elargizione di una mancia per l'espletamento di un atto conforme ai doveri di ufficio poichè, come anticipato nelle pagine che precedono, il mero pagamento non implica, di per sè, la contrarietà dell'atto ai doveri di ufficio ovvero la violazione dell'obbligo di imparzialità. E correttamente i giudici del merito hanno ritenuto che l'importo corrisposto, e in più occasioni individuato in cinquanta Euro, poi elevato unilateralmente dal N. a cento Euro, non fosse sussumibile in un piccolo donativo di cortesia, suscettibile di scriminare la condotta illecita, non solo perchè per nulla irrisorio ma addirittura perchè proporzionato al modesto intrinseco valore delle pratiche.

Il riferimento della dazione alle "regalie d'uso", di cui al secondo motivo di ricorso del N., poi, è del tutto privo di concretezza. In effetti, sia il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al D.M. Funzione Pubblica 28 novembre 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 2001, vigente all'epoca dei fatti, sia il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, ritengono, nel contesto di una disciplina di evidente sfavore per tale comportamento, ammissibile l'accettazione di "regali o altre utilità" solo con riferimento a "quelli d'uso di modico valore". In altri termini, i donativi che possono essere ricevuti dal dipendente pubblico debbono essere non solo "di modico valore", ma anche "d'uso". E certamente non può definirsi "d'uso" una dazione correlata alla definizione, nell'interesse del soggetto erogante l'utilità, di una pratica amministrativa da parte del ricevente. Si può anche aggiungere, per completezza, che l'attuale disciplina, fissata dal primo periodo del D.P.R. n. 62 del 2013, art. 4, comma 2, circoscrive ulteriormente l'ammissibilità dell'accettazione di donativi da parte del dipendente pubblico (secondo il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, da identificarsi per i pubblici dipendenti nell'ordine massimo di 150 Euro), precisando che si tratta di donativi che debbono essere "effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali relazioni di cortesia e nell'ambito delle consuetudini internazionali. Nella vicenda in esame, quindi, non solo non rileva il "modico valore" ma neppure si è in presenza di una corresponsione occasionale, poichè - come correttamente evidenziato nelle sentenze di merito - la mancia era corrispondente ad una vera e propria tariffa, imposta dal N. per la trattazione ed evasione delle pratiche di sua competenza.

21. Manifestamente infondate sono le prospettazioni difensive di tutti i ricorrenti volte a sussumere le condotte contestate nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 318 c.p., per i reati di corruzione formulati in relazione al superamento delle prove di esame delle patenti da parte dei candidati, patrocinati dai titolari dei scuola guida.

Si tratta, ed è questo l'unico aspetto nel quale la tesi coglie nel segno, di atti aventi contenuto ampiamente discrezionale nella formulazione delle domande e nella valutazione dei contenuti delle risposte dei candidati, tuttavia, non può condividersi il prospettato inquadramento nella fattispecie di corruzione di cui all'art. 318 c.p., che discende da una valutazione frazionata e atomistica delle condotte accertate e che prescinde dalla concreta dinamica dei fatti evincibile dal contenuto delle riprese audiovisive, dall'apprezzamento delle prove acquisite, che documentano la consegna di una somma di denaro, tacitamente accettata dal funzionario e, quindi espressiva di un accordo convenuto a monte in vista dell'espletamento dell'atto, ed il complessivo andamento della prova di esame.

22. Sono, in primo luogo, inficiate da intrinseca genericità quelle deduzioni difensive che, già debitamente esaminate dai giudici di merito, risultano ineludibilmente volte ad una rivisitazione del merito, come quelle proposte dal Ca., dal Ci. e dal D.B. che evocano una diversa lettura del filmato sollecitando addirittura alla Corte di legittimità la ricostruzione dei movimenti del Ci.; la circostanza che il correttore della prova venisse consegnato ai candidati patrocinati da altra scuola e non a quelli della scuola guida del Ci.; le dichiarazioni rese dai candidati, circostanze che con motivazione completa ed esaustiva sono state oggetto di esame già nella sentenza di primo grado (cfr. 159 che ha disatteso la ricostruzione proposta evidenziando la consegna di denaro, ammessa dal Ci., ed analizzando, in termini tutt'altro che irragionevoli la dinamica dell'esame) e che, in buona sostanza, propugnano una diversa ricostruzione fattuale non solo alternativa a quella posta a fondamento delle sentenze di condanna ma, a ben vedere, tutt'altro che decisiva ai fini dell'inquadramento giuridico dei fatti accertati.

Nelle sentenze di merito sono descritti numerosi episodi significativi ed emblematici delle modalità di espletamento degli esami per il conseguimento della patente di guida: in occasione della seduta di un candidato (si tratta del reato di cui al capo B8) ascritto al N., risulta che il titolare della scuola guida addirittura conduceva l'esame del candidato; in relazione alla condotta di cui al capo B6), ascritta al Ca., questi non solo è stato presente, come possibile chè la seduta è pubblica, ma si è posizionato alle spalle dei candidati ed è intervenuto nel corso dell'esame; in relazione alla contestazione a carico di V.G.B., la interferenza veniva realizzata dall'imputato che iniziava direttamente l'esame del proprio patrocinato. Anche in altre circostanze, il titolare della scuola guida, suggeriva le risposte al candidato.

A prescindere da tali casi, la sentenza impugnata e quella di primo grado hanno escluso che si sia in presenza di corruzione impropria susseguente, dal momento che i pagamenti intercettati costituivano la esecuzione di un accordo convenuto a monte, ed hanno apprezzato, quali concreti indici di contrarietà dell'atto per violazione del dovere di imparzialità non la mera presenza all'esame del titolare della scuola guida (astrattamente legittima) ma la prossimità ai candidati, con la possibilità di suggerire le risposte nonchè la facilità e la ripetitività delle domande rivolte al candidato, comportamenti dell'esaminatore che, secondo la logica e congruente motivazione dei giudici di merito, comprovano un atteggiamento di favore del N. e che costituiscono concreto indice fattuale del percorso che ha condotto all'adozione dell'atto. I giudici di merito, per nulla apoditticamente, hanno correttamente valorizzato - secondo l'ampia nozione di atto di ufficio innanzi delineata- il comportamento del pubblico ufficiale, tenuto durante una prova d'esame dialogica connotata dall'esercizio dei poteri discrezionalmente spettanti al pubblico ufficiale, come orientato in chiave di agevolazione dei candidati e, dunque, asservito al raggiungimento dell'esito prestabilito e concordato, con rinuncia a priori alla imparziale comparazione dell'interesse pubblico e di quello dei partecipanti all'esame. In altre parole, in forza dell'accordo corruttivo, la comparazione era avvenuta a monte e prescindere dal simulacro di prova al quale il candidato veniva sottoposto. L'effettivo esercizio di poteri pubblici, nel contesto di una logica orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali, salvo i casi limite di attività rigorosamente predeterminata nell'an, nel quando e nel quomodo, determina con immediatezza un pregiudizio per l'imparzialità ed il buon andamento dell'amministrazione, perchè implica l'impiego di strumenti e funzioni pubblicistiche al di fuori dei presupposti per i quali i medesimi sono stati prefigurati, e, quindi, si traduce in un attuale ed ingiustificato trattamento di privilegio in favore del beneficiario dell'azione indebitamente orientata. Va, pertanto, ribadito il principio secondo cui configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio - e non il più lieve reato di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all'art. 318 c.p. - il comportamento abdicativo del pubblico ufficiale di fronte al dovere di una corretta comparazione degli interessi rilevanti che integra invero già di per sè "l'omettere" di cui all'art. 319 c.p., e quindi anche quando l'esito raggiunto risulti coincidere ex post con l'interesse pubblico e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni, in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l'elemento decisivo è costituito dalla "vendita" della discrezionalità accordata dalla legge (Sez. 6, n. 4459 del 24/11/2016 - dep. 30/01/2017, Fiorani e altri, Rv. 269613).

23. Alle medesime conclusioni deve pervenirsi, escludendo la sussumibilità dei fatti nell'ipotesi di cui all'art. 318 c.p., anche in relazione ai casi nei quali è contestato ai ricorrenti il reato di corruzione propria in relazione all'accertata evasione "a vista" delle pratiche di interesse dei privati ovvero la fissazione di esami per il conseguimento delle patenti di guida, contestate ai corrispondenti del L.C.. La Corte distrettuale ha evidenziato, sulla scorta dei più volte richiamati filmati, che la evasione delle "pratiche" sottoposte al N. ed al L.C. non era preceduta da una disamina minimamente approfondita poichè, in pochi secondi, i funzionari, ricevuta la pratica la guardavano superficialmente e la restituivano apponendovi la propria sottoscrizione.

L'evasione "a vista" delle pratiche, inoltre, implica il mancato rispetto delle procedure interne che comportavano precise modalità di assegnazione e di tempi di trattazione, puntualmente ricostruiti nella sentenza di primo grado a pag. 49 e ss., e si è risolta in una velocizzazione dei tempi di evasione delle pratiche di interesse degli odierni ricorrenti, B.S., Ca.Mi., Ci.Se.Ma.Gi., Co.Gi., L.P.F., L.G., Mu.Ma., N.S., P.G., S.S., Sc.Fr., N.S. nonchè M.G., Pa.Gi., C.P., costituendo, anche tale osservazione è sviluppata nelle sentenze di merito con preciso richiamo alle risultanze di prova ed alle dichiarazioni fornite al riguardo dal N. e dai coimputati che si sono lungamente soffermati sulla descrizione dei tempi lunghi di trattazione delle procedure amministrative della Motorizzazione Civile, connessi alla mole di atti da evadere. Rileva il Collegio che il procedimento seguito dagli imputati ha comportato non solo una violazione del principio di imparzialità ma l'alterazione delle regole e della correttezza della funzione amministrativa resa evidente dalla creazione di una corsia privilegiata per tali utenti rispetto ai concorrenti, in violazione delle disposizioni secondarie o interne o a istruzioni di servizio dettate al fine di assicurare e promuovere il regolare e più corretto svolgimento dell'azione pubblica (Sez. 6, n. 3052 del 07/12/1994 - dep. 22/03/1995, Ventura ed altri, Rv. 201083).

24. Priva di pregio è anche la tesi difensiva secondo la quale la modesta utilità dispensata al N. ed al L.C. dai privati fa propendere per la inesistenza di un accordo corruttivo, conducente alla corruzione propria. Il requisito della proporzione - da intendersi nel senso di mancanza di sproporzione manifesta tra la prestazione del privato e quella del pubblico ufficiale - riguarda, secondo l'inquadramento sistematico degli istituti in esame, soltanto la corruzione impropria di cui all'art. 318 c.p., che, secondo la delineata ricostruzione giurisprudenziale, richiama(va) nel testo normativo di cui al previgente art. 318 c.p., la "retribuzione non dovuta" per il compimento di un atto dell'ufficio, e non pure la corruzione propria prevista dall'art. 319 c.p., relativa al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, in cui non si fa riferimento al concetto di retribuzione, essendo sufficiente che la datio sia correlata all'atto contrario ai doveri di ufficio che il pubblico ufficiale, per l'accordo intervenuto deve compiere o ha compiuto (Sez. 6, n. 2376 del 19/05/1994, Di Maria, Rv. 199050). Rileva il Collegio che, empiricamente, l'importo corrisposto - e accettato dal N. - non solo non risulta modesto ma appare anche proporzionato al valore commerciale delle pratiche trattate, che era di poche centinaia di Euro, e, dunque, correlato alla vicendevole soddisfazione degli interessi che ne conseguiva sia per il funzionario che per i privati corruttori.

25. Il motivo di ricorso del S. - che sostiene essersi limitato l'intervento del N. alla correzione di una pratica già evasa con l'apposizione della firma è generico a fronte della precisa ricostruzione, contenuta nella sentenza di primo grado (cfr. pag. 282) e richiamata in quella impugnata, della vicenda fattuale e del rilievo che, sulla scorta della visione del filmato e della compilazione dei fogli riprodotta, non si fosse in presenza della mera integrazione da parte del N. di una pratica già esaminata alla stregua della sequenza dell'intervento, consistito nella compilazione di vari fogli, e dell'incarico ricevuto dal N. di curarne l'ulteriore inoltro. Rispetto a tali pertinenti rilievi si appalesa del tutto generico il riferimento all'annullamento del titolo cautelare.

26. Sono manifestamente infondate le censure dei ricorrenti che deducono la mancata sussunzione dei fatti nell'ipotesi di concussione ambientale valorizzando la circostanza che era stato l'imputato N. ad avere imposto, in sostanza, il pagamento di una tariffa per l'espletamento dei suoi compiti, poi unilateralmente aumentata, nel corso dell'anno 2009, da Euro 50,00 a Euro 100,00. Con argomentazioni per nulla illogiche i giudici di merito hanno escluso che tale elemento sia idoneo a denotare una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l'extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita in una situazione nella quale era precipuo interesse dei privati ottenere agevolazioni, quali la velocizzazione dei tempi di trattazione delle pratiche ed il superamento dell'esame di guida) assicurate dagli atteggiamenti compiacenti del N. e del L.C., agevolazioni che essi non avrebbero avuto titolo di pretendere. Si tratta di affermazioni in linea con la giurisprudenza di questa Corte nella parte in cui ha reiteratamente affermato che non è ravvisabile l'ipotesi della concussione cosiddetta "ambientale" qualora il privato si inserisca in un sistema nel quale il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della "tangente" sia costante, atteso che in tale situazione viene a mancare completamente lo stato di soggezione del privato, che tende ad assicurarsi vantaggi illeciti, approfittando dei meccanismi criminosi e divenendo anch'egli protagonista del sistema (Sez. 6, n. 16335 del 12/04/2011 - dep. 26/04/2011, Kecira, Rv. 250045). E, l'approfittamento del meccanismo criminoso da parte del privato, che agisce in posizione di parità con il pubblico ufficiale e si determina al pagamento per mero calcolo utilitaristico e non per timore, consente di ritenere manifestamente infondata la tesi difensiva della sussumibilità del fatto nella fattispecie della induzione indebita a dare o promettere utilità, nella quale il privato accede alla illecita pattuizione condizionato dal timore di subire un pregiudizio in conseguenza dell'esercizio dei poteri pubblicistici (Sez. 6, n. 53436 del 06/10/2016, Vecchio, Rv. 268791).

27. Manifestamente infondato è il motivo di ricorso del N., con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di falso di cui al capo B) 8bis). La condotta illecita è comprovata dal contenuto del filmato e riscontrata dall'intervento degli inquirenti che procedevano all'arresto del N. - indosso al quale veniva trovata la banconota da cento Euro poco prima consegnatagli dal C. - e all'esame della pratica di immatricolazione delle vettura. E' il contenuto del breve colloquio intercettato e la ricerca della data utile da apporre sulla pratica di immatricolazione, in relazione ad un turno svolto nei giorni precedenti ed individuato nel 29 aprile 2009, che i giudici di merito hanno adeguatamente apprezzato onde pervenire alla conclusione che la pratica era stata esaminata a vista e approvata il 15 maggio 2009, immediatamente prima dell'intervento della Polizia e non alla data che il N. vi aveva apposto, secondo una prassi comprovata dalle dichiarazioni dei coimputati che, giustappunto, denominavano finti collaudi le pratiche relative ai collaudi dei veicoli, eseguite con modalità perfettamente sovrapponibili a quella oggetto di contestazione e relativa alla immatricolazione di un'autovettura che il N. si è peritato di far coincidere con un giorno nel quale era stato di turno.

28. Possono essere trattati congiuntamente i motivi di ricorso che investono il trattamento sanzionatorio, il diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudizio di bilanciamento tra circostanze e l'aumento di pena per la continuazione fra reati, motivi che risultano, tutti e ciascuno, generici, perchè direttamente afferenti al merito del giudizio, e manifestamente infondati.

Questa Corte di legittimità ha avuto modo di affermare, con principio riferito al diniego delle circostanze attenuanti generiche ma estensibile agli ulteriori aspetti della regiudicanda ora indicati, che nel motivare il diniego delle attenuanti innominate non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).

28.1. Ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., ma anche ai fini della individuazione della pena base e, così i singoli aumenti per la continuazione fra reati, il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all'art. 133 c.p., e, fra questi assumono valore preponderante sia la gravità del reato che la capacità a delinquere del reo, fattori che, variamente combinati tra loro, rispondono all'esigenza di garantire la personalizzazione dell'applicazione della pena.

Ciò che davvero rileva, ai fini della giustificazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche in grado di appello, con conseguente vizio di motivazione in caso di mera conferma del giudizio di insussistenza delle condizioni per procedere all'applicazione delle circostanze innominate, è la reale ed effettiva disamina delle ragioni addotte a fondamento della richiesta della parte contenuta nei motivi di gravame, con la conseguenza che è affetto da vizio di carenza di motivazione, il giudizio di insussistenza delle circostanze attenuanti generiche che si limiti a condividere il presupposto dell'adeguatezza della pena in concreto inflitta, omettendo ogni apprezzamento sulla sussistenza e rilevanza dei fattori attenuanti specificatamente indicati nei motivi di impugnazione (Sez. 6, n. 20023 del 30/01/2014, Gligora Rv. 259762). Per contro, si è osservato che il giudice di appello non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti alla attenzione del giudice di primo grado e da quest'ultimo disattesi sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione (Sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015, Nargisio, Rv. 262249).

28.2. Alla stregua di tali regole di giudizio non sono censurabili le argomentazioni con le quale la Corte palermitana ha disatteso la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche dando atto che non erano stati indicati elementi favorevoli per giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore di B.S. (motivo sub 3.2.1.), Br.Pa. (motivo sub 3.3.5.), Ci.Gi. (motivo sub 3.5.5.), P.G. (motivo sub 3.6.3.), S.S. (motivo sub 3.19.4), V.A.M. (motivo sub 3.23.2.), V.G.B. e V.G.M. (motivo sub 3.24.3.) richiamando la obiettiva gravità dei fatti, in relazione alle concrete modalità della condotta ed al quadro di sistema, condiviso da ciascuno degli imputati, che il processo aveva disvelato, avendo, peraltro, il giudice di primo grado già apprezzato, a favore dei predetti imputati, la circostanza attenuante di cui all'art. 323 bis c.p., in relazione al concreto importo della corrisposta tangente, ma denegando, con riguardo al B., la prevalenza di tale circostanza attenuante sulla contestata recidiva. Il tenore dei motivi di ricorso, giocato pressocchè interamente sulla evocazione dello stato di incensuratezza dei ricorrenti, rende evidente che ciò che si chiede alla Corte di legittimità è un rinnovato giudizio sulla personalità degli imputati, a fronte di valutazioni dei giudici di merito che non si appalesano manifestamente illogiche e che non hanno pretermesso la valutazione di circostanze di decisiva rilevanza dal momento che hanno apprezzato non solo la condotta di reato ma anche il successivo comportamento processuale escludendo che in esso possa essere ravvisato un sicuro indice di resipiscenza e valutazione critica del proprio operato.

28.3. In tale quadro di riferimento manifestamente infondato risulta anche il motivo di ricorso di L.G. sia per il diniego del giudizio di prevalenza sulla recidiva delle pur concesse circostanze attenuanti generiche che per la misura del praticato aumento a titolo di continuazione (motivo sub 3.13.3.) in presenza di congrua motivazione delle sentenze di merito, ragguagliata al concreto disvalore della condotta, e tenuto conto che gli aspetti più propriamente soggettivi della condotta e la modesta entità della somma corrisposta erano stati oggetto di favorevole valutazione in sede di applicazione, oltre che della circostanza di cui all'art. 323 bis c.p., delle circostanze attenuanti generiche.

28.4. Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riguardo alla posizione del N. (motivo sub 3.1.1.), che aveva eletto i comportamenti illeciti a sistema di esercizio delle pubbliche funzioni assegnategli a fronte di ammissioni del tutto parziali ed ondivaghe, che, a buon diritto, sono state ritenute del tutto irrilevanti per formulare un giudizio di revisione critica del proprio comportamento, giudizio sul quale è stata fondata, in presenza di una reale resipiscenza, l'applicazione di un trattamento processuale più lieve per gli imputati risultati del tutto marginalmente coinvolti negli episodi illeciti.

28.5. Generico e manifestamente infondato è il motivo di ricorso proposto nell'interesse di V.G.B. e V.G.M. - ai quali è stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 323 bis c.p. - in relazione al diniego, in linea con i principi dettati da questa Corte, della circostanza di cui all'art. 62 c.p., n. 4. Ed invero, in tema di delitti contro la pubblica amministrazione, la circostanza attenuante s. prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato (Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014 - dep. 31/03/2014, Di Marzio e altri, Rv. 259501), caratteristiche che del tutto assertivamente, nel descritto quadro di illiceità nel quale anche i due imputati si muovevano, sono state evocate con i motivi di ricorso.

28.6. Anche con riguardo al diniego della circostanza di cui all'art. 323 bis c.p., in favore del N. (motivo sub 3.1.1.), la decisione della Corte palermitana è del tutto conforme all'alveo di legittimità ora ricordato, applicabile anche in relazione all'attenuante di cui all'art. 323 bis c.p., che da quella generale mutua gli elementi strutturali, diniego motivato con all'apprezzamento della reiterazione nel tempo della condotta ed alla incidenza della stessa sulla funzionalità dell'ufficio, quindi esprimendo un motivato giudizio sull'apprezzamento di circostanze di fatto che la Corte di legittimità non potrebbe rivedere se non sostituendo a quello ora espresso un proprio giudizio.

28.7. Del tutto assertivo è il motivo di ricorso con il quale viene censurata la mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 323 bis c.p., in favore di Sc.Fr. (motivo sub 3.6.3.), in presenza di condotte reiterate nel tempo ed intese a favorire il disbrigo delle pratiche di interesse.

28.8. Con motivazione implicita, valorizzando la gravità dei fatti in relazione alla creazione ed alla condivisione, da parte di ciascuno degli imputati, del sistema illecito, la Corte di merito si è pronunciata anche sulla insussistenza della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Non rileva, secondo la prospettazione difensiva dei ricorrenti Ci. (motivo sub 3.5.4.), V.G.B. e V.G.M. (motivo sub 3.24.3) che si sia in presenza di un'unica condotta illecita e, quindi, il carattere non abituale della condotta, aspetto che costituisce solo uno dei presupposti per la configurabilità dell'istituto di cui all'art. 131 bis c.p., nel caso recessivo a fronte delle modalità della condotta e del grado di colpevolezza che denotano in capo agli imputati, parti di un rodato sistema illecito, un sostanziale contributo alla realizzazione e protrazione dell'illecito, connotati incompatibili con il giudizio di particolare minore offensività del fatto.

29. In presenza di inammissibilità del ricorso per cassazione, anche per manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione, non si è formato alcun valido rapporto di impugnazione, evenienza che preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (S.U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266) sia per gli imputati che, con specifici motivi di impugnazione, hanno eccepito la prescrizione dei reati loro ascritti (motivi sub 3.6.4 per gli imputati Co., P. e Sc.; 3.9.3. per C.P.; 3.12.3, per L.P.F.), prescrizione che, in ogni caso, sarebbe intervenuta, avuto riguardo alle disposte sospensioni, solo in data successiva alla sentenza impugnata per tutti i reati ascritti ai ricorrenti a partire dal più risalente (11 febbraio 2009) ascritto al N..

30. Segue alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti nell'interesse di N.A., B.S., Br.Pa., Ca.Mi., Ci.Se.Ma.Gi., Co.Gi., C.P., D.B.S., L.P.F., L.G., Lo.An., M.G., Mu.Ma., N.S., P.G., Pr.Ro., S.S., Sc.Fr., V.A.M. e V.G.M. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in presenza di colpa, al pagamento di una somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende.

PQM
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di F.A., Pa.Gi., So.Gi. e So.Ro. perchè i reati loro rispettivamente ascritti sono estinti per prescrizione. Dichiara inammissibili i ricorsi dei rimanenti imputati che condanna al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2018

Corruzione: non rileva il solo fatto che l'attività del pubblico ufficiale presenti margini più o meno ampi di discrezionalità

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