Dibattimento: sulla legittima acquisizione al fascicolo dibattimentale delle dichiarazioni rese da persona divenuta irreperibile
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Cassazione penale sez. II, 27/02/2024, (ud. 27/02/2024, dep. 11/03/2024), n.10209

La legittima acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni rese in fase investigativa da persona successivamente divenuta irreperibile richiede:
a) l'accertamento rigoroso della irreperibilità, attraverso l'effettuazione di ricerche da effettuare sia sul territorio nazionale, che sul territorio estero, attraverso il ricorso a tutti gli strumenti di ricerca disponibili;
b) la verifica della "ragione dell'allontanamento", funzionale alla doverosa esclusione della riconducibilità dello stesso alla volontà di sottrarsi al contraddittorio;
c) la valutazione della imprevedibilità dell'irreperibilità nella fase investigativa, dato che la eventuale prevedibilità impone l'attivazione del contraddittorio incidentale; d) la verifica che le dichiarazioni siano state raccolte con il rispetto di "adeguate garanzie procedurali", o in alternativa, la verifica dell'esistenza di elementi di conferma esterna ai contenuti accusatori.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 aprile 2023 la Corte di appello di Roma, per quanto qui rileva, confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Roma, ad esito del giudizio ordinario, aveva condannato Ba.Di. alla pena di quattro anni, sei mesi di reclusione e 1.200 euro di multa per il reato di rapina, con l'aggravante di avere posto la persona offesa in stato d'incapacità di volere e di agire.

Secondo la tesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l'imputato aveva concordato una prestazione sessuale con una donna, dedita alla prostituzione, l'aveva condotta presso la propria abitazione e le aveva fatto bere una sostanza narcotizzante, impossessandosi poi del suo denaro.

2. Ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza di appello in ragione dei seguenti motivi.

2.1. Violazione della legge processuale, in relazione agli artt. 420-ter e 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., e mancanza della motivazione in ordine al rigetto della richiesta difensiva di rinvio dell'udienza del 13 gennaio 2022, nel dibattimento di primo grado, per legittimo impedimento dell'imputato, che a tale udienza avrebbe dovuto rendere l'esame.

Con motivazione apparente e apodittica la Corte di appello ha valutato in modo arbitrario e illogico la natura della infermità attestata da un certificato medico e il carattere della patologia che impedì all'imputato di partecipare all'udienza.

2.2. Violazione della legge processuale (art. 512 cod. proc. pen.) in ordine all'acquisizione del verbale di s.i.t. rese dalla persona offesa il 5 aprile 2014 e vizio della motivazione relativa alla ritenuta sussistenza di elementi di riscontro delle sue dichiarazioni, che costituiscono l'essenziale fonte di prova a sostegno della ipotesi accusatoria.

L'allontanamento della persona offesa era del tutto prevedibile, cosicché il Pubblico ministero avrebbe dovuto chiedere l'incidente probatorio; in ogni caso sono mancate nel caso di specie solide garanzie procedurali idonee a bilanciare l'assenza di contraddittorio.

La responsabilità del ricorrente è stata affermata con argomentazioni lacunose, contraddittorie e illogiche, considerato che: l'immobile ove si sarebbe verificato il fatto non è mai stato individuato; la persona offesa assunse volontariamente la sostanza, dovendosi così escludere la sussistenza dell'aggravante; il denaro e l'assegno potrebbero essere stati smarriti dalla donna ovvero sottratti da terzi; gli orari dalla stessa indicati sono incompatibili con la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito; i servizi effettuati dalla polizia giudiziaria a distanza di mesi dal fatto hanno solo provato che l'imputato era solito frequentare prostitute.

2.3. Violazione della legge penale in relazione all'art. 62-bis cod. pen.: la concessione delle attenuanti generiche avrebbe potuto mitigare un trattamento sanzionatorio sproporzionato e afflittivo, stante l'esclusione di uno spessore criminologico dell'imputato in ragione della quale non è stata applicata la contestata recidiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato ricorso perché proposto con motivi generici, non consentiti e in parte infondati.

2. Va premesso che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di uria critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Ninivaggi, Rv. 256133).

3. In ordine al motivo in rito, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'assoluto impedimento a comparire dell'imputato o del difensore, conseguente a una patologia, deve risolversi in una situazione tale da precludere all'interessato di partecipare all'udienza se non a prezzo di un grave rischio per la propria salute, potendo fare il giucice ricorso, per la valutazione di tali requisiti, anche a nozioni di comune esperienza, indipendentemente da una verifica medico-fiscale (Sez. 5, n. 15407 del 24/02/2020, Stretti, Rv. 279088; Sez. 3, n. 48270 del 07/06/2018, P., 274699; Sez. 5, n. 3558 del 19/11/2014, dep. 2015, Margherita, Rv. 262846; Sez. 4, n. 7979 del 28/01/2014, Basile, Rv. 259287; Sez. 6, n. 4284 del 10/01/2013, G., Rv. 254896; da ultimo v. Sez. 4, n. 7207 del 23/01/2024, Benazzi, non mass.).

Nel caso di specie, il Tribunale ha osservato che da certificato medico prodotto dalla difesa risultava solo che l'imputato, visitato in data 11 gennaio 2022, aveva dal giorno precedente una sindrome influenzale, con prognosi sino al 14 gennaio 2022, senza alcuna ulteriore precisazione dalla quale si potesse evincere "l'assolutezza dell'impedimento e non già una generica difficoltà a comparire".

Anche la Corte di appello ha confermato che il certificato era privo di indicazioni specifiche dimostrative di un quadro patologico di gravità tale da impedire all'imputato di partecipare all'udienza.

La conforme valutazione dei giudici di merito, alla luce del tenore del certificato medico, risulta incensurabile, avuto riguardo al principio sopra ricordato.

4. È nel complesso infondato il secondo motivo in punto di responsabilità.

In primo luogo, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, ai fini della lettura di dichiarazioni predibattimentali ai sensi dell'art. 512 del codice di rito, l'imprevedibilità della impossibilità di ripetizione dell'atto va valutata con criterio ex ante, avuto riguardo non a mere possibilità o evenienze astratte ed ipotetiche, ma sulla base di conoscenze concrete, di cui la parte interessata poteva disporre fino alla scadenza del termine entro il quale avrebbe potuto chiedere l'incidente probatorio.

Inoltre, la sopravvenuta impossibilità, per fatti o circostanze imprevedibili, della ripetizione di atti assunti dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari deve essere liberamente apprezzata dal giudice di merito, la cui valutazione, se adeguatamente e logicamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1, n. 3135 del 14/12/2021, dep. 2022, Shishlov, Rv. 282492; Sez. 5, n. 4945 del 20/01/2021, T., Rv. 280669; Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, D., Rv. 278195; Sez. 6, n. 21312 del 05/04/2018, Singh, Rv. 273465; Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014, lussi, Rv. 261427).

In situazioni analoghe a quella di cui si tratta si è affermato che, ai fini della legittimità della lettura in dibattimento di dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari alla polizia giudiziaria, non sono elementi sufficienti a ritenere prevedibile che la testimone si renda irreperibile la sua condizione di straniera e l'esercizio della prostituzione (Sez. 3, n. 25327 del 19/02/2019, S., Rv. 276040; Sez. 3, n. 12038 del 24/02/2015, C, Rv. 262983; Sez. 1, n. 46221 del 12/11/2008, T., Rv. 242052; Sez. 3, n. 33785 del 08/06/2007, D.L.S., Rv. 237633).

La sentenza impugnata (pag. 8) ha fatto corretta applicazione di detti princìpi, evidenziando la imprevedibilità dell'allontanamento dal territorio nazionale della persona offesa, che all'epoca dei fatti (4 aprile 2014) conviveva con il fratello e risiedeva stabilmente in Italia, ove rimase sino a tutto l'anno 2017, essendo stata controllata più volte dalle forze dell'ordine.

5. Si è detto che la difesa ha lamentato anche la mancanza di solide garanzie procedurali idonee a bilanciare la impossibilità di assumere in contraddittorio l'essenziale fonte di prova a sostegno dell'ipotesi accusatoria.

5.1. Sul rapporto tra condanna emessa sulla base delle prove dichiarative formatesi al di fuori del contraddittorio e diritto fondamentale dell'imputato di esaminare i testimoni a carico, previsto dall'art. 6 par. 3 lett. d) della CEDU, sono rilevanti le note decisioni del 15 dicembre 2011 e del 15 dicembre 2015, adottate dalla Grande Camera della Corte europea nei casi Al. e @3.Ta.@ c. Regno Unito e Sc. c. Germania, con le quali si è affermato che il criterio della prova unica o decisiva (sole or decisive rule), invocato dal ricorrente, deve trovare una modalità di applicazione flessibile, conformemente allo spirito sotteso all'articolo 6, che tradizionalmente richiede un vaglio dell'equità del procedimento complessivamente inteso, volto a bilanciare i concorrenti interessi di tutti i soggetti coinvolti, ovvero della difesa, delle vittime e dei testimoni, nonché l'interesse pubblico all'effettiva amministrazione della giustizia.

Il principio è stato oggetto di specificazioni nella giurisprudenza successiva della stessa Corte, che ha evocato il cosiddetto "Al. test", secondo il quale i giudici nazionali sono chiamati ad affrontare tre questioni: a) se esistesse una buona ragione per la mancata partecipazione del testimone e per l'ammissione come prova delle dichiarazioni del teste assente; b) se la prova del testimone assente fosse l'unica o decisiva per la condanna; c) se vi fossero sufficienti fattori di bilanciamento, comprese forti garanzie procedurali, idonei a compensare gli svantaggi causati alla difesa dall'ammissione della prova non verificata, così da garantire l'equità del processo.

Già a seguito della prima pronuncia della Grande Camera, la Corte di cassazione ha affermato che l'applicazione della regola basata sulla "prova sola o determinante" "è stata resa dalla Corte EDU maggiormente flessibile attraverso l'introduzione di un nuovo criterio direttivo, rappresentato dalla contestuale valutazione di tutti quei contrappesi che possono aver bilanciato, sotto il profilo della complessiva equità del procedimento, l'oggettiva restrizione subita dalla difesa a causa dell'utilizzazione di una prova determinante sottratta alla garanzia del contraddittorio" (Sez. 6, n. 2296 del 13/11/2013, dep. 2014, Frangiamore, Rv. 257771).

La giurisprudenza successiva, superato il principio enunciato dalle Sezioni Unite prima della sentenza Al., secondo il quale le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio non possono fondare in modo esclusivo o significativo l'affermazione della responsabilità penale (Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D.F., Rv. 250199), ha precisato il tipo di valutazione che il giudice di merito è chiamato a compiere per individuare la presenza o meno di "adeguate garanzie procedurali" che abbiano compensato e giustificato il sacrificio della mancata assunzione della prove in contraddittorio, vale a dire del "metodo epistemologicamente più appagante, quello orale ed immediato, che caratterizza la formazione della prova nel modello accusatorio" (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785, in motivazione).

Si è affermato, dunque, che "la legittima acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni rese in fase investigativa da persona successivamente divenuta irreperibile richiede: a) l'accertamento rigoroso della irreperibilità, attraverso l'effettuazione di ricerche da effettuare sia sul territorio nazionale, che sul territorio estero, attraverso il ricorso a tutti gli strumenti di ricerca disponibili; b) la verifica della "ragione dell'allontanamento", funzionale alla doverosa esclusione della riconducibilità dello stesso alla volontà di sottrarsi al contraddittorio; c) la valutazione della imprevedibilità dell'irreperibilità nella fase investigativa, dato che la eventuale prevedibilità impone l'attivazione del contraddittorio incidentale; d) la verifica che le dichiarazioni siano state raccolte con il rispetto di "adeguate garanzie procedurali", o in alternativa, la verifica dell'esistenza di elementi di conferma esterna ai contenuti accusatori" (così Sez. 2, n. 19864 del 17/04/2019, Mellone, Rv. 276531; in senso conforme v. Sez. 2, n. 15492 del 05/02/2020, C., Rv. 279148; Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, C., Rv. 278195; Sez. 6, n. 43899 del 28/06/2018, Tropeano, Rv. 274278).

Il tema della condanna emessa sulla base di una prova dichiarativa formatasi al di fuori del contraddittorio ha una chiara affinità con quello della riforma in appello della sentenza assolutoria fondata su una diversa valutazione di una prova dichiarativa decisiva la cui rinnovazione, imposta dall'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., sia divenuta impossibile.

Di recente le Sezioni Unite hanno statuito che la riforma, in grado di appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante, ma la relativa decisione deve presentare una motivazione rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, acquisibili dal giudice anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., ivi compresa la possibilità di lettura delle dichiarazioni predibattimentali già rese dal suddetto deceduto (Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, D., Rv. 282808).

Nell'affermazione di tale principio le Sezioni Unite hanno espressamente richiamato le più recenti pronunce sul tema di cui qui tratta, rimarcando la "formidabile convergenza della giurisprudenza nazionale con quella europea" e condividendo l'evoluzione della giurisprudenza di legittimità registratasi dopo le due sentenze adottate dalla Grande Camera della CEDU.

5.2. Nel caso di specie la Corte di appello ha dato atto della sopravvenuta imprevedibile irreperibilità della persona offesa, non sottrattasi volontariamente all'esame in contraddittorio, e ha ben evidenziato, condividendo anche le valutazioni del primo giudice, gli "elementi di conferma esterna ai contenuti accusatori" presenti nelle s.i.t. rese dalla persona offesa a poche ore di distanza dal fatto, acquisite ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen. (pagg. 4, 8-10).

Con riferimento alla individuazione dell'imputato quale il soggetto che fece salire in auto la donna e la portò in un appartamento, i giudici di merito hanno indicato plurimi elementi a conforto del riconoscimento fotografico ad esito del quale la persona offesa riconobbe con certezza Ba.Di.: la telefonata riscontrata sul cellulare dell'imputato, effettuata da quello della vittima alle ore 3:51; la corrispondenza fra la sua precisa descrizione dell'autovettura e quella risultata in uso a Ba.Di., intestata alla madre; l'accertata frequentazione di prostitute da parte del ricorrente, gravato di specifici precedenti di polizia, a distanza dì uno o due mesi dall'episodio di cui si tratta (Ba.Di. fu in una occasione arrestato e nell'altra denunciato per fatti del tutto analoghi - pag. 3); l'attività di agente immobiliare che gli consentiva di avere diversi appartamenti liberi, quali quello ove si svolse l'episodio in questione.

In ordine, invece, alla conferma delle dichiarazioni della persona offesa circa la sottrazione, da parte dell'imputato, di un assegno e ci denaro in contante della donna, narcotizzata a seguito dell'assunzione di sostanza sciolta in un bicchiere di vino, la sentenza impugnata ha logicamente enfatizzato "un fatto, invero, documentato e incontestabile", vale a dire che, "in occasione del primo intervento del personale dell'Arma, costei si aggirasse negli spazi di un condominio della Capitale, seminuda e in evidente stato confusionale, indotto dall'assunzione delle sostanze psicotrope ad effetto sedativo - in particolare, benzodiazepine -, attestata dalle analisi di laboratorio" (pag. 8), stato riscontrato anche dal medico dell'ospedale che, ancora alle ore 13:00, descriveva la "paziente in stato soporoso", tant'è che la donna fu in grado di rispondere alle domande degli inquirenti solo dopo altre due ore.

Le modalità con le quali la vittima venne ascoltata dai Carabinieri, le sue condizioni e la verbalizzazione sintetica sono state ritenute all'origine dell'apparente incongruenza degli orari, spiegata in modo puntuale nelle pronunce del Tribunale (pag. 11) e della Corte d'appello (pag. 10), che hanno ricostruito il fatto con incensurabile motivazione: fra la donna e Ba.Di. vi fu un primo contatto sulla strada prima di mezzanotte e poi i due, accordatisi dopo la telefonata delle ore 3:51, si recarono nell'appartamento, la cui mancata precisa individuazione è stata logicamente valutata nella sentenza impugnata quale circostanza che non inficia la credibilità del racconto (a causa dell'orario notturno e dello stordimento, la donna "si mostrò in grado di descrivere solo l'interno dell'appartamento e non anche l'area esterna" - pag. 9).

6. Sono prive di fondamento anche le altre censure relative all'affermazione di responsabilità, con le quali, peraltro, il vizio della motivazione è stato denunciato cumulativamente, in contrasto con il principio ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale "la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità" (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, non mass, sul punto).

Il ricorrente ha nuovamente dedotto che non sarebbe sussistente l'aggravante ex art. 628, secondo comma, n. 2, cod. peri., perché la donna scelse volontariamente di bere il vino con le due pastiglie, ma la Corte di appello ha osservato, con un rilievo ineccepibile, che la donna riferì "di essersi persuasa a sorbire il vino contenente le due pastiglie a seguito delle persuasive e garbate insistenze del cliente Ba.Di., a detta del quale esse servivano a 'stare meglio' insieme e non certo a provocare sedazione e torpore" (pag. 9).

La vittima, dunque, accettò sì di assumere le pastiglie, ma ovviamente ignorando che si trattasse di benzodiazepine; è priva di ogni fondamento, dunque, la deduzione difensiva secondo la quale, "nel momento in cui la persona offesa accetta di assumere la sostanza, è palese che non può ritenersi che l'agente abbia nei suoi confronti consapevolmente usato violenza finalizzata a porla in stato di incapacità di volere e di agire, per impossessarsi poi dei suoi beni" (pag. 6).

Va ribadito che l'accertata induzione nel soggetto passivo dello stato di incapacità di volere o di agire al fine di sottrargli cose mobili costituisce circostanza aggravante della rapina che, in tal caso, è da ritenersi reato complesso costituito dalla fusione del reato di furto con quello di procurata incapacità ex art. 613 cod. pen. (Sez. 2, n. 41005 del 18/05/2018, B., Rv. 274236, proprio in una fattispecie relativa alla somministrazione di una sostanza che aveva procurato alla vittima la perdita di conoscenza; in precedenza, nello stesso senso, v. Sez. 2, n. 50155 del 16/11/2004, Minicucci, Rv. 230601).

La difesa, poi, in relazione agli "importi asseritali ente detenuti (ed asseritamente asportati)", ha sostenuto in ricorso che "la donna potrebbe averli anche smarriti ovvero, anche in considerazione dello stato di confusione mentale in cui si trovava, potrebbero essergli stati sottratti da terzi, allorquando ebbe a lasciare l'appartamento dove, come riferito, si accompagnò con l'imputato" (pag. 6): si tratta di ipotesi alternative prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana, come tali prive di ogni rilievo (in proposito v. Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647; Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605; Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Segreto, Rv. 275299; Sez. 4, n. 48541 del 19/06/2018, Castelli, Rv. 274358; Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299).

7. È generica e manifestamente infondata la censura in ordine al diniego delle attenuanti generiche.

La sentenza impugnata ha correttamente escluso una incompatibilità logica fra il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e l'esclusione della recidiva. Questa Corte ha già affermato che l'esistenza di precedenti penali specifici può rilevare ai fini del diniego delle suddette attenuanti e dei benefici di legge anche quando il giudice, sulla base di una valutazione complessiva del fatto oggetto del giudizio e della personalità dell'imputato, esclude che la reiterazione delle condotte denoti la presenza di uno spessore criminologico tale da giustificare l'applicazione della recidiva (Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444; Sez. 6, n. 38780 del 17/06/2014, Morabito, Rv. 260460).

La Corte territoriale ha poi evidenziato la mancanza di "fattori di particolare e specifica meritevolezza" (pag. 11) che neppure con il ricorso la difesa è stata in grado di indicare.

Va in proposito ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610).

8. Al rigetto dell'impugnazione proposta segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 27 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2024.

Dibattimento: sulla legittima acquisizione al fascicolo dibattimentale delle dichiarazioni rese da persona divenuta irreperibile

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