Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti:
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Cassazione penale sez. fer., 08/08/2023, n.34824

In tema di reati tributari, in caso di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti relative al medesimo periodo di imposta, si configura un unico reato, che si consuma alla data dell'ultima fattura, pure se l'emissione sia avvenuta nella veste di legale rappresentante di società diverse, dovendosi fare riferimento, ai fini dell'unificazione in un medesimo reato dell'emissione di più fatture, non tanto all'identità del responsabile-persona fisica, quanto a quella del soggetto-contribuente cui l'emissione è imputabile.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4.07.2022, la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Monza del 7.10.2019, appellata, per quanto qui di interesse, da T.C.D. e S.B.F., proscioglieva quest'ultimo dai reati di cui ai capi b) e d), limitatamente alle residue condotte poste in essere nel 2011 in quanto i reati estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando per l'effetto la pena in 3 anni e 4 mesi di reclusione nei suoi confronti, confermando nel resto l'appellata sentenza che aveva riconosciuto colpevole, lo S., del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, quale titolare delle ditte individuali meglio indicate nell'imputazione sub b), limitatamente alle fatture emesse nell'anno 2012 per Euro 1.910.911,57 nonché, per il medesimo reato, commesso quale amministratore di fatto della ditta individuale MV PALLETS di M.V., limitatamente alle fatture per operazioni inesistenti emesse per l'anno 2012 per Euro 782.089,19 (capo d). Quanto al T., il medesimo è stato riconosciuto colpevole dei reati ascritti al capo Q) della rubrica, limitatamente alle condotte successive al (Omissis) (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti), nella qualità di legale rappresentante firmatario delle dichiarazioni dei redditi della ditta individuale omonima, indicando nelle dichiarazioni, per quanto qui di interesse, relative ai periodi di imposta 2011 e 2013 elementi passivi fittizi, reati unificati sotto il vincolo della continuazione, e condannato alla pena di 1 anno e 2 mesi di reclusione.

2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, entrambi propongono separati ricorsi per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo complessivamente sei motivi, di seguito sommariamente indicati.

3. Deduce il ricorrente S.B.F. due motivi.

3.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge con riferimento alla declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nel non dichiarare estinte tutte le condotte contestate all'imputato. I giudici di appello, in particolare, avrebbero dichiarato estinte per prescrizione le condotte poste in essere solo fino al (Omissis), sul presupposto che si tratti di reato istantaneo e che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ove si abbiano plurimi episodi nel medesimo periodo di imposta, il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, si consuma nel momento di emissione dell'ultima di esse, donde per tale ragione sarebbero stati scorporati gli aumenti per la continuazione solo relativamente alle condotte contestate dal settembre al dicembre 2011, escludendo tutte le condotte relative al 2012. Si tratterebbe, tuttavia, di una motivazione censurabile, in quanto, nel caso di specie, diversi sono i soggetti fiscali che hanno emesso le fatture riferite soggettivamente al ricorrente, ossia due ditte individuali con partite IVA direttamente riconducibili a quest'ultimo ed una formalmente intestata tale M.. I giudici avrebbero errato dunque nel considerare l'emissione dei documenti fiscali come provenienti da un unico emittente, ragionamento non condivisibile in quanto gli episodi di emissione per ciascuna partita IVA sono sporadici, non potendo parlarsi di plurime emissioni con conseguente estinzione delle condotte quantomeno sino al luglio 2022, data della sentenza d'appello, riconducendo la consumazione del reato al momento dell'emissione della fattura. Laddove, invece, si volesse ritenere corretto il ragionamento seguito dalla Corte d'appello, errato dovrebbe però considerarsi l'aumento inflitto a titolo di continuazione, con riferimento ai 4 mesi di reclusione circa le fatture emesse dalla partita IVA intestata al Manzini ma asseritamente riconducibile allo S.. Ed infatti, il principio affermato dalla Cassazione, dianzi richiamato, comporta una deroga ai principi ordinari previsti dall'art. 81 cpv, c.p., stabilendo un regime di favore per l'imputato mediante la riconduzione ad unità dei plurimi episodi di emissione di fatture per operazioni inesistenti commessi nell'arco del medesimo periodo di imposta, con conseguente esclusione dell'aumento di pena inflitto a titolo di continuazione.

3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

In sintesi, si duole la difesa per avere i giudici di appello completamente omesso di valutare le argomentazioni svolte nell'atto di appello, limitandosi a richiamare quanto affermato dai primi giudici, senza considerare quanto era stato argomentato in sede di impugnazione circa gli elementi che confortavano la tesi dell'estraneità dell'imputato ai fatti di causa, in particolare eccependo il travisamento della prova dichiarativa espletata in primo grado. Segnatamente, in sede di ricorso si lamenta la difesa per l'omesso esame della censura relativa al travisamento della prova testimoniale (testi M., D. e M.) che avrebbe trovato riscontro nella deposizione del teste F., questione si cui i giudici di appello non avrebbero preso posizione, limitandosi a richiamare la sentenza di primo grado ritenendola esaustiva. Nel ricorso, a tal proposito, si riprende uno stralcio della motivazione d'appello tacciandola di apparenza, e richiamando giurisprudenza di questa Corte a sostegno della tesi della nullità della motivazione per re-lationem operata dai giudici territoriali.

4. Deduce il ricorrente T.C.D. quattro motivi.

4.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all' artt. 178, lett. c) e art. 486, c.p.p., per l'omesso accoglimento del legittimo impedimento per malattia dell'imputato.

In sintesi, si duole il ricorrente per non aver i giudici di appello accolto l'eccezione di nullità derivante dal mancato accoglimento dell'istanza di legittimo ed assoluto impedimento a comparire dell'imputato all'ud. 25.02.2019 svoltasi davanti al primo giudice, nel corso della quale era stata prodotta certificazione sanitaria rilasciata dall'ospedale (Omissis) attestante le critiche condizioni di salute del ricorrente a causa di un recente ricovero a seguito di incidente stradale, a causa del quale aveva subito gravissime lesioni. Dalla relazione all'epoca prodotta emergeva che il ricorrente, pur in discreto compenso respiratorio, versava in condizioni ancora critiche a causa delle fratture costali multiple, di aree enfisematose in sede basale, di area epatica in sede di lacerazione con abbondante sanguinamento. Il primo giudice avrebbe respinto l'istanza senza alcun accertamento, osservando che proprio la sola possibilità di respirare senza ossigeno gli avrebbe consentito di partecipare al processo e quindi di sottoporsi all'esame dibattimentale; diritto di difendersi non espletato in quanto l'imputato, all'epoca dei fatti era allettato a casa ed in via di ripresa, ma non aveva potuto partecipare al processo esponendo i fatti e le ragioni difensive. Analogamente i giudici territoriali avrebbero rigettato l'eccezione di nullità con decisione censurabile in quanto, pur rilevando le gravi lesioni subite dal paziente, avevano giustificato come non assoluto l'impedimento a comparire per via dell'accertato discreto compenso respiratorio, dato clinico, quest'ultimo, che pur esprimendo un miglioramento delle condizioni di salute, non poteva consentire al giudice, in assenza di un accertamento medico, se effettivamente l'imputato potesse presenziare al processo. Per tale ragione, il giudizio della Corte d'appello, che, travisando il dato probatorio, aveva ritenuto che la ritrovata autonomia del respiro attestasse un miglioramento delle condizioni di salute, in termini utili a consentire la sua partecipazione al processo, meritava censura in quanto non suffragata da alcun elemento oggettivo di supporto per stabilire se le condizioni di salute giustificassero o meno un impedimento assoluto o relativo a comparire. Richiamata la giurisprudenza di questa Corte, pertanto, la difesa eccepisce che i giudici sarebbero pervenuti irragionevolmente ad un giudizio negativo circa l'assoluta impossibilità a comparire al processo in mancanza di adeguate valutazioni di tipo scientifico rispetto all'oggettività del referto medico, da cui appariva chiara ed indiscutibile la rilevanza del quadro clinico e patologico dell'imputato.

4.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all' art. 192, commi 1 e 2, artt. 533 e 546 c.p.p., ed in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, e correlato vizio motivazionale.

In sintesi, la difesa del ricorrente si duole per l'illogicità della sentenza sotto il profilo dell'inesistenza ed apparenza della motivazione, nella parte in cui attribuisce efficacia alle emergenze istruttorie utilizzate a fondamento del giudizio di colpevolezza per gli altri imputati, al contempo omettendo ogni valutazione nello specifico a richiamo delle fatture emesse dall'imputato per operazioni commerciali di modestissimo valore ed effettivamente svolte. Premesso che il ricorrente è stato condannato per aver indicato nelle dichiarazioni fiscali relative all'anno 2011 una fattura di 1000 Euro IVA esclusa e in quella relativa all'anno 2012 una fattura di 1400 Euro IVA esclusa, pervenute ed emesse dalla ditta individuale di S.B. per la causale di trasporto di legname, si duole la difesa del ricorrente per non aver la sentenza speso alcun passaggio motivazionale in riferimento all'inesistenza delle operazioni commerciali giustificative l'emissione al ricorrente beneficiario, dando atto solo del modus operandi dello S. con riguardo agli altri destinatari delle fatture, senza soffermarsi sulla posizione del ricorrente, nei cui confronti, anche per la modestia dell'importo pari a 504 Euro di IVA, non erano emersi riscontri oggettivi a sostegno della sua responsabilità. La ricostruzione operata dai giudici di merito sarebbe potuta valere per la posizione dello S., ma non per l'attuale ricorrente, tanto che il primo giudice aveva affrontato la posizione del T. solo per il trattamento sanzionatorio. I giudici di appello avrebbero tentato di porre rimedio, ma incorrendo in un palese vizio motivazionale, limitandosi ad indicare, come già il primo giudice, gli indici di sospetto che avevano caratterizzato le condotte dello S. e le fatture da lui emesse in favore degli altri coimputati, che tuttavia mai avrebbero potuto essere presi in considerazione nei confronti del ricorrente T. in considerazione dei modestissimi importi delle fatture in questione. A fronte dell'assenza di riscontri probatori a carico del T. sarebbe quindi viziata la motivazione della sentenza per aver operato il sillogismo secondo cui, come già per gli altri imputati, anche le fatture utilizzate in dichiarazione dal T. per tali esigui importi dovrebbero essere considerate come riferite ad operazioni inesistenti. Non rileverebbe, peraltro, la circostanza per cui lo S. avesse in uso diverse partite IVA per le differenti ragioni sociali delle sue aziende, non essendovi prova che il T. ne fosse a conoscenza, come del fatto che lo S. aveva utilizzato un numero di partita IVA relativa a una delle aziende nel frattempo cessata. Dunque, per i giudici territoriali, il fatto che tutte le fatture emesse dallo S. erano oggettivamente inesistenti, di conseguenza anche quella emesse in favore del T. sarebbero inesistenti, senza tuttavia che a carico di quest'ultimo sia stata acquisita alcuna emergenza istruttoria a carico. L'istruttoria non ha dimostrato che il T. fosse a conoscenza della struttura aziendale dello S., delle modalità con cui quest'ultimo organizzasse il proprio c/c, della comunanza dei clienti, della mancanza di dipendenti o delle insolvenze rispetto agli obblighi fiscali. Si era trattato nella specie di ordini telefonici per semplici trasporti di legna di scarso volume e di modestissimo importo, trasporti la cui non esecuzione non è stata dimostrata dall'istruttoria, peraltro eseguiti da un fornitore non abituale. Sarebbe stato quindi necessario operare una differenziazione con le posizioni di altri coimputati, non foss'altro che per i rilevantissimi importi delle fatture, cui si associava un'ipotetica prospettiva di ricostruzione e retrocessione della somma di denaro dall'emittente al beneficiario.

4.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all' art. 546 c.p.p. e art. 62 c.p., n. 4, e correlato vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui riconosce astrattamente l'attenuante in esame salvo poi escluderla.

In sintesi, si duole la difesa del ricorrente per avere i giudici di merito astrattamente ritenuto applicabile l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, sul presupposto che l'IVA non dovuta per le due fatture in esame ammontava a poco più di 500 Euro, osservando però che il danno pur lievissimo, cioè di consistenza economica minima, non potesse qualificarsi di speciale tenuità. Si tratterebbe di motivazione censurabile in quanto, oggettivamente, il danno rivestiva le caratteristiche richieste per il riconoscimento dell'attenuante in esame, atteso che il lucro, rispetto all'Erario, era irrisorio e di speciale tenuità in considerazione non solo dell'importo ma anche della inesistente incidenza delittuosa che la condotta integrante poteva aver avuto. Richiamata sul punto la giurisprudenza di questa Corte, dunque, conclude il ricorrente per l'annullamento della sentenza nella parte in cui non aveva riconosciuta la predetta attenuante.

4.4. Deduce, con il quarto ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 157 e 159 c.p..

In sintesi, la difesa del ricorrente si duole per non aver i giudici territoriali dichiarato la prescrizione per l'annualità contabile 2011. Richiamata la normativa applicabile in materia, sostiene il ricorrente che nel caso in esame non troverebbe applicazione quanto introdotto dalla novella di cui alla L. n. 103 del 2017, sicché, essendo il dispositivo della sentenza stato emesso in data 4.07.2022, e la motivazione depositata in data (Omissis), il reato in esame, sarebbe estinto per prescrizione limitatamente alla dichiarazione fiscale presentata al (Omissis) già prima della sentenza d'appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del T. ed il secondo motivo del ricorso dello S. sono inammissibili, mentre quello dello S., limitatamente al primo motivo, non è manifestamente infondato, con conseguente annullamento parziale della sentenza per essere il reato sub d) estinto per intervenuta prescrizione.

2. Il primo motivo del ricorrente T. è generico e manifestamente infondato.

2.1. E' anzitutto generico per aspecificità, non confrontandosi con la puntuale motivazione dei giudici di merito sul punto, i quali hanno ineccepibilmente chiarito le ragioni per le quali non sussistevano le condizioni per ritenere sussistente il legittimo ed assoluto impedimento a comparire dell'imputato all'emarginata udienza.

In particolare, la Corte territoriale argomenta sul punto alla pag. 68 della sentenza d'appello osservando come il primo giudice aveva rigettato la richiesta di riconoscimento del carattere assoluto dell'impedimento dedotto dal difensore dell'imputato avendo evidenziato come il predetto si trovasse in quel momento in condizione di "discreto compenso respiratorio", dopo essere stato dimesso. Dagli atti acquisiti e, segnatamente, dalla relazione clinica in data (Omissis) del Dipartimento di Chirurgia generale e Specialistica dell'Ospedale (Omissis) risulta che nella medesima data - ossia oltre due mesi prima dell'udienza del 25.02.2019 - l'imputato veniva dimesso dopo essere stato ricoverato per "poli-trauma da schiacciamento" con "fratture costali multiple a destra, pneumotorace destro (drenato)", "trauma epatico" ed "avvallamento limitanti somatiche D4". Si legge, inoltre, come il successivo certificato rilasciato in data (Omissis), ossia tredici giorni prima dell'udienza in esame, dall'Ambulatorio di Chirurgia Toracico Polmonare del medesimo nosocomio attestava che il paziente si trovava "in discreto compenso respiratorio" e che la TC di controllo aveva evidenziato "il consolidamento delle fratture costali multiple di destra e la risoluzione del pneumotorace a destra"; ormai "ridotta di dimensioni" era, altresì, "l'area ipodensa epatica".

2.2. A fronte di siffatte risultanze, i giudici di appello hanno ritenuto ineccepibile la valutazione del Tribunale, non sussistendo alcun elemento atto a corroborare la sussistenza di un legittimo impedimento di carattere assoluto a comparire in udienza ed a parteciparvi attivamente, non emergendo in alcun modo la sussistenza di alcun grave e non evitabile rischio per la propria salute in caso di partecipazione alla predetta udienza, ma anzi, il positivo accertamento del sensibile miglioramento delle condizioni di salute dell'imputato, in termini utili a consentire la partecipazione al processo.

Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del difensore si appalesano del tutto prive di pregio, risolvendosi nella mera riproposizione, senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, dell'identica doglianza già sviluppata in sede di appello, di cui i giudici territoriali hanno fornito adeguata confutazione.

2.3. Il motivo si presenta pertanto inammissibile in quanto aspecifico, atteso che, per costante giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità (tra le tante: Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997 - dep. 13/01/1998, Rv. 210157 - 01).

2.4. Il motivo si appalesa, inoltre, manifestamente infondato, atteso che, come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di impedimento a comparire dell'imputato, il giudice, nel disattendere un certificato medico ai fini della dichiarazione di contumacia, deve attenersi alla natura dell'infermità e valutarne il carattere impeditivo, potendo pervenire ad un giudizio negativo circa l'assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia da cui si afferma colpito l'imputato (Sez. U, n. 36635 del 27/09/2005, Gagliardi, Rv. 231810 - 01).

Nella specie, in particolare, i giudici di merito hanno valutato con estremo rigore sia relazione clinica in data 17.12.2018 che il referto medico redatto due settimane prima dell'udienza su cui era fondata l'istanza di rinvio per impedimento a comparire del ricorrente, valutando in maniera logica le risultanze di detta documentazione sanitaria, la quale attestava che l'imputato si trovava "in discreto compenso respiratorio" e che la TC di controllo aveva evidenziato "il consolidamento delle fratture costali multiple di destra e la risoluzione del pneumotorace a destra"; ormai "ridotta di dimensioni" era, altresì, "l'area ipodensa epatica", osservando in maniera altrettanto logica come da tale quadro non emergesse la sussistenza di alcun grave e non evitabile rischio per la propria salute in caso di partecipazione alla predetta udienza, ma anzi, il positivo accertamento del sensibile miglioramento delle condizioni di salute dell'imputato, in termini utili a consentire la partecipazione al processo.

3. Anche il secondo motivo del ricorrente T. è generico per aspe-cificità e manifestamente infondato, oltre che proposto al di fuori dai casi consentiti dalla legge.

3.1. Anzitutto, in relazione a tale ultimo profilo, va ribadito che in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p., anche se in relazione all' art. 125 e art. 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lett. c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020 - dep. 23/10/2020, Filardo, Rv. 280027 - 04).

3.2. Quanto all'inammissibilità per genericità, si evidenzia poi che i giudici di appello hanno motivato in ordine alla affermazione di responsabilità dell'imputato alle pagg. 68/69 della sentenza impugnata.

Sul punto va ricordato che il T. è stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo Q (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 81 cpv. c.p. e art. 2, comma 1, quale titolare della omonima ditta individuale e firmatario delle dichiarazioni fiscali relative agli anni indicati nell'imputazione, fatta salva la prescrizione delle condotte anteriori al (Omissis), dichiarazioni ritenute fraudolente in quanto contenenti elementi passivi fittizi indicati avvalendosi delle fatture per operazioni inesistenti rilasciate dalla ditta S.B. Trasporti (p. IVA (Omissis)). La sentenza del Tribunale, in particolare, ha evidenziato, con riguardo alle fatture emesse da S. e annotate dalla ditta individuale T., che le stesse avevano ad oggetto la prestazione di servizi di trasporto attraverso una partita IVA associata a ditta individuale avente ad oggetto il commercio all'ingrosso di legnami, oltre all'utilizzo, da parte della società beneficiaria, di fatture emesse da S. tramite partita Iva già cessata. I giudici, opportunamente e per ragioni di sinteticità argomentativa, hanno richiamato a sostegno le emergenze indiziarie - valutate come plurime, significative, convergenti, univoche e dotate di un elevatissimo grado di persuasività inferenziale - restituite dall'istruttoria dibattimentale, come riportate trattando delle posizioni degli altri coimputati, in particolare S., P. e P., emergenze istruttorie da cui discendeva l'accertamento, oltre ogni ragionevole dubbio, della completa inesistenza di tutte le prestazioni indicate nelle fatture emesse dalle ditte di S., ivi comprese quelle annotate dal T.. Parimenti corretta deve ritenersi l'individuazione da parte dei giudici di merito, in capo all'imputato, dell'elemento soggettivo richiesto dalla disposizione incriminatrice, atteso che è emerso come lo S. non disponesse affatto, né direttamente né indirettamente, di mezzi con cui effettuare trasporti per conto dei clienti, così come della benché minima organizzazione aziendale. Altrettanto indicativa, al fine di avvalorare l'esistenza del dolo di evasione, è stata ritenuta la sistematicità dell'utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti da parte dell'imputato, protratta dal 2008 al 2012, al di là dell'estinzione per prescrizione delle condotte anteriori al (Omissis).

3.3. Al cospetto di tale apparato argomentativo che, si noti, si salda con la motivazione della sentenza di primo grado (avendo i giudici del gravame esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operato frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, così concordando nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 01), le doglianze difensive sviluppate in sede di ricorso per cassazione si appale-sano prive di qualsiasi pregio in quanto si sostanziano in censure di merito, risolvendosi nel tentativo di prospettare una ricostruzione alternativa della vicenda, basata su una presunta estraneità ai fatti processuali per il sol fatto che due sarebbero le fatture in questione e che il ricorrente non sarebbe stato al corrente delle vicende riguardanti lo S.. Trattasi di ricostruzione alternativa che, di per sé, non inficia la logica motivazione delle decisioni di merito che sono pervenute a ritenere l'inesistenza oggettiva delle operazioni oggetto delle fatture utilizzate in dichiarazione dal T. in quanto emesse dallo S., che, come emerso dall'istruttoria non aveva né mezzi né strutture per eseguire i fatturati trasporti di legname in favore dell'attuale ricorrente.

3.4. Le doglianze del ricorrente appaiono dunque non solo generiche, ma anche manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e vizio motivazionale con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).

3.5. La prova logica impiegata quindi dai giudici per ritenere che anche le due fatture di cui si discute fossero da qualificarsi, al pari delle altre emesse dallo S., come riferite ad operazioni oggettivamente inesistenti, è quindi ancorata a dati indiziari di assoluta gravità, precisione e concordanza, ben potendosi quindi pervenire ad affermare che, al pari di quanto avvenuto per gli altri utilizzatori delle fatture, anche le due fatture emesse dallo S. ed utilizzate dal T. non si sottraessero al giudizio di inesistenza dell'operazione fatturata, rispetto al quale il ricorrente non può ritenersi estraneo in base alla personale prospettazione difensiva, del tutto disancorata da dati probatori o indiziari, fondata solo sulle proprie labiali affermazioni con cui ha professato la sua estraneità al meccanismo illecito posto in essere dallo S., affermazioni pur astrattamente plausibili ma prive, come detto, di qualsiasi ancoraggio a dati indiziari o probatori dotati di attendibilità. Trova pertanto applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui in tema di prova, il dubbio idoneo ad introdurre un'ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quello "ragionevole", ovvero quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (tra le tante: Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, Rv. 281647 - 04).

4. Il terzo motivo del ricorso T. non si sottrae ai già evidenziato vizi di genericità per aspecificità e manifesta infondatezza, nonché per essere stato proposto fuori dai casi consentiti dalla legge.

4.1. Quanto a tale ultimo profilo, si richiamano le già citate Sezioni Unite "Filardo", ravvisandosi per il presente motivo lo stesso vulnus già rilevato a proposito del precedente motivo.

4.2. Quanto alla genericità per aspecificità, è sufficiente richiamare il passaggio motivazionale della sentenza impugnata sul punto, al fine di evidenziare come il motivo non si confronti minimamente con la motivazione della sentenza ricorsa, che ha già chiarito le ragioni del mancato riconoscimento dell'attenuante de qua. Si legge, infatti, in sentenza (pag. 70) come il motivo, con cui si invoca l'applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, in considerazione dell'esiguità del danno e/o del pericolo cagionato, peraltro valutato dalla difesa in relazione ad un'unica fattura, ritenendo (erroneamente, come evidenziano i giudici di appello) che la fattispecie considerata dal primo giudice come reato satellite fosse anch'essa prescritta, è infondato. I giudici di appello premettono, in via generale, che la circostanza attenuante del lucro e dell'evento di speciale tenuità di cui all'art. 62 c.p., n. 4, è astrattamente applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro (Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, Rv. 279499 -01). Tuttavia, puntualizzano in motivazione, è orientamento consolidato quello secondo il quale, perché sussista la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 citato, occorre che il danno cagionato, espresso in denaro ed oggettivamente valutato, sia lievissimo, cioè di consistenza economica minima, se non proprio trascurabile, rispetto al livello economico medio della generalità dei cittadini. Tali caratteristiche per la Corte territoriale, non possono ravvisarsi nel caso di specie, trattandosi di fatture che, volendo limitare la considerazione ai documenti utilizzati a supporto delle dichiarazioni fraudolente non prescritte, da un lato documentano costi fittizi per le non trascurabili somme di 1.400,00 e 1.000,00 Euro e, dall'altro, un'IVA evasa di 210,00 e 294,00 Euro, certamente di entità ridotta ma non di "speciale" tenuità, ossia, come detto, di consistenza economica minima.

4.3. Anche stavolta si tratta di motivazione incensurabile e del tutto scevra dal denunciato vizio, che rende evidente anche la manifesta infondatezza del motivo, tenendo conto della giurisprudenza di questa Corte. Ed infatti, da un lato, non rileva la circostanza che il debitore sia l'Erario, essendo stato più volte affermato infatti che poiché l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p. prende in considerazione il solo aspetto oggettivo del danno o del lucro, essa può configurarsi anche quando persona offesa dal reato sia lo Stato o altro ente pubblico, sicché il giudice non deve limitarsi a prendere in considerazione l'aspetto soggettivo della vittima ma deve estendere la propria valutazione all'entità del danno con riferimento al valore della cosa (tra le tante: Sez. 2, n. 7104 del 22/05/1998, Rv. 211175 - 01). Sotto tale profilo, quindi, va valutata la "speciale" tenuità che, nella specie, va considerata non solo prendendo in esame l'entità economica del pregiudizio cagionato all'Erario (ossia, come vorrebbe sostenere la difesa, il solo importo dell'IVA evasa pari a poco più di 500 Euro, importo questo, correttamente ritenuto di consistenza economica minima dai giudici di appello), ma anche al pregiudizio complessivo e al disvalore sociale recati con la condotta dell'imputato, in termini effettivi o potenziali (Sez. 3, n. 18013 del 05/02/2019, Rv. 275950 01, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva escluso la sussistenza di detta attenuante in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, integrato dalla cessione di una dose di eroina in cambio del corrispettivo di 20 Euro, ascritta all'imputato trovato in possesso di altri sei panetti della stessa sostanza).

Ed è indubbio che la condotta dell'imputato, che si inseriva in un meccanismo illecito posto in essere dallo S. e di cui il T. aveva beneficiato, non si fosse limitato all'utilizzo in dichiarazione di quelle due sole fatture, ma anche di una serie ulteriori di fatture emesse per operazioni inesistenti a far data dal 2008 con carattere di sistematicità, condotta complessiva che rende ragione quindi dell'esclusione dell'attenuante in esame, non rilevando la circostanza che i fatti antecedenti siano stati dichiarati estinti per prescrizione.

Deve, pertanto, essere affermato il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, in caso di concorso di reati, la dichiarazione di estinzione di uno o più di essi per prescrizione non preclude al giudice la possibilità di esaminare i fatti ritenuti costitutivi del reato prescritto ai fini della valutazione della sussistenza del lucro di speciale tenuità.

5. Infine, anche il quarto ed ultimo motivo del ricorso T. è manifestamente infondato oltre che generico per aspecificità.

5.1. Sotto tale ultimo profilo, infatti, i giudici di appello motivano puntualmente le ragioni per le quali poteva ritenersi applicabile la causa estintiva della prescrizione per i soli fatti antecedente al (Omissis), permanendo la perseguibi-lità per i fatti successivi. Si legge, infatti, in sentenza (pagg. 70/71) che la richiesta, formulata in sede di conclusioni scritte, di dichiarare la prescrizione dei reati residuati dopo la declaratoria di estinzione delle ipotesi commesse sino al (Omissis) deve essere rigettata, atteso che le fattispecie ancora qui in contestazione concernono, come detto, la dichiarazione fraudolenta relativa all'anno di imposta 2011, presentata nel settembre 2012, e la dichiarazione fraudolenta relativa all'anno di imposta 2012, presentata nel settembre 2013, entrambe non prescritte al momento della decisione di appello, atteso che trova applicazione nella specie il regime prescrizionale introdotto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 17 comma 1-bis, entrato in vigore il (Omissis), che ha elevato di un terzo i termini di prescrizione per i reati tributari (tra i quali anche quello di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2), portando a dieci anni il termine massimo considerati gli atti interruttivi, termine decorrente dal giorno successivo alla data di presentazione della dichiarazione fiscale.

5.2. Trattasi di motivazione ineccepibile che rende ragione del mancato accoglimento dell'eccezione difensiva per i fatti successivi al (Omissis), atteso che, avuto riguardo al termine per la presentazione della dichiarazione fiscale relativa al periodo di imposta 2011, presentata in data (Omissis), il reato relativo a tale annualità non poteva dichiararsi estinto per prescrizione, maturando la stessa, in virtù della prescrizione decennale, alla data del (Omissis), laddove quella relativa al periodo di imposta 2012, presentata nel settembre 2013, si prescriverà nel settembre 2023.

Al momento della sentenza d'appello, emessa in data (Omissis), dunque, il reato relativo all'annualità d'imposta 2012 non si era ancora estinto per prescrizione, maturata solo in data (Omissis), allo scadere del decennio. E, come è noto, ai fini del computo della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa (tra le tante: Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593 - 02 che, in applicazione del principio, ha escluso che il reato si fosse prescritto, in quanto il termine relativo era decorso nelle more tra la lettura del dispositivo e il deposito della sentenza).

Ne', si noti, rileva la circostanza che oggi tale reato - non quello relativo all'annualità 2012 per le ragioni citate in precedenza - siasi estinto per prescrizione. E' parimenti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L. n., Rv. 217266 - 01).

6. Passando ad esaminare il ricorso S., invertendo l'ordine dell'esame dei motivi proposti, deve essere esaminato anzitutto il secondo motivo.

7. Inammissibile, anzitutto, deve ritenersi il secondo motivo di ricorso in quanto generico per aspecificità, non confrontandosi adeguatamente con la sentenza della Corte d'appello che, alle pagg. 43 ss. della sentenza impugnata, nel rigettare le omologhe doglianze contenute nell'atto di appello, reiterate senza alcun apprezzabile elemento di novità critica dinanzi a questa Corte - e senza che sia rilevabile l'eccepito travisamento probatorio (che, a pena di inammissibilità, deve non solo indicare le ragioni per cui il dato travisato inficia e compromette la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione ma anche individuare in modo inequivoco e rappresentare in modo specifico gli atti processuali su cui fa leva il motivo, circostanza non ravvisabile nel caso in esame: tra le tante, Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 - dep. 14/03/2012, Rv. 252349 - 01) -, ha chiarito, richiamando per relationem quanto già argomentato dal primo giudice, le ragioni per le quali non poteva considerarsi rilevante né la asserita mancata valorizzazione delle deposizioni delle testi M. e D., né quelle dei testi M., F. e B..

A fronte di tale, legittimo, richiamo, da parte della Corte territoriale, infatti, il ricorrente si limita unicamente a dolersi dell'asserita apparenza motivazionale, richiamando giurisprudenza di questa Corte, senza alcuna specificazione di dettaglio in ordine alle ragioni di tale non consentito richiamo alle motivazioni della prima sentenza né indicando i punti dell'atto di appello asseritamente non valutati dalla sentenza d'appello.

Trattasi di doglianza che si espone al giudizio di inammissibilità, essendo del resto già stato affermato da questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca l'illegittimità della sentenza d'appello solo perché motivata "per relationem" alla decisione di primo grado, senza indicare i punti dell'atto di appello non valutati dalla decisione impugnata. (Sez. 3, n. 37352 del 12/03/2019, Rv. 277161 - 01).

8. Il primo motivo, invece, non può ritenersi manifestamente infondato, ciò comportando l'annullamento parziale della sentenza per essere estinto il reato sub d) per intervenuta prescrizione.

8.1. Orbene, i giudici di appello hanno affrontato la relativa questione alle pagg. 46 e segg. della sentenza impugnata. In particolare, gli stessi hanno rideterminato la pena inflitta all'imputato in considerazione dell'intervenuta maturazione del termine massimo di prescrizione in ordine ai reati di cui ai capi B e

limitatamente alle residue condotte poste in essere nel 2011 (atteso che per il tutto il periodo contestato anteriore al (Omissis) era già stata dichiarata l'estinzione dei reati per prescrizione). Gli stessi hanno, dunque, concretamente detratto dalla sanzione come quantificata dal primo giudice l'aumento di quattro mesi relativo alla continuazione "interna" al capo B per il reato satellite di emissione di fatture per operazioni inesistenti nel periodo 17.9.2011-31.1.2012, nonché l'aumento di altri quattro mesi per la continuazione "esterna" con l'addebito contestato al capo D relativamente all'emissione di fatture per operazioni inesistenti per il medesimo segmento temporale, residuando quindi soltanto l'aumento per la continuazione con l'addebito, anch'esso contestato sub D, relativo alle fatture per operazioni inesistenti emesse nel 2012.

Ne consegue, per il giudice di appello, che pena congrua ex 133 c.p. risulta quella di anni tre e mesi quattro di reclusione, così calcolata: p.b. per il reato D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 8, commesso da S. con le proprie ditte individuali nell'anno 2012 di cui al capo B, anni tre di reclusione, aumentata di mesi quattro per l'analogo reato di cui al capo D, commesso sempre nel 2012 in concorso con M.V., nella gestione della ditta individuale MV Pallets.

8.2. Tanto premesso, il motivo è infondato.

Questa Corte ha affermato che, in caso di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti relative al medesimo periodo di imposta, si configura un unico reato, che si consuma alla data dell'ultima fattura, pur se l'emissione sia avvenuta nella veste di legale rappresentante di società diverse (Sez. 3, n. 9440 del 24/11/2021 - dep. 21/03/2022, Rv. 282918 - 01).

Trattasi di principio cui il Collegio reputa di dover dare continuità, pur con delle necessarie specificazioni. Sul punto, merita infatti di essere ricordato che l'art. 8, comma 2, dispone che l'emissione o il rilascio di una pluralità di documenti per operazioni inesistenti, nel corso del medesimo periodo di imposta, integra un unico reato. La ratio della disposizione risulta chiaramente dalla Relazione governativa al D.Lgs. n. 74 del 2000 (punto 3.2): "poiché dal versante dell'utilizzatore l'impiego di più fatture o documenti falsi (non importa se dallo stesso o da diversi soggetti, a supporto di una medesima dichiarazione mendace dà comunque luogo ad un unico reato, si è previsto dall'art. 8, comma 2, che, anche nei confronti dell'emittente la formazione di una pluralità di fatture o documenti falsi nel medesimo periodo di imposta (non importa se a favore dello stesso o di diversi soggetti) integri un solo episodio criminoso, anziché tanti reati quanti sono i documenti emessi (si tratta in sostanza di una speciale ipotesi di cumulo giuridico)".

8.3. Occorre, a tal proposito, puntualizzare però che, (al netto di quanto si dirà infra, alla luce della novella normativa introdotta nel 2015) se è perfettamente logico, ed in linea con la cennata ratio della disposizione in esame, ritenere l'unicità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti ove il soggetto emittente sia un unico soggetto ed i beneficiari siano anche diversi - atteso che la ratio è quella di evitare una disparità di trattamento sanzionatorio tra emittente ed utilizzatore, sicché sarebbe irrazionale prevedere che solo l'emittente debba rispondere di più fatti di emissione posti in essere nel medesimo periodo di imposta a fronte della pluralità di utilizzatori che, nel medesimo periodo di imposta, risponderebbero invece di un unico reato, in quanto l'eventuale pluralità di reati non dipende dalla molteplicità dei documenti utilizzati, ma dalla pluralità delle dichiarazioni relative a periodi di imposta diversi ovvero a tributi differenti (Sez. 3, n. 28437 del 27/05/2021, Rv. 281593) -, a diversa conclusione deve pervenirsi nel caso in cui l'emittente, pur nell'identità del soggetto persona fisica, sia tuttavia un soggetto-contribuente diverso.

Ed invero, come correttamente rilevato in dottrina, ai fini dell'unificazione in un medesimo reato dell'emissione di più fatture o altri documenti equipollenti, occorre riferirsi non tanto all'identità del responsabile-persona fisica, quanto a quella del soggetto-contribuente cui l'emissione è imputabile e della cui soggettività si dovrà tener conto anche ai fini dell'individuazione del medesimo periodo di imposta, atteso che, come è noto, il periodo di imposta coincide per le imposte sui redditi delle persone fisiche e delle società di persone con l'anno solare (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 7, comma 1), mentre per i contribuenti IRES questo è costituito dall'esercizio o periodo di gestione della società o dell'ente, come determinato dalla legge o dall'atto costitutivo o, in mancanza (o in caso di determinazione in due o più anni) dall'anno solare (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76).

Questo, pertanto, comporta che il periodo d'imposta che viene in considerazione non può essere che quello del contribuente dal quale risulti emessa la fattura, e non invece, laddove non vi sia coincidenza con la figura del contribuente, quello della persona fisica autrice del reato: la soluzione è imposta dal fatto che il riferimento ad un periodo d'imposta differente da quello dell'emittente le fatture non avrebbe alcun significato. La ratio della previsione è infatti quella di limitare la proliferazione di reati nel caso di emissione di una pluralità di fatture da parte di un medesimo contribuente (inteso non come persona fisica ma come soggetto fiscalmente obbligato), sicché il periodo d'imposta a cui si fa riferimento non può che essere quello del contribuente stesso.

8.4. Orbene, alla luce di quanto sopra, dunque, appare evidente che, dovendosi fare riferimento, come chiarito, non tanto all'identità del responsabile-persona fisica, quanto a quella del soggetto-contribuente cui l'emissione è imputabile, nel caso sottoposto all'esame di questa Corte non rileva l'identità fisica dello S. - il quale è pacifico abbia emesso, come titolare di tre ditte individuali, le fatture di cui al capo b) e, quale amministratore di fatto della ditta individuale MV PALLETS di M.V., le fatture contestate al capo d) quanto la circostanza che l'emissione, pur riferita allo stesso periodo di imposta, sia tuttavia avvenuta, anche se a favore di beneficiari diversi in entrambi i capi di imputazione, da soggetti-contribuenti diversi, venendo meno quindi le ragioni per ritenersi configurabile un unico reato, essendosi invece in presenza di una pluralità di reati posti in essere da emittenti - contribuenti fiscalmente diversi.

8.5. Quanto sopra, del resto, ove il fatto fosse avvenuto successivamente alla modifica normativa introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015 ed alla succesisva modifica operata dal D.L. n. 124 del 2019, conv. con modd. In L. 157 del 2019, sarebbe stato ulteriormente rafforzato da almeno due ulteriori considerazioni.

Ed infatti, come è stato acutamente rilevato in dottrina, se la ratio sottesa al comma 2 della norma in commento risultava perfettamente logica sotto l'impero del D.Lgs. n. 74 del 2000, oggi non può esserlo più a seguito della modifica intervenuta con il D.Lgs. n. 158 del 2015, che ha esteso l'operatività dell'art. 2 anche alle dichiarazioni diverse da quelle annuali, senza operare nessuna modifica con riferimento all'art. 8. Ove, infatti, si continuasse a ritenere l'unicità del reato, si avrebbe una paradossale situazione nel caso in cui il destinatario delle fatture presenti più dichiarazioni nel corso dell'anno: quest'ultimo infatti sarebbe esposto a responsabilità per più reati (eventualmente uniti dal vincolo della continuazione), mentre per l'emittente il reato continuerebbe a restare come unico.

A ciò, inoltre, si aggiunge l'ulteriore considerazione, frutto della novella del 2019, collegata all'introduzione della responsabilità amministrativa da reato tributario, che ha inserito, all'art. 25-quinquiesdecies, D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, quali reati-presupposto della responsabilità dell'Ente sia D.Lgs. n. 74 del 2000, (comma 1, lett. a) e b) che il medesimo D.Lgs. n., art. 8 (comma 1, art. 2, lett. e). Non è infatti dubitabile che, in presenza di diverse persone giuridiche (pur se amministrate, di diritto o di fatto, non rileva, da una medesima persona fisica) che si rendano responsabili di una pluralità di emissioni di fatture per operazioni inesistenti nel medesimo periodo di imposta, non ci si trovi più in presenza di un illecito amministrativo unico, ma di una pluralità di illeciti amministrativi ascrivibili a persone giuridiche diverse, con la conseguenza che ciascun Ente assume la propria autonomia (e, quindi, la propria responsabilità) a prescindere dall'identità della persona fisica che lo amministra, essendo principio generale quello dell'autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto, prevista dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 8, trovando del resto applicazione la regola del D.Lgs. n. 231 del 2001, (art. 21, aumento sino al triplo della sanzione pecuniaria prevista per la violazione più grave, mutuata dall'art. 81 c.p., comma 1), solo nel caso in cui la pluralità di illeciti sia posta in essere dal medesimo Ente e non già quando detta pluralità sia posta in essere da Enti diversi.

8.6. Alla luce di quanto sopra, il ricorso, limitatamente al primo motivo concernente la doglianza relativa al capo B) della rubrica, è inammissibile per carenza di interesse e, comunque, per aspecificità (atteso che il ricorrente non indica a quali delle fatture intenda riferirsi in ordine al periodo antecedente al luglio 2022, né indicazioni in tal senso sono ricavabili dal capo di imputazione o dal testo della sentenza impugnata). Inoltre, sempre in relazione al capo B) della rubrica, alcun aumento a titolo di continuazione interna è stato disposto, conseguendo pertanto l'inammissibilità del motivo in parte qua per carenza di interesse.

8.7. Viceversa, per quanto attiene alla restante parte del primo motivo, relativa all'aumento a titolo di continuazione quanto al capo d) della rubrica, la doglianza dovrebbe essere rigettata. Tuttavia, proprio perché non qualificabile come manifestamente infondata, tenuto conto della censura difensiva finalizzata a dolersi dell'aumento per la continuazione irrogato in relazione al reato di cui capo d) della rubrica (aumento di quattro mesi di reclusione, essendo stato determinato come reato più grave quello sub b), individuando la pena base in anni tre di reclusione), deve registrarsi l'intervenuta estinzione per prescrizione alla data odierna di tale ultimo reato, con conseguente esclusione del relativo aumento di pena.

L'intervenuta estinzione per prescrizione di tale ultimo reato, peraltro, non travolge anche il reato sub b), attesa l'autonomia di tale capo rispetto a quella relativa al reato sub d). E' stato infatti autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello, ciò in quanto la sentenza di condanna che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, è idealmente scindibile, in ragione di ogni capo di imputazione, in altrettante autonome statuizioni di condanna, con la conseguenza che, sebbene i diversi capi siano contenuti in un unico documento-sentenza, ognuno di essi conserva la propria individualità ad ogni effetto giuridico (Sez. U, Sentenza n. 6903 del 27/05/2016 - dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268965 - 268966).

8.7. Ne discende, pertanto, che essendo inammissibile il ricorso proposto dallo S., in relazione ai fatti sub b), l'autonomia di tale capo rispetto al capo d), comporta l'intervenuta irrevocabilità della sentenza limitatamente al capo b), con conseguente rideterminazione della pena in quella fissata dal giudice di appello in anni tre di reclusione, con eliminazione invece della pena inflitta in aumento per il capo d), nella misura di quattro mesi di reclusione, conseguente all'annullamento senza rinvio per essere tale ultimo reato estinto per prescrizione.

9. Il ricorso T. deve, conclusivamente, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso. Quello dello S., invece, inammissibile quanto al secondo motivo, è idoneo, in quanto non manifestamente infondato, a determinare l'effetto estintivo per prescrizione limitatamente al reato sub d), con conseguente annullamento dell'impugnata sentenza, senza rinvio, per essere tale reato estinto per prescrizione, ciò comportando la rideterminazione della pena in anni tre di reclusione per il reato sub b).

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di S.B.F., limitatamente al capo d) della rubrica, perché il reato è estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi quattro di reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di S.B.F..

Dichiara inammissibile il ricorso di T.C.D. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 8 agosto 2023.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2023

Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti:

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