RITENUTO IN FATTO
1. I sigg.ri R.P. e F.S. ricorrono per l'annullamento della sentenza del 19/02/2021 della Corte di appello di Bologna che, in parziale riforma della sentenza del 14/10/2019 del GIP del Tribunale di quella stessa città, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del R. in ordine al delitto di cui al capo F (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11), perché estinto per prescrizione, e ha rideterminato nei suoi confronti la pena nella misura di due anni e otto mesi di reclusione, confermando nel resto la condanna di entrambi gli imputati per i reati di cui ai capi A (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2) e B (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4), ascritti al F., C (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8), D (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4) ed E (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10), ascritti al R..
2. Il ricorso di R.P..
2.1. Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza in conseguenza della nullità dell'avviso di fissazione dell'udienza di discussione in appello notificata al difensore di ufficio e non a quello di fiducia ritualmente nominato.
Osserva, al riguardo, che:
- con decreto di citazione del 16/10/2020, ritualmente notificato all'imputato e al difensore di fiducia, era stata indicata per il giorno 29/01/2021 l'udienza di discussione;
- all'udienza camerale del 29/01/2021, poiché nessuna delle parti aveva formulato istanza di discussione orale, la Corte di appello aveva dato atto della comunicazione del difensore di fiducia dell'appellante di essere stato sospeso dall'esercizio della professione sin dal 16/10/2020 ed aveva nominato un difensore d'ufficio rinviando all'udienza del 19/02/2021;
- né la nomina del difensore d'ufficio, né l'ordinanza di rinvio dell'udienza gli sono stati notificati nel domicilio eletto (primo profilo di nullità);
- l'udienza del 19/02/2021 è stata discussa in presenza delle parti, in violazione del D.L. n. 149 del 2020, art. 23, comma 4, non essendo stata formulata alcuna richiesta in tal senso, e comunque in pendenza del termine per chiedere la discussione orale che scadeva il 20/02/2021;
- la mancanza dell'imputato all'udienza di discussione per mancata notifica dell'ordinanza di rinvio rende insanabilmente nulla la sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo deduce l'inutilizzabilità, a fini di prova, dei processi verbali di constatazione acquisiti in violazione delle garanzie difensive previste dall'art. 220, disp. att. c.p.p..
2.3.Con il terzo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla inconsapevolezza della altrui attività illecita che si traduce, sostiene, nella mancanza di volontà del fatto.
2.4.Con il quarto deduce il vizio di mancanza di motivazione in ordine alla eccessiva severità del trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso di F.S..
3.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla eccepita violazione del divieto di "bis in idem" con riferimento all'escluso assorbimento dei reati fiscali oggetto di odierna condanna nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 2, (per il quale era stato separatamente e irrevocabilmente condannato). Sostiene l'identità del fatto sotto il profilo della corrispondenza storico-naturalistica delle condotte, dovendosi intendere per "stesso fatto" non quello giuridico ma la condotta concretamente posta in essere dall'imputato. Nel caso di specie, afferma, all'interno della fattispecie della bancarotta rientra quella dell'imprenditore che dopo aver (asseritamente) utilizzato le fatture per documentare costi inesistenti abbia occultato o distrutto la contabilità per procurarsi un ingiusto profitto a danno (anche) dell'Erario. Aggiunge che la Corte di appello ha erroneamente disconosciuto la produzione della sentenza di patteggiamento con gli estremi della sua irrevocabilità sol perché non riportata nel certificato del casellario giudiziale.
3.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato assorbimento del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, contestato al capo B, in quello di cui all'art. 2, stesso decreto, contestato al capo A.
3.3. Con il terzo motivo, richiamando gli argomenti oggetto del primo, deduce il vizio di mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio del quale era stata invocata la riduzione in conseguenza dell'assorbimento del reato meno grave (quello fiscale) in quello più grave (bancarotta fraudolenta).
3.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge e il vizio di mancanza motivazione in ordine alle richieste di attenuazione della pena, della applicazione delle circostanze attenuanti generiche, del riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto di odierna contestazione e quello di bancarotta fraudolenta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati per quanto di ragione.
2. Il ricorso di R..
2.1. Il R. risponde dei residui reati di cui ai capi C, D ed E della rubrica perché, agendo quale legale rappresentante della società "Fontacomm S.r.l.": al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte dirette o sul valore aggiunto, aveva emesso fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti (capo C); al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, aveva indicato nelle dichiarazioni relative all'anno di imposta 2011 elementi attivi (ricavi pari ad Euro 982.615), inferiori a quelli effettivi (pari ad Euro 1.131.131,80), nonché elementi passivi fittizi (costi non documentati) pari ad Euro 608.319,00 (capo D); al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, aveva occultato e/o distrutto in tutto o in parte le scritture contabili e i documenti dei quali è obbligatoria la conservazione (schede di mastro, libro giornale, registri obbligatori ai fini IVA) in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari per le annualità 2010-2011 (capo E).
2.2. Secondo i giudici di merito la società "Fontacomm S.r.l." agiva in modo fraudolento sul mercato operando come soggetto interposto (cd. "missing trader") negli acquisti all'estero in regime di IVA intra-comunitaria, non versando l'imposta, procedendo alla fatturazione sotto-costo della merce (venduta solo a livello nazionale a prezzi inferiori a quelli di acquisto), emettendo fatture per prestazioni rese da altri soggetti, occultando o comunque distruggendo buona parte della documentazione contabile. Tale natura è stata desunta dalla mancanza di una vera sede sociale, dalla indisponibilità di personale dipendente e di immobili strumentali adeguati all'esercizio dell'attività di impresa (salvo un magazzino preso in locazione ma mai comunicato all'anagrafe tributaria o alla camera di commercio), infine dalla mancata esibizione di parte della documentazione contabile.
2.3.1 fatti-reato erano emersi all'esito di un accertamento dell'Agenzia delle Entrate di Bologna concluso nell'anno 2012.
2.4. Tanto premesso, il primo motivo è infondato.
2.5. Il decreto di citazione a giudizio in appello del 16/10/2020 era stato notificato all'imputato e al suo difensore di fiducia, Avv. Mauro Cavalli, presso il cui studio il R. aveva eletto domicilio, a mezzo posta elettronica certificata del 19/10/2020. L'udienza era stata fissata per il giorno 29/01/2021. Il 26/01/2021, il difensore dell'imputato aveva comunicato alla Corte di appello di essere stato sospeso dalla professione dal 16/10/2020 al 16/02/2021. Il R. non aveva manifestato la volontà di comparire ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23-bis, commi 2 e 4, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020. All'udienza del 29/01/2021, la Corte di appello, preso atto della comunicazione dell'Avv. Cavalli, aveva rinviato il processo all'udienza del 19/02/2021. Il rinvio era stato comunicato al difensore d'ufficio, Avv. Francesca Lucarelli, nominata difensore d'ufficio con provvedimento notificato il 05/02/2021. Lo stesso 05/02/2021 l'Avv. Lucarelli aveva chiesto la trattazione orale del processo che è stato discusso in assenza dell'imputato (ma non del suo nuovo difensore) all'udienza del 19/02/2021.
2.6.11 ricorrere lamenta, per un primo profilo, la mancata notificazione al domicilio eletto del decreto di nomina del difensore d'ufficio. Sennonché tale adempimento, previsto dall'art. 28 disp. att. c.p.p., non è sanzionato a pena di nullità del decreto e dell'atto al cui compimento è funzionale la nomina (Sez. 2, n. 48055 del 28/09/2018, Rv. 275511 - 01; Sez. 6, n. 26095 del 03/06/2010, Rv. 248036 - 01; Sez. 1, n. 9541 del 02/02/2006, Rv. 233540 - 01; Sez. 1, n. 205 del 20/01/1993, Rv. 193089 - 01). Tantomeno la Corte di appello avrebbe dovuto notificargli il verbale dell'udienza camerale del 29/01/2021 con cui era stato disposto il rinvio del processo ad altra data, trattandosi di udienza camerale non partecipata nella quale non era prevista la presenza delle parti. Vero è che il difensore di fiducia del ricorrente era stato sospeso sin dal 16/10/2020 e tuttavia l'imputato, pur a conoscenza della data dell'udienza, non aveva provveduto a nominarne uno nuovo mediante il quale veicolare tempestivamente la richiesta di partecipare all'udienza. Ne' egli si era informato degli esiti dell'udienza stessa come sarebbe stato suo onere e interesse visto che il rinvio era stato causato proprio da vicende professionali del suo difensore di fiducia che, nella comunicazione del 26/01/2021, aveva espressamente dichiarato di mantenere la domiciliazione del R. delle cui "sorti" (così letteralmente) non poteva disinteressarsi.
2.7. Ne consegue che non sussiste alcuna nullità (secondo profilo) derivante dalla mancata partecipazione all'udienza del 19/02/2021 celebrata in presenza, a seguito della richiesta del difensore d'ufficio di discussione orale. Ed, infatti, diversamente da quanto ritiene il ricorrente, il rinvio dell'udienza del 29/01/2021 non lo rimetteva in termini per esercitare un diritto che avrebbe dovuto (e potuto) esercitare nel termine perentorio di cui al D.L. n. 137 cit., art. 23-bis, comma 4, non essendo egli in alcun modo impedito dalla sospensione dalla professione del difensore di fiducia cui, come detto, avrebbe potuto ovviare mediante la nomina di un nuovo difensore. Del resto, la richiesta del difensore d'ufficio di discutere oralmente il processo non onerava la Corte di appello di rendere edotto l'imputato di tale decisione, trattandosi di informazione che avrebbe dovuto essere fornita dal difensore stesso.
2.8. Il secondo motivo, relativo alla inutilizzabilità del processo verbale di constatazione, è generico, come lo era, del resto, il corrispondente motivo di appello (ne da atto la Corte territoriale, non contestata sul punto, a pag. 7 della sentenza).
2.9. Il confine tra l'attività ispettiva e l'attività di indagine preliminare, superato il quale "gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice" (art. 220, disp. att. c.p.p.), è segnato dalla mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291).
2.10. L'art. 220 disp. att. c.p.p., costituisce norma di raccordo e di cucitura tra l'attività ispettiva e quella investigativa la cui violazione non determina automaticamente l'inutilizzabilità, a fini penali, degli elementi di prova, dichiarativi o documentali, acquisiti una volta superato il confine. L'inutilizzabilità o nullità dell'atto deve essere autonomamente prevista dalle norme del codice di di procedura penale, cui l'art. 220, cit., rimanda. Nel caso di specie il ricorrente non indica, né deduce le violazioni codicistiche che avrebbero determinato l'inutilizzabilità delle prove acquisite a sostegno dell'ipotesi accusatoria.
2.11. Secondo il consolidato insegnamento di legittimità, nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 2, n. 30271 dell'11/05/2017, Rv. 270303 - 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv. 269218 - 01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011 - 01; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452 - 01). Il ricorrente non assolve all'onere indicato al capoverso che precede né afferma di aver sviluppato tale argomento in sede di appello (circostanza che, come detto, la sentenza impugnata esclude).
2.12. Il terzo è motivo è generico.
2.13. La Corte di appello afferma che la deduzione del R. di essere mero prestanome, ignaro, in quanto tale, dell'altrui agire illecito costituisce mera indimostrata postulazione difensiva non contestata (né presa in considerazione) con l'odierno ricorso.
2.14. E' invece fondato il quarto ed ultimo motivo.
2.15. In effetti la Corte di appello non ha esaminato il terzo motivo di appello con il quale era stata dedotta l'eccessiva severità del trattamento sanzionatorio e lamentato il diniego delle circostanze attenuanti generiche. Tanto più che la stessa Corte di appello ha provveduto alla nuova commisurazione della pena a seguito della declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di cui al capo F.
2.16. La (non manifesta) infondatezza del primo motivo e la fondatezza dell'ultimo giovano alla corretta instaurazione del rapporto processuale di impugnazione con conseguente rilevabilità d'ufficio della prescrizione decennale maturata dopo la sentenza impugnata che comporta l'estinzione del reato di cui al capo C (la prescrizione è maturata il 23/12/2021).
2.17. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo C perché estinto per prescrizione e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per la rideterminazione della pena relativa ai residui reati di cui ai capi D ed E, non potendo provvedere direttamente questa Corte di cassazione perché il reato di cui al capo C è quello ritenuto più grave dai Giudici di merito e posto a base del calcolo della pena complessiva.
2.18. Resta irrevocabilmente accertata la responsabilità penale del R. in ordine ai due suddetti reati (ad oggi non prescritti, tenuto conto dell'elevazione di un terzo dei termini ordinari di prescrizione introdotta dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 17, comma 1-bis).
3. Il ricorso di F..
3.1. Il ricorrente era il legale rappresentante della società "Nisas Group S.r.l." cui la rubrica imputa di aver presentato le dichiarazioni annuali avvalendosi delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla società "Fontacomm S.r.l.". In particolare, il capo A attribuisce al F. il reato di cui all'art. 81 cpv. c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, comma 1, perché, nella sua indicata qualità, aveva presentato le dichiarazioni annuali relative agli anni di imposta 2010 (capo A-1) e 2011 (capo A-2) avvalendosi, come detto, delle fatture emesse dalla "Fontacomm S.r.l.". Il capo B gli attribuisce il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, per aver presentato la dichiarazione annuale relativa all'anno di imposta 2011 indicando acquisti mai registrati (ritenuti elementi passivi inesistenti) per un importo (Euro 1.453.277,62) aggiuntivo e ulteriore rispetto a quello di Euro 373.405,43 documentato dalle false fatture passive di cui si era avvalso nella medesima dichiarazione.
3.2. Il primo ed il terzo motivo sono generici e manifestamente infondati.
3.3. Non è chiaro il "petitum sostanziale": se cioè il ricorrente deduca l'assorbimento del reato di dichiarazione fraudolenta di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, (ma anche dei reati di cui ai successivi artt. 3 e 4) in quello di bancarotta fraudolenta documentale di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, n. 2, in virtù di un rapporto di specialità tra fattispecie (o di consumazione o assorbimento), oppure se deduca l'identità del fatto storico (nella sua accezione "convenzionale" secondo l'insegnamento della Corte EDU) a fondamento delle due diverse imputazioni.
3.4. Nella prima ipotesi, premesso che nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall'art. 15 c.p., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 - 01), appare evidente il rapporto di eterogeneità strutturale tra le fattispecie di reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2,3 e 4, e quella di cui al R.D. n. 267 cit., art. 216, cpv., n. 2. La condotta di presentazione della dichiarazione dei redditi (fraudolenta o infedele che sia), anche se preceduta dalla condotta di distruzione o occultamento della contabilità, non è sul piano strutturale un elemento specializzante della fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale. Questa Corte ha già affermato il principio, che deve essere qui condiviso ed esteso a tutti i delitti "dichiarativi" del D.Lgs. n. 74 del 2000, secondo il quale il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 3) può concorrere con il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 del citato D.Lgs.), dovendosi escludere il concorso apparente di norme e il rapporto di genere a specie previsti dall'art. 15 c.p..
3.5. La diversità strutturale delle condotte (presentazione della dichiarazione fiscale fraudolenta e/o infedele e occultamento/distruzione delle scritture contabili) mal depone per la ritenuta sussistenza dell'idem factum che presuppone un'identità del fatto storico (anche spaziale e temporale) inconciliabile con le condotte che integrano le diverse fattispecie. In ogni caso, la questione non può essere dedotta in termini astratti, ma in termini concreti dovendosi aver riguardo alle condotte come effettivamente consumate. Il ricorso (e ancora prima l'appello) da questo punto di vista è del tutto generico. L'inutile ricorso a criteri diversi dal rapporto strutturale tra fattispecie per stabilire l'assorbimento dell'una nell'altra rende manifestamente infondato il terzo motivo (con conseguente non decisività del dedotto vizio di mancanza di motivazione sul punto).
3.6. E' invece fondato il secondo motivo.
3.7. Il carattere residuale del reato di dichiarazione infedele, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, ne esclude il concorso con il delitto di frode fiscale, previsto dall'art. 2 del citato D.Lgs., quando la condotta materiale abbia ad oggetto la medesima dichiarazione (Sez. 3, n. 28266 del 09/02/2016, Rv. 267409 - 01, citata anche dal ricorrente a sostegno delle proprie deduzioni).
3.8. Ne consegue che l'aumento di sei mesi di reclusione applicato dal primo giudice (e confermato in appello) per il reato di dichiarazione infedele di cui al capo B a titolo di continuazione con il più grave reato di cui al capo A deve essere eliminato.
3.9. Il quarto motivo pone questioni relative al trattamento sanzionatorio variamente articolate.
3.10. La questione relativa alla applicazione della continuazione tra i reati fiscali oggetto di odierna regiudicanda e quello di bancarotta fraudolenta oggetto di separata sentenza di patteggiamento era stata posta in appello in termini assolutamente assertivi e generici senza alcun minimo riferimento (o allegazione) ai possibili indicatori dell'unicità progettuale alla quale ricondurre l'esecuzione di reati così eterogenei tra loro e consumati in epoche così distanti fra loro.
3.11. L'istituto della continuazione, la recidiva, l'abitualità e la professionalità nel delitto, condividono, sul piano oggettivo, il medesimo presupposto di fatto: la reiterazione dei delitti nel tempo. L'abitualità presunta per legge presuppone, addirittura, che i reati siano della stessa indole, la professionalità nel reato che il reo viva abitualmente, anche solo in parte, dei proventi del reato. L'ambivalenza del dato oggettivo (la reiterazione dei delitti nel tempo, la loro stessa indole, la destinazione dei proventi a fonte di reddito) impone un maggiore sforzo deduttivo che non si limiti a proporre come tema di discussione astratta l'individuazione degli indici neutri di sussistenza del reato continuato, ma che indichi quale sia, sia pure a gradi linee, questo disegno criminoso perseguito attraverso le reiterate condotte criminose; ciò affinché il più favorevole trattamento sanzionatorio corrisponda ad un atteggiamento antidoveroso realmente esistente e non si trasformi da eccezione alla regola del cumulo materiale delle pene in un indiscriminato trattamento premiale di favore, sganciato del tutto dai suoi presupposti applicativi.
3.12. Ne' l'unicità del disegno criminoso può essere confusa con il generico programma di commettere più reati poiché l'art. 81 c.p., comma 2, richiede che le varie azioni siano concepite e volute, nei loro termini essenziali, sin dall'inizio, per cui detta identità manca quando i vari delitti, anche se attuano un indistinto e generico proposito di delinquere, sono effetto di determinazioni distinte (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, Eloumari, Rv. 266615; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, Rv. 260896; Sez. 1, n. 6553 del 13/12/1995, Bagnara, Rv. 203690, secondo cui la unicità del disegno criminoso necessaria per configurabilità del reato continuato e per l'applicazione della continuazione in fase esecutiva non può identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o comunque da una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, ma le singole violazioni devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine).
3.13. Di tutto ciò non v'e' traccia nell'appello, con conseguente genericità (ed inammissibilità) della relativa deduzione.
3.14. Quanto alla continuazione interna, fermo restando quanto si dirà al paragrafo successivo, è sufficiente prendere atto del fatto che a seguito dell'assorbimento del reato di cui al capo B in quello di cui al capo A e della estinzione per prescrizione del reato di cui al capo A, sub-1, residua il solo delitto di cui al capo A, sub-2.
3.15. Quanto, invece, all'entità della pena va evidenziato che al ricorrente, per il capo A, è stato applicato il minimo edittale della pena previsto all'epoca dei fatti, senza alcun aumento a titolo di continuazione interna, con conseguente inammissibilità, per genericità, di tutte le deduzioni relative alla eccessiva severità della condanna.
3.16. La non manifesta infondatezza del ricorso (e di certo la fondatezza del secondo motivo) giova alla rilevazione d'ufficio della prescrizione maturata dopo la pubblicazione della sentenza impugnata con conseguente estinzione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, rubricato al capo A, sub-1 in quanto commesso in data 28/12/2011.
3.17. La pena in questo caso resta quella sopra indicata di un anno e sei mesi di reclusione applicata dal primo giudice senza alcun aumento a titolo di continuazione interna al medesimo capo di imputazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di F.S. in relazione al capo B) perché il fatto non sussiste ed in relazione al fatto decritto sub 1) del capo A) perché il reato è estinto per prescrizione. Per l'effetto ridetermina la pena in un anno e sei mesi di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di R.P., limitatamente al capo C), perché estinto per prescrizione e rinvia, per la determinazione della pena per le residue imputazioni ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara definitivo l'accertamento di responsabilità quanto ai capi D) ed E).
Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2022