RITENUTO IN FATTO
1. E' impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Torino, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale della stessa città, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di R.R. in ordine ai reati di cui ai capi 1) e 2) perché estinti per intervenuta prescrizione e ha rideterminato, quanto al capo 3), la pena in anni uno di reclusione, confermando nel resto la sentenza appellata.
La condanna inflitta al ricorrente ha riguardato il reato di cui agli artt. 48,110 c.p. e 2, comma 1, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 poiché, in concorso con Vito Sorgente (per cui si è proceduto separatamente), nelle rispettive qualità (il Sorgente di commercialista-consulente fiscale della (Omissis) s.r.l.) ed al fine di permettere alla predetta società di evadere l'imposta sul reddito delle persone giuridiche, inducevano in errore l'Amministratore Unico, R.S., il quale indicava nella dichiarazione annuale modello Unico Società di Capitali, presentata in relazione all'anno di imposta 2011, elementi passivi fittizi pari a complessivi 178.500,00 Euro avvalendosi dei sotto indicati "documenti per operazioni inesistenti":
- Documento datato 31 dicembre 2011 recante quale emittente " R.R." relativo a consulenza tecnica senza vincoli di subordinazione, per ricerca di mercato, rapporti con i clienti e fornitori per l'anno 2011 di complessivi Euro 89.250,00;
- Documento datato 31 dicembre 2011 recante quale emittente " M.L." relativo a consulenza tecnica senza vincoli di subordinazione, per ricerca di mercato, rapporti con i clienti e fornitori per l'anno 2011 di complessivi Euro 89.250,00;
Reato commesso in (Omissis) data di presentazione del modello Unico Società di Capitali 2012 afferente, l'anno di imposta 2011.
2. Il ricorso, presentato dal difensore di fiducia, è affidatódue motivi, come di seguito riassunti ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge in ordine all'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 e all'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000, ossia sulla corretta qualificazione giuridica della locuzione: altri documenti emessi a fronte di operazioni inesistenti, deducendo la non sussumibilità dei documenti di cui all'imputazione nel dettato normativo di cui all'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000 con conseguente violazione degli artt. 109 TUIR e 21 D.P.R. n. 633 del 1972, derivando da ciò l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato.
Osserva come la Corte territoriale abbia errato nel ritenere sussistente il reato di frode fiscale sull'assunto che i documenti indicati nell'imputazione siano sussumibili nella nozione di cui all'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000 sub specie di "altri documenti" per operazioni inesistenti.
Dopo aver riportato e richiamato, in più parti del motivo di ricorso, la ratio decidendi, oggetto di specifiche censure in diritto, il ricorrente premette che, per quanto riguarda l'elemento materiale del reato, la disposizione normativa ex art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 opera un espresso riferimento all'utilizzo di "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti".
Ricorda che, per la definizione della suddetta espressione, è necessario avere riguardo all'art. 1, lettera a), del predetto decreto, il quale letteralmente prevede che, per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, si intendono le fatture o altri documenti aventi rilievo probatorio analogo (alle fatture) in base alle norme tributarie.
Precisa, quindi, che, mancando nel nostro sistema penale tributario un elenco puntuale dei documenti equipollenti ex lege alle fatture, è necessaria, al fine di rispettare il principio di legalità e di tassatività, la presenza di una norma tributaria che attribuisca agli "altri documenti", diversi dalla fattura, un rilievo probatorio analogo alla stessa.
Rileva, pertanto, che la Corte di merito non si sarebbe attenuta a tali ineludibili premesse normative perché, pur dovendo l'interprete privilegiare un criterio di natura funzionale della fattura per l'equiparazione della stessa agli "altri documenti" e pur essendo altresì pacifico che il paradigma per operare tale interpretazione sia contenuto nell'art. 21 D.P.R. n. 633 del 1972, queste operazioni presuppongono pur sempre la necessità di poter selezionare quale debba essere il rilievo probatorio analogo attribuito da una norma tributaria.
Alla stregua di ciò, dopo aver ripercorso gli approdi cui è giunta la giurisprudenza di legittimità, anche citati nella sentenza impugnata, ma ai quali la Corte di merito avrebbe attribuito un significato non corrispondente ai principi di diritto ivi affermati, il ricorrente assume come sarebbe evidente che la Corte d'appello abbia errato nell'interpretare l'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000, ritenendo rientranti nel novero degli "altri documenti", penalmente rilevanti ai sensi dell'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, quei documenti innominati che possono sostituire, integrare, od ampliare la funzione della fattura, senza tener conto del fatto che sia altresì necessario accertare la sussistenza di una norma tributaria specifica che effettivamente attribuisca ai documenti innominati un valore probatorio analogo alla fattura.
Ne consegue che la tesi sostanzialistica come sostenuta dalla Corte territoriale, violando i principi di tassatività e determinatezza della norma penale, sarebbe frutto di un errore di diritto che non può che comportare l'annullamento della sentenza impugnata.
Sostiene, infatti, il ricorrente che i documenti indicati nel capo di imputazione altro non sono che veri e propri contratti i quali, come tali, in assenza della norma di raccordo richiesta dall'art. 1, lettera a), non sono equiparabili, ai fini penali, alle fatture.
Aggiunge il ricorrente che l'errore interpretativo in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale si riverbera sul piano pratico e si pone come antecedente logico rispetto all'ulteriore passaggio della sentenza che, dapprima, ha richiamato l'art. 109 Tuir, travisando la sua effettiva portata normativa, e successivamente ha operato un'interpretazione estensiva dell'art. 21 D.P.R. n. 633 del 1972 per poter qualificare i documenti in esame come fatture.
Dopo aver riportato la ratio decidendi, sul punto, il ricorrente sostiene che l'art. 21 D.P.R. n. 633 del 1972 elenca tutta una serie di elementi essenziali che devono sussistere affinché si possa configurare una fattura, a prescindere dal nomee iuris del documento ed afferma che i documenti contestati difettano di alcuni elementi, che non si limitano solo alla numerazione progressiva, ma che riguardano anche altri elementi essenziali: la data; il numero di partita Iva dell'emittente; la base imponibile, nonché l'aliquota e l'ammontare dell'imposta, ovvero la circostanza che la prestazione di servizi sia sottratta alla base imponibile Iva, emergendo la natura contrattuale di essi e risultando dal testo di detti documenti i seguenti incisi: "si approva quanto sopra all'unanimità dei soci", ed inoltre "per accettazione", ai quali incisi seguivano le firme dei soci, cosicché sarebbe proprio l'accettazione da parte dei soci, relativa all'importo pattuito, che costituirebbe elemento di contrasto rispetto alla fattura. Infatti, la fattura, essendo un atto unilaterale e non un contratto, non necessita di accettazione da parte del committente attraverso la sottoscrizione del documento.
Alla luce di ciò il ricorrente conclude sostenendo che la sentenza impugnata è frutto di una pluralità di errori di diritto che ne impongono l'annullamento: i documenti oggetto di contestazione non potevano, come ha sostenuto la Corte territoriale, essere assimilati a fatture o a documenti aventi equipollente efficacia probatoria delle fatture, in quanto, da un lato, il contenuto delle scritture private non sarebbe corrispondente al dettato normativo di cui all'art. 21, D.P.R. n. 633 del 1972, e, dall'altro, non vi sarebbe una norma tributaria che stabilisca espressamente l'equiparazione a fini probatori tra la fattura e i documenti in questione.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione all'errata applicazione retroattiva della norma di cui all'art. 578-bis c.p.p..
Con il motivo di ricorso - che attacca il punto relativo alla confisca per equivalente disposta per Euro 205.512,00 e pari all'imposta ritenuta evasa per gli anni 2007, 2010 e 2011 - il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale ha confermato la confisca per equivalente applicata con la sentenza di primo grado, senza rideterminare l'importo in seguito all'intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi di imputazione 1) e 2), inerenti, rispettivamente, agli anni di imposta 2007 e 2010, essendo perciò incorsa nel vizio di violazione di legge denunciato con conseguente annullamento, anche in parte qua, dell'impugnata sentenza, posto che con la declaratoria di prescrizione non poteva essere mantenuta la confisca e posto che, ratione temporis, non sarebbe applicabile la disposizione ex art. 578-bis c.p.p..
3. Il Procuratore generale ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione di confisca disposta per gli anni di imposta 2007 e 2010, chiedendo il rigetto del ricorso nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Procedendo nell'esame del primo motivo di ricorso, appare opportuno, per meglio comprendere il principio di diritto che sarà affermato, riassumere la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte d'appello ha respinto la tesi difensiva, che eccepiva la inconfigurabilità della fattispecie incriminatrice contestata, sul rilievo che i falsi documenti, costituenti corpo del reato e indicati nell'imputazione, fossero, in tutto
e per tutto, equiparabili alle fatture e, come tali, qualificabili.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte di merito ha precisato che l'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 contiene un espresso riferimento, oltre alle fatture, ad "altri documenti", con il chiaro obiettivo di estendere esplicitamente la punibilità per il delitto contestato anche ai casi in cui il dolo di evasione inerisca a documentazione non tipicamente qualificabile come fattura.
La Corte distrettuale ha, a questo proposito, aggiunto che - sebbene, ai sensi dell'art. 1, lettera a), del già citato decreto legislativo, in siffatta nozione rientrino le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo alle fatture in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto od in parte, ovvero che indichino i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscano l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi - la giurisprudenza di legittimità sarebbe concorde nel ritenere che il criterio di equiparazione degli "altri documenti" alla fattura va individuato nella natura "funzionale" degli stessi, sicché tale parametro, nel rispetto delle disposizioni tributarie, consentirebbe di equipararli alla fattura laddove essi possano sostituirla, integrarla, o ampliarne la funzione.
A supporto di ciò, la Corte d'appello ha citato un arresto della giurisprudenza di legittimità che ha espresso il principio di diritto così massimato: "la nozione di "altri documenti", contenuta nell'art. 8 D.Lgs. n. 10 marzo 2000 n. 74, va intesa come riferita a tutti i documenti a cui le norme tributarie attribuiscono valore probatorio di fatture destinati ad attestare fatti aventi rilevanza fiscale" (Sez. 3, n. 9453 del 11/10/2017, dep. 2018, Samogin, Rv. 272296 - 01) - per evidenziare che, tra le norme tributarie di cui sopra, un ruolo preminente, in ambito definitorio, è svolto dall'art. 21 D.P.R. n. 633 del 1972, il quale, proprio per evitare il ricorso ad interpretazioni analogiche in malam partem dell'art. 1 del D.Lgs. n. 74 del 2000, funge da paradigma normativo alla luce del quale è possibile interpretare la formula giuridica "altri documenti".
In tal senso, l'analitica previsione astratta (contenuta nell'art. 21 cit.) degli elementi essenziali di un documento - che lo stesso, quindi, deve recare per essere assimilabile, anche sul piano probatorio, alla fattura - permette all'interprete, che in concreto ne riscontri la sussistenza, di adottare ragionevolmente l'approccio esegetico c.d. sostanzialista, cosicché le conseguenze fiscali riconnesse ad un documento legalmente tipico si producono anche rispetto ad un altro che, pur formalmente diverso, sostanzialmente sia allo stesso equiparabile, purché recante gli essenziali requisiti contenutistici richiesti dalla normativa primaria di settore.
Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte d'appello ha stimato di agevole soluzione la questione, sollevata dalla difesa, relativa alla ritenuta impossibilità per i documenti indicati nell'imputazione di integrare la fattispecie contestata.
La Corte d'appello ha osservato che, in forza del combinato disposto dell'art. 21 del D.P.R. n. 633 del 1972 e dell'art. 109 TUIR, il sistema tributario pretende la certezza del costo che si intende portare in deduzione, che concretamente deve risultare dal documento, fiscalmente assimilabile alla fattura, all'uopo conservato ai fini di prova; parimenti, per la rilevanza penale delle condotte evasive, l'ordinamento impone la perfetta coincidenza tra l'idoneità del documento ad esplicare effetti a fini fiscali e quella dello stesso a certificare un'operazione inesistente.
Da ciò la Corte di merito ha tratto argomento per ritenere che la documentazione richiamata nel capo di imputazione, sebbene atipica perché prodotta da soggetti non titolari di partita Iva, fosse da ritenersi contenutisticamente assimilabile alla fattura, in quanto presentava gli elementi essenziali richiesti dalla legge, ad eccezione del numero progressivo, circostanza irrilevante alla luce del fatto che le prestazioni, rese e fatturate, erano di natura occasionale.
Tali documenti, peraltro, non erano neppure qualificabili come contratti, con la conseguenza che - attestando la verificazione di prestazioni lavorative fittiziamente rese, imputate quali costi societari per abbattere l'imponibile - erano del tutto idonei ad integrare la fattispecie incriminatrice ex art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000.
3. L'interpretazione patrocinata dalla Corte d'appello non è condivisibile. Dovendo il ragionamento seguire il filo giuridico della legalità penale, conviene partire dal testo delle norme penali di riferimento.
3.1. L'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, che viene qui in rilievo, punisce "chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi".
Originariamente l'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 si riferiva espressamente alle dichiarazioni "annuali", ma quest'ultima parola è stata soppressa dall'art. 2, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 che, eliminando il riferimento cronologico, ha ampliato, in tal modo, il novero delle dichiarazioni che, come oggetto materiale della condotta, sono suscettibili, a partire dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, di rilevanza penale.
Va anche ricordato che, con il D.Lgs. n. 74 del 2000, il legislatore ha ritenuto di introdurre una norma generale con la quale ha tipizzato alcune definizioni valide con riferimento a tutte le fattispecie delittuose previste nel provvedimento normativo.
Per quanto qui interessa, l'art. 1 D.Lgs. n. 74 del 2000, al comma 1, lettera a), definisce il concetto di "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" e stabilisce che "per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie (...)".
Per quanto riguarda la fattura - che è un documento fiscale, contenente una dichiarazione di scienza inquadrabile tra gli atti unilaterali ricettizi, ossia fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione di fatti concernenti un rapporto già costituito - la disciplina giuridica è dettata dall'art. 21, D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633.
Con riferimento agli "altri documenti" il legislatore, invece, si è limitato ad individuare il tratto identificativo nell'analogo rilievo probatorio che la normativa tributaria attribuisce a tali documenti.
3.2. Ciò posto, l'art. 21 D.P.R. n. 633 del 1972, al comma 2, indica analiticamente i requisiti che deve contenere la fattura mentre al comma 1 chiarisce che essa può assumere anche la forma di "nota, conto, parcella e simili".
Pertanto, tali documenti, per poter assumere rilievo probatorio analogo a quello della fattura vera e propria, dovranno essere essi stessi "fattura" la quale, infatti, può essere emessa, come recita la norma, "anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili" (ex art. 21, comma 1, cit.) e, quindi, detti documenti devono possedere un contenuto alla medesima equipollente (ex art. 21, comma 2, cit.) vale a dire che, secondo la specificità della cessione o della prestazione, essi devono contenere le seguenti indicazioni: a) la data di emissione; b) il numero progressivo che la identifichi in modo univoco; c) ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del soggetto cedente o prestatore, del rappresentante fiscale nonché ubicazione della stabile organizzazione per i soggetti non residenti; d) il numero di partita IVA del soggetto cedente o prestatore; e) ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del soggetto cessionario o committente, del rappresentante fiscale nonché ubicazione della stabile organizzazione per i soggetti non residenti; f) il numero di partita IVA del soggetto cessionario o committente ovvero, in caso di soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell'Unione Europea, numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro di stabilimento; nel caso in cui il cessionario o committente residente o domiciliato nel territorio dello Stato non agisce nell'esercizio d'impresa, arte o professione, codice fiscale; g) natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione; g-bis) la data in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi ovvero data in cui è corrisposto in tutto o in parte il corrispettivo, sempreché' tale data sia diversa dalla data di emissione della fattura; h) i corrispettivi ed altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, compresi quelli relativi ai beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono di cui all'art. 15, comma 1, n. 2; i) i corrispettivi relativi agli altri beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono; I) aliquota, ammontare dell'imposta e dell'imponibile con arrotondamento al centesimo di Euro; m) la data della prima immatricolazione o iscrizione in pubblici registri e numero dei chilometri percorsi, delle ore navigate o delle ore volate, se trattasi di cessione intracomunitaria di mezzi di trasporto nuovi, di cui all'art. 38, comma 4, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427; n) l'annotazione che la stessa è emessa, per conto del cedente o prestatore, dal cessionario o committente ovvero da un terzo.
Evidentemente, le suddette indicazioni possono essere limitate in quelle attinenti alla "regolarità formale" del documento (equipollente alla fattura) e, dunque, alla verifica dei requisiti essenziali individuati nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, tra cui i dati relativi alla natura, qualità, quantità dei beni e servizi, l'ammontare del corrispettivo, l'aliquota, l'ammontare della imposta e dell'imponibile (Cass. civ., Sez. 5, n. 26183 del 12/12/2014, in motivazione, quanto ai requisiti essenziali attinenti alla "regolarità formale" della fattura) e la effettiva annotazione di indicazioni specifiche richieste dalla natura della cessione o della prestazione.
Sotto tali specifici aspetti, la dottrina ha sottolineato che soltanto una tale lettura dell'art. 21 D.P.R. n. 633 del 1972 consente di superare un possibile rischio di indeterminatezza dell'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000 e, conseguentemente, di tutte le norme incriminatrici che contengono quella definizione come elemento normativo del reato tributario.
Ed infatti, qualora non si agganciasse quell'inciso a una lettura sistematica dell'intero art. 21 D.P.R. n. 633 del 1972, l'espressione "e simili" potrebbe peccare di indeterminatezza, poiché - potendo refluire anche sull'art. 1, lettera a), del decreto n. 74 del 2000 - non porrebbe l'interprete in condizione di percepire con immediatezza la tipologia dei documenti equiparabili alla fattura, ma aventi un diverso nomen iuris.
3.3. La questione riveste maggiore complessità per l'individuazione del significato da attribuire al concetto di "altri documenti" di cui all'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000.
Intanto, le precedenti considerazioni parimenti valgono per mettere in guardia l'interprete dal rischio di indeterminatezza del precetto penale nel caso in cui l'espressione "altri documenti", potendo anch'essa refluire sull'art. 1, lettera a), del decreto n. 74 del 2000, non porrebbe l'interprete nella necessaria condizione di percepire con immediatezza la tipologia dei documenti, cosiddetti atipici o innominati, equiparabili alla fattura.
In questo caso, la disposizione normativa esige che detti documenti, pur essendo formalmente differenziati dalla fattura, debbano avere:
1) analogo rilievo probatorio della fattura, non ex se sulla base cioè di un criterio interpretativo funzionale (il quale, da solo, inevitabilmente si risolve in un criterio interpretativo di tipo analogico che, essendo, all'evidenza, in malam partem, è vietato nella materia penale), ma
2) sulla base di quanto previsto dalle norme tributarie.
Ciò consente all'interprete di trarre una prima conclusione e cioè che il legislatore, avendo voluto espressamente circoscrivere i documenti penalmente rilevanti a quelli con efficacia probatoria equiparabile alle fatture in base alle norme tributarie, non ha ritenuto che tutti i documenti fiscali rientrino nel novero di quelli che possono costituire l'oggetto materiale della condotta di frode fiscale (ex artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000), salvo che essi, come in precedenza precisato, siano equiparabili alle fatture per avere, sulla base di un'espressa previsione normativa, un rilievo probatorio analogo.
Argomentare diversamente, ritenendo che tutti i documenti, attestanti che il contribuente abbia sostenuto un costo, possono, sulla base di un criterio esclusivamente di tipo sostanziale, essere ricompresi tra quelli penalmente rilevanti ai sensi degli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, significherebbe potenzialmente attribuire rilievo penale a qualunque documento e ciò rappresenta, come la dottrina ha puntualmente sottolineato, una conclusione inammissibile, che renderebbe l'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000 costituzionalmente illegittimo per violazione del principio di legalità, sub specie di tassatività e determinatezza.
In altri termini, l'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000 è una norma definitoria diretta anche a circoscrivere i documenti "innominati" penalmente rilevanti ai fini della configurazione dei reati di cui agli artt. 2 e 8 del citato decreto, includendo una parte di essi (quelli cioè che hanno, sulla base di norme tributarie, rilievo probatorio analogo alla fattura) ed escludendo gli altri.
Va soltanto precisato che nel novero degli "altri documenti", di cui all'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000 vanno ricompresi non solo quelli cui la legge o un atto avente forza di legge attribuisce rilevanza probatoria analoga alla fattura ma anche quelli che siano indicati da una normativa fiscale di carattere secondario, tanto in considerazione dell'ampiezza del rinvio contenuto nella disposizione laddove essa si riferisce, genericamente, a norme tributarie e dovendosi ritenere, anche sulla base della giurisprudenza costituzionale, che la precisa determinazione del contenuto di singoli "elementi normativi" della fattispecie penalmente rilevante possa essere operata anche da fonti extra legislative senza che ciò comporti violazione del principio di riserva assoluta di legge.
Infine, il fatto che determinati documenti, aventi rilievo fiscale, non rientrino nel novero di quelli che possono integrare l'elemento materiale dei delitti ex art. 2 o 8 D.Lgs. n. 74 del 2000 non significa che essi siano sprovvisti di rilevanza penale, potendo, a condizioni esatte, costituire, come sarà più chiaro in seguito e come lo stesso ricorrente implicitamente riconosce, l'oggetto materiale della condotta ex art. 3 D.Lgs. n. 73 del 2000.
Peraltro, a proposito della definizione di "altri documenti" ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. n, 74 del 2000, la giurisprudenza di legittimità ha ammonito l'interprete, ritenendo, sulla base di quanto disposto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, comma 1, lettera a), ancora attuale il pensiero della dottrina formatasi durante la vigenza della L. n. 516 del 1982, art. 4, lett. d), secondo la quale, nel caso di documenti atipici cioè diversi dalla fattura, "non può trattarsi di qualsivoglia documento di carattere fiscale, poiché altrimenti si rischia di violare il principio di tassatività della previsione normativa" (Sez. 3, n. 50628 del 15/10/2014, Rizzo, in motivazione).
4. Devono pertanto essere condivisi i rilievi che il ricorrente muove nei confronti dell'impugnata sentenza.
Innanzitutto, deve stimarsi irrilevante il richiamo nella sentenza impugnata all'art. 109 Tuir posto che il principio di certezza dei componenti negativi del reddito, espresso appunto dall'art. 109 Tuir, è soddisfatto non soltanto dalle fatture, ma da qualunque documento, che consenta di attribuire certezza, anche documentale, all'elemento negativo del reddito.
Ne consegue che il fatto che un documento attesti con certezza un costo, e cioè un componente negativo del reddito, non vale, di per sé, ad attribuire a tale documento un rilievo probatorio analogo alla fattura in base alle norme tributarie.
Perciò, avuto riguardo ai principi in precedenza espressi, osserva la Corte che i documenti innominati, diversi dalla fattura, per essere penalmente rilevanti ai fini della configurabilità dei delitti ex artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, devono essere tali da poter sostituire, integrare, od ampliare la funzione della fattura, ma pur sempre nel rispetto delle norme tributarie di riferimento.
In definitiva, l'art. 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000 richiede che una norma tributaria (primaria o secondaria) attribuisca al documento innominato lo stesso valore probatorio della fattura, con la conseguenza che, in assenza di un tale criterio di collegamento, necessario per porre la norma penale incriminatrice al riparo da rilievi di costituzionalità per violazione dei principi di determinatezza e di tassatività, non appare giuridicamente praticabile il ricorso a un criterio di equiparazione (degli "altri documenti" alla fattura) che, eludendo il criterio di collegamento normativo, faccia leva sul criterio esclusivamente funzionale, inteso come canone di natura sostanziale, svincolato perciò dalla sua necessaria riconducibilità in una "norma tributaria" che equipari, ai fini probatori, il documento innominato alla fattura.
Il che non significa escludere la rilevanza penale di documenti falsi, diversi dalla fattura o da quelli ad essa equiparati, di cui l'agente si avvalga per evadere le imposte, in quanto proprio sulla distinzione tra fatture o documenti equipollenti alle fatture, da un lato, e altri documenti che non sono assimilabili ad essa, dall'altro, è possibile scorgere il discrimen, sebbene non l'unico, tra le fattispecie di cui agli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000, a maggior ragione dopo la novella di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015 che ha inserito nel modello legale di reato ex art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000 il riferimento testuale ai "documenti falsi".
Una conferma in tal senso si coglie sulla base della sentenza con la quale la Corte Costituzionale - chiamata a decidere sulla questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 2D.Lgs. n. 74 del 2000, nella parte in cui, a differenza del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all'art. 3 stesso decreto, non prevede alcuna soglia di punibilità per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti inesistenti - ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, dell'art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, sul rilievo che - dato lo speciale disvalore "di azione" che, nell'apprezzamento del legislatore, in sé non manifestamente irragionevole, la specifica fattispecie presenta - non può considerarsi arbitraria la scelta di riservare a essa un trattamento distinto e più severo - sul piano non della reazione punitiva, ma delle soglie di punibilità - di quello prefigurato in rapporto alla generalità degli altri artifici di supporto di una dichiarazione mendace (anche di tipo documentale), dei quali si occupa l'art. 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000, costituente norma incriminatrice sussidiaria. La Consulta ha osservato che, tramite l'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, il legislatore ha inteso infatti "isolare", nell'ambito dell'ampia gamma dei mezzi fraudolenti utilizzabili a supporto di una dichiarazione mendace, uno specifico artificio, la fattura per operazioni inesistenti, tenuto conto del particolare ruolo che la fattura e i documenti ad essa equiparati sul piano probatorio dalla normativa fiscale assolvono nel quadro dell'adempimento degli obblighi del contribuente, nonché della capacità di sviamento dell'attività accertativa degli uffici finanziari che l'artificio in questione possiede (Corte Cost., sentenza n. 95 del 2019).
Peraltro - in disparte il fatto che i documenti indicati nel capo di imputazione non presentano la struttura (tipica delle fatture) di atti unilaterali, in quanto contengono dichiarazioni negoziali di soggetti diversi dall'emittente - essi difettano di alcuni elementi, che non si riducono solo alla numerazione progressiva, come afferma la sentenza impugnata, ma che riguardano anche altri elementi essenziali: la data; il numero di partita Iva dell'emittente; la base imponibile, nonché l'aliquota e l'ammontare dell'imposta, ovvero la circostanza che la prestazione di servizi sia sottratta alla base imponibile Iva (a titolo esemplificativoo).
Tutto ciò esclude la configurabilità del fatto tipico descritto nella fattispecie incriminatrice ex art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000.
5. Sulla base delle precedenti considerazioni, essendo fondato il primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio in relazione al reato di cui al capo 3) della rubrica perché il fatto non sussiste.
Nell'impossibilità da parte della Corte di riqualificare il fatto ai sensi dell'art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000 (che richiede l'integrazione di una soglia di punibilità e 12
ò richiederebbe inoltre accertamenti di fatto diretti a stabilire se la condotta
contestata sia sussumibile nel modello legale antecedente alla novella di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, trattandosi di fatto commesso anteriormente al 2015, e allo stesso tempo anche nella nuova incriminazione), non risulta praticabile l'annullamento con rinvio perché, avuto riguardo alla data del commesso reato, il delitto è prescritto.
6. E' fondato anche il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente lamenta, con riferimento ai reati di cui ai capi 1) e 2) della rubrica, già dichiarati prescritti, la conferma della disposta confisca per equivalente.
La quale polverizzata dall'insussistenza del fatto di cui al capo 3) della rubrica, deve essere eliminata anche in relazione ai capi 1) e 2), già dichiarati prescritti, perché, trattandosi di fatti commessi anteriormente all'introduzione della disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p., la confisca di valore, presentando comunque una componente sanzionatoria, ha natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209 - 01).
Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio anche relativamente alla confisca per equivalente disposta con riguardo ai reati di cui ai capi 1), 2) e 3), confisca che va eliminata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvioò la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al residuo capo 3) perché il fatto non sussiste e relativamente alla confisca disposta
con riguardo ai reati di cui ai capi 1), 2) e 3), confisca che elimina.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2023