RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12 maggio 2021, la Corte d'appello di Caltanissetta, per quanto qui di rilievo, ha assolto P.C. dal reato di cui al capo Q - art. 483 c.p. - e, per l'effetto, ha ridotto la pena inflitta, nella misura di anni due e mesi sei di reclusione, in relazione al capo M - art. 110 c.p. e D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8 -, per avere emesso, il P., quale socio unico e amministratore di fatto di Soces srl, in concorso con L.C.L., legale rappresentante, nell'anno 2010, n. 31 fatture per operazioni inesistenti, al fine di consentire a Metal Impianti srl l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti affinché l'imputato possa essere considerato amministratore di fatto della società Soces srl.
Secondo il ricorrente l'attribuzione del profilo di amministratore di fatto in capo al ricorrente sarebbe avvenuta senza l'individuazione degli elementi che la giurisprudenza di legittimità ha individuato come sintomatici dell'esercizio del potere gestorio necessario per la configurazione del ruolo di amministratore di fatto ai sensi dell'art. 2639 c.c..
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta recidiva ex art. 99 c.p..
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile perché i motivi sono manifestamente infondati.
5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché non sono applicabili, nel caso in esame, i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore "di fatto" in capo ad un soggetto.
Il ricorrente argomenta che il giudice territoriale non avrebbe motivato per delineare la figura dell'amministratore di fatto secondo i criteri stabiliti dall'art. 2639, c.c. e non avrebbe individuato la presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, come reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Bonelli, Rv. 277540 - 01; Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, Berni, Rv. 264009-01, in relazione ai reati tributari, e Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 246534-01).
La questione appare manifestamente infondata sul rilievo che i criteri sopra enunciati sono stati elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per l'individuazione della figura dell'amministratore di fatto nell'ambito di società e imprese che operano nel contesto economico; criteri che non appaiono trasferibili ed applicabili in un contesto nel quale la società è la mera veste attraverso cui si pongono in essere condotte di reato. La società in tali casi assume il ruolo di "schermo" per l'autore materiale del reato, fenomeno tipico delle società c.d. cartiera. Si tratta, come è noto, di società priva di una reale autonomia e costituita per essere utilizzata come "cartiera" in un meccanismo fiscalmente fraudolento volto ad evadere le imposte.
In tali casi, la dimostrazione della figura dell'amministratore di fatto si traduce in quella del ruolo di ideatore ed organizzatore del suddetto sistema fraudolento, atteso che non è ipotizzabile l'accertamento di elementi sintomatici di un inserimento organico all'interno di un ente solo formalmente operante (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Lucamarini, Rv. 279829 - 02; Sez. 5, n. 32398 del 16/03/2018, Caruso, Rv, 273821).
6. Nel caso in esame, la Corte di appello, con motivazione priva di manifesti vizi logici, ha osservato come la Soces srl, società emittente le false fatture (non oggetto di contestazione) si inseriva in un contesto più ampio e unitario di operazioni truffaldine attuate da numerose società, tra cui la Soces srl, che era utilizzata dal P. come cartiera per l'emissione di fatture per operazioni inesistenti in favore di Metal Impianti srl.
Evidenziano, i giudici territoriali, come il modus operandi, emerso anche nei confronti di altre società coinvolte e accumunate dall'avere in comune il consulente F., prevedeva, mediante la falsificazione dei verbali di assemblea, la sostituzione degli amministratori e l'affidamento dell'amministrazione al prestanome L.C., non impugngte, ma, nella realtà, la gestione continuava ad essere in capo all'amministratore originario che proseguiva nell'emissione di fatture per operazioni inesistenti. Anche la Soces srl era parte di tale sistema ed era risultato dimostrato che la Soces srl era stata adibita al ruolo di cartiera da parte del P., socio unico e amministratore formale fino alla data del 30/3/2010, allorché l'amministrazione passava al prestanome L.C., ma che comunque aveva continuato ad operare essendo stato solo formalmente sostituito dal L.C..
La Soces srl, adibita al ruolo di "cartiera", era asservita alle disposizioni impartite dal ricorrentsche era rimasto socio unico e, in forza di un falso verbale di assemblea, risultava che aveva dismesso la carica sociale nel marzo 2010, in favore del prestanome L.C., dismissione avvenuta proprio prima dell'emissione delle fatture contestate, in un contesto nel quale il medesimo verbale veniva iscritto nel registro delle imprese solo due anni dopo, in data 2 febbraio 2012, elementi da cui, in via logica, la corte territoriale ha ritenuto dimostrata la retrodatazione della sostituzione dell'amministratore ad una data antecedente all'emissione delle fatture, sicché a fronte di tale argomento logico, non è ipotizzabile l'accertamento di elementi sintomatici di un inserimento organico all'interno di un ente esistente secondo i criteri di cui all'art. 2639 c.c..
7. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La recidiva, operando come circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, va obbligatoriamente contestata dal pubblico ministero, in ossequio al principio del contraddittorio, ma può non essere ritenuta configurabile dal giudice (S.U. n. 35738 del 27/05/2010 P.G. in Calibe', Rv. 247838, ora anche nell'ipotesi di recidiva reiterata prevista dall'art. 99 c.p., comma 5, che ha perso la sua connotazione obbligatoria per effetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 185 del 2015). E' compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all'eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali.
In tale ambito, i precedenti penali dell'imputato costituiscono ad un tempo criterio di quantificazione della pena, ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 2, n. 2), e presupposto per la valutazione della sua persistente pericolosità.
Ma, dall'accertato presupposto della sussistenza di precedenti penali, poi, il giudice deve argomentare la maggiore pericolosità che giustifica l'aumento di pena per la recidiva. Vale a dire che il rilievo della recidiva deve essere oggetto di autonoma valutazione nella quale i precedenti penali costituiscono il fatto/presupposto su cui fondare/negare la maggior pericolosità, non essendo congrua una motivazione che rilevata la presenza di precedenti penali in via logica li ponga a base dell'applicazione della recidiva o escluda la richiesta di esclusione della stessa.
La sentenza impugnata è pervenuta a corretta decisione e con motivazione congrua e immune di rilievi di illogicità ha ritenuto la maggiore pericolosità del P. in ragione dei numerosi precedenti penali, uno dei quali omogeneo rispetto a quelli per cui si procede, sulla scorta dei quali ha ritenuto dimostrata la progressiva specializzazione nella commissione di reati tributari e, per l'effetto, la sua crescente pericolosità.
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2022