RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 4 novembre 2021 dalla Corte di appello di Caltanissetta, che ha confermato la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gela che, all'esito di rito abbreviato, aveva condannato F.D.A.R. per due furti in abitazione aggravati, l'uno tentato (capo F) e l'altro consumato (capo A), e per vari furti consumati (capi B, C), E), G) e tentati (capo D), aggravati dall'esposizione alla pubblica fede e/o dalla destrezza. L'imputato era stato condannato, oltre che alla pena ritenuta di giustizia, al risarcimento del danno a favore di G.C.D., persona offesa del reato di furto aggravato di cui al capo B), costituitosi parte civile.
2. Contro la sentenza di cui sopra l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla condanna per furto consumato - e non tentato - ai danni di G.C.D., dal momento che l'imputato era tornato sul posto dopo quindici minuti ed aveva spontaneamente restituito la refurtiva
2.2. Il secondo motivo di ricorso invoca l'esclusione della circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7), quanto al furto a danno del G., perché la persona offesa aveva lasciato l'autovettura aperta e si era allontanato di pochi metri. Inoltre - sostiene il ricorrente - la decisione di lasciare gli oggetti poi trafugati all'interno dell'autovettura non era dipesa da concrete ed impellenti situazioni fattuali, essendo piuttosto riconducibile ad una scelta della persona offesa. L'esclusione della circostanza aggravante in parola determina la procedibilità a querela di parte, procedibilità inibita dalla mancanza della querela.
Accenna, infine, il ricorrente al fatto che la confessione avrebbe imposto il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e che la sentenza impugnata era stata motivata per relationem.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
1. Il primo motivo di ricorso - che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla condanna per furto consumato e non tentato ai danni di G.C.D. - è inammissibile
Effettivamente, la sentenza impugnata non ha fornito risposta al motivo di appello con il quale l'imputato invocava la riqualificazione della fattispecie consumata in quella tentata e il motivo di appello sul punto era specifico. Tuttavia - in disparte la circostanza che la ricostruzione in fatto che si legge nella sentenza di primo grado è diversa da quello che scrive il ricorrente -anche dando per buono quello che si legge nel ricorso e nell'appello circa il ritorno spontaneo di F. sul luogo del furto dopo quindici minuti, ciò non escluderebbe l'avvenuto impossessamento, dal momento che i beni erano stati asportati e sottratti alla disponibilità della persona offesa per un congruo periodo di tempo, mentre la restituzione è solo frutto di una scelta successiva del prevenuto.
Deve pertanto ritenersi che la mancanza di una risposta della Corte di merito non conduca all'annullamento della sentenza, trattandosi di motivo di appello manifestamente infondato, rispetto al quale il ricorrente è privo di interesse a dolersi di una lacuna motivazionale che, in caso di annullamento, non sortirebbe alcun esito positivo nel giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Liberti, Rv. 276745; Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone e altri, Rv. 265878; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Bianchetti, Rv. 263157).
2. Il secondo motivo di ricorso - con cui si invocano l'esclusione della circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7), quanto al furto a danno del G. e le circostanze attenuanti generiche e si contesta la motivazione per relationem - e', nel suo complesso, infondato.
2.1. Quanto al primo aspetto, il Collegio intende dare seguito, ribadendo il principio, alla giurisprudenza di questa sezione secondo cui, ai fini dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., n. 7 devono intendersi esposte "per necessità e consuetudine" alla pubblica fede anche le cose ingombranti o pesanti che la vittima abbia temporaneamente lasciato in un'autovettura parcheggiata sulla pubblica strada, per attendere ad altre incombenze, nonché gli oggetti e i documenti ivi custoditi per necessità o comodità (Sez. 5, n. 38900 del 14/06/2019, Lucchiari, Rv. 277119).
Il precedente richiamato, dopo aver ricordato le divaricazioni esegetiche registratesi nella produzione di questa Corte, ha sviluppato un orientamento che ritiene esposti alla pubblica fede anche oggetti che non costituiscono la normale dotazione di un veicolo, ritenendolo "più aderente alla attuale realtà storico-sociale e meglio rispondente alla ratio dell'aggravamento previsto dall'art. 625 c.p., comma 1, n. 7 e cioè la volontà del legislatore di apprestare una più energica tutela penale alle cose mobili che sono lasciate dal possessore, in modo permanente o per un certo tempo, senza diretta e continua custodia, per "necessità" o per "consuetudine" e che, perciò, possono essere più facilmente sottratte". Si è così valorizzata la necessità di apprestare una più rigorosa tutela, ritenendo il reo meritevole di un aggravamento di pena, ai bisogni della vita quotidiana precisando - e la precisazione non è di poco momento - che i
bisogni della persona offesa devono essere intesi non soltanto quelli "di ordine straordinario, ma anche di natura ordinariamente connessa ai tempi ed alle
modalità con i quali si attende alle incombenze della propria giornata nella società attuale". Vanno tenuti in considerazione, in tale prospettiva, "la rapidità degli spostamenti, la freneticità dei ritmi e l'utilizzo sempre maggiore della propria autovettura come "base" per organizzare la propria giornata di vita, professionale e privata"; ciò impone di ricomprendere nel concetto di cose lasciate per necessità e consuetudine "anche quei beni che, di difficile trasporto per ingombro e peso, debbano essere lasciate in auto nel mentre si attende ad ulteriori incombenze, nonché eventuali oggetti e documenti che l'offeso detenga all'interno dell'autovettura e che per necessità e comodità di custodia abbia lasciato ivi", indicando esemplificativamente "documenti, monili d'oro, occhiali" o anche "le buste contenenti spese di generi alimentari e non".
Ebbene, (‘esegesi della sentenza Lucchiari è pienamente condivisibile, dal momento che può ritenersi ormai un dato di comune esperienza che l'autovettura venga utilizzata non solo per singoli spostamenti, ma anche per trasporti prolungati e consecutivi nel corso della giornata, con l'inevitabile accumulo, all'interno del veicolo, di oggetti appartenenti all'utilizzatore dello stesso, oggetti che sarebbe inesigibile pretendere siano rimossi dall'abitacolo ad ogni sosta, con la conseguente necessità di portarli con sé; ciò integra sia una condizione di necessità che un'oramai acquisita consuetudine che impone/consente di lasciare detti beni nei veicoli parcheggiati contando sulla pubblica fede, da intendersi quale rispetto verso la proprietà altrui in cui confida chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente, incustodita.
2.2. Circa la mancata chiusura dell'autovettura di cui dice il ricorrente, il dato non si evince dalle sentenze di merito e comunque, va ricordata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui sussiste l'aggravante del bene esposto per necessità o consuetudine alla pubblica fede nel caso di furto di autovettura parcheggiata sulla pubblica via o in luogo privato accessibile al pubblico, anche nell'ipotesi in cui la stessa non ha le portiere chiuse con le chiavi (Sez. 4, n. 41561 del 26/10/2010, Taamam, Rv. 248455) e finanche quando quest'ultime siano inserite nel cruscotto del veicolo (Sez. 5, n. 22194 del 06/12/2016, dep. 2017, B., Rv. 270122).
2.3. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, il motivo di ricorso è inammissibile innanzitutto in quanto non vi era specifica richiesta in sede di appello, ove si apprezza un generico riferimento ai "benefici di legge", analogo a quello riportato nella decisione avversata quale conclusione della difesa nel giudizio di gravame; in ogni caso il ricorso è aspecifico rispetto al riferimento al disvalore della condotta ed ai precedenti penali, ancorché esso si colga solo quanto alla quantificazione della pena.
2.4. La doglianza che attiene, infine, alla motivazione per relationem è del tutto generica.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria, il 16 dicembre 2022