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Furto in abitazione i locali destinati ad asilo nido rientrano nella nozione di privata dimora

Furto

Cassazione penale sez. V, 19/12/2022, n.5755

In tema di furto in abitazione, rientrano nella nozione di privata dimora i locali destinati ad asilo nido, trattandosi di luoghi stabilmente caratterizzati da particolare riservatezza e accessibili solo previo consenso del gestore, in quanto funzionali alla cura e all'educazione dei minori di tenera età.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del 3 giugno 2019 del Tribunale di Milano che aveva affermato la penale responsabilità di B.A.M. per il reato di tentato furto in abitazione aggravato dalla violenza sulle cose e, applicate le circostanze attenuanti generiche e la recidiva reiterata specifica infraquinquennale, lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia. In particolare, al B. si contesta di avere tentato di impossessarsi di un computer dopo essersi introdotto all'interno di un asilo nido in un giorno di chiusura forzando con un cacciavite una porta antipanico. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso B.A.M., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente sostiene che il fatto non rientra nella previsione degli artt. 56 e 624-bis c.p., in quanto egli si era introdotto all'interno dell'asilo nido durante il fine settimana, quando all'interno dei suoi locali non veniva svolta alcuna attività relativa all'educazione ed alla cura dei minori; neppure l'imputato aveva tentato di impossessarsi di beni appartenenti ai minori o aveva avuto contatti con il personale scolastico e pertanto non vi era stata alcuna interferenza con coloro che frequentavano l'asilo. Non poteva, quindi, ritenersi che il fatto fosse stato commesso all'interno di una privata dimora, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte di cassazione, secondo la quale non è configurabile il reato previsto dall'art. 624-bis c.p. qualora il furto sia commesso nel corridoio di un istituto scolastico, trattandosi di luogo non riconducibile alla nozione di privata dimora, nell'ambito della quale rientrano esclusivamente i luoghi non aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare e nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata (Sez. 5, n. 51113 del 19/10/2017, Capizzano, Rv. 271629). 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 133 e 133-bis c.p. e la illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, denunciato come eccessivo in considerazione delle sue cattive condizioni economiche, essendo egli disoccupato, e della modesta entità del danno cagionato e del suo atteggiamento collaborativo. 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole del diniego della continuazione tra il reato per il quale si procede e altro reato di furto in abitazione commesso a (Omissis) per il quale egli è stato già giudicato con sentenza di applicazione di pena del Tribunale di Milano del 5 ottobre 2016. La motivazione addotta in proposito è errata in quanto avrebbero dovuto essere considerate le medesime modalità esecutive dei due reati e la tipologia degli stessi e comunque non era necessario che ricorressero tutti gli elementi idonei ad indicare la sussistenza di un unico disegno criminoso, potendo assumere rilievo significativo anche solo uno di essi. Nel caso di specie, la distanza temporale tra i due reati non valeva da sola ad escludere il vincolo della continuazione, considerato anche che il B. era soggetto tossicodipendente da molto tempo ed i reati erano volti a permettergli di reperire le risorse economiche occorrenti all'acquisto della sostanza stupefacente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624-bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270076). La privata dimora è connotata dai seguenti indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare. Occorre, allora, considerare che, secondo quanto affermato nella sentenza qui impugnata, l'asilo nido non era accessibile a chiunque, essendo a tal fine necessario il consenso del gestore, ed era caratterizzato da particolare riservatezza, essendo stabilmente destinato alla cura dei minori, che ivi si trattenevano per giocare e ricevere l'educazione connaturata alla loro tenera età. In applicazione del principio sopra esposto, deve concludersi che nel caso di specie il furto risulta commesso in una privata dimora. Ai fini della sussistenza del reato di furto in abitazione è peraltro irrilevante che il furto sia avvenuto nottetempo e durante il fine settimana, trattandosi di circostanza che non vale a distinguere il furto di cui all'art. 624 c.p. dal furto in abitazione, atteso che a tal fine occorre fare invece riferimento alla natura ed alla destinazione del luogo in cui il furto è stato commesso. Le Sezioni Unite con la sentenza invocata dal ricorrente hanno espressamente escluso che al fine di distinguere il furto in abitazione da quello ex art. 624 c.p. possano assumere rilievo l'orario, notturno o diurno, o la presenza o meno di persone all'interno del luogo in cui il delitto è stato commesso (vedi p. 2.2. del "considerato in diritto" di Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270076 secondo la quale una diversa interpretazione dell'art. 624-bis c.p. non può essere condivisa, in quanto si farebbe dipendere l'applicazione di un trattamento sanzionatorio più grave da elementi estranei alla fattispecie e, per di più, vaghi, incerti ed accidentali, legati al carattere temporale o all'effettivo esercizio dell'attività ivi svolta). 2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Solo l'irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133 c.p., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932), mentre per una pena base contenuta entro tale limite è sufficiente un generico rinvio all'adeguatezza della pena (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283) e quindi agli elementi di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa Giorgio, Rv. 276288). Peraltro, la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288). In applicazione di tale principio la misura della pena irrogata, inferiore alla media edittale, risulta adeguatamente motivata dalla Corte di appello attraverso il richiamo dei criteri di cui all'art. 133 c.p.. Peraltro, il Tribunale aveva già applicato le circostanze attenuanti generiche che hanno eliso l'aumento di pena per la recidiva reiterata, cosicché, sostanzialmente, le predette attenuanti sono state ritenute equivalenti alla recidiva reiterata specifica. La prevalenza di dette attenuanti e', invece, esclusa dal divieto di cui all'art. 69 c.p., comma 4. 3. Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio, affermato da questa Corte di cassazione in tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva, secondo il quale è legittimo escludere la sussistenza del vincolo della continuazione in considerazione sia del notevole lasso di tempo intercorrente fra i vari fatti criminosi (se tale elemento non sia contrastato da positive e contrarie risultanze probatorie), sia dei frequenti periodi di detenzione subiti dal richiedente, verosimilmente interruttivi di qualunque progetto, non potendo concepirsi che un disegno delittuoso includa anche gli arresti, l'espiazione delle pene e le riprese del fantomatico progetto esecutivo (Sez. 1, n. 44988 del 17/09/2018, M., Rv. 273984). Nel caso di specie tra un reato e l'altro è trascorso più di un anno e medio tempore il B. ha pure sofferto un periodo di detenzione per il primo reato di furto per il quale è stata già emessa sentenza ormai definitiva. E' ben vero, in tema di reato continuato, che a seguito della modifica dell'art. 671 c.p.p., comma 1, ad opera della L. 21 febbraio 2006, n. 49, lo stato di tossicodipendenza, pur non comportando automaticamente il riconoscimento dell'unicità del disegno criminoso, può giustificarlo con riguardo ai reati che siano collegati e dipendenti a tale stato, ma è pur sempre necessario che ricorrano anche le altre condizioni individuate dalla giurisprudenza per la sussistenza della continuazione (Sez. 2, n. 22493 del 21/03/2019, Avanzini, Rv. 275420). 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2022. Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2023
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