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Impedimento del difensore: valutazione certificato medico

Cassazione penale sez. VI, 22/02/2024, (ud. 22/02/2024, dep. 07/03/2024), n.9848

Deve considerarsi legittimo il provvedimento con il quale il giudice, acquisito il certificato medico prodotto dal difensore, valuti, anche indipendentemente da verifiche fiscali e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza debitamente esposte nella motivazione, l'insussistenza di una condizione tale da comportare l'impossibilità per l'imputato di comparire in giudizio, se non a prezzo dì un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Taranto, sez, dist., confermava la condanna disposta in primo grado nei confronti di Vi.Ba. per il delitto di maltrattamenti in famiglia (artt. 572 cod. pen., 61, n. 11-quinquies, 582, 585 cod. pen.) nei confronti della moglie. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, articolando, per il tramite del suo difensore, Avvocato Davide Parlatano, otto motivi. 2.1. Violazione della legge penale sostanziale e processuale per il mancato riconoscimento del legittimo impedimento dell'imputato. Il giorno dell'udienza del 15/12/2020, durante la quale sono state ascoltate la persona offesa e i testi a carico, l'imputato era affetto da gastroenterite, come da certificazione medica esibita al Tribunale e depositata in dibattimento; inoltre, la mattina dell'udienza aveva comunicato al suo difensore di avere la febbre. Il Tribunale, edotto della circostanza, non ha dichiarato il legittimo impedimento, trascurando che l'imputato non avrebbe potuto far pervenire certificazione medica in un periodo, quello della piena emergenza Covid-19, in cui il minimo sintomo riconducibile all'epidemia imponeva di avvisare l'ASL e di effettuare gli accertamenti (tampone). Né sono state disposte le verifiche necessarie a ravvisare la sussistenza dell'impedimento, come avrebbero dovuto essere, disponendo un rinvio. Anche in considerazione della specificità della situazione pandemica allora in corso, sarebbe, dunque, stato violato il diritto dì difesa che si estrinseca in quello di partecipare fisicamente al processo ordinario di appello, da cui deriverebbe una nullità assoluta, ex art. 185 cod. proc. pen. 2.2. Travisamento della prova. L'incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato e il contenuto degli atti del procedimento disarticolerebbe la coerenza logica della motivazione, avendo la Corte d'appello fondato il suo convincimento su risultati di prova obiettivamente diversi da quelli acquisiti ed essendosi appiattita sulla sentenza di primo grado, senza valorizzare gli elementi probatori a discarico dell'imputato. In particolare, i Giudici di secondo grado hanno ritenuto attendibile la persona offesa Simeone, che aveva reso una testimonianza fumosa e confusa, e non l'imputato, le cui dichiarazioni erano invece riscontrate (la parte offesa aveva sostenuto che l'ex marito lavorava per poco tempo e poi perdeva il lavoro; i testi hanno affermato che l'imputato lavorava sempre. La credibilità della persona offesa è inoltre inficiata dal fatto di aver negato di aver avuto, in costanza di matrimonio, relazioni extraconiugali, circostanza smentita dalle dichiarazioni dei testi e dalla produzione documentale). Egualmente, la comune figlia Vi. è stata dichiarata credibile nonostante le palesi incongruenze della sua deposizione, avendo, per esempio, ella negato di aver ricevuto una lettera di un avvocato che scriveva per tutelare il diritto del nonno di frequentare la nipotina, salvo poi, su contestazione diretta della difesa, ammettere tale circostanza. La Corte ha ritenuto irrilevante che il Tribunale dei minorenni avesse previsto il diritto del nonno di incontrare la nipotina, che sempre la figlia Vi. non gli faceva vedere, con ciò evidentemente escludendo la pericolosità dell'imputato. Anche la figlia De. avrebbe offerto, in sede di esame, versioni dei fatti opposte a quelle rese in sede di sommarie informazioni e acquisite al fascicolo del dibattimento, elemento del pari considerato irrilevante dalla Corte d'appello. Né i Giudici hanno spiegato perché la medesima De. fosse rimasta a casa con il padre quando sarebbe potuta andare a vivere con la madre, la sorella o anche da sola, visto che era economicamente indipendente. La sentenza impugnata è poi incorsa in un vizio di motivazione a proposito dell'episodio in cui si assume che l'imputato avrebbe volontariamente versato benzina sulla figlia Vi.. Si afferma, infatti, che l'imputato non aveva spiegato perché si trovasse con una tanica di benzina in mano, laddove, invece, aveva chiarito che il combustibile gli serviva per rabboccare il serbatoio e l'altro figlio, Gi., aveva chiarito che la tanica fu colpita dalla sorella con un gesto repentino della mano che fece accidentalmente volare la benzina. Ciò nondimeno, sono state ritenute credibili le versioni della persona offesa e di Vi., e non quelle dell'imputato e di Gi. che, peraltro, riferì come i rapporti tra i genitori fossero caratterizzati da alti e bassi, ma escluse episodi di violenza. Infine, dai referti medici prodotti dall'imputato si evince come questi avesse subito un trauma da contatto nella zona giugulare con escoriazioni per una aggressione subita dalla moglie in data (Omissis). Tale certificazione non è stata presa in considerazione, a differenza di quella prodotta dalla persona offesa. Neppure sarebbero state valutate le testimonianze a discarico, ma soltanto quelle dei testi a carico, seppure fumose e contraddittorie. Nella condotta del ricorrente difetterebbe, infine, il requisito della abitualità. 2.3. Errata applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 11-quinquies, cod. pen. Nessuno dei testimoni ha riferito della presenza di minori durante le liti, sia la persona offesa, sia le due figlie avendo sempre parlato di fatti accaduti dopo il 2014, quando entrambe le ragazze (nate, rispettivamente, nel (Omissis) e nel (Omissis)) erano maggiorenni. 2.4. Inosservanza della legge penale in relazione al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto. La Corte d'appello è incorsa in violazione di legge e vizio di motivazione giacché non ha rilevato d'ufficio i presupposti, all'evidenza sussistenti, per l'applicazione dell'articolo 131 -bis cod. pen., essendo la pena detentiva irrogata vicino al limite edittale e non essendo mai stato l'imputato dichiarato delinquente abituale professionale o per tendenza. 2.5. Applicabilità dell'articolo 131-bis cod. pen., rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado ed anche in caso di inammissibilità dei motivi di ricorso. Premesso che, secondo l'orientamento condiviso dalle Sezioni unite, l'inammissibilità del ricorso non rappresenta un ostacolo all'esame delle questioni relative all'applicazione dello ius superveniens favorevole all'imputato (Sez. U n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265111), nel caso di specie, si sarebbe potuta applicare la disposizione in oggetto, che ha quale presupposto la non abitualità del comportamento, nozione più ampia rispetto a quella di occasionalità, definita dallo stesso art. 131-bis, comma 3, cod. pen. 2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'aumento della pena per la continuazione. L'aumento di pena per la continuazione, troppo elevato, noi è stato motivato, come invece richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, vieppiù ove si determini una sperequazione nel trattamento sanzionatoirio, come accade nel caso di specie. 2.7. Mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Le circostanze attenuanti generiche non possono essere negate in ragione della gravità del reato, potendo essere riconosciute anche in relazione a delitti particolarmente gravi, né per i precedenti dell'imputato, di per sé non ostativi, dovendo il giudice fare riferimento, piuttosto, ai criteri dell'articolo 133 cod. pen. 2.8. Irrogazione di una pena troppo severa e vizio di motivazione quanto alla sua illegalità. La pena concretamente applicata è sproporzionata per eccesso, rinnegando con ciò la propria funzione rieducativa. 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla L. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta, nei termini ivi previsti, di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Le deduzioni contenute nel primo motivo sono già state valutate e respinte dalla Corte d'appello la quale, nella sentenza impugnata, ha specificato che, a sostegno dell'istanza di rinvio, il difensore aveva prodotto un generico attestato di malattia telematico datato al (Omissis) (giorno prima dell'udienza) da cui non risultava né la malattia da cui sarebbe stato affetto l'imputato né la prevedibile durata della stessa. Sicché, il mancato riconoscimento dell'impedimento da parte della Corte di appello nel caso di specie si pone nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte, che reputa legittimo il provvedimento con il quale il giudice, acquisito il certificato medico prodotto dal difensore, valuti, anche indipendentemente da verifiche fiscali e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza debitamente esposte nella motivazione, l'insussistenza di una condizione tale da comportare l'impossibilità per l'imputato di comparire in giudizio, se non a prezzo dì un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute (ex multis, Sez. 4, n. 13102 del 21/12/2018, dep. 2019, Falcione, Rv. 275285). Il motivo risulta, quindi, manifestamente infondato. 3. Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso che, sebbene intitolato al travisamento della prova, sollecita un'alternativa valutazione della stessa, inammissibile in sede di legittimità, riproponendo deduzioni in Fatto cui la Corte di appello ha replicato analiticamente in modo esaustivo e logico, oltre che rispettoso dell'insegnamento di Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253213. Infatti, le dichiarazioni della persona offesa, pur essendo state considerate lineari e coerenti, hanno trovato riscontro in quelle delle due figlie, anch'esse ritenute attendibili, e nella relazione di pronto soccorso. Quanto, per esempio, all'episodio della tanica di benzina - con cui l'imputato cosparse l'autovettura e poi la figlia Vi. -, la Corte di appello ha ritenuto accertato che il gesto fosse stato determinato dall'ira per il fatto che la figlia Vi. avesse parcheggiato l'auto nello scantinato di pertinenza dell'abitazione familiare; mentre, in relazione all'episodio del (Omissis), nella sentenza si riferisce che l'imputato confermò i fatti, sebbene fornendone una versione non credibile poiché smentita dalla natura delle aggressioni diagnosticate (il ricorrente aveva sostenuto di aver dato una spinta alla persona offesa, ma i sanitari del pronto soccorso certificarono un trauma contusivo emiviso sinistro con riferita otalgia post trauma), e si precisa altresì che le lesioni riportate dall'imputato nella medesima occasione ben potevano essere dipese dalla reazione di difesa della donna, che verosimilmente lo afferrò per la gola. Ancora, la Corte di appello ha argomentato che le dichiarazioni delle figlie Vi. e De. avevano confermato l'abitualità del comportamento vessatorio dell'imputato nei confronti della persona offesa, invece genericamente revocato in dubbio dal ricorrente. Ed ha anche precisato che la discrasia trai quanto affermato dalla seconda ai carabinieri e poi in dibattimento fu spiegata dalla stessa De., la quale riferì di essere stata minacciata dal genitore, aggiungendo che questi assunse nei suoi confronti, dopo l'allontanamento della madre, gli stessi atteggiamenti vessatori che aveva nei confronti di quest'ultima. Del pari, i giudici di secondo grado avevano già replicato alla deduzione relativa al Tribunale per i minorenni, spiegando come la figlia Vi. ne avesse sollecitato l'intervento per impedire al nonno di frequentare la nipotina (la figlia di Vi.), non volendo che la bambina assistesse alle scene che si svolgevano nell'abitazione dei genitori. Né corrisponde al vero che la Corte di appello abbia pretermesso le osservazioni difensive volte ad eccepire come il Tribunale non avesse adeguatamente valutato le testimonianze a discarico dell'imputato. Per contro, la sentenza impugnata ha dato specificamente atto di tali deposizioni ma, in modo affatto coerente, ha ritenuto irrilevante il mero fatto che i testi non avessero assistito a comportamenti violenti, essendo improbabile che questi fossero compiuti in presenza di estranei (aggiungendo che le eventuali relazioni extraconiugali della persona offesa non potevano scriminare il comportamento maltrattante dell'uomo e che erano, comunque, attribuite alla donna in modo generico). La Corte ha anche puntualizzato che la testimonianza del figlio Gi. era stata costellata da "ingiustificabili amnesie che avevano indotto ripetutamente il giudice di primo grado ad ammonirlo", apparendo quindi reticente, e che era comunque poco significativa, avendo il teste dichiarato di essersi sposato, allontanandosi dall'abitazione dei genitori nel 2013, e di ignorare quali fossero, a partire da quel momento, le dinamiche familiari. In conclusione, si ribadisce che la motivazione del provvedimento impugnato risulta completa, logica e non contraddittoria. Con essa il motivo ricorso non si confronta, risultando, dunque, generico. 4. Quanto alla dedotta non configurabilità dell'aggravante della presenza dei minori (art. 61, n. 11 quinquies, cod. pen.), sebbene l'escalation dei maltrattamenti avesse raggiunto l'acme con l'episodio di aggressione del 17/11/2016, nel capo di imputazione è precisato che le condotte delittuose furono realizzate "nel corso di tutta la vita familiare" e che consistettero in una serie reiterata, a livello quotidiano, vessazioni consistite, tra l'altro, in gravi ingiurie. Né dalle sentenze di merito (si è al cospetto di urta c.d. doppia conforme) emergono elementi che revochino in dubbio come tali comportamenti fossero stati resi alla presenza dei figli anche quando non avevano ancora raggiunto la maggiore età. Di conseguenza, anche il terzo motivo risulta inammissibile. 5. Manifestamente infondati sono il quarto e il quinto motivo. In disparte ogni rilievo critico in ordine all'asserito automatismo applicativo dell'art. 131-bis cod. pen., da cui il ricorrente pretenderebbe di far discendere un riconoscimento ex officio della fattispecie (non essendo stato il relativo motivo dedotto in appello) e retroattivo (in quanto legge in bonam partem), la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è applicabile ai maltrattamenti in famiglia per almeno due ordini di ragioni. Innanzitutto, è incompatibile con gli editti sanzionatori del delitto in esame. Sul punto va ricordato che, per pacifico insegnamento, ai fini della individuazione della /ex miti or sensi dell'art. 2, comma 4, cod. pen. deve aversi riguardo al complessivo trattamento (anche, ma non solo sanzionatorio) della fattispecie, non essendo possibile "spacchettare" le differenti disposizioni, in modo da "comporre" la disposizione di legge più favorevole da applicare al caso concreto. Ciò premesso, la causa di non punibilità in oggetto si applica ai reati puniti con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, laddove l'art. 572 cod. pen. prevede, quale minimo edittale, tre anni. D'altronde, vero è che, al momento della consumazione del reato, nel 2016, il minimo edittale era di due anni (innalzato a tre anni dall'art. 9 I. 19/07/2019, n. 69); tuttavia, il testo allora vigente dell'art. 131-bis, introdotto nel 2015, ne limitava l'applicazione ai reati per cui fosse prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, mentre i maltrattamenti erano allora puniti con la pena massima di sei anni: con la conseguenza che non sarebbero comunque rientrati nella previsione dell'art. 131-bis cod. pen., sicché, comunque, non potrebbe trovare applicazione. A ciò si aggiunga che i maltrattamenti in famiglia sono un reato abituale e che tale connotazione esclude l'occasionalità del comportamento la quale rappresenta requisito necessario dell'art. 131-bis cod. pen. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, par. 14; di recente, Sez. 6 n. 25841 del 30/03/2023, A., non mass.). 6. A fronte delle deduzioni generiche contenute nei motivi settimo e ottavo, rispettivamente vertenti sulla mancata applicazione delle attenuanti generiche e sulla commisurazione pena - la motivazione della sentenza impugnata in punto trattamento sanzionatorio risulta, sebbene sintetica, puntuale e coerente. Premesso che il Tribunale aveva fissato la pena base in due anni e quattro mesi di reclusione, aumentandola di quattro mesi per l'aggravante della presenza dei minori ed altri quattro mesi per la continuazione, la Corte di appello ha ritenuto, quasi testualmente, ineccepibile la dosimetria in primo grado tanto della pena, di poco superiore al minimo edittale previsto, all'epoca dei fatti per i più il più grave delitto di maltrattamenti, quanto quella inflitta per l'aggravante e per il reato satellite, a dispetto dell'entità delle lesioni. Quanto alle circostanze attenuanti generiche ha precisato che al relativo riconoscimento osta un precedente penale, benché remoto, per ricettazione, e, soprattutto, l'assenza di elementi positivi da cui desumere la necessità di adeguamento il trattamento sanzionatorio edittale all'effettivo disvalore del fatto. Sfuggendo al sindacato di questa Corte, che è giudice di mera legittimità, i motivi in oggetto risultano, dunque, inammissibili. Così come inammissibile è il sesto motivo di ricorso, sulla continuazione, nemmeno previamente dedotto in appello (art. 606, comma 3, ult. per., cod. proc. pen.), quanto al difetto di motivazione, e che sarebbe, comunque, manifestamente infondato, essendosi per la continuazione con il reato satellite disposto un aumento sicuramente non eccessivo, che implica, pertanto, un contenuto onere motivazionale (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269). 7. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 22 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2024.
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