Maltrattamenti in famiglia: lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento
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Cassazione penale sez. VI, 22/02/2024, (ud. 22/02/2024, dep. 07/03/2024), n.9849

Lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, non escludendo sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima la sussistenza di uno stato di assoggettamento a fronte di soprusi abituali.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Lecce confermava la condanna disposta in primo grado nei confronti di Mi.Ro. per due distinti delitti di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) (capi di imputazione a) e c)) e di lesioni (artt. 582,585, comma 1, 577, comma 1, cod. pen.) nei confronti della moglie (capo b).

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, articolando, per il tramite del suo difensore, Avvocato Antonio Palumbo, quattro motivi.

2.1. Mancata correlazione tra sentenza e accusa.

La Corte di appello ha condannato l'imputato in relazione al capo di imputazione b), mai contestato.

2.2. Omessa motivazione.

La legittimità della motivazione per relationem alla sentenza di primo grado è subordinata a tre presupposti: 1) la sentenza deve richiamare una motivazione congrua; 2) la sentenza deve fornire la dimostrazione che il giudice avesse preso cognizione delle ragioni del provvedimento di riferimento; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, deve essere conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile.

Nel caso di specie non si comprenderebbe: quale percorso argomentativo abbia seguito la Corte d'appello nell'elencazione dei motivi di appello; quale sia il vaglio critico e comparativo tra la sentenza di primo grado e l'atto d'appello; in base a quale criterio sono state respinte le tesi difensive.

2.3. Errata applicazione della fattispecie di maltrattamenti in famiglia, in relazione all'elemento oggettivo.

Nel caso di specie difetterebbe il requisito dell'abitualità, nonché la produzione nel soggetto passivo di uno stato di soggezione, che la giurisprudenza di legittimità ha talvolta escluso nel caso di offese reciproche, dalle risultanze probatorie non essendo emerso che vittima sia precipitata in uno stato di inferiorità psicologica, quale condizione generale di avvilimento e sopraffazione, in conseguenza delle vessazioni subite.

2.4. Vizio di motivazione quanto alla successiva remissione della querela da parte della persona offesa.

Dopo la condanna del coniuge, la persona offesa ha rimesso la querela, a dimostrazione della scarsa attendibilità della stessa e della conseguente illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla L. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta, nei termini ivi previsti, di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

Il ricorrente ha presentato una memoria in cui replica alla requisitoria scritta del Procuratore Generale, insistendo sul vizio della motivazione per relationem del provvedimento impugnato nonché sui riflessi che la remissione di querela avrebbe sul delitto di maltrattamenti in famiglia che, nel caso di specie, sarebbe comunque escluso alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.

2. Quanto alla ritenuta omessa contestazione del capo b), in effetti, nella sentenza di primo grado, a differenza che in quella impugnata, non risulta graficamente riportata, dopo l'epigrafe, la contestazione autonoma del delitto di lesioni commesso il (Omissis), quando l'imputato procurò alla persona offesa una rottura delle costole, guaribile in 25 giorni (corrispondente al secondo degli episodi di aggressione descritti nel primo capo sui maltrattamenti in famiglia).

Si tratta tuttavia, all'evidenza, di mero errore materiale, come si desume dal fatto che il capo di imputazione dei maltrattamenti è numerato "a)", il che lascia intendere che ad esso segua quantomeno un capo "b)", nonché - e soprattutto - dal fatto che sempre la sentenza di primo grado dedica parte della motivazione "alla contestazione relativa alle lesioni aggravate", ritenute per altro in continuazione con i maltrattamenti (rispettivamente, pp. 16 e 17 della sentenza del Tribunale): senza che il ricorrente abbia, peraltro, dedotto il vizio in appello.

Il primo motivo di ricorso è, dunque, inammissibile.

3. Manifestamente infondato è il secondo motivo.

In disparte il fatto che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l'illegittimità della sentenza d'appello solo perché motivata per relationem alla decisione di primo grado, senza indicare i punti dell'atto di appello non valutati dalla decisione impugnata (Sez. 3, n. 37352 del 12/03/2019, Marano, Rv. 277161), il ricorrente eccepisce formalmente un'omessa motivazione. Nella sostanza, sembra, però, piuttosto criticare lo stile argomentativo del provvedimento impugnato che, dal canto suo, certamente rispetta l'obbligo motivazionale, avendo il Giudice di secondo grado compiuto sintetici ma analitici, esaustivi e perspicui richiami ai singoli motivi di appello, cui risponde "punto per punto", sottraendosi, pertanto, a qualsiasi censura in sede di legittimità.

4. Anche il terzo motivo è inammissibile.

La Corte di appello, nel rispondere ad analoga eccezione, ha già replicato, conformandosi anche testualmente all'insegnamento di questa Corte (Sez. 3, n. 46043 del 20/03/2018, C., Rv. 274519), che lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situa2:ione di completo abbattimento, ma può consistere in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, non escludendo sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima la sussistenza di uno stato di assoggettamento a fronte di soprusi abituali.

Nell'ulteriormente contestualizzare il principio di diritto rispetto alle specificità del caso concreto, ha poi chiarito che le vessazioni duravano da anni e che indubbiamente avevano prostrato psicologicamente la vittima, precisando ulteriormente che la donna si era determinata a denunciare l'imputato a distanza di molto tempo, quando constatò di non poter nemmeno inviare i messaggi alla figlia senza scatenare l'ira del marito.

Sul punto, è soltanto il caso di aggiungere - con precipuo riferimento alle deduzioni difensive successivamente integrate nella memoria - che, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, gli episodi contestati - ritenuti dai giudici di merito senz'altro abituali - non sono affatto riconducibili a mera "litigiosità di coppia", consistendo, al contrario, in comportamenti reiterati, ancorché non sistematici, che, valutati complessivamente, sono apparsi ai Giudici di merito lesivi, con violenza fisica o psicologica, della dignità e identità della persona offesa, di cui - come riferito - è stata limitata la sfera di autodeterminazione (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273).

5. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso.

5.1. La remissione di querela non può incidere, negandola retrospettivamente, sulla rilevanza penale dei maltrattamenti i quali integrano un reato - come riconosciuto dal ricorrente - peraltro perseguitabile d'ufficio. Tantomeno intacca la già rilevata tenuta logica della motivazione, sviluppata in modo compiuto e non contraddittorio.

Ciò, in disparte ogni considerazione sulla frequenza con cui, stante la specificità dei rapporti di coppia caratterizzati dalla sopraffazione di una parte sull'altra, le querele sono rimesse, talvolta dietro spinte coattive (nel caso di specie, peraltro, nella sentenza di primo grado si dà atto delle ripetute minacce rivolte dall'imputato alla persona offesa perché non presentasse denuncia/querela a fronte delle gravi condotte che ne hanno leso integrità fisica e morale).

5.2. Il rilievo difensivo sollecita, tuttavia, una precisazione, potendo erroneamente indurre a ritenere che quantomeno il delitto di lesioni (capo b) sia divenuto non procedibile a seguito della dedotta remissione della querela da parte della persona offesa (con conseguente rilevabilità d'ufficio anche in caso di ricorso inammissibile, trattandosi di modifica in melius. In tal senso, Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265111).

Non sarebbe, però, così.

Infatti, sebbene, a seguito della c.d. riforma Cartabia, le lesioni ai danni del coniuge siano divenute perseguibili a querela di parte (art. 582, comma 2, cod. pen., come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. b) D.Lgs. 10/10/2022, n. 150), quelle per cui si procede sono le medesime descritte nel secondo punto del capo a) di imputazione relativo al delitto di maltrattamenti.

Di conseguenza, varrebbe per esse la regula iuris della c.d. contestazione in fatto dell'art. 576, comma 1, n. 5, cod. pen.

Dovrebbe, cioè, concludersi che il reato di lesioni personali, quando commesso in occasione del delitto di maltrattamenti, restia procedibile d'ufficio anche in caso di lesioni lievissime e - oggi - di lesioni comuni (come nel caso di specie), per effetto del richiamo operato dall'art. 582, comma 2, cod. pen. all'art. 585 e di questo, a sua volta, al citato art. 576, comma 1, n. 5, cod. pen (in tal senso, già Sez. 6, n. 11002 del 22/01/2020, B., Rv. 278714; Sez. 6, n. 3368 del 12/01/2016, C., Rv. 266007).

6. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 22 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2024.

Maltrattamenti in famiglia: lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento

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