RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento indicato in epigrafe, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza emessa 20 luglio 2021 dal Tribunale di Palermo, ha rideterminato la pena inflitta al ricorrente eliminando la pena detentiva e confermando la pena della multa di Euro 200,00, previa diversa qualificazione nel reato di cui all'art. 570-bis c.p., rispetto all'originaria imputazione formulata dal pubblico ministero e relativa al più grave reato previsto dall'art. 570, comma 2, n. 2 c.p..
Con l'anzidetta sentenza è stato ritenuto accertato che l'imputato non ha provveduto al pagamento delle somme stabilite dal giudice civile per il mantenimento dei due figli minori, avendo corrisposto somme mensili dell'importo di 400 Euro a fronte dell'importo di 800 Euro stabilito in sede di accordo omologato nel maggio del 2013, nei soli mesi di novembre e dicembre 2014 e di febbraio 2015.
La Corte ha escluso che detti limitati inadempimenti parziali abbiano comportato l'omesso versamento dei mezzi di sussistenza necessari per i due figli, ma non avendo ritenuto giustificati tali inadempimenti da una situazione di oggettiva impossibilità di adempiere, pur prendendo atto della contrazione dei profitti dell'attività economica dell'imputato, ha ritenuto integrato il meno grave reato previsto dall'art. 570-bis c.p. che sanziona l'inadempimento degli obblighi di contribuzione economica in materia di affidamento dei figli, a prescindere dalla prova dello stato di bisogno.
2. Tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso C.M. articolando i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e vizio della motivazione per illogicità e contraddittorietà, perché, pur essendo stato dato atto della situazione di difficoltà economica del ricorrente è stato escluso che il predetto si sia trovato nell'impossibilità di adempiere, in considerazione della istruttoria svolta in rapporto alla diversa più grave imputazione ascritta, non essendo stata la linea di difesa del C. orientata dalla necessità di escludere la sussistenza di tale meno grave imputazione.
La prova dell'assoluta impossibilità di adempiere è stata comunque resa dall'imputato rispetto alla più grave imputazione, avendo dimostrato una contrazione dei guadagni rispetto alla più grave accusa mossagli.
2.2. Con il secondo motivo deduce l'omessa motivazione sulla mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. che pure era stata sollecitata nelle conclusioni scritte dalla difesa, ma non anche nei motivi di appello.
3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi dell'art. 23, commi 8 e 9, D.L. n. 137 del 2020, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento delle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In tema di correlazione tra accusa e sentenza, costituisce principio consolidato che il rispetto della regola del contraddittorio - che deve essere assicurato all'imputato, anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, conformemente all'art. 111, comma 2, Cost., integrato dall'art. 6 Convenzione Europea, come interpretato dalla Corte EDU - impone esclusivamente che detta diversa qualificazione giuridica non avvenga "a sorpresa" e cioè nei confronti dell'imputato che, per la prima volta e, quindi, senza mai avere la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all'originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato. Ne consegue che non sussiste la violazione dell'art. 521 c.p.p. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione.
Nel caso di specie la contestazione del reato più grave della violazione degli obblighi di mantenimento dei figli minori conteneva in sé anche quella della violazione meno grave degli obblighi di versamento degli assegni mensili dovuti per l'assistenza dei figli, stabiliti con provvedimento del Giudice civile in sede di separazione o divorzio.
La derubricazione del reato non ha leso affatto i diritti di difesa dell'imputato, perché la diversa qualificazione non ha inficiato neppure la sua linea di difesa.
Invero, l'argomento centrale dell'impossibilità di adempiere è stato escluso concordemente dai giudici dei due gradi merito ed è stato un tema di prova affrontato per l'imputazione più grave, che prevedeva degli importi maggiori come parametro di ragguaglio della verifica negativa operata, quindi, altrettanto valida per escludere l'incapacità di affrontare delle spese addirittura minori rispetto a quelle oggetto dell'inadempimento contestato, essendo sostanzialmente identico il tema di prova.
L'allegata contrazione dei suoi guadagni è stata valutata nel corso del giudizio di merito irrilevante quale valida giustificazione anche rispetto al parziale inadempimento delle uniche tre mensilità che sono state ritenute accertate all'esito del giudizio di appello.
Pertanto, la diversa qualificazione del reato operata all'esito del giudizio di appello non può ritenersi inaspettata come addotto dall'imputato perché si tratta di imputazioni contigue di cui quella meno grave può essere considerata un prevedibile sviluppo dell'altra.
2. Risulta invece fondato il secondo motivo di ricorso.
La Corte di appello ha omesso di motivare del tutto sulle ragioni della mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall'arti. 131-bis c.p. che pure era stata richiesta nel corso del giudizio di appello in sede di conclusioni.
La causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis, c.p., infatti, può essere rilevata di ufficio dal giudice d'appello, in quanto, per assimilazione alle altre cause di proscioglimento per le quali vi è l'obbligo di immediata declaratoria in ogni stato e grado del processo, la stessa può farsi rientrare nella previsione di cui all'art. 129, c.p.p. (Sez. 6, n. 2175 del 25/11/2020, dep. 2021, Ugboh, Rv. 280707: principio affermato proprio in un'ipotesi in cui la richiesta di applicazione della causa di non punibilità era stata avanzata per la prima volta nella fase delle conclusioni orali del giudizio di appello).
Dalla stessa ricostruzione dei fatti operata nella sentenza di appello, valorizzata ai fini della determinazione della pena, emerge l'occasionalità dell'inadempimento, limitato ai soli mesi di dicembre 2014, gennaio e febbraio 2015, e la parzialità di quest'ultimo essendo stato versato l'importo di Euro 400 a fronte di quello stabilito di Euro 800.
Assume anche rilievo, poi, l'ulteriore accertamento svolto dalla Corte di Appello, secondo cui lo stesso ricorrente aveva versato importi straordinari ed aggiuntivi non esigui nei mesi di giugno, settembre, ottobre, novembre 2013 e giugno 2014.
Si è trattato, quindi, di un notevolissimo ridimensionamento del fatto, che avrebbe imposto alla Corte di appello di vagliare la sussistenza della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p., considerato che, in linea con gli orientamenti espressi sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, anche la violazione ripetuta ma occasionale - come nella specie - ne può giustificare l'applicabilità (vedi, Sez. 6 n. 16847 del 09/01/2019, F., Rv. 275547).
S'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata sul punto, che deve essere disposto senza rinvio ai sensi dell'art. 620, lett. I) c.p.p., tenuto conto degli stessi elementi di fatto richiamati in motivazione che consentono di ravvisare la sussistenza di detta causa di non punibilità, poiché, in ragione della occasionalità degli inadempimenti può escludersi l'abitualità della condotta, non risultando a carico del predetto imputato neppure precedenti penali, avendo la Corte di appello fatto riferimento anche al suo stato di incensuratezza in sede di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Considerato che il procedimento riguarda reati commessi in danno di un minore si deve disporre nel caso di diffusione del presente provvedimento l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti private a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché l'imputato non è punibile ai sensi dell'art. 131 bis c.p..
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2023