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Omessa dichiarazione: responsabilità dell'amministratore di diritto anche se prestanome per mancata vigilanza

Omessa dichiarazione

Cassazione penale sez. III, 16/12/2022, n.20664

L'amministratore di diritto risponde del reato tributario punito a titolo di dolo specifico quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1.1 sigg.ri V.G. e R.R. ricorrono per l'annullamento della sentenza del 07/03/2022 della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della sentenza del 20/07/2021 del Tribunale di Messina da loro impugnata, ha concesso alla V. il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la condanna alla pena principale, rispettivamente, di un anno e sei mesi di reclusione, irrogata alla prima, di due anni e sei mesi, irrogata al secondo, per il reato di cui agli artt. 110 c.p., 5, D.Lgs. n. 74 del 2000, oltre pene accessorie e confisca dei beni per un valore corrispondente al profitto del reato. 2. V.G. deduce con unico motivo l'omessa valutazione e il travisamento di emergenze processuali che, se prese in considerazione, avrebbero condotto ad una diversa conclusione. I Giudici di merito, lamenta, non hanno minimamente valutato quel che appariva evidente dall'esame delle risultanze processuali: la possibilità che l'imputata fosse ignara della posizione ricoperta all'interno della società da lei rappresentata, che si trattasse di una mera, inconsapevole prestanome priva di qualsiasi potere direttivo, non avendo mai svolto alcun tipo di attività lavorativa, tantomeno gestionale all'interno dell'azienda al punto da risultare sconosciuta persino ai dipendenti (che invece conoscevano soltanto il R. come unico e solo gestore della società che impartiva ordini e direttive, erogava gli stipendi, faceva colloqui di lavoro). La mera imputazione causale del fatto non è sufficiente, afferma, perché non assolve all'onere di provare il dolo specifico del reato omissivo. Le argomentazioni della Corte di appello volte a dimostrate la piena e consapevole partecipazione della ricorrente al programma elusivo del R. non sono sufficienti a sanare i non pochi dubbi del contrario. 3. R.R. propone sei motivi. 3.1.Con il primo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 546, comma 3, c.p.p. in quanto la sentenza impugnata contiene molteplici errori: a) nell'intestazione è scritto che si tratta di sentenza contestualmente motivata laddove nel dispositivo è scritto il contrario; b) le generalità del ricorrente sono riportate in modo errato (nato il "(Omissis)"); c) nelle conclusioni si fa rinvio al verbale di udienza dal quale risulta che l'Avv. Traina si sarebbe riportato ai motivi di appello, laddove detto difensore era assente e sostituito dall'Avv. Manuela Gargano; d) gli estremi della sentenza appellata sono riportati in maniera errata due volte (e ogni volta in modo diverso) generando una confusione sulla sentenza eventualmente da eseguire che si riverbera sulla completezza ed esattezza del dispositivo stesso. 3.2.Con il secondo motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 111 Cost., 546, comma 1, lett. e), 125, comma 3, c.p.p. in relazione all'omesso esame di argomenti difensivi ed elementi di prova nuovi allegati all'appello ed ai motivi aggiunti del tutto negletti o in relazione ai quali è stata fornita una motivazione illogica o contraddittoria. Si tratta - afferma - di elementi dai quali si ricavava con assoluta certezza il coinvolgimento nell'acquisto delle quote societarie e il compimento di atti di gestione occulta da parte di un terzo soggetto rimasto nell'ombra nel corso delle indagini. Ciò che si contesta è la pedissequa ripetizione della motivazione della sentenza di primo grado senza alcuna valutazione degli argomenti difensivi, quando non travisati. Questi gli argomenti difensivi dedotti in appello: i) tutti i dipendenti della "(Omissis) S.a.s." avevano affermato, in primo grado, di aver sempre ricevuto ordini e direttive dal ricorrente ma con l'appello era stato sollecitato l'approfondimento di questo argomento perché il R., pur avendo ceduto le quote della (Omissis) il (Omissis), si era comunque impegnato ad assorbire i dipendenti nelle proprie società, (Omissis) o (Omissis), come poi effettivamente avvenuto, sicché non è dato comprendere se i dipendenti, quando erano stati sentiti, si fossero riferiti all'epoca in cui il ricorrente era ancora amministratore di diritto o a quella di "transizione" dalla (Omissis) alle due predette società o ancora al periodo in cui erano stati assunti da queste ultime. La Corte di appello non solo non risponde ma travisa la visura storica della (Omissis) da cui risulta che nel 1 e 2 trimestre del 2012 i dipendenti erano tre, uno nel terzo, nessuno nel quarto; ii) dopo la cessione delle quote la (Omissis) era entrata in una fase di stallo, onde non si comprende quale interesse avrebbe mai potuto avere il ricorrente, ma anche tale argomento è rimasto senza risposta; iii) la legale rappresentanza della società era stata ceduta a F.F.A. il (Omissis); questi l'avrebbe a sua volta ceduta alla V. il (Omissis) allorquando i ruoli si sarebbero invertiti: F. socio accomandante, V. socio accomandatario. Poiché i testimoni hanno affermato di aver lavorato fino a settembre 2011, il periodo di amministrazione di fatto dovrebbe essere circoscritto da giugno a settembre 2011 (falsa l'affermazione del M. di aver lavorato fino al giugno 2013). Orbene, afferma, questa finestra temporale non coincide con il "tempus commissi delicti" posto che il reato è contestato come consumato il (Omissis) e le dichiarazioni IVA omesse sono quelle che avrebbero dovuto essere presentate tra il 1 febbraio ed il 1 ottobre 2012, ma che in questo periodo egli abbia posto in essere atti gestori non v'e' prova alcuna, ma nemmeno questo argomento ha trovato ingresso nella motivazione della sentenza impugnata; iv) non era possibile enucleare dalle testimonianze dei dipendenti i concreti e tipici atti gestori dell'impresa asseritamente da lui posti in essere, non essendo mai state chiarite le ragioni per le quali essi si fossero "sempre" rivolti a lui, tanto più se si considera che i dipendenti disimpegnavano le loro prestazioni da remoto e non in sede, senza dunque avere occasioni di incontro con il loro datore di lavoro; anche questo argomento è stato negletto; v) era stato dimostrato che le società (Omissis) e (Omissis) (che avevano assorbito i dipendenti della (Omissis)) erano state costituite l'una nel 1999, l'altra nel 2007 e ciò a confutazione dell'argomento accusatorio (fatto proprio dal primo Giudice) della costituzione "ad hoc" di società con cui continuare a svolgere le medesime attività di quelle cedute al fine di sottrarsi agli adempimenti tributari; di questo argomento difensivo non v'e' traccia nella sentenza impugnata; vi) il ricorrente non aveva mai preso parte alle operazioni di verifica/ accertamento cui, invece, aveva partecipato la V., nella sua qualità di L.R., che però mai lo aveva chiamato in causa; e anche di questo argomento non v'e' traccia nella motivazione della sentenza impugnata (benché all'imputato sia stata comminata una pena addirittura superiore a quella della legale rappresentante); vii) dagli atti di un separato procedimento penale, definito con sentenza di proscioglimento per remissione di querela del 24/06/2016 del Tribunale di Palmi, era emerso che la rappresentanza legale e la materiale gestione della società erano riconducibili a nuovi e diversi soggetti a seguito della cessione delle quote; tale conclusione si basava sulle dichiarazioni rese dalla V. (che aveva tirato in ballo tal S.G. ed aveva persino riferito di non conoscere il ricorrente), dal F.F.A. (che aveva riferito che l'acquisto delle quote gli era stato proposto dalla V. e da un certo E. dietro promessa di un compenso mai erogato e negatogli con minaccia, e di aver partecipato all'atto notarile in pieno possesso delle proprie facoltà, cosa negata in questo procedimento ove aveva affermato di essere stato indotto a bere e di aver partecipato all'atto in stato di incoscienza), dal notaio intervenuto all'atto (che aveva confermato la presenza dello S. e del ruolo che questi aveva avuto nella pratica della cessione delle quote); tali esiti probatori si ponevano in insanabile contrasto con quanto affermato dal primo Giudice, in relazione alla ricostruzione della vicenda della cessione delle quote e alla malleabilità del F. che, afferma il ricorrente, non si era mai presentato in dibattimento; di tutti questi dati, del fatto che lo S. gestisse il conto e la contabilità della (Omissis), che avesse offerto denaro alla V. perché non si recasse a deporre alla GdF, non vi è alcun cenno, nemmeno grafico, nella sentenza impugnata. 3.3.Con il terzo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 5, D.Lgs. n. 74 del 2000, e degli artt. 42, cpv., e 43 c.p., sotto il profilo della insussistenza del dolo specifico di evasione, nonché l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 546, comma 1, lett. e, 125, comma 3, c.p.p., sotto il profilo della mancanza assoluta di motivazione in ordine agli argomenti difensivi devoluti in appello a sostegno della mancanza del dolo il cui accertamento era stato trascurato in primo grado pur in presenza di elementi che lo escludevano (il divario temporale tra la data di cessazione della carica e la scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione IVA; il trasferimento delle scritture contabili dopo la cessione delle quote). A fronte di questi argomenti, afferma, la sentenza impugnata non spende una sola parola. 3.4.Con il quarto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 546, comma 1, lett. e), 125, comma 3, c.p.p. in quanto la motivazione della sentenza impugnata omette ogni valutazione su fondamentali temi ed argomenti di prova dedotti con l'atto di appello. Le questioni devolute, osserva, erroneamente o maldestramente sintetizzate dalla Corte di appello, non riguardavano, per esempio, la liceità della cessione delle quote, ma il compimento di atti di gestione nel periodo di maturazione del termine per la presentazione della dichiarazione omessa. Incredibile, inoltre, che gli argomenti difensivi circa l'interesse delle parti a cedere e ad acquisire le quote vengano disattesi in base ad opinioni professionali di persone mai sentite in dibattimento le cui dichiarazioni non si sono volute acquisire nemmeno ai sensi dell'art. 603 c.p.p. La Corte di appello, continua, ha trascurato l'interesse degli acquirenti anche solo a riscuotere i crediti vantati dalla (Omissis) nei confronti degli enti pubblici (non necessariamente a proseguirne l'attività; congetturale la contraria opinione della Corte) nonché il fatto che tutti i dipendenti transitarono ad altre società del gruppo (il che prova che tempi di licenziamento e transito erano stati pattuiti), e comunque ha volontariamente omesso di approfondire i termini degli accordi negoziali (che contraddittoriamente afferma non provati) rigettando la richiesta di assumere la testimonianza proprio delle persone che avevano partecipato alla compravendita delle azioni. La mancata esplicitazione degli accordi sottesi alla cessione delle quote - prosegue - cozza, sul piano logico, con la affermazione che, non trattandosi di cessione di azienda, i rapporti attivi e passivi facenti capo alla società avrebbero comunque potuto proseguire senza soluzione di continuità (e dunque, si domanda il ricorrente, quali accordi sarebbe stato necessario esplicitare?). In ogni caso, aggiunge, dall'esame delle mail allegate ai motivi nuovi (e travisate) emergeva che: a) la ripartizione delle passività era stata stabilita in base ad un criterio cronologico, secondo la data di maturazione del debito (se prima o dopo la cessione); b) vi era una chiara contrapposizione tra la vecchia e la nuova proprietà che, peraltro, reclamava la contabilità per poter gestire effettivamente la società. Non è inoltre chiara la rilevanza della mancata produzione dei contratti stipulati dalla (Omissis) con gli enti pubblici esistenti alla data del 2011 (ma che la Corte di appello ritiene inesistenti). In ogni caso, il fatto che attraverso il cd. "spesometro" non fossero state rinvenute fatture emesse nel 2011 si spiega con il fatto che tale strumento di accertamento era stato introdotto a partire dalle fatture emesse dal 01/01/2012; il che - argomenta comporta due conseguenze: a) la ricerca effettuata nulla avrebbe potuto dire in relazione alle fatture emesse nel 2011; b) la ricerca non era idonea a dimostrare l'esistenza o meno di contratti in relazione ai quali poteva anche mancare l'emissione della fattura. Ma poi, prosegue il ricorrente, se davvero i contratti fossero fittizi, quale interesse egli avrebbe avuto a gestire in maniera occulta una scatola vuota e quali direttive, allora, egli avrebbe mai potuto impartire a dipendenti che nulla avevano da fare e che sarebbero transitati alle dipendenze di altre sue società? A questa domanda, afferma, la Corte di appello non ha fornito risposta. Peraltro, ribadisce, a fronte della prova dei fatti meglio indicati con il secondo motivo, la Corte di appello concentra il proprio sforzo motivazionale sull'allegazione o meno, all'atto di cessione, di accordi commerciali, sul rinvenimento o meno dei contratti di fornitura dei software. Riprendendo un argomento già introdotto con il secondo motivo, ribadisce la genericità e fallacia dell'argomento (peraltro non approfondito) secondo il quale egli avrebbe continuato a dare direttive a tre dipendenti della (Omissis) dopo la cessione delle quote e fino a tutto il 2012 (a riprova, secondo la Corte di appello, della eterogestione della società) e lamenta, però: a) la confusione concettuale tra prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze di (Omissis) e direttive impartite dal ricorrente dopo la cessione delle quote; b) l'insufficienza del dato, perché dare generiche indicazioni (il cui contenuto è ignoto) ai dipendenti di una società non equivale ad affermare la gestione della società stessa, tanto più, aggiunge, alla luce degli elementi allegati con i motivi aggiunti sulla effettiva gestione della (Omissis) da parte di altre persone; c) il travisamento della visura camerale dalla quale risulta che i tre dipendenti in questione non avevano lavorato per la (Omissis) per tutto il 2012. Tutto questo a fronte della prova, fornita da atti giudiziari, della eterodirezione della (Omissis) ad opera di altre persone e non del ricorrente. Contraddittorio, infine, censurare le lacune difensive che, afferma, avrebbero potuto essere colmate rinnovando l'istruttoria mediante l'esame di quei testi (il commercialista, Dott. G.) che avrebbero potuto chiarire, per esempio, i rapporti tra (Omissis) e (Omissis) (secondo la Corte di appello lasciati in ombra) e spiegare le ragioni commerciali che presiedono alla apertura di diverse società, alla loro chiusura, al trasferimento dei dipendenti, o di quelli ( S. e I.) che avrebbero potuto chiarire i rapporti con S. (oltre quelli già documentati dalle mail sopra indicate). In conclusione, la carenza di motivazione della sentenza impugnata appare con tutta evidenza laddove la corte di appello nulla dice in ordine agli argomenti difensivi ed agli elementi di prova addotti dalla difesa in relazione agli atti gestori compiuti dallo S., neppure al fine di confutarli, neppure al fine di spiegare perché l'apertura di un conto corrente a nome della società e la gestione dello stesso da parte di un soggetto estraneo alla nuova compagine sociale, la richiesta ed il ritiro da parte dello stesso della documentazione contabile della società, non vengono considerati atti di gestione. 3.5.Con il quinto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 603, comma 2, c.p.p., nonché il vizio di motivazione illogica o contraddittoria in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento per l'assunzione di prove decisive scoperte dopo il giudizio di primo grado che avevano ad oggetto gli argomenti difensivi già oggetto dei precedenti motivi. Illogicità della motivazione che deriva proprio dal fatto che le prove richieste avrebbero potuto escludere quella opacità della vicenda che la Corte di appello ha contraddittoriamente denunciato. 3.6.Con il sesto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 111 Cost., 546, comma 1, lett. e), 125, comma 3, c.p.p., in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena. 4.Gli argomenti oggetto del punto vii) del secondo motivo sono stati ulteriormente illustrati con una articolata memoria del 24/10/2022. 5.Con ulteriore memoria del 30/11/2022, il R. ha replicato alla richiesta di PG di rigetto di entrambi i ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.II ricorsi sono infondati. 2.1 ricorrenti rispondono del reato loro ascritto perché, in concorso fra loro, V.G. nella qualità di legale rappresentante della società "(Omissis) S.a.s. di V.G. e C." dal mese di ottobre 2011, R.R. quale amministratore di fatto ed effettivo gestore della società alla data di commissione del reato, al fine di evadere l'imposta sui redditi e sul valore aggiunto, non presentavano, pur essendovi obbligati, in relazione all'anno di imposta 2011, la relativa dichiarazione, realizzando un'evasione di IVA pari ad Euro 91.576,00. In particolare, V.G. non aveva impedito, pur avendo l'obbligo giuridico di evitarlo in virtù del disposto dell'art. 2932 c.c., il verificarsi dell'evento e R.R., nella già indicata qualità di soggetto attivo del reato ed effettivo gestore della società, non aveva presentato la predetta dichiarazione, realizzando così i predetti, in concorso fra loro, l'evasione di imposta. 2.1.Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che: i) nel maggio dell'anno 2015 era stata avviata una verifica fiscale nei confronti della (Omissis) che non aveva presentato la dichiarazione IVA relativa all'anno di imposta 2011; ii) all'indirizzo corrispondente alla sede operativa della società non era stata rinvenuta alcuna attività commerciale; iii) legale rappresentante dal (Omissis) era V.G.; iv) R.R. (indicato dal Tribunale come il vero dominus) era stato socio accomandatario fino al (Omissis); v) con atto notarile in pari data, registrato il (Omissis), l'imputato aveva interamente ceduto, tramite procuratore speciale, a F.F.A. la sua quota di partecipazione; l'altro socio aveva ceduto la propria quota a V.G.; F.F.A. era divenuto socio accomandatario; vi) con atto notarile del (Omissis), registrato il (Omissis), V.G. e F.F.A. si erano scambiati le cariche: la prima aveva assunto quella di socio accomandatario, il secondo quella di socio accomandante; vii) la testimone M.D., dipendente della (Omissis) fino al mese di settembre del 2011, aveva dichiarato di non aver mai conosciuto V.G., di aver avuto rapporti lavorativi esclusivamente con R.R., su invito del quale aveva rassegnato le dimissioni (per "passare" ad "(Omissis) Srl" senza però mai cambiare ufficio), che questi sistematicamente chiudeva un'azienda per aprirne un'altra presso la quale riassumeva gli stessi dipendenti proseguendo di fatto l'attività commerciale senza soluzione di continuità, di essere sempre stata retribuita dall'imputato (il quale nel momento in cui aveva ceduto l'azienda si era impegnata a pagarla in nero nel periodo compreso nel passaggio da una società all'altra); viii) il testimone B.M., dipendente della (Omissis) fino al mese di maggio 2012, aveva riferito le medesime circostanze (di essere stato alle dipendenze di varie ditte, tutte riconducibili all'imputato, di essere stato assunto da questi, da lui conosciuto come l'unico "titolare" della società, che i "passaggi da una società all'altra" venivano imposti da R.R. o dal personale dell'amministrazione che gli facevano a tal fine firmare le dimissioni per il passaggio da una società all'altra; ix) circostanze analoghe erano state riferite dai testimoni C.L. (dipendente (Omissis) dal (Omissis) fino al mese di (Omissis)), A.A. (dipendente (Omissis) dal (Omissis) fino al mese di (Omissis)), C.A. (dipendente (Omissis) dall'inizio dell'anno (Omissis) fino al mese di (Omissis)), M.D. (dipendente (Omissis) dal (Omissis) fino al mese di (Omissis)), M.F. (dipendente (Omissis) fino al mese di (Omissis)); x) tutti costoro avevano riferito che il legale rappresentante della società era R.R., loro unico interlocutore dal quale ricevevano ordini e direttive, e nessuno di loro aveva mai conosciuto l'imputata, né sapeva che costei fosse subentrata al primo nella legale rappresentanza della società; xi) F.F.A. (testimone della difesa) aveva riferito di non essere mai stato a conoscenza dell'esistenza della società e di aver conosciuto l'imputata solo perché vicina di casa della zia (il testimone non era stato sentito nel contraddittorio tra le parti; le relative dichiarazioni rese alla PG erano state acquisite dal Tribunale in considerazione delle sue precarie condizioni di salute mentale accertate da una relazione psichiatrica del 2020 trasmessa dall'amministratore di sostegno; il testimone risultava seguito dal Centro Psicosociale della (Omissis) dal 2014; da questa circostanza il Tribunale ha desunto che all'epoca dell'acquisto delle quote dall'imputato il testimone fosse un soggetto facilmente manipolabile, una vera e propria "testa di legno" alla quale trasferire la "scatola vuota" della (Omissis), considerazione non smentita, secondo il Tribunale, dalla testimonianza del notaio rogante sul rilievo che la mera "lettura dell'atto ad un soggetto dal precario equilibrio mentale non costituisce garanzia della piena consapevolezza da parte del cessionario dell'importanza del valore dell'atto stipulato", pag. 6 della sentenza); xii) gli altri testimoni della difesa ( M., A., B.), tutti lavoratori dipendenti (Omissis), avevano indicato nell'imputato il legale rappresentante della società pur dopo il trasferimento delle quote a F.F.A., confermando di aver continuato a lavorare per l'imputato nel passaggio ad altra società; xiii) G.A., consulente tributario della (Omissis), aveva riferito di aver consegnato i libri contabili al nuovo titolare (ma la circostanza è stata ritenuta dal Tribunale irrilevante "nella misura in cui era il R. a continuare di fatto l'attività imprenditoriale, come chiaramente confermato da tutti dipendenti"; pag. 7). 2.2.Sulla base di questi elementi di fatto, il Tribunale ha ritenuto la penale responsabilità di entrambi gli imputati osservando, quanto a V.G., che l'imputata si era prestata ad acquisire la titolarità formale della società assumendo la veste di socio illimitatamente responsabile in corrispondenza della scadenza dei termini per il pagamento delle imposte così dando prova della consapevolezza della finalità evasiva del correi; la donna, inoltre, non aveva posto in essere alcun atto di gestione, "limitandosi solo a coinvolgere il "malleabile" F. nell'operazione di trasferimento delle quote" (pag. 7). 3.In appello, V.G. aveva protestato la propria innocenza deducendo d'esser stata vittima di una truffa ordita ai suoi danni da persone che, approfittando del suo stato di bisogno, con la promessa di un lavoro a tempo indeterminato (che lei credeva di aver accettato davanti al notaio), le avevano invece fatto sottoscrivere dei documenti con i quali le erano state intestate, a sua insaputa, diverse società (tra le quali anche un autosalone per autovetture di lusso). La mancanza di consapevolezza del ruolo assunto determina l'assenza del dolo specifico di evasione, non desumibile, affermava, dalla sola assunzione (formale) della carica in prossimità della scadenza del termine per il pagamento delle imposte. 4. R.R. aveva lamentato che il primo Giudice aveva attribuito penale rilevanza a condotte che si collocavano al di fuori del tempus commissi delicti e non aveva adeguatamente scandagliato l'elemento soggettivo del reato. Aveva a tal fine ricostruito le vicende societarie di (Omissis) allegando quanto segue: i) la società era stata costituita il 19/12/2003 da F.V. e P.V. come s.n.c.; ii) successivamente era stata rilevata da lui (per il 10%) e dalla (Omissis) Srl di S.G. (90%) e trasformata in s.a.s.; iii) egli aveva conservato la legale rappresentanza della società fino al (Omissis) allorquando aveva ceduto la propria quota a F.F.A. (che aveva contestualmente assunto la legale rappresentanza) e a V.G.; iv) il (Omissis) i ruoli si erano invertiti: V.G. aveva assunto la qualifica di socio accomandatario, F.F.A. quella di accomandante; v) secondo gli accordi stipulati dalle parti al momento della cessione, la (Omissis), società facente parte di una holding riconducibile all'appellante e costituita molti anni prima, avrebbe gradualmente assorbito i dipendenti di (Omissis). Aveva aggiunto che i testimoni avevano riferito di essersi "sempre" relazionati con lui, ma questo generico riferimento temporale non è mai stato adeguatamente scandagliato, non comprendendosi se riguardasse anche il periodo di transizione dalla cessione di (Omissis) all'assorbimento da parte di (Omissis) o si riferisse, piuttosto, al periodo in cui l'imputato era stato amministratore di diritto della (Omissis), tanto più che alcuni dipendenti ( M., A., C. ed altri) prestavano la loro opera da remoto. Ragionevole ipotizzare, quindi, che i dipendenti destinati ad essere assorbiti dalla (Omissis) non avessero avuto alcun contatto con il nuovo amministratore della società che stavano per lasciare. Aveva inoltre aggiunto che il numero dei dipendenti della (Omissis) era passato da 13 unità nel secondo trimestre 2011 a zero, dovendosi così ritenere che la società fosse entrata in una fase di stallo dell'attività d'impresa con mancanza di interesse ad amministrare di fatto la società stessa. Aveva altresì aggiunto che i testimoni sentiti avevano riferito di aver lavorato per la (Omissis) fino al mese di (Omissis) sicché, ove mai si dovesse ritenere l'effettiva assunzione del ruolo di amministratore di fatto, esso resterebbe circoscritto al periodo che va dal mese di giugno 2011 al mese di settembre dello stesso anno, laddove il reato è contestato come commesso il (Omissis) e l'arco temporale durante il quale la dichiarazione Iva per l'anno di imposta 2011 doveva essere presentata andava dal 1 febbraio 2012 al 1 ottobre 2012. Affermava, infine, la mancanza di prova di un qualsiasi atto gestorio da parte sua. L'appellante aveva introdotto l'ulteriore argomento difensivo relativo alla regia occulta dell'intera operazione di cessione delle quote a F.F.A. e V.G. e a contestare, in particolare, la conclusione del primo Giudice circa la "malleabilità" del primo al quale trasferire la scatola vuota della (Omissis). In particolare aveva dedotto che: i) il notaio che aveva rogato l'atto di trasferimento delle quote a V.G. e F.F.A., sentito in dibattimento, aveva escluso che alcuno dei comparenti versasse in stato di ebbrezza alcolica o non fosse comunque consapevole dell'atto che gli era stato chiesto di rogare; ii) il F. era in cura per le patologie mentali dalle quali era affetto dal 2014, ma i fatti risalgono al 2011; quando il testimone era stato sentito nel 2016, la PG non aveva riscontrato alcun deficit cognitivo che potesse compromettere la sua deposizione; iii) evidente, dunque, la inverosimiglianza delle dichiarazioni di questi che aveva riferito che V.G. e un certo E. lo avevano indotto a bere e che, versando in stato di ebrezza, non ricordava nulla, dichiarando persino di non essere neppure a conoscenza dell'esistenza della (Omissis), quando qualche mese dopo si era recato nuovamente dal notaio per effettuare l'ulteriore modifica dell'assetto societario; iv) la stessa PG aveva il sospetto delle regia occulta di S.G. (persona ben nota alla Forze dell'Orine e alla GdF di (Omissis)) avendone chiesto contezza a molte delle persone informate dei fatti sentite nel corso delle indagini; v)il nome di questi era stato introdotto proprio dalla V.G. che aveva riferito alla PG di essere stata "reclutata" proprio dall'uomo il quale le aveva promesso un lavoro sicuro (la stessa all'epoca lavorava presso un bar) unitamente al F. che lei già conosceva e di esseri recata con lui dal notaio; vi) D.N., all'epoca dipendente della (Omissis), aveva scambiato delle mail con S.G. che nel mese di novembre 2011 le aveva aveva chiesto la consegna di documenti contabili della (Omissis) (codici INPS e INAIL, UNICO 2008 E 2009, UNICO 2011 e libri contabili); vii) non era chiaro a chi fossero stati consegnati i libri contabili della (Omissis) che il consulente tributario aveva affermato esser stati trasferiti agli acquirenti; viii) le società dell'appellante erano state costituite nel 2007 ((Omissis), presso la quale era stata assunta la testimone M.) e, prima ancora, nel 1999 (la (Omissis), che aveva "assorbito" gli altri dipendenti della (Omissis)), ciò che smentiva l'assunto del primo Giudice secondo il quale l'imputato aveva creato società "ad hoc" a fini elusivi. L'appellante aveva infine lamentato il mancato accertamento del dolo specifico di evasione che doveva essere escluso in base a precise emergenze processuali: 1) la sua carica di amministratore non era stata ceduta in prossimità della scadenza degli adempimenti tributari (cessione delle quote il (Omissis); scadenza termini per la presentazione della dichiarazione IVA dal 1 febbraio 2012 al 1 gennaio 2013); 2) egli non era in possesso delle scritture contabili (secondo quanto affermato dal G.); 3) V.G. non lo aveva mai indicato come possibile responsabile o corresponsabile delle condotte che le venivano contestate dalla GdF (né lui era mai stato coinvolto negli accertamenti fiscali). In conclusione: 1) egli non aveva alcun interesse economico alla cessione fittizia delle proprie quote (il 10%), laddove tale cessione aveva comportato per lui una considerevole perdita economica, avendo la (Omissis) emesso nei confronti della (Omissis) una fattura di oltre un milione di Euro (n. 510 del 27/12/2011) per inadempienze contrattuali di (Omissis) in relazione al contratto stipulato tra le due società il 2 gennaio 2008; 2) nessuno dei dipendenti (Omissis) aveva più sentito parlare di lui dopo la cessione delle quote; 3) V.G. e F.F.A. erano stati reticenti (il secondo anche falso) lasciando intendere l'intenzione di coprire qualcuno rimasto estraneo al processo ma del quale la sentenza di primo grado non aveva fatto menzione. Con motivi aggiunti aveva dedotto le medesime questioni poste con il secondo motivo di odierno ricorso illustrate al p. 3.2, punto vii), del ritenuto in fatto. 5.Nel confermare la condanna degli imputati, la Corte di appello, quanto a R.R. così ha motivato: 5.1.I'imputato non ha mai chiarito i reali accordi commerciali tra gli acquirenti delle quote sociali e i cedenti, accordi assenti negli atti di cessione eppure necessari per regolamentare la prosecuzione dei contratti in essere con gli enti pubblici e la titolarità dei crediti da essi derivanti; 5.2.nemmeno i debiti con l'erario erano stati specificamente disciplinati perché dalle mail allegate ai motivi aggiunti si era solo concordato che una parte di tali passività gravasse sulla vecchia gestione, altra sulla nuova e ciò senza alcuna coerenza con il tipo di negozio posto in essere (una cessione di quote, non di azienda) che comportava la continuità e la prosecuzione dei rapporti giuridici in capo alla medesima società; 5.3.per garantire la prosecuzione dell'attività (vendita ad enti pubblici di licenze di sofware gestionali con inevitabile somministrazione dei servizi per il loro sviluppo e l'assistenza), si sarebbero dovuti individuare i dipendenti che avrebbero continuato ad operare con (Omissis), visto che ne era stato concordato il trasferimento ad altra società e dovevano essere pattuiti licenziamenti e dimissioni; 5.4.avrebbero inoltre dovuto essere rinvenuti i contratti con gli enti pubblici menzionati nei motivi aggiunti che, ove esistenti, avrebbero dovuto essere registrati e sarebbero stati certamente rinvenuti dalla GdF, laddove, invece, non solo non è stato rinvenuto alcun contratto ma non risultano nemmeno emesse fatture nei confronti di enti pubblici da parte della società; 5.5.incomprensibile, inoltre, la ragione per la quale R.R. continuasse a impartire direttive nei confronti di dipendenti della (Omissis) tre dei quali ( B., C. e M.) avevano continuato a lavorare per tutto il 2012 senza nemmeno informarli che lavoravano per un nuovo amministratore e per una nuova società; 5.6.questo fatto contrasta la tesi difensiva dell'eterodirezione della società da parte di S.G.; 5.7.principale cliente della (Omissis) per l'anno 2011, prima della cessione delle quote, era stata la (Omissis) nei cui confronti erano state emesse due fatture, una di Euro 160.000,00 del 28/02/2011, l'altra di Euro 240.000,00 del 31/05/2011 (giorno successivo alla cessione delle quote e prima della registrazione dell'atto); 5.8.non erano state emesse fatture nei confronti di (Omissis) nel periodo successivo mentre quest'ultima aveva emesso nei confronti di (Omissis) due fatture, una del 27/12/2011 dell'importo di Euro 1.046.400,00 per parziale inadempimento di un contratto "per non conformità rilevate nelle procedure da voi sviluppate", l'altra del 31/12/2011 dell'importo di Euro 42.350,00 per servizi sistemici anno 2010; 5.9.dunque, non solo non sono state rinvenute fatture e contratti attestanti i rapporti di (Omissis) con enti pubblici ma è risultato che il suo unico cliente era una società dell'imputato e che questi aveva continuato a dare direttive al personale dipendente di (Omissis) benché quest'ultima si fosse resa inadempiente alle obbligazioni derivanti da un contratto di cui nulla si sa; 5.10.rapporti opachi non chiariti e che possono essere spiegati solo con l'effettiva gestione della (Omissis) ad opera dell'imputato il quale, peraltro, non aveva nemmeno mai chiarito i suoi rapporti con S.G., tanto più che i dipendenti della società non avevano mai indicato quest'ultimo come loro datore di lavoro, né autore di atti gestori. Quanto a V.G., la Corte di appello ha osservato che: 5.11.l'imputata aveva accettato di fungere da prestanome di (Omissis) dietro la promessa di S.G. di un lavoro o di una qualche altra utilità; 5.12.non ha alcuna rilevanza che la donna ignorasse chi era il vero "dominus", essendo indifferente che avesse ritenuto di agire nell'interesse di S.G. e che gli avesse consentito di gestire on line i conti correnti della società; 5.13.non è credibile che avesse creduto alla inoperatività della società perché, invece, era stata più volte contattata dall'istituto di credito presso il quale il conto era acceso per problemi di solvibilità che si erano creati a seguito dell'utilizzo del conto evidentemente da parte di terzi; 5.14.se fosse stata in buona fede l'imputata avrebbe chiuso immediatamente il conto, laddove si era preoccupata di quanto stava accadendo solo dopo essere stata chiamata dalla GdF; 5.15.il fatto che avesse lasciato campo libero alla gestione di S.G. (o a chi per lui), benché fossero emerse delle passività sul conto corrente che lei stessa aveva acceso, e che non fossero state mantenute le promesse fatte per accettare la carica, lascia intendere che la donna avesse rapporti molto stretti con S.G. e fosse al corrente della sua attività illecita alla quale non si era affatto opposta. 6.Prima di esaminare i ricorsi è necessario ricordare che la violazione degli artt. 192 e 546 c.p.p., non può costituire specifico motivo di ricorso (trattandosi di norme processuali la cui inosservanza non è stabilita a pena di nullità) e che oggetto di cognizione in sede di legittimità non è il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensì il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato. Il vizio di motivazione deve essere apprezzato in base alla lettura diretta e immediata del testo senza la "mediazione" di elementi ad esso estranei (inequivoco il riferimento al "testo del provvedimento impugnato" contenuto nella lettera "e" del comma 1 dell'art. 606 c.p.p.). La frattura tra il fatto descritto nel provvedimento impugnato in base alle prove poste a base della decisione e quello ricostruibile in base alle stesse ovvero ad altre prove comunque assunte nel corso del giudizio può viziare il provvedimento solo se tale frattura è il frutto di un errore di natura percettiva e non valutativa della prova. La prova, cioè, deve essere travisata. Come autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato). Più semplicemente, il travisamento della prova è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Al di fuori di questi specifici casi, non è consentito alla Corte di cassazione prendere conoscenza del contenuto delle prove assunte nel corso del giudizio di merito. 6.1.E, dunque: a) l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01) b) l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); c) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); d) il travisamento della prova è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). 7.11 ricorso di R.R.. 7.1.11 primo motivo è manifestamente infondato. 7.2.In primo luogo, la sentenza non riporta le generalità dell'imputato in modo errato, non potendosi ritenere tale l'indicazione "(Omissis)" da cui si evince chiaramente che il ricorrente è effettivamente nato il (Omissis). 7.3.In ogni caso, stante il chiaro disposto dell'art. 546, u.c., c.p.p., l'incertezza sulla data di nascita dell'imputato, riportata nell'intestazione della sentenza, non comporta nullità, quando è comunque possibile, come nel caso di specie, l'esatta identificazione del soggetto al quale la sentenza medesima si riferisce (Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, dep. 2012, Borella, Rv. 252403 - 01; Sez. 5, n 535 del 21/02/1995, Spataro, Rv. 201047 - 01). 7.4.Per lo stesso motivo, non sono causa di nullità della sentenza: (i) l'indicazione errata, nell'intestazione, della redazione contestuale della motivazione, sia perché si tratta di indicazione non prescritta dall'art. 546 c.p.p. (della lettura immediata della motivazione si deve, semmai, dare atto a verbale ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 545 e 136 c.p.p.), sia perché nel dispositivo della sentenza impugnata è indicato il termine per la redazione della motivazione che la Corte di appello si è assegnata ai sensi dell'art. 544, comma 3, c.p.p.; (ii) l'omessa o errata indicazione nell'intestazione delle conclusioni delle parti (Sez. 4, n. 48770 del 24/10/2019, Arnaboldi, Rv. 277876 - 01; Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, dep. 2012, Borella, Rv. 252404 - 01; Sez. 3, n. 19077 del 24/03/2009, Aberham, Rv. 243764 - 01), non essendo la sentenza documento fidefacente in tal senso (fanno fede le conclusioni trascritte a verbale); (iii) l'errata indicazione, nella intestazione, della sentenza impugnata che, peraltro, nel caso di specie non genera alcuna incertezza sul provvedimento parzialmente riformato siccome correttamente indicato nel dispositivo e nel corpo della motivazione. 7.5.11 secondo, il quarto ed il quinto motivo sono infondati. 7.6.Essi muovono da un presupposto comune: la Corte di appello avrebbe potuto decidere in modo diverso sol che avesse valorizzato gli elementi e gli argomenti di prova devoluti in sede di impugnazione della sentenza di primo grado. Entrambi lamentano l'ingiustificato rigetto della lettura alternativa degli elementi di prova utilizzati dal primo Giudice in senso accusatorio i quali si prestavano ad una diversa interpretazione vieppiù alla luce dei nuovi apporti probatori offerti in secondo grado. 7.7.1 rilievi non colgono nel segno. 7.8.Questa Corte ha da tempo affermato il principio secondo il quale, in tema di reati tributari, ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" non occorre l'esercizio di "tutti" i poteri tipici dell'organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 2015, Berni, Rv. 264009 - 01); ciò sul rilievo che la nozione di amministratore di fatto, introdotta dal art. 2639 c.c. postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, "significatività" e "continuità" non comportano necessariamente l'esercizio di "tutti" i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale (Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850 - 01; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 - 01; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456 - 01; Sez. 5, n. 22413 del 14/04/2003, Sidoli, Rv. 224948 - 01). E' stato al riguardo precisato che, ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore "di fatto", è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540 - 01; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, Rv. 269101 01; Sez. 5, n. 35346 del 2013, cit.). 7.9.Le ragioni della doppia pronuncia di condanna sono, nel caso di specie, chiare e si fondano su un dato ritenuto logicamente incontrovertibile: il rapporto del ricorrente con i dipendenti della (Omissis). In disparte le vicende societarie che avevano riguardato la fase della cessione delle quote, le testimonianze dei dipendenti avevano introdotto nel processo un'informazione probatoria ritenuta dirimente: nessuno di essi aveva mai conosciuto o aveva avuto rapporti con S.G., mentre tutti quelli sentiti avevano riferito di non conoscere la legale rappresentante, V.G., laddove l'imputato aveva continuato a dar loro disposizioni senza nemmeno informarli delle modifiche degli assetti societari. Di tali prove testimoniali, richiamate anche dalla Corte di appello, il ricorrente non ha mai dedotto il travisamento, né in appello, né in questa sede. Sicché l'informazione probatoria resta e le conclusioni che si basano su di essa non sono manifestamente illogiche, né si prestano ad una lettura alternativa. 7.10.Nessuno degli argomenti difensivi è in tal senso persuasivo: (i) il fatto che il ricorrente, in assenza di specifici accordi scritti che la Corte di appello ha affermato non esistere, potesse disporre a suo piacimento del rapporto di lavoro del personale alle dipendenze di (Omissis) sollecitandone in qualche caso persino le dimissioni in vista della riassunzione presso altra società a lui riconducibile (la testimone M. aveva addirittura riferito di non aver mai cambiato ufficio) dimostra la piena signoria dell'imputato sulla società stessa della quale poteva disporre come voleva; (ii) la circostanza che (Omissis) fosse entrata in fase di stallo non le aveva impedito di svolgere attività di impresa che aveva determinato un consistente debito IVA; (iii) che il ricorrente avesse gestito il personale fino al (Omissis) è circostanza introdotta da testimonianze delle quali non è stato dedotto il travisamento nemmeno in appello e che non può più essere messa in discussione in questa sede; (iv) la gestione del rapporto di lavoro è tipico atto gestorio e certamente da esso può desumersi valido argomento di prova se, come nel caso di specie, risulta che nessuno dei dipendenti conoscesse (o avesse mai conosciuto) il legale rappresentante della (Omissis); (v) la precostituzione di (Omissis) e (Omissis) alla acquisizione di (Omissis) è argomento che comunque non toglie sostanza all'informazione probatoria privilegiata in sede di merito; (vi) che il ricorrente non avesse preso parte alle operazioni di verifica è circostanza coerente non il fatto che alla GdF egli non risultava essere il legale rappresentante della società; (vii) le vicende relative alla acquisizione e ai trasferimenti delle quote societarie non rilevano, come detto, ai fini della prova della effettiva gestione societaria e di certo non sono in contraddizione logica con la persistente gestione del personale da parte dell'imputato il quale, anche nell'odierno ricorso, omette di spiegare la natura decisiva di tale tema che continua a lamentare non essere stato adeguatamente esplorato, non apparendo tale la richiesta della contabilità da parte dello S. e la gestione del conto della società che, al più, possono prefigurare una cogestione di fatto (non esclusiva) della società stessa. (viii) peraltro, in termini generali, alla luce dei principi sopra indicati (p. 7.8), la tenuta della contabilità non costituisce, di per sé, atto gestorio dell'ente. Quando questa Corte ha ritenuto non irragionevole desumere l'amministrazione di fatto dall'attività manipolatoria (e, non dunque dalla semplice tenuta) dei bilanci e della contabilità, ha precisato che l'imputato, in quel caso, aveva prestato determinate garanzie personali alle banche, mostrando così un concreto e diretto interesse nella conduzione della società e del concreto esercizio di un ruolo gestorio, confermato peraltro da testimonianze di dipendenti e fornitori (Sez. 3, n. 22413 del 2003, cit.). 7.11.Va infine ribadito che l'omesso esercizio dei poteri istruttori di cui all'art. 603, comma 3, c.p.p., può essere sindacato, in fase di legittimità, qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Rv. 273577 - 01; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, Rv. 258236; Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Rv. 257062; Sez. 2, n. 35987 del 17/06/2010, Rv. 248181; Sez. 1, n. 9151 del 28/06/1999, Rv. 213923; Sez. 6, n. 7519 del 05/06/1998, Rv. 211265; Sez. 1, n. 3622 del 11/01/1995, Rv. 201493; Sez. 1, n. 6911 del 29/04/1992, Rv. 190555). 7.12.Le considerazioni che precedono militano a favore della infondatezza anche del terzo motivo poiché le allegazioni in fatto a sostegno della mancanza di dolo sono state ritenute insussistenti dalla Corte di appello (la gestione del personale fino al (Omissis)) e non erano comunque decisive (la dedotta tenuta della contabilità ad opera di altri e il mancato coinvolgimento nella verifica fiscale). 7.13.Il sesto motivo è inammissibile perché generico e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità. 7.14.Il Tribunale aveva applicato al ricorrente la pena di due anni di reclusione, pari al medio edittale della pena all'epoca prevista per il reato di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 74 del 2000, giustificando la maggiore severità del trattamento sanzionatorio rispetto a quello riservato a V.G. sul rilievo che l'imputato era il vero dominus dell'intera operazione delittuosa "tramite la quale (aveva realizzato) un ingente risparmio di spesa, continuando la sua attività imprenditoriale, con la totale evasione delle imposte dovute all'Erario". Aveva inoltre negato le circostanze attenuanti generiche sul rilievo dell'assenza di elementi positivi di valutazione in tal senso. 7.15.In appello l'imputato aveva lamentato la disparità di trattamento a fronte di un fatto identico non costituendo l'amministrazione di fatto una sorta di aggravante. Aveva inoltre chiesto l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, negate con motivazione illogica ed ingiusta. 7.16.La Corte di appello ha condiviso il ragionamento del primo Giudice in ordine alla diversità dei ruoli disimpegnati dagli imputati ed ha negato le circostanze attenuanti generiche sul rilievo che nemmeno l'atto di appello aveva indicato specifici elementi a sostegno della attenuazione della pena (l'appello, insomma, era generico sul punto). 7.17.Come costantemente insegnato dalla Corte di cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, Palladino, Rv. 282839 - 01; Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna, Rv. 264020 - 01; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane, Rv. 252880 - 01). 7.18.L'identità del reato commesso in concorso con altra persona non costituisce, dunque, argomento persuasivo perché prescinde completamente dal fatto che, a fronte dell'identità del fatto, sta la diversità delle persone che ne sono autrici e che rendono fisiologicamente diversa la misura del rimprovero. Sicché non è irragionevole, tantomeno paradossale la diversificazione dei ruoli e degli interessi che, anche solo sul piano del motivi a delinquere, giustifica la diversità della sanzione. 7.19.Quanto alle circostanze attenuanti generiche, va ribadito che il loro diniego può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62 bis, disposta con il D.L. n. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489 - 01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339). 7.20.Peraltro, già prima della suddetta modifica normativa, questa Corte, in tema di attenuanti generiche, aveva affermato il principio di diritto secondo il quale, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; nello stesso senso, più recentemente Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696, che ha ribadito il principio secondo cui il giudice di merito non è tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza). 7.21.Ne consegue che l'obbligo di motivazione non sussiste tanto se la richiesta manca, quanto in caso di richiesta generica che non alleghi gli specifici indicatori di una possibile attenuazione della pena (sulla necessità della specificità della richiesta, oltre le pronunce già citate, anche Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Bianchi, Rv. 282693 - 01; Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Banic, Rv. 256172; Sez. 1, n. 5917 del 12/03/1990, Bagli, Rv. 184129; Sez. 2, n. 2344 del 13/07/1987, Trocarico, Rv. 177678). La presunzione di non meritevolezza, in ultima analisi, non impone al giudice di spiegare le ragioni della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche in mancanza di richiesta dell'imputato o in caso, come quello di specie, di richiesta generica (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Rv. 266460). 7.22.La affermazione della Corte di appello della mancata allegazione di specifici elementi di valutazione ai fini della attenuazione della pena (affermazione non contraddetta dal ricorrente) rende insindacabile la decisione presa sul punto. 8.Il ricorso di V.G.. 8.1.Il ricorso è infondato. 8.2.Quanto al dedotto travisamento degli elementi di prova che, a dire della ricorrente, provano l'inconsapevolezza della qualifica assunta è sufficiente evidenziare che: a) in violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente non allega i verbali delle prove a suo dire travisati né spiega se tale travisamento era stato dedotto in appello; b) la ricorrente neglige completamente gli argomenti addotti dalla Corte di appello a sostegno della piena consapevolezza del ruolo di legale rappresentante della (Omissis) formalmente assunto (così come sintetizzati ai p.p. 5.11-5.14 che precedono). 8.3.Quanto alla responsabilità oggettiva e soggettiva della ricorrente, la Corte osserva quanto segue. 8.4.Il delitto di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 74 del 2000 è reato omissivo proprio, istantaneo ed unisussistente che si consuma il novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione (Sez. 3, n. 43695 del 10/11/2011, Bacio Terracina Costa, Rv. 251328; Sez. 3, n. 22045 del 21/04/2010, Perrone, Rv. 247636). Si tratta, inoltre, di delitto che può essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale (D.P.R. n. 22 luglio 1998, n. 322, cit.), è obbligato alla presentazione della dichiarazione stessa. Autore materiale dell'omissione può essere anche il soggetto incaricato della trasmissione (art. 3, comma 3, D.P.R. n. 322 del 1998) o, in ipotesi, anche l'incaricato del materiale recapito o della spedizione del documento, ma si tratta di ipotesi residuali. Per quanto la norma attribuisca a chiunque la possibilità di commettere il reato, la sussistenza dell'obbligo della dichiarazione ed il fine di evasione restringono la platea dei possibili destinatari del precetto ad una cerchia ristretta e ben definita di soggetti. 8.5.Trattandosi di reato omissivo proprio posto in essere da persona qualificata dall'obbligo di adempiere entro il termine previsto, le condotte precedenti la scadenza del termine sono estranee alla fattispecie tipica e non hanno rilevanza alcuna, nemmeno ai fini del tentativo punibile (che autorevole dottrina pur ritiene possibile nel remoto caso in cui l'obbligato si ponga in anticipo nella materiale condizione di impossibilità di non adempiere, per esempio affrontando un lungo viaggio). Ne consegue che la volontà dell'omissione deve sussistere solo ed esclusivamente al momento della scadenza del termine. Le condotte antecedenti e successive possono rilevare esclusivamente a fini di prova del dolo, non come frazioni dell'unica condotta omissiva. 8.6.La giurisprudenza della Corte di cassazione insegna che l'amministratore di diritto risponde del reato tributario punito a titolo di dolo specifico quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, Rv. 273939; Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 258850; cfr., altresì, Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, Serpetti, Rv. 263225). 8.7.Trattandosi, però, di obblighi dichiarativi gravanti direttamente ed immediatamente sul legale rappresentante dell'ente la sua responsabilità omissiva non deriva dall'applicazione dell'art. 40 cpv. c.p. (e dunque dalla violazione di un dovere di controllo), bensì dalla violazione dell'obbligo gravante direttamente su di lui, obbligo che concorre a tipizzare la fattispecie di reato di omessa dichiarazione di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 74 del 2000. 8.8.Il reato in questione, inoltre, si consuma nel momento in cui scade il termine ultimo stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione, momento nel quale deve sussistere il dolo specifico di evasione il quale, a sua volta, presuppone la consapevolezza dell'ammontare delle imposte evase e non dichiarate, non richiedendo affatto la norma anche la coincidenza tra il soggetto gravato dell'obbligo dichiarativo e quello che ha posto in essere le operazioni imponibili. E' allora appena il caso di evidenziare che la ricorrente non ha mai affermato di essere inconsapevole dell'entità delle imposte evase. 8.9.Non v'e' dubbio che il fine di evasione qualifica la condotta sul piano penale; ove venga accertata un'imposta effettivamente dovuta superiore a quella dichiarata (o non dichiarata affatto) e/o componenti positive di reddito inferiori a quelle effettive o elementi passivi fittizi, l'indagine non avrebbe verificato altro che alcuni degli elementi costitutivi del reato, quelli che qualificano, sul piano oggettivo, l'offesa degli interessi erariali e che giustificano (ma non esauriscono) la rilevanza penale della condotta. Ma tale indagine non assorbe quella relativa all'accertamento del dolo specifico di evasione che nei reati dichiarativi concorre a tipizzare la condotta. Altrimenti si corre il rischio di identificare il dolo specifico di evasione con la pura e semplice consapevolezza dell'obbligo dichiarativo violato e dell'entità dell'imposta non dichiarata. Un'operazione dogmaticamente errata che trasformerebbe il dolo specifico di evasione nella generica volontà di non dichiarare al Fisco l'imposta dovuta, con l'ulteriore inaccettabile conseguenza di assorbire tutti i reati in materia dichiarativa negli indistinti illeciti amministrativi di cui agli artt. 1, comma 2, e 5, comma 4, D.Lgs. n. 18 dicembre 1997, n. 441 e di far sostanzialmente resuscitare la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, già prevista dall'abrogato art. 1, comma 1, D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con L. 7 agosto 1982, n. 516, che questa Corte ha già affermato non essere in continuità normativa con l'art. 5, D.Lgs. n. 74 del 2000 anche e proprio per la necessità del dolo specifico di evasione, in precedenza non richiesto (Sez. U, n. 35 del 13/12/2000, Sagone, Rv. 217374). 8.10.Il reato è illecito di modo; il dolo di evasione è volontà di evasione dell'imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penale-tributario. Se per il legislatore penale tributario nemmeno l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, o le false rappresentazioni contabili e i mezzi fraudolenti per impedire l'accertamento delle imposte, sono sufficienti ad attribuire penale rilevanza alle condotte di cui agli artt. 2 e 3, D.Lgs. n. 74 del 2000, essendo necessario il fine di evasione, a maggior ragione il "dolo di omissione" non solo non può essere ritenuto sufficiente a integrare, sul piano soggettivo, il reato di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 74 del 2000, ma nemmeno può essere confuso con il dolo di evasione. La volontà omissiva prova la consapevolezza della sussistenza dell'obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, non prova il fine ulteriore della condotta. 8.11.Il dolo di evasione esprime l'autentico disvalore penale della condotta e restituisce alla fattispecie la sua funzione selettiva di condotte offensive ad un grado non ulteriormente tollerabile del medesimo bene tutelato anche a livello amministrativo. L'inviolabilità della libertà personale costituisce il metro di misura della rilevanza penale di condotte che potrebbero essere sanzionate in altro modo. Al legislatore penale non interessa il recupero del gettito fiscale ma della persona. Il dolo specifico di evasione, per la sua forte carica intenzionale, segna il punto di frattura più grave tra l'atteggiamento antidoveroso dell'autore del fatto illecito, l'ordinamento giudico ed il bene protetto, un punto di non ritorno che giustifica il sacrificio della inviolabilità della libertà personale in considerazione del livello di aggressione al bene e della funzione rieducativa della pena. E' proprio questo scopo che nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale che si giustifica solo in costanza di condotte poste in essere nella deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo. 8.12.La ricorrente postula l'insussistenza del dolo specifico quale conseguenza della inconsapevolezza della assunzione della carica ma il rilievo e', come detto, infondato. 8.13.Che la ricorrente fosse una mera (consapevole) "testa di legno" è argomento che costituisce argomento di prova utilmente valutabile ai fini del dolo specifico di evasione posto che la deliberata scelta di abdicare ai propri doveri di amministratore in favore di gestori occulti dell'impresa può essere valutata, insieme con altri elementi, quale prova della consapevolezza di accedere ad un progetto illecito fatto proprio mediante la condotta omissiva. L'amministratore interposto non viola un dovere di vigilanza; egli semplicemente e puramente viola un dovere ricadente su di lui nella piena consapevolezza delle conseguenze e del fine della propria omissione antidoverosa. 8.14.Nel caso di specie, tale consapevolezza è tratta dai Giudici di merito da elementi di fatto non validamente contraddetti in questa sede. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2022. Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2023
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