RITENUTO IN FATTO
1. E' impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha ridotto la pena inflitta al ricorrente al ricorrente a mesi otto di reclusione in relazione al reato previsto dall'art. 110 c.p. e dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter perchè, in concorso con S.C., non versava, in relazione all'anno di imposta 2010, entro il termine previsto per il pagamento dell'acconto Iva relativo al periodo di imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale per l'ammontare di 863.755,00 Euro superando il limite della soglia di punibilità.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza il ricorrente, tramite il difensore, articola un unico complesso motivo di impugnazione, qui enunciato, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente deduce violazione della legge penale nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione su punti decisivi per il giudizio (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)), sul rilievo che il giudice di appello non avrebbe in alcun modo motivato il mancato accoglimento del primo e principale motivo di gravame limitandosi a richiamare le motivazioni già esposte dal tribunale e confezionando pertanto una motivazione meramente apparente.
Il ricorrente aveva, infatti, dedotto la nullità della sentenza di primo grado per non aver il Tribunale ritenuto che la condotta omissiva posta in essere dal ricorrente fosse stata determinata dalla presenza di una causa di forza maggiore, di cui all'art. 45 c.p., connotata dai caratteri dell'imprevedibilità e insuperabilità, derivando la stessa da fatti riconducibili a terzi che, come tali, sfuggono al dominio finalistico dell'imputato.
In altri termini, il giudice di appello e prima ancora il tribunale, travisando intenzionalmente la prova orale acquisita nel processo, non avrebbero tenuto conto di un dato di fatto decisivo ossia che la cooperativa, di cui il ricorrente era legale rappresentante, non aveva mai ricevuto le somme che, se accantonate, avrebbero poi consentito di ottemperare agli adempimenti fiscali.
Risulta dagli atti e dalle stesse premesse della sentenza di appello e di primo grado che la cooperativa non aveva commesse dirette; che la capogruppo pagava solo delle somme in acconto, quando poteva, rendendosi per il resto inadempiente, cosicchè la cooperativa, nel periodo in questione, non aveva mai ricevuto il saldo delle fatture dal consorzio di cui faceva parte e, dunque, non poteva neppure accantonare l'Iva. Non sarebbe infatti concepibile pretendere dall'imprenditore l'accantonamento e l'immobilizzo di somme mai incassate e a discapito del perseguimento e della salvaguardia dell'attività economica produttiva. Nessuna motivazione il giudice dell'appello avrebbe fornito sul perchè non avesse ritenuto fondate le dichiarazioni della teste della difesa la quale aveva, tra l'altro, giustificato l'omesso versamento dell'Iva relativamente all'anno di imposta 2010 riferendo di una grave ed improvvisa crisi di liquidità dovuta alla perdita, fra il 2009 ed il 2010, di commesse di lavoro importanti, addirittura vitali per la cooperativa e di costante ritardo nel ricevere i pagamenti di quanto dovuto e fatturato da parte del consorzio.
Peraltro, sotto il profilo della volontarietà della condotta, il Tribunale e la Corte di appello avrebbero dovuto tenere conto del fatto che la cooperativa ha dapprima chiesto la rateizzazione del debito e poi ha saldato tutto il debito erariale e ciò ad ulteriore conferma, da un lato, della buona fede del contribuente e, dall'altro, del carattere transitorio, improvviso e imprevedibile della crisi, cosicchè, ai fini della valutazione del dolo generico, si sarebbe dovuto tenere nel debito conto il percorso della società di valutare se fossero stati integrati i profili per l'applicazione della cosiddetta forza maggiore, considerato anche che, nonostante i pagamenti rateali effettuati dal contribuente, il danno erariale era praticamente inesistente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
2. La Corte di appello ha richiamato diffusamente (da pag. 1 a pag. 4) gli approdi cui è giunto il primo giudice pervenendo alla conclusione che il ricorrente in nessun caso poteva ritenersi esonerato da responsabilità per l'omesso versamento dell'Iva, incombendo a suo carico obblighi di accantonamento delle somme del tutto disattesi e comunque indipendenti da situazioni di crisi aziendali o di mancanza di liquidità, richiedendosi al riguardo precisi elementi (imprevedibilità della crisi; attivazione di rimedi adeguati) che non sono risultati ricorrenti nel caso di specie e che neppure la stessa difesa aveva prospettato.
Il ricorrente tuttavia obietta, in maniera prevalentemente assertiva, di non avere incassato le somme, neppure per la quota parte dell'imposta da versare, con la conseguenza che alcun accantonamento avrebbe potuto operare.
Sennonchè la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tema di omesso versamento IVA, il reato omissivo a carattere istantaneo previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter consiste nel mancato versamento all'erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di "IVA per cassa", è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate (Sez. 3, n. 19099 del 06/03/2013, Di Vora, Rv. 255327).
Del resto, incombe un rigoroso onere di allegazione a colui il quale prospetta l'assoluta impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria per effetto di improvvise ed a lui non addebitabili crisi di liquidità, impeditive dell'obbligo di accantonamento delle somme, onere consistente nella dimostrazione che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 2014, Mercutello, Rv. 258055), circostanze in alcun modo portate alla cognizione dei giudici del merito.
3. Sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2018