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Omesso versamento IVA: per accertare il dolo generico va valutata la possibilità di adempiere al pagamento nel termine di legge

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. III, 01/12/2017, n.29873

Ai fini dell'accertamento del dolo generico del delitto di omesso versamento di IVA di cui all'art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 occorre ravvisare la concreta possibilità di adempiere il pagamento nei termini di legge, che costituisce il presupposto della sussistenza della volontà del soggetto obbligato di non effettuare il versamento dovuto. (In motivazione la S.C. ha affermato che va escluso il dolo generico nell'ipotesi in cui l'omesso versamento derivi dalla mancanza della necessaria liquidità dovuta al mancato incasso delle fatture emesse con l'addebito d'imposta).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO Con ordinanza in data 20.7.2017 il Tribunale di Messina, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo disposto dal GIP presso lo stesso Tribunale del saldo dei rapporti bancari riconducibili alla s.p.a MessinAmbiente, nei confronti di C.G., che ne era il legale rappresentante, indagato per il reato di cui all'art. 10-ter per omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto relativa all'anno di imposta 2013 pari ad Euro 1.252.039, ma ne ha ridotto l'importo fino alla concorrenza di Euro 420.694,99 corrispondente all'ammontare in giacenza presso il conto corrente bancario intestato alla società. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando un unico motivo con il quale contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, artt. 187,192,234 e 238-bis c.p.p. e art. 45 c.p., la mancata disamina, a fronte delle puntuali allegazioni difensive svolte innanzi al Tribunale in ordine alla grave crisi della società, della concreta possibilità di adempiere all'obbligazione che, afferendo all'elemento soggettivo del reato, consente di escludere la colpevolezza dell'imputato allorquando questi offra la prova che l'inadempimento sia dipeso da mancanza di liquidità. A tale carenza motivazionale si aggiunge, secondo il ricorrente, la mancata valutazione delle due sentenze di assoluzione dal medesimo reato contestato all'odierno ricorrente pronunciate nei confronti dei precedenti amministratori della s.p.a. MessinAmbiente, che, pur non riferendosi al periodo coincidente con la scadenza del termine per il versamento dell'imposta in contestazione, attenevano comunque ai quattro esercizi precedenti, fornendo elementi indiziari volti a comporre, unitamente agli altri elementi di prova, tra cui l'istanza di concordato preventivo, il quadro complessivo della condizione di illiquidità della società e della conseguente inesigibilità della prestazione. Ulteriore profilo di censura è costituito dall'insussistenza del periculum in mora alla luce dell'istanza di fallimento proposta dal PM nei confronti della società e della successiva proposta di concordato atteso che, stando al tempus commissi delicti, trova applicazione la disciplina previgente all'introduzione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, ovverosia la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143 che rimandava all'art. 322-ter in quanto applicabile, imponendo perciò al giudice di effettuare una previa verifica in ordine all'applicabilità della confisca e dunque, a fortiori, del sequestro per essere stati i beni della società già stati messi a disposizione della procedura di concordato preventivo. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso non può ritenersi fondato, in relazione a nessuna delle doglianze svolte che, quand'anche volte a tratteggiare una crisi di liquidità della società di cui l'imputato è amministratore, non sono ciò nondimeno idonee a configurare, in punto di fumus, nè la mancanza dell'elemento soggettivo, nè lo stato di necessità. In ordine al primo profilo va rilevato che il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, (Omesso versamento dell'IVA), non è un reato con condotta di natura esclusivamente omissiva, presupponendo il mancato versamento dell'imposta, nel termine previsto per il pagamento dell'acconto dell'anno successivo, la presentazione della dichiarazione annuale Iva da parte di chi è obbligato a tale adempimento, da cui emerga un debito di imposta superiore alla soglia di Euro duecentocinquantamila, che consente all'obbligato comunque l'accantonamento delle somme già incamerate a titolo di IVA al fine del futuro adempimento tributario. Da ciò discende che in tanto possa profilarsi l'insussistenza del dolo, richiesto a titolo generico, quale mera consapevolezza dell'illiceità della condotta omissiva finale, senza cioè essere caratterizzato da una specifica finalità di evasione (non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato: Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 - dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 263127), in quanto l'obbligato si trovi nell'impossibilità di adempiere per mancanza della necessaria liquidità, e cioè per mancato incasso delle fatture emesse, con l'addebito dell'imposta. E' invero l'esistenza concreta della possibilità di adempiere il pagamento che costituisce, come già affermato da questa Corte, indefettibile presupposto della sussistenza della volontà in capo al soggetto obbligato di non effettuare nei termini il versamento dovuto (Sez. 3, n. 40352 del 16.7.2015, Dorio, non mass.; v. anche Sez. 3 n.15176 del 6.2.2014, PG c. Iaquinangelo, non mass.). Nulla di tutto ciò risulta tuttavia essere stato eccepito dal ricorrente che, lungi dall'addurre il mancato incasso delle fatture relative all'anno di imposta 2013, si è limitato a censurare l'ordinanza impugnata fornendo elementi irrilevanti: la circostanza che in esercizi precedenti, l'ultimo dei quali riferito all'anno di imposta 2011 e dunque risalente a due anni addietro, gli amministratori allora in carica fossero stati prosciolti dall'analoga contestazione di omesso versamento IVA per non aver commesso il fatto, non offre alcuna specifica indicazione, come logicamente ritenuto dai giudici del riesame, sulla situazione finanziaria della società in relazione all'anno di imposta contestato. Nè a diversa conclusione può portare l'assegnazione da parte del Tribunale Fallimentare di un termine alla medesima società per la presentazione di una proposta di concordato: e ciò non soltanto perchè la proposta depositata il 21.2.2015 è successiva al periodo di consumazione del reato (27 dicembre 2014), ma soprattutto perchè se, come già affermato da questa Corte, l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'imposta, non esclude il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter in relazione al debito IVA scaduto e da versare (Sez. 3, n. 12912 del 04/02/2016 - dep. 31/03/2016, Ugolini, Rv. 266708), a fortiori deve esserne esclusa la rilevanza allorquando si verta nell'ambito di una proposta concordataria non ancora accolta. Neppure i suddetti elementi possono ritenersi idonei a comprovare l'eccepito stato di necessità, posto che, secondo l'univoco orientamento giurisprudenziale, è necessario che siano a tal fine assolti precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055). Per contro, il ricorrente non ha dedotto nè di aver fatto vanamente ricorso al credito bancario, nè di aver cercato altre forme di finanziamento, nè di aver tentato di fronteggiare la crisi dismettendo beni personali, il che porta necessariamente ad escludere che le difficoltà economiche in cui si sia trovato possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante, concettualmente costruita come un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, indipendentemente dalla condotta da costui posta in essere (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805). Quanto alla censura relativa al periculum di cui si eccepisce l'inconfigurabilità in forza della proposta di concordato che il ricorrente assume essere stata depositata in data 21.2.2017, valgono le considerazioni sopra esposte in ordine alla sua irrilevanza quand'anche l'ammissione da parte del giudice delegato fosse stata, evenienza questa comunque non verificatasi, antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'imposta. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, seguendo a tale esito gli adempimenti consequenziali ai sensi dell'art. 616 c.p.p.. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2017. Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2018
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