RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 novembre 2015 il Tribunale di Ancona, in esito a giudizio ordinario, aveva assolto G.M. dal reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter (ascrittole per avere, quale amministratrice della (OMISSIS) S.p.a., omesso di versare l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata per l'anno d'imposta 2011, per l'importo di Euro 1.545.649,00), ritenendo il fatto non sussistente.
La Corte d'appello di Ancona, investita della impugnazione del Procuratore Generale, ha riformato tale sentenza, dichiarando la G. responsabile del reato contestato, condannandola alla pena di sei mesi di reclusione e disponendo la confisca per equivalente dei beni nella sua disponibilità fino alla concorrenza della somma di Euro 1.5465.649,00.
La Corte territoriale ha riformato la decisione assolutoria del Tribunale di Ancona (fondata sulla crisi economica che aveva colpito l'impresa amministrata dalla ricorrente, non addebitabile a quest'ultima nè ai precedenti amministratori, e sulla presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, che avrebbe impedito l'esecuzione di pagamenti, il cui termine di scadenza era successivo alla data di presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo in continuità), ritenendo irrilevante, in mancanza della dimostrazione della adozione di tutte le iniziative possibili, la crisi di liquidità che aveva colpito l'impresa amministrata dalla G., sottolineando sia la sufficienza, per poter ritenere integrato il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, del dolo generico, sia l'obbligo per il debitore d'imposta di provvedere al versamento delle somme risultanti dalla relativa dichiarazione indipendentemente dalla loro effettiva percezione (salvo il caso dell'iva cosiddetta per cassa). Priva di incidenza, sulla configurabilità dell'elemento soggettivo del reato, è poi stata ritenuta la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, anteriormente alla scadenza del termine per provvedere al versamento dell'imposta sul aggiunto dovuta, sia in considerazione della natura comunitaria di tale tributo, sia alla luce della disciplina concordataria, che impone, alla L. Fall., art. 182 ter, l'integrale pagamento dell'imposta sul valore aggiunto (solo, eventualmente, dilazionabile), con la conseguente insussistenza della violazione della par condicio dei creditori per il caso di pagamento di tale imposta successivamente alla presentazione della domanda di concordato (peraltro avvenuta solamente quindici giorni prima della scadenza del termine per il versamento dell'imposta).
2. Avverso tale sentenza la G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.
2.1. Con il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo ha eccepito la violazione degli artt. 581 e 597 cod. proc. pen. e l'insufficienza della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) et e), sia a causa della genericità della impugnazione del pubblico ministero, priva della necessaria specificità, non essendo, tra l'altro, stata considerata nell'atto di impugnazione la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, con la conseguente violazione anche del divieto di reformatio in pejus, per la considerazione da parte della Corte d'appello di punti della decisione impugnata non investiti dall'atto di gravame; sia a causa della mancanza della necessaria motivazione rafforzata, richiesta nel caso, quale quello verificatosi nella vicenda della ricorrente, di riforma a seguito di impugnazione del pubblico ministero di una decisione assolutoria di primo grado.
2.2. Con il quinto motivo ha prospettato un ulteriore vizio della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in riferimento alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato ascrittole, ritenuto sussistente nonostante la grave crisi di liquidità che aveva colpito l'impresa amministrata dalla ricorrente (che aveva determinato gli organi sociali a richiedere l'ammissione al concordato preventivo, costituente l'unica misura adeguata per far fronte a tale situazione), crisi che avrebbe determinato l'inesigibilità della condotta doverosa omessa e la conseguente insussistenza della volontarietà di tale omissione.
2.3. Con il sesto e il settimo motivo ha lamentato l'insufficienza e l'illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), anche con riferimento alla valutazione della rilevanza della domanda di ammissione della società amministrata dalla ricorrente al concordato preventivo, trattandosi di circostanza idonea a escludere l'esigibilità della condotta doverosa di cui era stata contestata l'omissione, chiedendo anche la rimessione della relativa questione alle Sezioni Unite di questa Corte, essendovi un contrasto interpretativo sul punto.
2.4. Con memoria del 7 maggio 2018 il ricorrente ha ribadito tali doglianze, evidenziando il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte, in ordine al rilievo della presentazione di una domanda di concordato preventivo e sulla incidenza di tale circostanza sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, richiamando, in particolare, la sentenza n. 52542 del 2017, e ribadendo che la domanda di concordato era stata presentata il 5 dicembre 2012 e pubblicata nel registro delle imprese il 6 dicembre 2012, anteriormente alla scadenza del termine fissato per il versamento dell'imposta sul valore aggiunto, che si sarebbe verificata il successivo 27 dicembre 2012, e che tale domanda era stata approvata dal Tribunale di Ancona il 29 gennaio 2015.
Con la medesima memoria ha formulato un motivo nuovo, mediante il quale ha chiesto di essere dichiarata non punibile la condotta per effetto dell'integrale pagamento del debito tributario, avvenuto il 4 maggio 2018, con la conseguente applicabilità della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13. Nel corso dell'udienza pubblica di discussione del 23 maggio 2018 ha depositato le certificazioni della Agenzia delle Entrate di Ancona, attestanti l'avvenuta integrale estinzione del debito della (OMISSIS) S.p.a. relativo all'imposta sul valore aggiunto dovuta per l'anno 2001, onde dimostrare la verificazione del presupposto di applicabilità della invocata causa di non punibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato solamente in relazione all'ottavo motivo.
2. L'eccezione di inammissibilità dell'appello del Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Ancona, a causa della genericità di tale impugnazione, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di rilevare e dichiarare, è priva della necessaria specificità, non essendo stati indicati i punti o le parti di tale impugnazione (che non è neppure stata riportata, in sintesi o per astratto, se non in minima parte, nel ricorso) che sarebbero afflitti da tale vizio.
La doglianza è, comunque, infondata, in quanto, come si ricava dalla non contestata narrativa della sentenza impugnata, il pubblico ministero aveva censurato la ratio decidendi della sentenza assolutoria di primo grado.
Tale ratio era stata individuata dall'appellante nella rilevata inesigibilità, a causa della crisi finanziaria che aveva colpito l'impresa amministrata dalla G., della condotta doverosa omessa (consistente nel versamento alla scadenza dell'imposta sul valore aggiunto dovuta sulla base della dichiarazione fiscale presentata dalla imputata), ed era stata censurata, sia evidenziando la sufficienza, per poter ritenere configurabile il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, del dolo generico (consistente nella coscienza e volontà della omissione, nella specie senz'altro ravvisabili); sia sottolineando l'obbligo, per il debitore d'imposta, di accantonare progressivamente, nel corso dell'anno di riferimento. le somme dovute a titolo di imposta sul valore aggiunto: si tratta di argomenti idonei a censurare le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata e a sovvertirne la forza dimostrativa, perchè, attraverso la sottolineatura dell'obbligo di progressivo accantonamento delle imposte dovute, era stato, sia pure implicitamente, criticato anche il rilievo attribuito alla presentazione della domanda di ammissione al concordato (che peraltro non costituiva nè un capo nè un punto della decisione), in quanto era stato evidenziato il permanere dell'obbligo di versamento delle imposte anche in presenza di fatti sopravvenuti. Non può, pertanto, dirsi sussistente il denunciato vizio di genericità della impugnazione del pubblico ministero, essendo la stessa idonea a censurare il complesso degli argomenti posti a fondamento della decisione impugnata.
3. Le doglianze di insufficienza della motivazione, anche alla luce dell'obbligo di motivazione rafforzata per il caso, quale quello in esame, di riforma della decisione di assoluzione impugnata dal pubblico ministero, non sono fondate.
La Corte territoriale, dopo aver descritto gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, ha sottolineato come tra essi rientri il dolo generico e ha, correttamente, affermato come lo stesso non possa essere escluso solamente per effetto della indisponibilità delle somme dovute a titolo di imposta al momento della scadenza dell'obbligo di pagamento, pur se dovuta a mancati pagamenti o a una incolpevole crisi finanziaria, in considerazione dell'obbligo di provvedere al pagamento della imposta dovuta sulla base della dichiarazione presentata indipendentemente dalla effettiva riscossione delle relative somme (tranne che nel caso della cosiddetta iva per cassa), da accantonare nel corso dell'anno di riferimento.
E' stata, poi, esclusa la rilevanza, sia sul piano dell'elemento soggettivo sia su quello della esigibilità dell'obbligazione, della domanda di ammissione al concordato preventivo presentata dalla ricorrente, in considerazione della natura comunitaria del tributo e della inderogabilità dell'obbligo di pagamento integrale dell'imposta sul valore, solo dilazionabile in caso di transazione fiscale e anche in caso di ammissione al concordato preventivo.
Si tratta di motivazione pienamente idonea a illustrare le ragioni della decisione e, soprattutto, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, ad assolvere all'obbligo di motivazione cosiddetta rafforzata previsto per il caso, come quello in esame, di riforma di una decisione assolutoria, in quanto la Corte territoriale ha considerato la ratio decidendi della sentenza impugnata e, all'esito della analitica ricostruzione degli elementi costitutivi della fattispecie, la ha ritenuta, diversamente dal primo giudice, configurabile, illustrandone le ragioni. Sono, in particolare, state ampiamente illustrate le ragioni per le quali la crisi finanziaria e la richiesta di concordato preventivo sono prive di incidenza, sia sull'elemento soggettivo del reato, sia sulla esigibilità della obbligazione rimasta inadempiuta, e in tal modo sono stati illustrati gli argomenti sulla base dei quali è stata sovvertita la struttura argomentativa della decisione impugnata, mediante argomenti idonei a eliminare la forza dimostrativa di quelli considerati dal primo giudice, in tal modo assolvendo all'obbligo di motivazione rafforzata di cui la ricorrente ha lamentato l'inadempimento.
4. L'incidenza della crisi finanziaria che aveva colpito l'impresa amministrata dalla ricorrente sull'elemento soggettivo del reato è stata, poi, correttamente esclusa dalla Corte territoriale, con la conseguente insussistenza del vizio di motivazione sul punto denunciato dalla ricorrente con il quinto motivo.
Il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter (omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto) prevede come reato il fatto di chi non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo. Il reato si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo; ciò che rileva è, quindi, l'indicazione nella dichiarazione di un debito d'imposta e l'inadempimento alla conseguente e corrispondente obbligazione di pagamento, rimanendo prive di rilievo, ai fini della configurabilità del reato, sia l'effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate (tranne i casi di applicabilità del regime di "Iva per cassa", cfr. Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, Rv. 272069; Sez. 3, n. 19099 del 06/03/2013, Di Vora, Rv. 255327), sia la condotta successiva dell'obbligato, stante la natura del reato, che è omissivo proprio a consumazione istantanea.
Per la configurabilità dell'elemento soggettivo del reato, è, quindi, sufficiente, stante l'evidenziata struttura della fattispecie, la consapevolezza di omettere il versamento dell'imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale presentata dall'obbligato, come avvenuto nel caso in esame, a prescindere dagli intendimenti e dalle condotte successive del debitore, posto che ciò che determina la configurabilità del reato è quanto emergente dalla dichiarazione annuale e l'inadempimento alla scadenza della obbligazione tributaria dalla stessa risultante.
Quanto alla incidenza dello stato di difficoltà o di crisi finanziaria dell'impresa obbligata al pagamento dell'imposta, va inoltre ricordato il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte in proposito, secondo cui, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorrono l'allegazione e la prova della non addebitabilità all'imputato della crisi economica che ha investito l'impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262).
Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell'inadempimento alla obbligazione verso l'Erario a fatti non imputabili all'imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; conf. Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014).
Nel caso in esame risulta generica la deduzione della riconducibilità della crisi finanziaria a fattori esterni, imprevedibili ed estranei alla sfera di dominio degli amministratori, essendo stato fatto generico riferimento al mancato pagamento di prestazioni eseguite dalla società amministrata dalla G. e alla crisi del settore nella quale la stessa operava, senza precisarne l'entità nè l'incidenza sulla situazione finanziaria della società (in relazione alla quale non è stato dedotto alcunchè di specifico, nè in ordine alla entità della esposizione debitoria, o dei crediti rimasti insoluti, nè a proposito dei rapporti con gli istituti di credito), nè alcun riferimento è stato fatto alle iniziative adottate per farvi fronte, cosicchè correttamente la Corte territoriale, nel riformare la decisione di assoluzione adottata dal Tribunale, ha escluso l'influenza di tale imprecisata situazione di crisi sull'elemento soggettivo del reato.
La sola circostanza che la società fosse in stato di insolvenza, tanto da richiedere di essere ammessa al concordato preventivo, non consente, peraltro di ritenere che vi fosse l'assoluta impossibilità di provvedere al pagamento del debito nei confronti dell'Erario, non essendo stato indicato alcunchè a proposito della entità del disavanzo e delle disponibilità finanziarie della società, nè che fossero state adottate tutte le iniziative utili a consentire di evitare il dissesto o, comunque, a porre la società nella condizione di adempiere l'obbligo tributario, nè che tale eventuale e non dimostrata situazione non fosse addebitabile agli amministratori, cosicchè non sussistevano i presupposti per poter ritenere che l'omissione dei pagamenti non fosse volontaria o, comunque, esigibile, neppure in presenza di uno stato di dissesto della società.
5. Altrettanto correttamente è stata esclusa l'incidenza, sulla esigibilità dell'obbligo di pagamento alla scadenza delle somme dovute a titolo di imposta sul valore aggiunto, della presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo.
Va premesso che non è dato rilevare il contrasto interpretativo prospettato dalla ricorrente, con la conseguenza che non vi la necessità di rimettere la questione alle Sezioni Unite di questa Corte, posto che la sentenza n. 52542 del 2017 citata dalla ricorrente nella memoria (Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017, Marchionni, Rv. 271554) riguarda l'ipotesi, diversa rispetto a quella in esame, in cui l'ammissione al concordato preventivo sia stata precedente rispetto alla scadenza del termine fissato per il versamento dell'imposta sul valore aggiunto, e sia anche stato adottato dal Tribunale un provvedimento che vietava il pagamento di crediti anteriori.
Nella vicenda in esame, prima della scadenza del termine per il pagamento del tributo, vi era stata solamente la presentazione e pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di ammissione al concordato, correttamente giudicata priva di incidenza sia sull'elemento psicologico del reato, sia sulla esigibilità del debito, che ancora poteva egualmente essere onorato alla scadenza dalla debitrice, con la conseguente configurabilità del reato per la omissione di tale pagamento.
La sola presentazione della domanda di concordato non impedisce, infatti, neppure qualora si ritenga che l'imposta sul valore aggiunto sia falcidiabile nell'ambito della procedura concorsuale, il pagamento integrale alla scadenza, se, come nel caso in esame, ancora non sia intervenuto alcun provvedimento del Tribunale. Tale pagamento può determinare la revoca del concordato, ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 3, solo se si accerti che tale pagamento, non essendo ispirato al criterio della migliore soddisfazione dei creditori, sia diretto a frodare le ragioni di questi ultimi, così pregiudicando le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato (Cass. civ., Sez. 1 -, Ordinanza n. 11958 del 16/05/2018, Rv. 648456 - 01; conf. Sez. 1, Sentenza n. 3324 del 19/02/2016, Rv. 638668 - 01).
Ne consegue l'irrilevanza, sia sul piano dell'elemento soggettivo, sia su quello della esigibilità della condotta, della mera presentazione della domanda di concordato (di cui, peraltro, non è stato specificato il contenuto e che anzi sembra, alla luce del successivo pagamento attestato dalla Agenzia delle Entrate, contemplasse proprio l'integrale pagamento dei debiti tributari, che quindi ben avrebbe potuto essere effettuato alla scadenza dalla amministratrice della società), che non impedisce il pagamento di debiti che vengano a scadere successivamente alla presentazione della domanda, ma prima della adozione di provvedimenti da parte del Tribunale e che non siano volti a pregiudicare altri creditori.
6. La richiesta di applicazione della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, per effetto dell'integrale pagamento del debito tributario, è ammissibile, ma richiede un accertamento in fatto da demandare al giudice del merito.
Il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 11, esclude la punibilità dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater qualora i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previsti dalle norme tributarie.
Tale disposizione trova applicazione anche con riferimento ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore e ai procedimenti, come quello in esame, in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento di primo grado (Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017, Fregolent, Rv. 270464), purchè i debiti tributari siano estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonchè del ravvedimento operoso: occorre, dunque, pur sempre l'integrale pagamento di quanto originariamente dovuto o delle diverse somme concordate con l'amministrazione finanziaria.
I documenti prodotti dalla ricorrente nel corso dell'udienza di discussione parrebbero attestare tale integrale pagamento, che deve, però, essere verificato, attraverso il raffronto tra le dichiarazioni fiscali e le attestazioni della Agenzia delle Entrate, onde accertarne la completezza, cioè l'integrale pagamento degli importi dovuti: tale accertamento, implicando una indagine di fatto, è precluso a questa Corte e deve, dunque, essere rimesso al giudice del merito.
7. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla applicabilità della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, con rinvio, per esame sul punto, alla Corte di appello di Perugia, e il ricorso deve essere rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla applicabilità della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 e rinvia, per esame sul punto, alla Corte di appello di Perugia.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018