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Omesso versamento IVA: irrilevante la crisi di liquidità anche se imponente

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. III, 18/10/2022, n.45427

In tema di reati tributari, è irrilevante la crisi di liquidità, anche nel caso sia così imponente da condurre ad un dissesto assoluto dell'ente, non imputabile al ricorrente.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 5/10/2021, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia emessa il 17/3/2021 dal locale Tribunale, con la quale P.F. era stato giudicato colpevole del delitto di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 art. 10-ter, (capo D, anno 2012) e condannato alla pena di otto mesi di reclusione. 2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: - erronea applicazione dell'art. 45 c.p.; omessa motivazione. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna con mero richiamo per relationem alla pronuncia di primo grado, senza valutare affatto i motivi di gravame - basati su chiari esiti dibattimentali, che il ricorso richiama - con i quali si sarebbe dimostrata l'eccezionalità della crisi finanziaria subita dalla "Blue Panorama Airlines s.p.a." e l'impossibilità, per il ricorrente, di adempiere al pagamento dei tributi. Il concomitante verificarsi di eventi eccezionali, imprevedibili ed indipendenti dalla volontà del P. (come la drastica riduzione dei voli per l'Egitto, a seguito di attentati terroristici; la rottura di due motori su un aereo a Cuba, con conseguente necessità di importare altri motori dagli Stati Uniti e relative problematiche; il ritardo nella consegna di aerei nuovi; l'aumento della concorrenza da parte di altre compagnie /ow cost) avrebbe costituito, dunque, un palese esempio di forza maggiore, tale da rendere inesigibile l'obbligo verso l'Erario; - la violazione dell'art. 10-ter in rubrica, in relazione agli artt. 27, comma 1, Cost., 42 c.p., con il vizio di motivazione, sono poi dedotti quanto al profilo soggettivo del reato, che la sentenza avrebbe riconosciuto ancora senza alcun esame della complessiva situazione societaria, tale da escludere il dolo della fattispecie. La sentenza, dunque, si fonderebbe su elementi meramente formali, trascurando le peculiarità della vicenda e l'eccezionalità della crisi, ben evidenziate nel gravame con richiamo a numerose testimonianze (riportate per stralcio anche nel ricorso); - il vizio di motivazione, infine, è contestato anche quanto alla misura della pena, ritenuta eccessiva. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato. 4. Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse dal ricorrente al provvedimento impugnato sono inammissibili; dietro la parvenza di una violazione di legge o di un vizio motivazionale, infatti, lo stesso tende ad ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie (anche dichiarative) invero già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole. Il che, come riportato, non è consentito. 5. La doglianza, inoltre, trascura che la Corte di appello - pronunciandosi proprio sulla questione qui riprodotta e senza alcuna omissione, come invece contestato - ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile. La sentenza, in particolare, ha escluso che ricorressero i presupposti della forza maggiore di cui all'art. 45 c.p., non rinvenendoli negli eventi che avevano colpito la società a partire dal 2007, richiamati in premessa e diffusamente ribaditi nel ricorso; la riduzione del traffico aereo verso l'Egitto, la concorrenza di altre linee, la rottura dei due motori a Cuba, i ritardi nella consegna di nuovi aerei (e, dunque, la necessità di continuare a pagare la locazione per gli altri vettori, esclusi due soli di proprietà), infatti, non sono stati ritenuti - in sé eventi imponderabili ed imprevedibili, tali da creare una crisi di liquidità così imponente da condurre ad un dissesto assoluto dell'ente, non imputabile al ricorrente. Il Giudice del gravame, ancora, ha evidenziato che la crisi si era prodotta per diversi anni (la stessa contestazione è stata dichiarata estinta per prescrizione quanto agli esercizi 2010 e 2011), e che l'imputato non aveva provato di aver predisposto alcun piano di ristrutturazione aziendale: non era stato effettuato alcun conferimento di capitali, così come nessuna riduzione dei costi, pur a fronte di profitti in evidente calo, con piena continuità aziendale. In forza di questi elementi - insieme ad una proposta di concordato preventivo, avanzata nel 2012 ma non ammessa, se non nel 2014 - le sentenze di merito hanno quindi concluso per la consumazione del reato, anche quanto al profilo soggettivo qui in esame; ciò alla luce di una condotta omissiva voluta - espressione di scelta imprenditoriale - a fronte di una crisi tutt'altro che imprevedibile (anche perché già sviluppatasi su più annualità), senza adozione di alcuna misura - invero possibile - che potesse consentire un recupero di liquidità (conferimenti o riduzione di costi), particolarmente necessaria per una società che non disponeva di beni patrimoniali, se non di due piccoli aeromobili. E con l'ulteriore argomento estraneo al ricorso - che l'IVA in esame era stata certamente incassata dalla società, sulla quale, dunque, gravava un onere di accantonamento, trattandosi di una somma che avrebbe poi dovuto essere versata. 6. Una motivazione solida e non manifestamente illogica, dunque, con la quale la Corte di appello ha adeguatamente esaminato le circostanze in fatto dedotte dalla difesa (ed oggetto di istruttoria), superandole - nei termini appena richiamati - con argomento nient'affatto viziato o carente, così concludendo per l'assenza di forza maggiore, in difetto dei presupposti. 7. Il ricorso, di seguito, risulta manifestamente infondato anche quanto alla seconda censura, in punto di pena. La Corte di appello, pronunciandosi sul punto, ne ha sottolineato la misura congrua, anche in rapporto alla rilevante entità dell'IVA non versata (7,6 milioni di Euro) ed alla personalità del ricorrente, autore di analoghe condotte (prescritte) relative agli anni 2010 e 2011, oltre che della violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 10-bis, per il 2011. In ogni caso, peraltro, la pena base è stata individuata in 12 mesi, ossia in misura molto più prossima ai minimi che ai massimi edittali, con adeguata motivazione in ragione degli argomenti appena richiamati; non si riscontra, dunque, il vizio argomentativo che sostiene il terzo motivo di ricorso. 8. L'impugnazione, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2022. Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2022
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