RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16/12/2021, Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del 03/05/2021 del Tribunale di Milano, con la quale C.B.O., nella qualità di legale rappresentante della società CATRANS s.r.l., era stato dichiarato responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 10- ter (omesso versamento Iva per il periodo di imposta 2014 e 2015) e condannato alla pena di mesi otto di reclusione, concedeva all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.B.O., a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 10-ter e correlato vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Argomenta che la Corte di appello, confermando la valutazione del Tribunale, aveva ritenuto la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato e, cioè il dolo dell'omesso versamento dell'Iva sulla base di presunzioni assolute, non ammesse in sede penale, in un contesto che vedeva pacificamente l'imprenditore privato dalle banche delle risorse per adempiere al versamento dell'imposta dichiarata; la società di cui il ricorrente è legale rappresentante era entrata in uno stato di forte tensione finanziaria nell'anno 2011, a causa di mancati incassi di propri crediti; l'origine dello stato di difficoltà economica era da ricondursi alla risoluzione di due contratti di appalto stipulati dalla società con i due principali clienti, società poi ammesse a procedure concorsuali; in questo contesto di difficoltà nell'anno 2014 gli istituti di credito avevano richiesto il rientro di circa 850.000, Euro, pari all'esposizione debitoria della società, ed avevano trattenuto le somme che venivano accreditate sui conti accesi a nome della società, con estinzione dei debiti nell'anno 2016; la società, poi, onorava il debito erariale solo parzialmente attraverso pagamenti parziali nei limiti della possibilità dell'impresa; l'imputato, inoltre, aveva rinunciato ai propri emolumenti e versato gli stipendi ai dipendenti con proprie risorse; tale quadro complessivo, rappresentato e documentato in giudizio, rendeva evidente come l'omesso versamento dell'IVA non era dipeso da una libera scelta dell'imputato, in quanto la società dallo stesso amministrata non aveva la liquidità necessaria per versare l'imposta e non aveva alcuna alternativa praticabile, dovendo destinare prioritariamente le somme disponibili al pagamento degli stipendi e al pagamento delle rate del debito all'Erario per vicende pregresse.
Con il secondo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 10 ter e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'art. 131-bis c.p., lamentando che la Corte di appello aveva denegato l'applicazione della causa di esclusione della punibilità in questione, con motivazione viziata in quanto aveva rilevato erroneamente un discostamento dalla soglia di punibilità superiore a quello effettivo e non aveva considerato che l'imputato aveva ottenuto la rateizzazione del debito, con pagamento in corso che aveva ridotto il debito al di sotto della soglia di punibilità.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. La difesa del ricorrente ha chiesto, a norma del D.L. n. 137 del 2020art. 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020, la trattazione orale del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Le questioni sollevate trovano risposta negli approdi ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv. 255757, secondo la quale: a) il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; b) la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto; c) il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'IVA dovuta e deve, quindi" tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria. L'introduzione della norma penale" stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predeti:a. Sviluppando e riprendendo il tema della crisi di liquidità d'impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella citata sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
1.2. Va, quindi, ribadito che, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 10-ter D.Lgs. n. 74/200, è sufficiente, quanto all'elemento soggettivo, il dolo generico (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 2016, Vanni, Rv. 265939), configurabile anche nella forma del dolo eventuale (Sez. 3,, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882), integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motivi della scelta dell'agente di non versare il tributo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263127), mentre l'inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352/2015 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263:1.28).
In particolare, per quanto qui rileva, si è affermato che nel reato di omesso versamento di Iva, ai fini dell'esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Rv. 258595), anche attingendo al patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 2014, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, in motivazione).
Ne' la mancata riscossione di crediti costituisce circostanza idonea ad escludere il dolo, posto che si tratta di eventi che rientrano nel normale rischio di impresa (Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, in motivazione). Si è affermato, infatti, che, di regola, l'omesso versamento dell'IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall'art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l'obbligo del predetto versamento prescinde dall'effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all'ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (Sez.3, n. 27202 del 19/05/2022, Rv. 283347; Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep.19/02/2020" Rv. 278909; Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Rv. 278909; Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Rv. 272069, ove si osserva che, tranne i casi di applicabilità del regime di "IVA per cassa", l'obbligo penalmente sanzionato è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate).
L'omesso versamento dell'Iva di cui al D.Lgs. n. 10 marzo 2000 art. 10-ter non può essere neppure giustificato, ai sensi dell'art. 51 c.p., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l'ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l'adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 c.c.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 cod civ.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della "par condicio creditorum", al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato (Sez. 3 n. 52971 del 06/07/2018, Rv.274319 - 01).
1.3. La Corte di appello nel disattendere le censure qui riproposte, facendo buon governo dei principi di diritto suesposti, ha rimarcato, da un lato, che il dolo del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 10-ter è configurabile come la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato e dall'altro, che la crisi di liquidità in cui versava l'impresa dell'imputato risaliva all'anno 2011 e derivava da una contrazione di mercato già conosciuta dall'imputato, mentre le condotte contestate erano relative a fatti dal 2014 al 2015, e che la conseguente ed inevitabile scadenza dei crediti concessi dagli istituti bancari nonché il mancato incasso di crediti (con calo di fatturato importante ma fisiologico) costituivano tutte circostanze prevedibili e che potevano essere ricondotte al rischio di impresa; ha, inoltre, evidenziato che l'imputato non aveva adottato iniziative ai fini di contenere le perdite ed adempiere ai propri obblighi fiscali, pur adottando, comunque, positive iniziative indirizzate a mantenere la continuità dell'attività aziendale.
Trattasi di apprezzamento di fatto, sorretto da motivazione congrua e non manifestamente illogica, insindacabile in sede di legittimità.
2. E', invece, fondato il secondo motivo di ricorso.
La Corte di appello ha disatteso l'istanza di applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. con rnotivazione viziata perché basata sul rilievo di dati erronei con riferimento all'entità del superamento della soglia di punibilità (rilevato erroneamente in Euro 78.613,00 per l'anno 2014 - in luogo della entità esatta di Euro 28.61.3,00 - ed in Euro 96.081,00 per l'annualità 2015- in luogo della entità esatta di Euro 46.081,00).
Tale erronea valutazione determina il vizio motivazionale lamentato ed impone l'annullamento sul punto della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano perché proceda a nuovo giudizio.
Deve in ogni caso ricordarsi che questa Corte ha affermato,in tema omesso versamento di IVA, che la causa di non punibilità della "particolare tenuità del fatto", prevista dall'art. 131-bis c.p., è applicabile soltanto alla omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità., fissata a 250.000 Euro
10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000, in considerazione del fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 13218 del 20/11/2015, dep.01/04/2016, Rv.266570 - 01) e che, in tema di reati tributari caratterizzati dalla soglia di punibilità, già solo il superamento in misura significativa di detta soglia preclude la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, laddove, invece, se tale superamento è di poco superiore, può procedersi a valutare i restanti parametri afferenti la condotta nella sua interezza (Sez.3, n. 15020 del 22/01/2019, Rv. 275931 - 01).
3. La sentenza impugnata, quindi, va annullata con rinvio limitatamente alla causa di esclusione della punibilità ex art. 131- bis c.p., con la precisazione che atteso il principio della formazione progressiva del giudicato, l'infondatezza del ricorso quanto all'ulteriore motivo determina l'irrevocabilità della sentenza in punto di affermazione della responsabilità penale, dovendo, quindi il giudice del rinvio solo verificare in fatto l'applicabilità della causa di esclusione della punibilità (cfr. Sez. 3, n. 38380 del 15/07/2015,Rv. 264796 - 01).
PQM
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis c.p. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Visto l'art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2022