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Omesso versamento IVA: sull'ordine del Giudice del fallimento di non effettuare pagamenti

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. IV, 17/10/2017, n.52542

Sul piano giuridico-ordinamentale è infatti evidente che sarebbe contraddittorio ritenere la persistente vigenza dell'obbligo di versamento integrale del debito IVA, ai sensi dell'art. 10-ter cit., nonostante l'intervenuta ammissione del debitore ad una procedura di concordato preventivo, avente indubbio rilievo pubblicistico in cui sia stato pianificato e approvato il pagamento parziale dell'imposta, allo stato consentito sia dalla citata sentenza della Corte di Giustizia U.E., sia dall'intervenuta modifica normativa dell'art. 182-ter L. Fall..

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. M.M., anche quale legale rappresentante della S.p.A. Cosmo, propone ricorso avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Fermo del 20.6.2017 che - a seguito di precedente rinvio dalla Cassazione (sez. 3, sent. n. 21956 del 17.2.2017) - ha rigettato la richiesta di riesame e confermato il decreto di sequestro preventivo del GIP finalizzato alla confisca anche per equivalente per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, in relazione all'omesso versamento di IVA entro il 28.12.2015. 2. Il ricorrente lamenta la violazione di legge in riferimento al fumus del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter e con riguardo agli artt. 5,43 e 51 c.p. e art. 59 c.p., comma 4, artt. 51,52,161,168,184 e art. 216, comma 3, L. Fall. nonchè art. 321 c.p.p.. Deduce che la Corte di cassazione, nella sentenza rescindente, aveva demandato al giudice di rinvio l'individuazione, ancor prima della mancanza dell'elemento soggettivo, della causa di giustificazione, per effetto del dictum contenuto nel decreto del Tribunale civile di Fermo del 2.7.2015, con cui, a seguito della domanda di ammissione al concordato preventivo presentato dalla società Cosmo, il Tribunale aveva specificato che non potevano essere effettuati pagamenti di crediti anteriori "per nessun motivo". Sostiene che l'ordinanza impugnata, nel confermare il sequestro preventivo, ha violato le norme sopra citate e, in particolare, il principio di non contraddizione dell'ordinamento giuridico, enunciato con la scriminante di cui all'art. 51 c.p.. Rileva che, nel caso, il giudizio di bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la finalità della prescrizione imposta dal giudice a seguito della domanda di concordato era stato già preventivamente risolto dall'ordine del giudice civile di Fermo, conforme al principio di specialità: a fronte del generale obbligo di versamento del debito tributario, sussiste lo speciale divieto a carico dell'imprenditore fallibile, nell'ambito di una procedura concordataria, di effettuare pagamenti allo scopo di favorire taluno dei creditori. Deduce che la prescrizione in esame proviene da un ordine dell'Autorità Giudiziaria che ha esplicitato specifici divieti già derivanti da norme giuridiche, quali il divieto di effettuare pagamenti preferenziali (penalmente sanzionato ex art. 216, comma 3, L. Fall.) e il disposto dell'art. 168 L. Fall., che vieta alla società di eseguire pagamenti per debiti anteriori. Segnala che, anche volendo ipotizzare un errore di diritto sull'esistenza o sull'oggetto della dedotta scriminante, dovrebbe riconoscersi la rilevanza scusante di un errore inevitabile sui limiti giuridici di una causa di giustificazione, in ossequio al disposto dell'art. 5 c.p., come riformulato dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 364/1988. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati. 2. Va preliminarmente osservato come sulla problematica attinente ai rapporti fra la disposizione contenuta nella fattispecie penale di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, riguardante l'omesso versamento di IVA, e gli obblighi che incombono sul soggetto richiedente la definizione concorsuale dei propri debiti (compreso quello IVA) tramite la procedura del concordato preventivo, si sono registrati, nella giurisprudenza penale di questa Corte, orientamenti discordanti. 2.1. Secondo un primo orientamento, apparentemente maggioritario, in tema di omesso versamento dell'IVA, l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'imposta, non esclude il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter in relazione al debito IVA scaduto e da versare (Sez. 3, n. 12912 del 04/02/2016, Ugolini, Rv. 26670801; id., n. 44283 del 14/05/2013, P.M. in proc. Gavioli, Rv. 25748401; id., n. 39101 del 24/04/2013, Mammi, Rv. 25728501). Tale orientamento muove essenzialmente dall'assunto che l'IVA è un tributo comunitario e che, in base al diritto dell'Unione ed alle decisioni della Corte di Giustizia (sentenza 29.3.2012, causa C 500/10) gli Stati membri sono tenuti a garantirne la riscossione integrale sul proprio territorio. Non essendo dunque possibile "falcidiare" l'imposta in sede di concordato, imposta che anzi deve comunque essere integralmente pagata dal debitore - anche alla luce della (previgente) disposizione di cui all'art. 182-ter L. Fall., disciplinante la c.d. "transazione fiscale", che vietava il pagamento parziale dell'IVA e consentiva unicamente la dilazione del pagamento -, si argomenta che il debitore concordatario è sempre tenuto a rispettare le scadenze IVA anche (e soprattutto) ai fini penali (per importi superiori alla soglia vigente di Euro 250.000), senza che sia violato il principio di uguaglianza tra i creditori ove il tributo sia versato pur dopo la presentazione della domanda di concordato. 2.2. Secondo un secondo orientamento, non sarebbe configurabile il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, per il mancato versamento del debito IVA scaduto, nel caso in cui il debitore sia stato ammesso al concordato preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il relativo versamento, per effetto della inclusione nel piano concordatario del debito d'imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative (Sez. 3, n. 15853 del 12/03/2015, Fantini, Rv. 26343601). Partendo sempre dal presupposto che il debito IVA non è falcidiabile in sede di concordato, tale orientamento osserva che comunque in tale sede è consentita la dilazione del pagamento dell'imposta, sicchè, qualora la dilazione del pagamento del debito IVA rientri nell'ambito del piano concordatario, e considerato che il concordato preventivo non è una manifestazione di autonomia negoziale, bensì un istituto prevalentemente pubblicistico, è illogico considerare tutto ciò tamquam non esset ai fini penali. Se ne desume come "una siffatta intersecazione tra le norme penali e le norme concorsuali non può, pertanto, svuotare di contenuto queste ultime, relativizzandone gli effetti di applicazione; un imprescindibile coordinamento dovrà dunque riflettersi non solo sull'elemento soggettivo che anima la condotta, bensì, a priori, sulla sussistenza dell'elemento oggettivo di illecito penale, nel senso di escluderla". Il concordato preventivo ammesso prima del termine di scadenza per il versamento dell'IVA determinerebbe, dunque, l'insussistenza del reato, sempre che il piano concordatario preveda il pagamento dilazionato ma integrale (comprensivo di interessi e sanzioni) del debito IVA. 2.3. Entrambi gli orientamenti citati muovono dal presupposto dell'intangibilità dell'IVA, sull'assunto che, trattandosi di imposta armonizzata avente rilievo comunitario, essa non sarebbe falcidiabile in sede concordataria, essendo, per così dire, sottratta alla disponibilità delle "parti" negoziali del concordato in termini di possibili riduzioni percentuali di pagamento del relativo importo capitale dovuto. 2.4. Tale assunto è stato smentito dalla sentenza della Corte di Giustizia U.E., sez. 2, del 7.4.2016, che ha ritenuto compatibile con il diritto dell'Unione Europea il pagamento parziale di un debito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell'ambito di una procedura di concordato preventivo. Ciò in considerazione dei rigorosi presupposti di applicazione della procedura di concordato preventivo, idonei ad offrire garanzie per quanto concerne, in particolare, il recupero dei crediti privilegiati e pertanto dei crediti IVA, in ragione del fatto che l'imprenditore in stato di insolvenza è chiamato a liquidare il suo intero patrimonio per saldare i propri debiti e la procedura è destinata comunque a verificare, tramite l'ausilio di un esperto indipendente, l'impossibilità di una migliore soddisfazione della pretesa tributaria in caso di fallimento; inoltre il procedimento prevede la possibilità per lo Stato membro interessato di votare contro una proposta di pagamento parziale di un credito IVA, qualora non concordi con le conclusioni dell'esperto indipendente (cfr. punti 25 e 26 della citata sentenza della Corte U.E.). 2.5. Conformemente alla pronuncia della Corte di Giustizia è successivamente intervenuta - con decorrenza dal 1.1.2017 - la modifica della L. Fall., art. 182-ter, mediante l'eliminazione della previgente disposizione che prevedeva l'infalcidiabilità dell'IVA per l'ipotesi di "transazione fiscale". Conseguentemente tale imposta può, attualmente, rientrare a tutti gli effetti fra i tributi che, alle condizioni stabilite, possono formare oggetto di pagamento parziale nell'ambito della procedura concordataria, anche in caso di specifico trattamento dei crediti tributari e contributivi. 3. Dalle superiori considerazioni discende l'inevitabile superamento di quell'orientamento maggioritario della Terza Sezione della Corte di cassazione, dianzi citato, che riteneva la sostanziale irrilevanza della procedura di concordato preventivo rispetto alla consumazione del reato tributario di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, in quanto fondato su presupposti giuridici e argomentazioni non più attuali. Sul piano giuridico-ordinamentale è infatti evidente che sarebbe contraddittorio ritenere la persistente vigenza dell'obbligo di versamento integrale del debito IVA, ai sensi dell'art. 10-ter cit., nonostante l'intervenuta ammissione del debitore ad una procedura di concordato preventivo, avente indubbio rilievo pubblicistico (cfr. sul punto Sez. 3, n. 15853 del 12/03/2015, Fantini, Rv. 26343601), in cui sia stato pianificato e approvato il pagamento parziale dell'imposta, allo stato consentito sia dalla citata sentenza della Corte di Giustizia U.E., sia dall'intervenuta modifica normativa dell'art. 182-ter L. Fall.. Non è questa la sede per approfondire la questione, ma è indubbio che la suddetta contraddizione fra norme concorrenti di pari valore ed efficacia, possa e debba essere risolta nel senso della insussistenza del reato, cui potrebbe giungersi sia sul piano dell'assenza dell'elemento soggettivo che anima la condotta; sia sul piano dell'insussistenza dell'elemento materiale costituito dal venire meno dell'obbligo di versamento al di fuori della procedura concorsuale; sia sul piano della possibile applicazione della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., sotto il profilo dell'adempimento, da parte del debitore concordatario, del dovere di non effettuare pagamenti relativi a crediti sorti anteriormente alla procedura. 4. Venendo dunque al caso in disamina, occorre considerare che già la sentenza rescindente della Cassazione aveva demandato al Tribunale di sviluppare un'analisi in ordine alla eventuale configurabilità dell'esimente di cui all'art. 51 c.p., ritenendo la prospettazione del ricorrente, in proposito, meritevole di una risposta adeguata, che sul punto non era stata fornita dalla precedente ordinanza oggetto di annullamento. In quella sentenza la Suprema Corte aveva evidenziato il diverso profilo, rimasto inevaso, concernente la individuazione della causa di giustificazione del reato per effetto del dictum del giudice contenuto nel decreto del Tribunale di Fermo del 2.7.2015 (con il quale si ordinava al debitore di non effettuare pagamenti di crediti anteriori "per nessun motivo"), ritenuto avere una sicura incidenza sul requisito del fumus commissi delicti. Ciò proprio in ragione del principio di non contraddizione dell'ordinamento giuridico, di cui l'art. 51 c.p. costituisce un indiscutibile portato normativo. 5. Sul tema dell'art. 51 c.p. la risposta fornita dal Tribunale nell'ordinanza impugnata è stata, tuttavia, carente ed inadeguata. 5.1. Il Tribunale, dopo aver richiamato la - ormai superata, per quanto già detto innanzi (v. supra par. 2 e 3) - giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 12912 del 04/02/2016, Ugolini) in merito alla persistente configurabilità del reato di omesso versamento di IVA nonostante l'ammissione del soggetto alla procedura di concordato preventivo, rileva che nel caso solo la domanda di ammissione al concordato è anteriore alla scadenza del debito IVA, per cui il reato sarebbe comunque configurabile (posto che il provvedimento di ammissione, emesso dal Tribunale il 3.3.2016, è successivo alla scadenza IVA del 28.12.2015). Sul punto, però, il giudice di merito omette di considerare che la questione che in concreto doveva affrontare non riguardava il rapporto fra la data di ammissione al concordato e la scadenza del debito IVA, bensì l'incidenza del provvedimento del Tribunale di Fermo - che, in data antecedente alla scadenza del debito IVA, faceva divieto al debitore di pagare i crediti anteriori rispetto alla sussistenza del fumus del reato, stante l'eventuale configurabilità dell'esimente di cui all'art. 51 c.p.. 5.2. Il Tribunale affronta poi la problematica della scriminante, operando un bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la finalità cui mira la causa di giustificazione, risolvendolo inopinatamente a favore della sussistenza del fumus del reato, poichè la prescrizione imposta dal giudice civile non costituirebbe un dovere derivante da una norma giuridica, mentre il pagamento dell'IVA sarebbe conseguenza di un prevalente obbligo giuridico di rilievo pubblicistico e comunitario, con la conseguenza che una prescrizione imposta dal giudice per regolare un atto/negozio di autonomia privata non potrebbe elidere l'obbligo di valenza pubblicistica inerente al pagamento IVA. 5.3. Si tratta di considerazioni che contengono asserzioni tanto apodittiche quanto erronee sul piano dei principi giuridici che regolano la materia in disamina. 5.3.1. In primo luogo, l'ordine del giudice, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, costituisce espressione di un dovere derivante da precise norme giuridiche che attengono alla necessità di salvaguardare la c.d. par condicio creditorum, da cui discende il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore, previsto dall'art. 168, comma 1, L. Fall., con la conseguenza che i debiti sorti prima dell'apertura della procedura non possono essere estinti fuori dall'esecuzione concorsuale (Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 14738 del 26/06/2007, Rv. 598145). L'ordine del giudice, in altri termini, costituisce fonte legittima di un dovere imposto in via immediata dall'ordine stesso dell'Autorità giudiziaria, ed in via mediata da precise disposizioni di legge, di eguale valore ed efficacia rispetto alle regole tributarie, la cui violazione - in una situazione di insolvenza culminata nel fallimento del debitore - può giungere ad integrare il reato di bancarotta preferenziale. 5.3.2. In secondo luogo, l'obbligo di pagamento dell'IVA, che ha indubbio rilievo pubblicistico ed Eurounitario, non impedisce, come già visto, che il debito IVA sia falcidiabile attraverso il piano concordatario, approvato sulla base di una procedura che, contrariamente a quanto affermato nell'ordinanza impugnata, non costituisce mera espressione di autonomia privata, bensì assume indubbio rilievo pubblicistico. L'istituto del concordato preventivo, infatti, costituisce un'alternativa al fallimento e dunque si delinea come uno di quegli strumenti di tutela non solo dei creditori ma anche degli interessi economici collettivi che il legislatore ha predisposto per le crisi d'impresa. Si tratta di una procedura che, pur originandosi da un impulso del debitore, non è confinato in un dispositivo privatistico, governato esclusivamente dalle parti (debitore e creditore) dei negozi coinvolti in quell'inadempimento complessivo che integra lo "stato di crisi" (art. 160, comma 1, L. Fall.) o addirittura "lo stato di insolvenza" (L. Fall., art. 160, u.c.), bensì attinge alla soglia pubblicistica, si snoda in un percorso giurisdizionalmente disegnato e vigilato, per ricevere infine una ratifica di quanto deliberato dai creditori sulla proposta del debitore da parte dell'organo giurisdizionale (così in motivazione Sez. 3, n. 15853 del 12/03/2015, Fantini, Rv. 26343601). 5.4. Da quanto sopra discende che attribuire prevalenza alla norma penale che sanziona l'omesso versamento dell'IVA rispetto al contrapposto divieto di versamento dell'IVA, imposto da un legittimo ordine del giudice, che deriva da precise norme giuridiche aventi pari valore ed efficacia rispetto alla normativa tributaria, è frutto di una visione distorta del corretto significato da attribuire alle norme e ai principi di diritto dianzi richiamati. 6. Invero, pur nei limiti di una delibazione sul fumus del reato, l'analisi che precede consente di ricostruire in termini giuridici diversi, rispetto a quelli adottati dal giudice di merito, la fattispecie in disamina. 6.1. E' indubbio che l'indagato si è trovato di fronte ad una situazione in cui, da una parte, a seguito della avanzata richiesta di concordato preventivo, è stato destinatario di un ordine legittimo del giudice che gli imponeva di non pagare crediti sorti in data anteriore alla proposta di concordato del 2.7.2015, fra cui il credito tributario costituito dall'importo dovuto per l'IVA dichiarata nell'anno 2015 (relativa all'anno 2014); dall'altra, la norma di cui all'art. 10-ter cit. gli imponeva l'obbligo di pagare il debito IVA entro la data del 28.12.2015, ma se così avesse fatto avrebbe violato l'ordine del giudice e le norme poste a tutela della par condicio. 6.2. L'evidente discrasia tra norma penale e norme concorsuali concretamente applicabili nel caso di specie, stante l'impossibilità di giudicare prevalente la prima rispetto alle seconde - dalle quali è derivato il dictum legittimamente imposto, nel caso specifico, dall'autorità giudiziaria -, appare risolvibile mediante l'applicazione alla fattispecie della scriminante di cui all'art. 51 c.p.. 6.3. In questa prospettiva si deve ritenere che l'indagato abbia omesso il versamento dell'IVA in adempimento di un dovere a lui imposto da un ordine legittimo dell'autorità, rispetto al quale egli non aveva alcun margine di discrezionalità e che derivava da norme poste a tutela di interessi aventi (anche) rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario. 6.4. Del resto, se è vero che in tema di adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo, è sempre necessario, al fine di accertare l'effettiva sussistenza della esclusione della antigiuridicità del fatto, compiere, in concreto, un giudizio di bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la finalità cui mira la causa di giustificazione (Sez. 4, n. 12489 del 29/09/2000, Scaglione F ed altri, Rv. 21923301), se ne deve concludere che nel caso - a conferma della operatività della scriminante - non si è verificata alcuna sproporzione tra il fine perseguito dall'ordine e la condotta di attuazione dello stesso, nè che vi sia stata lesione di beni che, nel giudizio concreto, si rivelino preminenti rispetto all'interesse a che si realizzi la finalità dell'ordine impartito, posto che, come già visto, l'interesse statale e comunitario al versamento integrale dell'IVA può recedere di fronte a situazioni di insolvenza affrontate con la procedura di concordato preventivo, la quale, come riconosciuto dalla Corte di Giustizia U.E., offre ampie garanzie allo Stato (e alla stessa U.E.) per il recupero dei crediti IVA. 7. In definitiva, la configurabilità nel caso della scriminante dell'art. 51 c.p. - in ossequio al principio di non contraddizione dell'ordinamento, cui l'esimente in parola si riconduce, per cui lo stesso comportamento non può essere considerato dovuto e vietato allo stesso tempo - appare tale da far escludere il fumus commissi delicti, con conseguente annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata (e del provvedimento del GIP), e restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata ed il provvedimento del GIP del Tribunale di Fermo in data 16/9/2016; per l'effetto dispone la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p.. Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2017. Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2017
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