RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Monza in data 9.1.2012 - appellata anche dal Pm e dalla costituita parte civile Fallimento Tornado Gest srl (oltre che dagli odierni imputati) -, ha dichiarato la penale responsabilità di quest'ultimi anche per il reato di cui al capo A4 (bancarotta per operazioni dolose) e l'inammissibilità dell'appello proposto dal P.m. per i capi D (tentativo di bancarotta patrimoniale distrattiva) ed E (truffa aggravata), confermando nel resto la sentenza impugnata dai ricorrenti per i restanti reati di cui ai capi A (bancarotte distrattive e documentali; bancarotta societaria e bancarotte per operazioni dolose, in relazione ai contestati art. 110 c.p., art. 216, comma 1, nn. 1 e 2, art. 219, commi 1 e 2, n. 1, art. 223, comma 1 e comma 2, n. 1 - in relazione agli artt. 2621 e 2622 cod. civ. - e n. 2, L. Fall.), e ai capi H ed I (bancarotte patrimoniali distrattive e documentali improprie).
Avverso la predetta sentenza ricorrono entrambi gli imputati, per mezzo del loro comune difensore, affidando la impugnativa a tre motivi di doglianza, ognuno dei quali variamente articolato.
1.1 Denunziano i ricorrenti, con il primo motivo, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d, la mancata assunzione di una prova decisiva in relazione al dettato dell'art. 495 c.p.p., comma 2. Si deduce l'illegittimità della decisione adottata sia dal giudice di prime cure sia del giudice di appello della mancata assunzione di una prova decisiva in relazione al reato di cui al capo A.1 sub 3, in cui veniva contestata agli imputati la distrazione di Euro 5.074.110,55 in danno della società fallita Tornado Gest srl attraverso prelievi in contanti, bonifici ed emissioni di assegni privi di giustificazione. Evidenziano i ricorrenti che la loro difesa aveva proposto l'acquisizione delle fatture di acquisto della fallita che avrebbe consentito di accertare che la società fallita aveva sostenuto fin dal 1998, e dunque ben prima di ottenere il cospicuo finanziamento da Mediocredito, ingenti costi che erano stati finanziati direttamente e personalmente da essi ricorrenti; denunziano, così, l'illegittimità della ordinanza istruttoria del 12.11.2011 resa in primo grado là dove, con motivazione laconica, era stata rigettata la richiesta di ammissione della prova documentale come esibita, senza spiegare le ragioni del diniego, nonchè la mancanza di una motivazione nella sentenza di secondo grado qui ricorsa là dove, pur dando atto della richiesta di rinnovazione della istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen., ciò nonostante implicitamente la Corte di merito aveva rigettato tale richiesta, senza fornire spiegazione alcuna sul punto. Si deduce la decisività della prova così richiesta, atteso che la detta prova documentale avrebbe consentito di accertare che il capitale anticipato dagli imputati, prima del menzionato finanziamento bancario, era comunque superiore al finanziamento stesso e proveniente come tale direttamente dagli imputati odierni.
1.2 Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, il vizio di motivazione in ordine alla omissione di pronuncia in ordine alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, e ciò in violazione dell'art. 6 CEDU e art. 111 Cost..
Si evidenzia, cioè, l'omissione di motivazione in ordine all'implicito diniego di riapertura dell'istruttoria disposto dalla Corte meneghina. Richiama, sul punto, la parte ricorrente la giurisprudenza Europea e quella di legittimità nazionale in ordine alla necessità di riapertura dell'istruttoria in appello e della immediatezza e della oralità nell'acquisizione della prova. Si denunzia, pertanto, la violazione dell'art. 125 c.p.p. e art. 546 c.p.p., lett. e in relazione alla predetta omissione di motivazione.
1.2.1 Con il secondo motivo si denunzia, inoltre, sempre in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. e, l'omessa motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato per la sola imputata S.A. per i reati di cui al capo A.1 (bancarotta fraudolenta patrimoniale) e di cui al capo A.2 (bancarotta fraudolenta documentale) ed altresì la violazione dell'art. 111 Cost. e art. 546 cod. proc. pen.. Deduce la parte ricorrente la laconicità ed insufficienza della motivazione là dove aveva argomentato in ordine al predetto elemento soggettivo del reato basandosi, dal punto di vista probatorio, sulla sola valorizzazione di due elementi, e cioè la sottoscrizione da parte della S. del contratto di finanziamento con Mediocredito ed il rapporto di coniugio con l'altro coimputato; denunzia, inoltre, l'assenza di motivazione in ordine ad una serie di elementi oggettivi portati all'attenzione della Corte distrettuale nei motivi di appello per escludere la ricorrenza dell'elemento soggettivo dei reati in contestazione, e cioè che la S., nonostante fosse stata formalmente amministratrice di diritto per dieci anni, non era mai stata menzionata dai testi dell'accusa come partecipe alle operazioni distrattive ovvero indicata come interlocutrice della società Tornado Gest; che, inoltre, era emerso dalla prova testimoniale che le questioni contabili della società fallita erano trattate direttamente dallo Z. con il commercialista della società; che, più in generale, la S., secondo quanto riferito dai testi, non aveva avuto mai ingerenze nella gestione amministrativa della fallita; che, anche in relazione alla contestazione di cui al capo A.1 sub 1, ove si contesta agli imputati di aver posto in essere finanziamenti fittizi (giacchè - secondo l'ipotesi accusatoria - il denaro bonificato da Set a Tornado era proveniente da quest'ultima società o da Coel, fornitrice della fallita), le comunicazioni provenienti dalla banca Mediocredito e sottoscritte dal legale rappresentante della società erano, al più, dimostrative che la S. fosse consapevole solo dei versamenti da Set a Tornado, come tale operazione di per sè legittima, ma non della provenienza del denaro e che si trattasse, cioè, di una operazione di "cash around". Si evidenzia, dunque, la mancata prova di un concorso causale della S. nei fatti di bancarotta sopra evidenziati, prova che, al più, dimostrava una mera connivenza della imputata.
1.2.2 Sempre con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, il vizio argomentativo in relazione alla omessa motivazione per il capo A.2 (bancarotta documentale per entrambi gli imputati). Si deduce la contraddittorietà della motivazione per l'accertamento della responsabilità penale degli imputati in relazione alla bancarotta documentale fondato sulla mera omissione di contabilizzazione di talune operazioni attive e passive, circostanza quest'ultima che dovrebbe invece deporre per escludere l'intento fraudolento della predetta bancarotta e per far ravvisare una mera confusione contabile, come tale generatrice di una responsabilità per il diverso reato di bancarotta documentale semplice ex art. 217 l. fall.. Si denunzia, inoltre, l'insufficienza della motivazione nella parte in cui non aveva accertato e motivato in ordine alla paternità delle indicazioni fornite al rag. G. per la contabilizzazione delle operazioni, giacchè tali indicazioni provenivano dal solo Z. e non già dalla S.. Si evidenzia, inoltre, la contraddittorietà della motivazione là dove la stessa aveva dedotto la falsità delle fatture attive contabilizzate in relazione alle sale cinema e nei confronti della Magic Movies s.r.l. e della Green Lake s.r.l. dalla circostanza, in realtà inveritiera, secondo cui il multisala non era stato mai completato, mentre la difesa degli imputati aveva fornito la prova documentale del completamento del multisala e della locazione dei locali. Si osserva, cioè, che le fatture emesse da Tornado Gest a Magic Movies e a Green Lake erano state regolarmente contabilizzate in quanto aventi ad oggetto rami d'affitto di azienda effettivamente esercitati. Si deduce pertanto, sul punto in esame, una omessa motivazione della Corte territoriale in ordine alle doglianze già sollevate nei motivi di appello.
1.2.3 Sempre con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e, in relazione al capo A.4 (bancarotta per operazioni dolose) per vizio argomentativo e per travisamento della prova. Si evidenzia che la Corte meneghina, a differenza del giudice di prime cure - che aveva assolto gli imputati perchè aveva individuato la causa del dissesto in una condotta imprudente -, aveva accertato la penale responsabilità degli imputati in riferimento alle ragioni che avevano portato alla chiusura del Multisala. Si deduce da parte della difesa dei ricorrenti che già in grado di appello si era dimostrata la volontà di quest'ultimi di tenere in vita la compagine sociale attraverso l'esperimento di una azione giudiziale innanzi al Tar, la predisposizione di un piano di fattibilità commerciale del progetto. Osserva la parte ricorrente che invece la Corte d'appello era incorsa, sul punto in esame, in un vero e proprio travisamento della prova, giacchè le cause di chiusura del Multisala erano da individuarsi in situazioni e comportamenti non addebitabili allo Z..
1.3 Con il terzo motivo si denunzia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b, la violazione di legge in relazione alla L. n. 24 del 2006, art. 1 per la mancata dichiarazione di condono della pena inflitta allo Z. per il reato di cui al capo H.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è fondato limitatamente alle censure mosse dai ricorrenti, sotto il profilo del vizio argomentativo, in relazione al capo A.4 (bancarotta per operazioni dolose), imponendosi, pertanto, sotto questo profilo l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame, e ciò per le ragioni che si esamineranno tra breve.
2.1 Nel resto i ricorsi sono invece infondati e vanno pertanto rigettati.
3. I primi due motivi di doglianza relativi all'allegato vizio argomentativo e al travisamento della prova in relazione alla denunziata mancata assunzione di una prova documentale, ritenuta - secondo gli assunti difensivi dei ricorrenti - decisiva per dimostrare la loro estraneità ai fatti di bancarotta distrattiva di cui al capo A.1 sub 3 per la sottrazione di Euro 5.074.110,55 possono, invero, essere esaminati congiuntamente, involgendo la soluzione delle medesime problematiche applicative.
3.1 Si denunzia da parte ricorrente che la detta prova documentale avrebbe consentito di accertare che il capitale anticipato dagli imputati, prima del menzionato finanziamento bancario, era comunque superiore al finanziamento stesso e come tale proveniente direttamente dagli imputati odierni.
3.1.1 Orbene, osserva il Collegio come, in realtà, la doglianza, così come sopra formulata, non è fondata, giacchè, già sotto il profilo allegatorio, la parte ricorrente non ha spiegato, prima, e dimostrato, dopo, il profilo della decisività della prova della quale richiedeva, con insistenza, l'ammissione sia nel primo che nel secondo grado di giudizio.
Peraltro, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014 - dep. 14/01/2015, PR, Rv. 261799). Dunque, per tornare al caso di specie, ciò che conta non è la qualità della risposta che il giudice del merito ha inteso dare alle istanze di prova della difesa, ma la desumibilità o non, dal tessuto argomentativo della sentenza posto in relazione alle censure difensive, di una grave lacuna del ragionamento probatorio e della sua rappresentazione a livello motivazionale. Così impostata la questione, le censure difensive risultano appunto infondate.
3.1.2 Detto altrimenti, l'"error in procedendo" rilevante "ex" art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), è configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito (Cass., Sez. 4, n. 23505 del 14/03/2008 - dep. 11/06/2008, Di Dio, Rv. 240839).
3.1.3 Ciò posto, osserva il Collegio come la stessa allegazione dei ricorrenti - secondo cui il capitale anticipato dagli imputati, prima del menzionato finanziamento bancario ricevuto dalla Mediocredito, era superiore al detto finanziamento e comunque proveniente, come tale, direttamente dagli imputati odierni - toglie rilevanza, sul piano probatorio, alla documentazione contabile della quale i ricorrenti reclamavano l'acquisizione, atteso che risulta circostanza pacifica che - anche ammettendo che tali flussi finanziari provenissero, in entrata, dai soci, prima dell'intervenuto finanziamento bancario, per sostenere la gestione societaria - gli stessi erano stati, poi, oggetto di illecita apprensione da parte degli amministratori, così integrando la contestata bancarotta distrattiva.
Ne consegue che del tutto correttamente i giudici di merito hanno ritenuto non decisiva la detta prova testimoniale.
3.2 Sempre con il secondo motivo si denunzia la omessa motivazione in relazione alle doglianze sollevate sull' elemento soggettivo del reato per la sola imputata S.A. per i reati di cui al capo A.1 (bancarotta fraudolenta patrimoniale) e di cui al capo A.2 (bancarotta fraudolenta documentale).
3.2.1 Le stesse sono in realtà infondate.
3.2.2 Si deduce il vizio argomentativo per aver la Corte distrettuale fondato, dal punto di vista probatorio, il giudizio di penale responsabilità dell'imputata sulla valorizzazione di due soli elementi, e cioè la sottoscrizione da parte della S. del contratto di finanziamento con Mediocredito ed il rapporto di coniugio con l'altro coimputato.
Sul punto, osserva il Collegio come in realtà la parte ricorrente non alleghi un vero e proprio vizio argomentativo rintracciabile nel tessuto motivatorio della sentenza impugnata, ma denunzi, al contrario, una erronea valutazione degli elementi probatori posti a sostegno del giudizio di penale responsabilità dell'imputata, sollecitando la Corte ad un nuovo scrutinio di carattere contenutistico sulla prova già valutata nei precedenti gradi di merito.
3.2.2.1 Orbene, occorre ricordare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (in tal senso, ex plurimis, Sez. 5, n. 4295 del 07/10/1997, Di Stefano, Rv. 209040). Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni della Corte di Cassazione, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite, le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U., n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e), per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.244181).
3.2.2.2 Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, la sollecitazione da parte della ricorrente a rivisitare il "peso probatorio" delle due circostanze sopra ricordate, e cioè la sottoscrizione del contratto di finanziamento con Mediocredito ed il rapporto di coniugio con l'altro coimputato, diventa, per la ragioni già evidenziate, irricevibile in questo giudizio di legittimità.
3.2.3 Le ulteriori censure sollevate nel medesimo motivo in ordine ad un asserito vizio argomentativo della sentenza, sempre in riferimento alla motivazione posta a sostegno del giudizio di penale responsabilità della S. per i reati sopra menzionati di cui ai capi A.1 e A.2 (rispettivamente, bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta fraudolenta documentale) sono, invece, già sotto il profilo giuridico, infondate. Ed invero, si evidenzia, per quanto già sopra delineato, che la S. non era mai stata menzionata dai testi dell'accusa come partecipe alle operazioni distrattive ovvero indicata come interlocutrice della società Tornado Gest; che, inoltre, era emerso dalla prova testimoniale che le questioni contabili della società fallita erano trattate direttamente dallo Z. con il commercialista della società; che, più in generale, la S., secondo quanto riferito dai testi, non aveva avuto mai ingerenze nella gestione amministrativa della fallita.
3.2.3.1 Sul punto, non può essere dimenticato che, in tema di bancarotta fraudolenta, l'amministratore di diritto risponde unitamente all'amministratore di fatto per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l'amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali, la quale non può dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministratore; tuttavia allorchè si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l'accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l'affermazione della responsabilità penale (Cass., Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015 - dep. 18/02/2015, Fasola, Rv. 262767).
Il principio ora affermato e granitico nella giurisprudenza di questa Corte si fonda sul rilievo che - in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale -, poichè non impedire l'evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo, risponde di concorso nel reato l'amministratore di diritto, anche se sia stato una mera "testa di legno". Ed invero, il cod. civ. impone all'amministratore precisi obblighi di vigilanza, con al conseguenza che, per integrare il dolo dell'amministratore di diritto, è sufficiente la generica consapevolezza che l'amministratore di fatto ponga in essere condotte integranti il reato di bancarotta (Cass., Sez. 5, n. 10465 del 24/06/1999 - dep. 01/09/1999, Murra G, Rv. 214301).
Peraltro, va aggiunto, per quanto qui di interesse (in relazione anche al reato di bancarotta fraudolenta documentale), che l'amministratore di diritto risponde anche di quest'ultimo reato, per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito solo formalmente dell'amministrazione della società fallita (cosiddetta "testa di legno"), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purchè sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Cass., Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013 - dep. 10/01/2014, Demajo, Rv. 257950).
3.2.3.2 Così ricostruito il quadro dei principi applicabili al caso di specie, osserva la Corte come la tesi perorata dalla difesa della ricorrente si scontrò frontalmente con la giurisprudenza da ultimo ricordata e alla quale anche questo Collegio intende, naturalmente, fornire continuità applicativa, condividendone la ratio applicativa. Peraltro, va anche precisato che nessun vizio logico è rintracciabile nelle argomentazioni spese dalla Corte di merito per fondare il giudizio di penale responsabilità della imputata anche in relazione all'elemento psicologico dei reati alla stessa contestati, atteso che, in realtà, proprio la sottoscrizione dell'importante contratto di finanziamento con la Mediocredito e il rapporto di coniugio con l'amministratore di fatto della fallita rimangono circostanze che evidenziano, sul piano della consapevolezza dei comportamenti, da un lato, un ruolo attivo svolto dalla imputata nell'attività gestionale e dunque la piena conoscenza della gravità delle condotte di gestione della società da parte del marito, e, dall'altro, anche la consapevolezza da parte della S. che dalla propria condotta omissiva potessero scaturire, anche per le altre attività gestionali, gli eventi tipici del reato sotto forma di dolo generico o comunque l'accettazione del rischio che questi si verificassero in futuro. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi, in ordine al profilo dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta documentale, giacchè dal personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture scaturisce il giudizio di penale responsabilità dell'imputata, e ciò anche tramite la dimostrazione (avvenuta, nel caso di specie, dal punto di vista probatorio) dell'effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari.
3.2.3.2 Le ulteriori censure sollevate dalla ricorrente in ordine alla consapevolezza o meno della illiceità delle operazioni di "cash around" e del suo ruolo di mera "connivente" attingono, invero, al merito fattuale della vicenda e, senza il medio dell'allegazione di un vizio argomentativo, non possono essere prese in considerazione dalla Corte, perchè si pongono al di fuori della circoscrizione del suo giudizio di legittimità.
3.3 Con il secondo motivo si denunzia, altresì, il vizio argomentativo in relazione alla omessa motivazione per il capo A.2 (bancarotta documentale per entrambi gli imputati). Si deduce, in buona sostanza, la contraddittorietà della motivazione per l'accertamento della responsabilità penale degli imputati in relazione alla bancarotta documentale fondato sulla mera omissione di contabilizzazione di talune operazioni attive e passive, ipotizzando, al più, la genesi di una diversa responsabilità per il reato di bancarotta documentale semplice ex art. 217 l. fall..
3.3.1 Anche qui il motivo di doglianza non merita accoglimento.
Osserva la Corte come, sotto quest'ultimo profilo, la motivazione resa dal giudice di appello risulti adeguata e condivisibile, con un argomentare esente da aporie e contraddizioni.
Non è dunque rintracciabile il denunziato vizio argomentativo.
Sotto quest'ultimo profilo, occorre evidenziare come la Corte territoriale abbia ben sottolineato le manchevolezze (peraltro, documentalmente provate) sia in ordine alla omessa contabilizzazione delle operazioni relative alla gestione societaria sia in ordine alla omessa consegna dei Libri Iva, oltre che alla irregolare tenuta del Libro giornale.
Ne discende che non è comprensibile esprimersi, nella situazione fattuale da ultimo descritta, in termini di "mero disordine amministrativo e contabile", circostanza come tale generatrice di responsabilità penale per l'invocato reato di bancarotta semplice. Occorre, invece, evidenziare, come ben argomentato dalla Corte meneghina, la sussistenza di una condotta fraudolenta, come tale diretta ad ingannare i creditori e strumentale alla commissione delle bancarotte distrattive. Peraltro, non va dimenticato che, come evidenziato dai giudici di merito, le operazioni fittizie erano principalmente dirette ad ottenere i fidi bancari, con ciò evidenziandosi anche il "movente" della condotta illecita da ultimo in esame.
Per le medesime ragioni già sopra evidenziate non merita positivo apprezzamento anche l'ulteriore censura che riguarda più specificatamente la S., giacchè ella rivestiva la qualifica di amministratore di diritto e dunque aveva un obbligo di controllo sull'amministratore di fatto.
3.4 L'ultima ragione di doglianza contenuta nel secondo motivo di ricorso è invece fondata.
Si censura la sentenza impugnata in relazione al capo A.4 (bancarotta per operazioni dolose) per vizio argomentativo e per travisamento della prova.
Sul punto, va ricordato che il giudice di prime cure aveva assolto gli imputati perchè aveva individuato la causa del dissesto in una semplice condotta imprudente.
Si evidenzia da parte della difesa dei ricorrenti che, già in grado di appello, si era dimostrata la volontà degli imputati di tenere in vita la compagine sociale attraverso l'esperimento di una azione giudiziale innanzi al T.A.R. e la predisposizione di un piano di fattibilità commerciale del progetto.
3.4.1 La doglianza è invero fondata limitatamente all'allegato vizio argomentativo.
3.4.2 In termini generali, va ribadito il principio secondo cui la motivazione della sentenza d'appello che riformi la sentenza di primo grado, specialmente nel caso in cui affermi per la prima volta una responsabilità negata dal giudice precedente, deve necessariamente caratterizzarsi per un obbligo peculiare, che si aggiunge a quello generale della non manifesta illogicità e non contraddittorietà, dovendosi il giudice d'appello confrontarsi in modo specifico e completo con le argomentazioni contenute nella prima sentenza.
3.4.3 Osserva la Corte come, in realtà, la sentenza assolutoria resa in primo grado fondasse l'assoluzione degli imputati sull'accertata mancanza dell'elemento soggettivo del reato, giustificato, da un lato, dall'attivazione da parte degli imputati di una operazione meramente imprudente - in ragione della scarsa forza finanziaria di quest'ultimi e della inesperienza nel settore commerciale (le cd. Multisale cinematografiche) oggetto di investimento economico e, dall'altro, comunque dall'attivismo imprenditoriale dimostrato dallo Z. che, nonostante le notevoli difficoltà frappostesi alla conclusione della complessiva operazione commerciale, aveva comunque dimostrato di essersi attivato, dal punto di vista amministrativo, per far ottenere alla Multisala la destinazione commerciale progettata e per stipulare contratti d'affitto d'azienda con la Green Lake e preliminari di vendita con la Cinemercato, prima, e con la New Las Vegas, dopo. Ne discendeva, secondo il ragionamento del primo giudice (per come ricostruito nella sentenza di appello in atti), che occorreva escludere da parte degli imputati la previsione del fallimento ovvero solo l'accettazione del relativo rischio.
3.4.4 Ebbene, a fronte di questo quadro argomentativo reso dal giudice di prima istanza comunque ben strutturato, la Corte di merito non ha fornito un'adeguata risposta motivazionale alle censure sollevate dagli imputati appellanti nei motivi di gravame.
Ciò detto, osserva la Corte come non risulti adeguatamente argomentato il profilo di sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, qui in esame, sulla base delle ragioni - oltre modo valorizzate ed enfatizzate nella sentenza di appello - che avevano portato alla chiusura del Multisala. Ed invero, tale chiusura era stata determinata, per come argomentato nella stessa sentenza impugnata, da una molteplicità di motivazioni concorrenti, alcune delle quali secondo le censure degli appellanti, oggi ricorrenti - sfuggivano alle determinazioni e alla volontà degli imputati stessi.
Anzi gli imputati hanno allegato una serie di circostanze, quale l'attivazione di un ricorso al T.A.R. e la predisposizione di un piano di fattibilità economica dell'operazione commerciale, per dimostrare la volontà di portare a termine proficuamente l'operazione commerciale intrapresa con il cd. Multisala, non ottenendo, tuttavia, sul punto, un'adeguata risposta motivata da parte della Corte distrettuale che, dunque, dovrà approfondire maggiormente questi profili di doglianza, ora, in sede di rinvio, profili che, in verità, risultano decisivi per scrutinare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato, e ciò anche per superare le diverse e stringenti considerazioni svolte dal primo giudice nella sentenza liberatoria sopra ricordata.
3.4.5 Peraltro, l'ampiamento della metratura per i locali commerciali già prevista dalla convenzione urbanistica, se, da un lato, denota la commissioni di eventuali irregolarità amministrative ovvero forse sinanco di reati edilizi, dall'altro, evidenzia tuttavia la volontà di "massimizzare" il profitto ricavabile dalla complessiva operazione edilizia e commerciale, con una intenzione certamente non diretta a cagionare con dolo il fallimento della società.
Anche su quest'ultimo profilo la Corte meneghina si dovrà interrogare sulle reali intenzioni, iniziali e successive, dei due imputati in relazione, anche, alla reale consapevolezza di porre in essere condotte dirette a cagionare la decozione della società poi fallita.
3.4.6 Ed infine, last but not least occorre evidenziare un ulteriore profilo di censura in merito alla contestazione del reato di cui all'art. 223, comma 2, n. 2 l. fall., censura sulla quale la Corte del rinvio dovrà confrontarsi.
3.4.6.1 Occorre, anche in questa sede, riaffermare il principio secondo cui non è configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di bancarotta impropria di cui all'art. 223, comma 2, n. 2 che deve considerarsi assorbito nel primo quando l'azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta (Cass., Sez. 5, sent. n. 35066 del 05/07/2007 Cc. (dep. 19/09/2007) Rv. 237716).
3.4.6.2 Al fine di evidenziare i rapporti fra le due figure criminose a raffronto, non può trascurarsi di considerare che il reato di cui alla l. fall., art. 223, comma 2, n. 2, costituendo un reato cd. "a causalità aperta", può realizzarsi attraverso i più vari comportamenti e non richiede, perciò, come elemento indefettibile la compresenza degli elementi costitutivi di altri reati.
Va aggiunto che la volontà deliberata, o quanto meno l'accettazione del rischio, che l'azione così posta in essere si ponga come causa - unica o concorrente - del fallimento dell'impresa cui la condotta illecita si riferisce concretizza immancabilmente l'elemento psicologico dell'agente, almeno sotto il profilo del dolo almeno eventuale, proprio della bancarotta impropria, il cui elemento oggettivo è già insito nell'altro reato per quanto evidenziato nella norma sopra richiamata.
Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte deve concludersi che, quando l'azione diretta a causare il fallimento si identifichi nella medesima condotta sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta, in quest'ultimo reato deve considerarsi assorbita la bancarotta impropria, con la conseguenza che risulta impossibile configurarsi un concorso formale fra i due reati in osservazione.
3.4.6.3 Il principio è stato riaffermato e ribadito da altro più recente arresto giurisprudenziale (peraltro richiamato nella stessa sentenza impugnata: Sez. 5, n. 24051 del 15/05/2014 - dep. 09/06/2014, Lorenzini e altro, Rv. 26014201), secondo cui i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (art. 216 e art. 223, comma 1, L.F.) e quello di bancarotta impropria di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, L.F. hanno ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività - nè si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili - ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 L.F., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali - concretandosi in abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l'andamento economico finanziario della società - siano stati causa del fallimento (così, anche Sez. 5, n. del 19 maggio 2010, Biolè e altro, Rv. 248167; Sez. 5, n. del 17 febbraio 2010, Pagnotta e altri, Rv. 247247).
3.4.6.3 Ciò posto, osserva la Corte come le condotte descritte per la contestazione del capo A.4 della rubrica integrano, sul piano oggettivo, le medesime condotte di cui alle contestate condotte distrattive, con ciò ponendosi il ragionamento della Corte milanese in contrasto con il sopra riaffermato principio di diritto, non potendosi configurare la descritta ipotesi di concorso materiale tra bancarotta ex art. 216 l. fall. e art. 223, comma 2, n. 2, medesima legge, per lo meno nei termini argomentativi espressi dalla Corte nella sentenza impugnata.
Ed invero, dal succinto passaggio motivazionale dedicato alla questione qui da ultimo in discussione (v. pag. 65 della sentenza appellata) non è possibile comprendere se i giudici d'appello abbiano ritenuto configurabile la bancarotta impropria in forza della accertata consumazione dei reati di bancarotta patrimoniale e documentale - il che, alla luce degli illustrati principi, integrerebbe un'errata applicazione della legge penale - ovvero se abbiano preso in considerazione ulteriori comportamenti addebitabili agli imputati, dei quali tuttavia avrebbero dovuto contemplare una descrizione "differenziata" rispetto alle ulteriori fattispecie di bancarotte distrattive e documentali contestate in rubrica.
Ne consegue che anche sotto questo profilo è demandato alla Corte di rinvio un ulteriore esame del profilo del concorso tra i reati da ultimo descritti.
L'accoglimento della doglianza sul profilo del vizio argomentativo assorbe l'esame dell'ulteriore censura sul travisamento della prova.
4. Il quarto motivo è invece manifestamente infondato.
4.1 Si denunzia la violazione di legge in relazione alla L. n. 241 del 2006, art. 1.
Sul punto, occorre solo evidenziare che la pena era stata condonata nel giudizio di primo grado e sulla relativa statuizione non è intervenuta revoca nel giudizio di appello.
PQM
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A.4, con rinvio per nuovo esame sul punto al altra sezione della Corte di Appello di Milano. Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2017