Provvisionale: non è impugnabile con ricorso per cassazione
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Cassazione penale sez. III, 09/04/2024, (ud. 09/04/2024, dep. 13/04/2024), n.15631

Non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza del tribunale di Verona con cui Al.Cr. era stato condannato in relazione ai reati ex artt. 572 c.p. e 609 bis c.p.

2. Avverso la predetta sentenza Al.Cr., tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi di impugnazione.

3. Con il primo, deduce vizi ex art. 606 comma 1 lett. c) e d) cod. proc. pen. contestando la mancata ammissione di uno scritto della parte civile, sul rilievo per cui non era presente nel fascicolo del P.M. al momento della richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall'imputato, pur trattandosi di una ritrattazione di rilevante importanza per la difesa.

4. Con il secondo motivo rappresenta vizi ex art. 606 comma 1 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. nella parte in cui la corte di appello ha escluso la possibilità per l'imputato di rendere dichiarazioni, con riferimento in particolare agli artt. 494 e 523 comma 5 cod. proc. pen. Si aggiunge che emergerebbe la violazione dell'art. 24 della Costituzione nel non consentire all'imputato, comunque e in ogni momento, la facoltà di rendere dichiarazioni a sua difesa.

5. Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione al giudizio di responsabilità relativo al reato di violenza sessuale. Mancherebbe ogni prova oggettiva della violenza. E sarebbe minata la credibilità della persona offesa la cui denunzia per il reato sarebbe intervenuta solo a seguito di reciproci litigi. La corte poi, si sarebbe limitata a richiamarsi alla prima sentenza quanto alle prove del giudizio di responsabilità. E diversamente da quanto sostenuto in sentenza, con l'atto di appello si sarebbe illustrata una dettagliata analisi delle prove, in contrasto con la sentenza impugnata.

6. Con il quarto motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al reato ex art. 572 c.p. di cui al capo 1). Sarebbe contraddittoria e carente la motivazione laddove si sostiene che le prove a carico sarebbero granitiche. Si sarebbero trascurate dichiarazioni di persone estranee al nucleo familiare, e sarebbe inaccettabile la tesi della corte per cui la responsabilità per il reato di cui al capo 2) implicherebbe anche quella per il reato di cui al capo 1).

7. Con il quinto motivo deduce vizi di violazione di legge e di carenza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, non illustrato nelle sue ragioni, e attesa la mancata considerazione del gravame circa l'applicabilità delle attenuanti generiche e circa l'applicabilità di una pena più mite.

8. Con l'ultimo motivo deduce vizi di motivazione, atteso che la corte avrebbe quantificato un danno non patrimoniale sulla base di necessità della persona offesa che sarebbero di tipo invece patrimoniale, quali il dovere di provvedere a sé ed al mantenimento dei figli.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo proposto è inammissibile. Sia perché generico, in quanto invoca vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) e d) cod. proc. pen. senza alcuna specificazione delle norme violate, sia perché è in contrasto con il principio per cui nel giudizio abbreviato di appello le parti non hanno un diritto all'assunzione di prove nuove, ma hanno solo il potere di sollecitare l'esercizio dei poteri istruttori di cui all'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., essendo rimessa al giudice la valutazione dell'assoluta necessità dell'integrazione probatoria richiesta. (Sez. 6 - n. 51901 del 19/09/2019 Rv. 278061 - 01).

2. Quanto al secondo motivo, è anche esso inammissibile, atteso che appare nuovo nella parte in cui si rivendica una richiesta, che sarebbe stata respinta, di rendere dichiarazioni da parte dell'imputato, laddove in sentenza, senza contestazioni sul punto, si dà atto più specificamente di una istanza di rimessione in termini per richiedere la trattazione orale del processo, rispetto alla quale la corte di appello ha correttamente opposto la intervenuta maturazione dei termini perentori per presentare tale domanda. Quanto alla questione di illegittimità costituzionale, essa appare generica quanto alla illustrazione della rilevanza della questione stessa e delle ragioni dell'invocata violazione della norma costituzionale. Non avendo il ricorrente specificato in che misura la trattazione orale invocata avrebbe potuto assumere rilievo per la decisione in questione né i motivi per cui, al di là di una generica invocazione del diritto di difesa, la disciplina legislativa al riguardo violerebbe l'art. 24 della Costituzione citato.

3. Riguardo al terzo motivo, si tratta di censura del tutto aspecifica nella misura in cui, trascurandosi ogni puntuale analisi dei motivi di cui alla sentenza, genericamente si afferma la mancanza di ogni prova oggettiva della violenza e la mancanza di credibilità della persona offesa, solo perché la denunzia per il reato sarebbe intervenuta solo a seguito di reciproci litigi. In proposito, appare chiara la violazione da parte del ricorrente del noto principio per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili "non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato" (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Nessun vizio poi, è dato dal ricorso al richiamo, per relationem, alla prima sentenza, nella misura in cui anche su tale punto manca ogni specifica censura. Né assume rilievo critico rilevante la generica affermazione per cui, con l'atto di appello, si sarebbe illustrata una dettagliata analisi delle prove in contrasto con la sentenza impugnata.

4. Quanto al quarto motivo, è anche esso inammissibile. Con esso si sostiene, in sintesi, che con riguardo al capo 1) sarebbe contraddittoria e carente la motivazione, laddove si sostiene che le prove a carico sarebbero granitiche e si sarebbero trascurate dichiarazioni di persone estranee al nucleo familiare, oltre ad essere inaccettabile la tesi della corte per cui la responsabilità per il reato di cui al capo 2) implicherebbe anche quella per il reato di cui al capo 1).

L'inammissibilità si impone, ancora una volta, in quanto si formulano deduzioni del tutto generiche e assertive, evitando di formulare motivi di ricorso puntuali e argomentati alla luce del principio già sopra citato in relazione all'analisi del terzo motivo e che qui si richiama.

5. Quanto al quinto motivo, esso è inammissibile. La Corte ha escluso le attenuanti ex art. 62 bis c.p., in coerenza con il principio per cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62 - bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017 Rv. 270986 - 01). Rispetto a tale punto è generica la mera asserzione della esistenza di elementi favorevoli e citati in atto di appello, atteso che in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione, da parte del giudice dell'appello, dei motivi articolati con l'atto di gravame, onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte, e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3 - , n. 8065 del 21/09/2018 (dep. 25/02/2019) Rv. 275853 - 02). Riguardo poi al trattamento sanzionatorio, la Corte ha evidenziato come la pena base sia stata determinata nel minimo edittale con aumento "non esorbitante" per la "continuazione" oltre che per l'aggravante e ha evidenziato che in tal modo la pena corrisponderebbe ai dettami di cui agli artt. 132 e 133 c.p. Si tratta di motivazione che appare in linea con l'indirizzo per cui la determinazione della pena, tra il minimo ed il massimo edittale, rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili - come nel caso di specie -, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen (cfr. Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 Rv. 256197 - 01 Serratore).

6. Anche l'ultimo motivo è inammissibile, atteso che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 2 -, n. 44859 del 17/10/2019 Rv. 277773 - 02).

7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso, il 9 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2024.

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