Rapina: è aggravata se commessa all'interno di capannone adibito a rimessa di automezzi aziendali
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Cassazione penale sez. II, 22/09/2023, n.46208

In tema di rapina, sussiste l'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3-bis, c.p. nel caso in cui la condotta sia tenuta all'interno di un capannone adibito a rimessa di automezzi aziendali o del titolare dell'azienda.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 07/04/2022, la Corte d'appello di Bari confermava la sentenza del 17/10/2017 del Tribunale di Bari, emessa in esito a giudizio abbreviato, di condanna di S.A. alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 800,00 di multa per i reati, commessi ai danni di P.G., di rapina impropria aggravata (dall'essere stato il fatto commesso nei luoghi di cui all'art. 624-bis c.p.) in concorso e di lesioni personali aggravate (dal nesso teleologico).

Secondo i capi di imputazione, tali due reati erano stati contestati all'imputato:

a) quello di rapina impropria aggravata in concorso, "poiché, dopo essersi abusivamente introdotto, unitamente ad un complice rimasto non identificato, all'interno dell'azienda di P.G., approfittando della momentanea distrazione del predetto, ed essersi impossessato, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, dell'autovettura Nissan Qashqai ivi parcheggiata, ponendosi alla guida del mezzo, sorpreso nella flagranza del reato dalla vittima, la quale si poneva al relativo inseguimento aggrappandosi alla portiera del veicolo, al fine di procurarsi l'impunità ed assicurarsi il profitto del reato, usava violenza nei suoi confronti consistita nell'accelerare bruscamente la corsa causando la caduta al suolo del P. e le lesioni di cui al capo che segue" (capo A dell'imputazione);

b) quello di lesioni personali aggravate, "poiché al fine di eseguire il reato di cui al capo che precede, cagionava a P.G. lesioni personali consistite in traumatismi al ginocchio, alla gamba, alla caviglia e al piede, nonché trauma contusivo al gomito destro, con prognosi di giorni sette con la condotta e le modalità innanzi indicate" (capo B dell'imputazione).

2. Avverso l'indicata sentenza del 07/04/2022 della Corte d'appello di Bari, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, S.A., affidato a cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 582,585 e 576 c.p. e art. 61 c.p., n. 2), e, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza o l'apparenza della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del delitto di lesioni personali del cosiddetto nesso teleologico.

Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Bari abbia escluso l'assorbimento dell'aggravante del delitto di lesioni personali del nesso teleologico nel delitto di rapina impropria nonostante l'unicità dell'azione esecutiva di tali due delitti e senza motivare adeguatamente "circa il grado di violenza esercitata dall'agente e la sua natura esorbitante rispetto (a) quella idonea ad integrare il reato di rapina impropria".

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 628 c.p., comma 3, n. 3-bis), e, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell'essere stato il fatto di rapina commesso in uno dei luoghi di cui all'art. 624-bis c.p..

Premesso che l'attribuito delitto di rapina era stato commesso in un "un capannone di rimessa per i camion", "con annesso deposito di vetri" (così il ricorso), il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Bari, trascurando di considerare i principi affermati da Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270766-01 - ancorché gli stessi fossero stati richiamati nel proprio atto di appello - abbia ritenuto la sussistenza della menzionata circostanza aggravante senza motivare in ordine al fatto se l'indicato focus commissi delicti fosse sussumibile "fra le aree riservate alla sfera privata della persona offesa".

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), "difetto elemento violenza - inconfigurabilità".

Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Bari avrebbe ritenuto la sussistenza dell'elemento della violenza sugli assunti che questa si sarebbe verificata all'esterno del capannone e che la persona offesa fosse riuscita a introdursi all'interno dell'autovettura, assunti che, tuttavia, integrerebbero una radicale modificazione della dinamica dei fatti quale era stata narrata nella denunzia che era stata sporta dal P., atto dal quale sarebbe emerso solo il "normale uso dell'autovettura" e "l'assenza di manovre (...) dirette ad ostacolare l'attività di persone con incombente minaccia alla loro incolumità" e, quindi, l'insussistenza dell'elemento della violenza.

2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), "violazione di legge - violazione diritto di difesa violazione art. 178 c.p.p., lett. c)".

Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Bari abbia rigettato il proprio motivo di appello con il quale aveva dedotto la nullità della sentenza del Tribunale di Bari per la ragione che, posto che il giudizio di primo grado si era svolto con il rito abbreviato condizionato all'esame della persona offesa, dal verbale dell'udienza del 22 novembre 2016 risulterebbe che tale esame era "irritualmente (...) stato condotto dal difensore della persona offesa e concluso dal giudice senza interlocuzione della difesa" (così il ricorso).

Il ricorrente rappresenta in proposito che, poiché, pertanto, "l'imputato non ha svolto l'esame richiesto ed ammesso", si sarebbe determinata un'evidente violazione del diritto di difesa "trovandosi di fronte ad un giudizio abbreviato condizionato nel quale la condizione non si è verificata".

2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), "dubbi - attendibilità del teste - omessa motivazione - contraddittorietà della testimonianza".

Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Bari non avrebbe dato adeguata risposta alle doglianze, che erano state avanzate nel proprio atto di appello, in ordine all'inattendibilità del riconoscimento come autore dei reati che era stato operato dalla persona offesa, con le quali aveva rappresentato come il P., nell'immediatezza dei fatti, non si fosse mostrato in grado di riconoscere il reo e come il successivo riconoscimento potesse essere "di natura induttiva e non genuina".

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

In proposito, il Collegio ritiene di ribadire il principio di diritto, espresso dalla giurisprudenza di questa Seconda sezione penale della Corte di cassazione, secondo cui, in tema di rapina impropria, quando la violenza, esercitata immediatamente dopo la sottrazione, abbia cagionato lesioni personali - sicché la stessa violenza è evidentemente esorbitante rispetto a quella che occorre per realizzare la rapina (cioè un grado di violenza non eccedente le percosse) l'autonomo reato di lesioni concorre con quello di rapina e si configura la circostanza aggravante del nesso teleologico tra i due reati, la quale non è incompatibile con l'elemento soggettivo del delitto di rapina (Sez. 2, n. 36901 del 22/09/2011, Kennedy, Rv. 251124-01, i cui principi sono stati più recentemente ribaditi, tra le altre, da: Sez. 2, n. 9865 del 22/01/2021, Assegnati, Rv. 28068801; Sez. 2, n. 21458 del 05/03/2019, Jakimi, Rv. 276543-01).

Tali pronunce hanno anche evidenziato come l'interpretazione qui seguita non comporti una duplice valutazione dell'elemento intenzionale (una prima volta come elemento costitutivo del reato di rapina e una seconda volta come circostanza aggravante del reato di lesioni), atteso che il dolo specifico del delitto di rapina esaurisce la sua funzione entro i confini di tale fattispecie e risiede - nel caso della rapina impropria che qui interessa - nello scopo di assicurare per sé o per altri il possesso della cosa sottratta o l'impunità mediante la realizzazione di una violenza ascrivibile alle percosse. L'aggravante teleologica, invece, lega due autonome fattispecie di reato, non sovrapponibili: commesso il delitto di rapina impropria, se la violenza trasmoda nelle lesioni personali, si configurano due fattispecie di reato, eventualmente legate dall'aggravante teleologica secondo lo schema del mezzo e del fine.

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Costituisce un orientamento interpretativo ormai consolidato quello che corrisponde al principio, affermato dalla già citata sentenza D'Amico delle Sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 624-bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano accessibili a terzi senza il consenso del titolare (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, cit.).

Tale principio si deve ritenere applicabile anche ai fini della configurabilità (o no) della circostanza aggravante del delitto di rapina prevista dall'art. 628 c.p., comma 3, n. 3-bis) atteso che tale disposizione fa espresso rinvio alla commissione del fatto di rapina "nei luoghi di cui all'art. 624 bis" c.p..

Sulla base di un'interpretazione sia letterale sia sistematica della locuzione utilizzata in quest'ultimo articolo - "luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora", le Sezioni unite ha chiarito che, affinché possa ritenersi si possa ritenere la sussistenza di un tale luogo, sono indefettibilmente necessari i seguenti tre elementi caratterizzanti: a) l'utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, senza il consenso del titolare.

Tale connotazione della nozione di "luogo di privata dimora" comporta che il giudice di merito dovrà analizzare compiutamente i caratteri concreti del luogo, eventualmente anche lavorativo, in cui sono avvenuti il furto o la rapina e, alla luce dei parametri indicati, concludere per la sussistenza (o no) del reato (di furto in abitazione) o dell'aggravante (della rapina) sulla base dell'esistenza (o no) degli elementi che sono stati ritenuti necessari ai fini della configurabilità della fattispecie.

Nel caso in esame, come risulta dalle sentenze di merito, il luogo di commissione della rapina era costituito da un capannone, annesso a un deposito di vetri, entrambi di proprietà della persona offesa P., nel quale capannone che, secondo l'atto di appello del S., fungeva da "rimessa per i camion" lo stesso P. aveva parcheggiato anche la propria autovettura.

Da tanto appare emergere sia l'utilizzazione del capannone per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata, al riparo da intrusioni esterne, sia la stabilità del rapporto del P. con il luogo, sia, infine, la non apertura dello stesso luogo al pubblico e lo ius excludendi alios, elementi i quali evidenziano, pertanto, un'accertata situazione di fatto che appare riconducibile a una di quelle che, secondo la ricordata linea ermeneutica che è stata tracciata dalla Sezioni unite della Corte di cassazione, si deve ritenere propria di un luogo di privata dimora (in senso analogo, con riguardo a un capannone agricolo: Sez. 5, n. 36221 del 07/07/2022, Hudorovic, non massimata).

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, commette il reato di rapina impropria, di cui all'art. 628 c.p., comma 2, colui che, impossessatosi di un'autovettura, trascini il proprietario aggrappatosi al veicolo per impedire che gli venga portato via (Sez. 2, n. 7836 del 08/11/2018, dep. 2019, Castrovillari, non massimata; Sez. 2, n. 9005 del 04/04/1984, Somma, Rv. 166276-01).

Nel caso in esame, dalla denuncia sporta dal P., come è stata testualmente riportata nel ricorso, risulta che la persona offesa, dopo avere riferito di avere raggiunto l'automobile condotta dall'imputato "all'altezza della portiera anteriore sinistra nel tentativo di aprirla ed impedire che la vettura mi venisse rubata. Ho provata ad aprirla ma la portiera era chiusa dall'interno", dichiarò che il S., ancorché egli gli avesse intimato di fermarsi, improvvisamente accelerava, tanto da fare slittare le gomme, e, "nonostante avessi ancora le mani sulla maniglia della portiera nel tentativo di aprirla, questi non esitava minimamente né a rallentare né tantomeno a fermarsi. A causa della condotta messa in atto dal malvivente, come ho già detto avevo la mano destra che tentava di aprire la portiera, venivo strattonato e dopo aver urtato il gomito sulla portiera, venivo catapultato per terra provocandomi delle lesioni".

Alla stregua della giurisprudenza della Corte di cassazione che si è ricordata sopra, si deve ritenere che la condotta dell'imputato di accelerare improvvisamente e fortemente strattonando così la persona offesa che si era aggrappata alla maniglia della propria automobile ("come ho già detto avevo la mano destra che tentava di aprire la portiera") nell'intento di evitare che gli fosse portata via e cagionando, quindi, l'urto del P. contro la portiera e la caduta dello stesso a terra integri gli estremi della violenza, elemento costitutivo dell'attribuito reato di rapina.

A fronte di ciò, risulta irrilevante sia che tale violenza sia accaduta all'interno o all'esterno del capannone sia che la persona offesa si fosse o no introdotta all'interno della propria automobile.

Con riguardo al primo aspetto, si deve ribadire il principio, affermato dalla Corte di cassazione e condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di rapina impropria, sussiste l'aggravante di cui all'art. 628 c.p., comma 3, n. 3-bis), nel caso in cui la condotta di impossessamento di beni altrui sia compiuta in un luogo di privata dimora, e la violenza e la minaccia siano commesse, successivamente, all'esterno, in un luogo pubblico, atteso che le ragioni dell'aggravante risiedono nella tutela del domicilio (Sez. 2, n. 23331 del 02/07/2020, Milenkovic, Rv. 279479-01; Sez. 2, n. 26262 del 24/05/2016, Rodio, Rv. 267155-01).

4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.

L'infondatezza di tale motivo discende anzitutto dal fatto che il ricorrente, col lamentare che "l'imputato non ha svolto l'esame richiesto ed ammesso", mostra di non considerare che, nel giudizio abbreviato, l'esame dei testimoni è demandato al giudice che procede.

L'art. 441 c.p.p., comma 6, stabilisce infatti che, quando assuma delle prove necessarie ai fini della decisione, ai sensi del medesimo art. 441, comma 5 e nel caso di giudizio abbreviato condizionato all'integrazione probatoria, ai sensi dell'art. 438 c.p.p., comma 5, - come nel giudizio in esame - il giudice procede non nelle forme proprie del dibattimento, ispirate alla cross examination, ma in quelle dell'udienza preliminare, di cui all'art. 442 c.p.p., commi 2, 3 e 4, con la conseguenza che, a norma dell'art. 442, tale comma 3 l'esame testimoniale è condotto dal giudice, essendo consentito alle parti di porre domande ai testimoni solo per suo tramite ("a mezzo del giudice").

Pertanto, la lamentata circostanza che "l'imputato non ha svolto l'esame richiesto ed ammesso" risulta, invece, del tutto conforme alla normativa processuale.

Quanto all'ulteriore doglianza secondo cui l'esame sarebbe stato condotto dal difensore della persona offesa, si deve rammentare che la Corte di cassazione ha chiarito che, nel giudizio abbreviato, l'inosservanza della disposizione di cui all'art. 442 c.p.p., comma 3 sulle modalità di conduzione dell'esame dei testimoni non è presidiata da alcuna previsione di nullità avente carattere di assolutezza, ma determina una nullità relativa, la quale, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., doveva essere eccepita immediatamente dopo il compimento dell'atto (Sez. 5, n. 1381 del 15/12/2022, T., non massimata sul punto; Sez. 2, n. 48926 del 21/10/2016, Santoro, Rv. 268178-01).

Di una tale eccezione non vi è indicazione nel ricorso.

5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.

Occorre anzitutto rammentare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la ricognizione formale di persone, di cui all'art. 213 c.p.p., non e', per i principi della non tassatività dei mezzi di prova (art. 189 c.p.p.) e del libero convincimento del giudice (art. 192 c.p.p.), l'unico strumento probatorio idoneo a consentire l'individuazione della persona responsabile del reato (Sez. 2, n. 3635 del 10/01/2006, Raucci, Rv. 233338-01).

La Corte di cassazione ha in proposito chiarito che l'individuazione di un soggetto, sia personale sia fotografica, è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, con la conseguenza che la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale - e non, quindi, dalle formalità di assunzione previste dall'art. 213 c.p.p. - utile ai fini dell'efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, Signorelli, Rv. 279437-01; Sez. 4, n. 1867 del 21/02/2013, dep. 2014, Jonovic, Rv. 258173-01; Sez. 6, n. 6582 del 05/12/2007, Major, Rv. 239416-01).

Nel caso in esame, ad essere utilizzata dalla Corte d'appello di Potenza è stata la dichiarazione della persona offesa P.G. di avere riconosciuto il S. - sia in fotografia, davanti alla polizia giudiziaria, sia di persona, nel corso dell'udienza che si era svolta alla presenza dell'imputato - senza ombra di dubbio, avendo avuto modo di vederlo bene in viso durante i fatti, come la persona che gli aveva rapinato l'autovettura cagionandogli anche, nell'occasione, lesioni personali.

A tale riconoscimento si deve senz'altro attribuire valore di prova a carico del S., la cui valutazione, in quanto adeguatamente motivata dalla Corte d'appello di Bari - che ha ritenuto l'attendibilità della dichiarazione del P. in considerazione del fatto che questi risultava avere visto bene in viso il rapinatore e si era espresso in termini di assoluta certezza - non può essere sindacata in questa sede di legittimità.

5. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2023

Rapina: è aggravata se commessa all'interno di capannone adibito a rimessa di automezzi aziendali

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