Rapina: sulla configurazione della rapina impropria consumata
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Tribunale Campobasso, 29/08/2023, n.380

Ai fini della configurazione della rapina impropria consumata, è sufficiente che l'agente, dopo aver realizzato la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della "res", mentre non è necessario che ne consegua l'impossessamento, che non rappresenta l'evento del reato ma un elemento che attiene invece al dolo specifico. In altri termini, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui, l'aver adoperato violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della "res", integra la fattispecie della rapina impropria consumata, e non quella della rapina impropria tentata, quand'anche l'impossessamento non si sia verificato e realizzato.

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
In data 3.3.2021 il G.u.p. in sede, su richiesta del P.M., disponeva il rinvio a giudizio di Ma.An. per rispondere dei reati di cui agli artt. 628 commi 1 e 2 e 582, 585, 577 n. 4, 61 numeri 1, 2 e 5 c.p. nonché per il reato di cui all'art 73 comma 5 D.P.R. 309/90, come descritti in rubrica, fissando per la celebrazione del dibattimento dinanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, l'udienza del 30.4.2021.

All'udienza in parola, il giudice, dato atto della mancanza di prova della notifica del decreto che dispone al giudizio all'imputata e alla persona offesa Ci.An., ne disponeva la rinnovazione e rinviava per tali incombenti al 2.7.2021.

All'udienza predetta il giudice, verificata la regolare instaurazione del rapporto processuale e dichiarata l'assenza dell'imputata procedeva alla formale apertura del dibattimento, invitando le parti a formulare le rispettive richieste di prova che ammetteva, valutatane la pertinenza e rilevanza ai fini della decisione, disponendo rinvio all'udienza del 19.11.2021.

Nella predetta udienza si procedeva all'ascolto dei testi Di.Fr. e Ch.Gi.. Inoltre, il giudice prendeva atto della rinuncia da parte del P.M. al teste Ba.Gi., sulla quale nulla osservava la difesa, e faceva rinvio al 25.3.2022.

All'udienza citata il giudice, ritenuto legittimo l'impedimento a comparire del difensore dell'imputata, differiva il processo al 30.9.2022 in accoglimento dell'istanza all'uopo formulata dalla difesa. Nell'udienza in parola venivano escussi i testi Ri.Sa. e Ti.Ma. e acquisita agli atti la documentazione prodotta dal Pubblico Ministero il processo era differito al 10.02.2023. All'udienza predetta si procedeva all'ascolto dei testi Ma.Pa. e Ci.An. ed acquisita agli atti l'ulteriore documentazione prodotta dal P.M. veniva fatto rinvio al 6.6.2023 per l'esame dell'imputata e per la discussione.

All'udienza del 6.6.2023 la difesa depositava documentazione che veniva acquisita agli atti e stante l'assenza dell'imputata, intesa quale rinuncia all'esame dibattimentale, il giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo d'ufficio, dando la parola alle parti per le rispettive conclusioni. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti, come riportate in epigrafe, il giudice decideva dando lettura del dispositivo, allegato al verbale di udienza, e riservava il deposito della motivazione nel termine di giorni novanta.

Motivi della decisione
Ritiene questo giudice raggiunta la prova certa, sulla base delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, della penale responsabilità dell'imputata per il reato di rapina impropria a lei ascritto in rubrica, in ordine al quale deve essere pronunciata sentenza di condanna. Si impone, invece, una declaratoria di improcedibilità in ordine al reato contestato al capo B) della rubrica nonché la pronuncia di una sentenza di assoluzione dell'imputata dal reato ascrittole al capo C) per non aver commesso il fatto dell'imputazione per le ragioni che di seguito si espongono.

Giova preliminarmente riportare in sintesi le dichiarazioni testimoniali rese in aula nel presente giudizio. Il teste Di.Fr., all'epoca dei fatti brigadiere in servizio presso la Sezione Radiomobile dei carabinieri di Campobasso, riferisce in merito ad un intervento effettuato presso l'ambulatorio "Ro.", sito in Campobasso alla via (…), il giorno 7.7.2018. Segnatamente, mentre era in un turno di perlustrazione, veniva contattato dalla Centrale Operativa che lo informava di una lite in atto presso l'ambulatorio "Ro.". Dunque, si portava presso il centro e procedeva all'identificazione del titolare Ma.Pa. e della dipendente fitoterapista Ri.Sa. Ivi apprendeva che all'interno dell'ambulatorio, poco prima, era intercorsa una colluttazione tra la Ri. e una donna, la quale aveva precedentemente effettuato una chiamata dall'utenza mobile avente numero (…) indirizzata all'utenza telefonica intestata al centro "Ro.". Il teste chiarisce che la richiesta di intervento presso il suddetto centro era motivata dal fatto che vi era stato il furto di due portafogli che erano stati sottratti dalle borse di due dipendenti, poste nella stanza adibita a spogliatoio, e secondo quanto rappresentato dalle persone ivi presenti la responsabile era proprio la donna con la quale poi era nata la colluttazione, la quale aveva occultato detti beni all'interno della propria borsa. Aggiunge ancora il teste qualificato che l'autrice della sottrazione era stata vista proprio dalla Ri. nel momento in cui si impossessava dei portafogli e, dunque, era stata per questo indotta a desistere dall'azione criminosa buttando gli oggetti a terra. Altresì, il militare riferisce che all'interno dell'ambulatorio, proprio nel punto dove era avvenuta la colluttazione, nelle vicinanze della porta d'ingresso, aveva rinvenuto sul pavimento un involucro contenente sostanza verosimilmente di natura stupefacente del tipo marijuana, poi posta sotto sequestro. Il teste Ch.Gi., in servizio presso il Nucleo Operativo Radiomobile dei carabinieri di Campobasso, dà conto degli accertamenti svolti sul numero di cellulare raccolto dagli operanti il giorno dell'occorso. Si trattava dell'utenza telefonica tramite la quale la persona responsabile dei fatti aveva contattato il centro. In particolare, la relativa attività era consistita nell'individuare l'intestatario del numero e nell'escuterlo a sommarie informazioni per capire chi avesse la materiale disponibilità dell'utenza telefonica in questione. Appurava così che la scheda telefonica risultava formalmente intestata a tale Ma.Do., mentre il telefono collegato all'utenza analizzata era nella materiale disponibilità della figlia dell'intestatario, Ma.An.

Il teste Ri.Sa., all'epoca dei fatti fisioterapista presso l'ambulatorio "Ro." di Campobasso, racconta che il 7.7.2018, durante l'orario lavorativo, una ragazza si portava nel centro e chiedeva informazioni circa una terapia da effettuare. La donna non aveva con sé alcuna documentazione e si intratteneva nella sala d'attesa rappresentando di dover attendere la madre che portava i documenti necessari. La donna, parlando al telefono, si accingeva ad entrare negli spogliatoi, ove erano riposti gli oggetti personali dei dipendenti. Si trattava di una stanza avente una porta scorrevole senza chiavi, non esposta al pubblico e nella quale mancavano armadietti corredati da lucchetto. Così la dichiarante, insospettita da quanto notato, seguiva la ragazza e la coglieva proprio nell'atto di riporre sullo scaffale la borsa di proprietà della stessa. In effetti, procedendo ad un controllo, scopriva che era sparito il suo portafogli e invitava la donna a farle verificare se era stata proprio lei a prelevare l'oggetto mancante: "Io l'ho invitata a farmi vedere il contenuto della sua borsa perché mi mancava il portafoglio. Lei non ha voluto e quindi io ho detto: "Ok. Allora chiamiamo i carabinieri perché non è che ti posso aprire con forza la borsa". Lei a quel punto si è avvicinata alla porta per aprirla e io ho detto: "No. Fammi vedere prima la borsa". Nel frattempo sono arrivati gli altri due, il datore di lavoro e la mia collega che ha verificato anche lei che le mancava il portafoglio nella sua borsa" (cfr. pag. 13 del verbale stenotipico del 30.9.2022). La ragazza, a quel punto, dopo un preliminare e vano tentativo di fuga, ormai scoperta, restituiva la refurtiva lanciando i portafogli addosso alle persone offese e proferiva nei loro confronti frasi del tipo "Ora ve li ho dati, fatemi uscire" (cfr. pag. 14 del verbale stenotipico cit.). La teste puntualizza che, in attesa dell'arrivo del personale dei carabinieri, allertati da un paziente lì presente, al fine di evitare che la responsabile della sottrazione dei beni rimanesse impunita, cercava di impedirle la fuga bloccando il passaggio della porta di ingresso e trattenendo la donna per il braccio. Inoltre, aggiunge che, proprio nel corso di tali circostanze, la donna, con lo scopo di divincolarsi e sfuggire ai militari, spingeva essa dichiarante, proferiva nei suoi confronti le seguenti frasi: "Levati scema. Ti prendo a pugni, se non ti sposti" e la colpiva con un pugno al volto tale da cagionarle un trauma mandibolare che le dava dolore per alcuni giorni (cfr. pag. 6 del verbale stenotipico cit.). In effetti la ragazza riusciva ad allontanarsi dall'ambulatorio poco prima dell'arrivo dei militari: "è andata via prima che arrivassero i carabinieri. E andata via fondamentalmente uno perché i portafogli… cioè abbiamo visto, appunto, che c'erano i soldi e quindi anche noi abbiamo allentato… L'unica cosa è che quando sono arrivati i carabinieri, lei non c'era più" (cfr. pag. 16 del verbale stenotipico cit.).

Da ultimo la Ri. precisa che non ha proceduto a formalizzare querela per i fatti testé descritti, limitandosi a raccontare l'accaduto ai militari e a farsi refertare, per le lesioni subite, dai sanitari del 118 intervenuti presso la caserma dei carabinieri. Altresì, nel corso del relativo esame dibattimentale, la dichiarante individua nell'effige fotografica rappresentata al numero 11 del fascicolo fotografico mostratole in aula (corrispondente all'identità di Ma.An., odierna imputata) la persona responsabile dei fatti esposti.

Il teste Ti.Ma., all'epoca dei fatti comandante della Sezione Radiomobile dei carabinieri di Campobasso, descrive gli accertamenti espletati per i fatti accaduti il 7.7.2018 presso il centro "Ro." sito in via (…) n. 22. Quel giorno, verso le ore 13:30, veniva informato da una pattuglia del suo reparto circa un tentativo di furto perpetrato da una donna, poi fuggita, all'interno del predetto ambulatorio. Avendo la donna effettuato una chiamata al centro prima di compiere l'azione criminosa, tramite il sistema "Etna" in uso all'Arma dei Carabinieri appurava che l'intestatario dell'utenza telefonica mobile, utilizzata dalla sconosciuta per contattare l'ambulatorio alle ore 11:42 del giorno dell'occorso, era un tale Ma.Do.. Dalle informazioni assunte dal predetto emergeva che l'utenza in parola era uso alla figlia, Ma.An.

Successivamente, procedeva ad escutere a s.i.t. Ci.An., dipendente del centro ambulatoriale, la quale, in sede di individuazione fotografica, riconosceva l'imputata quale persona che il 7.7.2018 aveva avuto accesso al centro e aveva tentato di asportare i portafogli dallo spogliatoio. Medesima attività veniva espletata nei confronti di Ri.Sa., parimenti dipendente dell'ambulatorio e che, analogamente alla predetta collega, indicava l'effige di Ma.An. come corrispondenti: alla donna autrice del fatto.

Infine, il militare riferisce che nell'immediatezza dell'intervento i militari operanti avevano anche rinvenuto una bustina contenente sostanza stupefacente del tipo marijuana. Detta sostanza, rinvenuta nelle adiacenze della porta di ingresso del centro, nel punto di colluttazione tra la Ri. e la Ma.An., veniva sottoposta a sequestro nonché al test speditivo che ne confermava la natura stupefacente, stante la riscontrata presenza di principio attivo compatibile con la marjuana. Dette risultanze erano poi confermate dagli accertamenti tecnici espletati dal personale del L.A.S.S. di Foggia. Il teste Ma.Pa., titolare del centro di riabilitazione "Ro." di Campobasso, espone che il giorno 7.7.2018, mentre era nel proprio studio all'interno del laboratorio, sentiva delle grida provenire dalla zona di accettazione e attese. Ciò in quanto due fisioterapiste di turno la mattina, Sara Ri. e An.Ci., avevano avuto uno scontro con una signora che, secondo quanto dalle stesse prospettato, intrufolandosi nella stanza del personale, aveva prelevato i loro portafogli e aveva tentato di fuggire. Uscendo dal suo studio notava la donna urlare e tentare di scappare mentre le sue collaboratrici cercavano di bloccare la porta d'ingresso per impedirne la fuga. Nel corso della colluttazione non solo la responsabile del fatto sferrava dei colpi nei confronti dalla Ri. ma, nell'atto della fuga, a causa di bruschi movimentati, faceva cadere la borsa che indossava così da perdere i portafogli trafugati in precedenza e riconosciuti dalle due fisioterapiste come i propri.

Da ultimo il dichiarante conferma che nel corso delle indagini, in sede di individuazione fotografica, è stato in grado di riconoscere in una delle effigi presenti nell'album mostratogli dai militari, la persona responsabile di quanto riferito (contrassegnata al n.8 e corrispondente all'identità di Ma.An., odierna imputata), il cui verbale è stato acquisito agli atti, unitamente al fascicolo fotografico, sull'accordo delle parti (cfr. verbale stenotipico dell'udienza del 10.02.2023, verbale di individuazione fotografica del 25.7.2018, foli. 90-91, nonché fascicolo fotografico, foli. 93-113, acquisiti all'udienza del 10.02.2023).

Il teste Ci.An., all'epoca dei fatti dipendente del centro "Ro." in qualità di fisioterapista, racconta che il giorno 7.7.2018, mentre svolgeva la sua attività lavorativa, sentiva la collega Ri.Sa. interloquire con una ragazza giunta presso l'ambulatorio priva di impegnativa. Poco dopo, la stessa Ri. iniziava ad urlare rivolgendosi alla paziente sconosciuta e chiedendole cosa stesse facendo. Così, riusciva a capire che la donna poco prima si era intrufolata nel magazzino ove i dipendenti riponevano i loro oggetti personali e aveva prelevato il portafogli dalla borsa della collega. Quest'ultima, dunque, intimava alla donna di restituirle quanto sottrattole. A tale richiesta si univa anch'essa in quanto aveva appreso di essere parimenti vittima della illecita sottrazione. Ciò posto, nella concitazione del momento, un paziente ivi presente si accingeva ad allertare i carabinieri e la responsabile del trafugamento, colta sul fatto, restituiva alle legittime proprietarie i portafogli gettandoli a terra; successivamente tentava di scappare per sfuggire all'arrivo dei militari: "Li aveva messi nella sua borsa, quindi li aveva rubati…Li ha lanciati a terra nell'ambulatorio. Poi abbiamo controllato che non mancasse nulla e non mancava nulla" (cfr. pagg. 11-12 del verbale stenotipico del 10.2.2023). Al fine di impedire la fuga della donna, sia essa dichiarante che la collega Ri.Sa. bloccavano la porta d'ingresso, desistendo solo con l'intervento del datore di lavoro, Pa.Ma., il quale le convinceva a lasciare andare via la sconosciuta: "Quindi è sopraggiunto anche lui, ha visto che noi eravamo tutte in agitazione, perché la ragazza voleva uscire e noi non volevamo farla andare via, perché volevamo che i Carabinieri la cogliessero sul fatto. Lui ha fatto un po' da paciere e ha detto: "Lasciatela andare, tanto i portafogli ve li ha restituiti" (cfr. pag. 11 del verbale stenotipico cit.).

Da ultimo, la donna riferisce che la collega Ri., nelle descritte circostanze, era stata colpita con un pugno al volto dall'autrice del fatto che le aveva provocato un po' di rossore in viso. Così ricostruita la vicenda in punto di fatto, comprovata deve ritenersi la responsabilità dell'imputata per il reato di rapina impropria ascrittole al capo A) dell'imputazione.

Anzitutto, certa deve ritenersi l'attribuibilità del fatto alla Ma.An. la quale è stata univocamente riconosciuta mediante riconoscimento fotografico sia dalle persone offese dal reato, Ri.Sa. e Ci.An., sia dal teste Ma.Pa., titolare del centro di riabilitazione teatro della vicenda criminosa, intervenuto a tutela delle proprie dipendenti il giorno dell'accaduto. 1 predetti testi hanno tutti individuato, in sede di riconoscimento fotografico, Ma.An. quale responsabile della condotta criminosa perpetrata all'interno del centro "Ro.", confermando poi detto riconoscimento in aula. Altresì, dagli accertamenti espletati dai militari sull'utenza telefonica n. (…), attraverso cui la donna responsabile del fatto ha effettuato una telefonata al suddetto centro ambulatoriale la mattina del 7.7.2018, alle ore 11:42 (cfr. tabulato telefonico in atti), prima di presentarsi in loco, è emerso un ulteriore elemento di collegamento diretto con l'imputata atteso che il numero di cellulare utilizzato per la telefonata è risultato formalmente intestato al padre, Ma.Do., e di fatto in uso alla stessa. Orbene, corretta deve ritenersi la qualificazione giuridica del fatto in termini di rapina impropria consumata ai sensi dell'art. 628 comma 2 c.p.

Si rammenta come secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, ai fini della consumazione del delitto di rapina impropria non occorre che il reo consegua il possesso della cosa sottratta, inteso quale autonoma disponibilità della stessa, essendo allo scopo sufficiente la mera apprensione materiale della res alla quale segua l'uso della violenza volta ad assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta ovvero a procurare a sé o ad altri l'impunità (cfr. Cass. Pen. n. 35917/2022, secondo cui '7/ delitto di rapina impropria si perfeziona anche se il reo usa violenza dopo la mera apprensione del bene, ser.za il conseguimento, sia pure per un breve spazio temporale, della disponibilità autonoma dello stesso"). Detta interpretazione del comma secondo dell'art. 628 c.p., qui pienamente condivisa, trae fondamento dal dato letterale della norma che mentre per il delitto di rapina propria, previsto al comma primo, richiede che la violenza fisica o morale sia strumentale all'impossessamento della cosa mobile altrui, per la rapina impropria richiede che la violenza fisica o morale sia adoperata immediatamente dopo la "sottrazione" della cosa mobile altrui e non già dopo l'impossessamento della stessa; difatti, in tale diversa fattispecie delittuosa la violenza, che segue la materiale apprensione del bene, può essere alternativamente finalizzata ad assicurare (a sé o ad altri) proprio l'impossessamento o a procurare (a sé o ad altri) l'impunità.

Secondo, dunque, la costante giurisprudenza di legittimità "Ai fini della configurazione della rapina impropria consumata è sufficiente che l'agente, dopo aver realizzato la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della "res", mentre non è necessario che ne consegua l'impossessamento, che non rappresenta l'evento del reato ma un elemento che attiene invece al dolo specifico. In altri termini, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui, l'aver adoperato violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della res, integra la fattispecie della rapina impropria consumata, e non quella della rapina impropria tentata, quand'anche l'impossessamento non si sia verificato e realizzato" (cfr. Cassazione penale sez. II - 12/01/2022, n. 6547). Come inoltre condivisibilmente chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione "A differenza della rapina propria (articolo 628, comma 1, del C.p.), per la cui consumazione - come per il furto - è necessaria la verificazione dell'evento dell'"impossessamento" della cosa mobile altrui, per la consumazione della rapina impropria (articolo 628, comma 2, del C.p.) è invece sufficiente il solo perfezionamento della "sottrazione". Difatti, nella rapina impropria, l'impossessamento non costituisce l'elemento materiale della condotta incriminata - ossia l'evento del reato la cui verificazione è determinante ai fini della sua consumazione - bensì l'oggetto del dolo specifico, richiesto dalla norma incriminatrice in alternativa allo scopo di assicurare a sé o ad altri l'impunità. Ne deriva che la "sottrazione", quale componente dell'elemento materiale del reato di rapina, assume un ruolo centrale sotto un duplice profilo. In primo luogo, il momento temporale in cui essa si perfeziona rispetto alla violenza (o alla minaccia) segna il discrimine tra la rapina propria e impropria: infatti, nella fattispecie di cui all'articolo 628, comma 1, del C.p., la violenza o minaccia costituiscono le modalità attuative attraverso cui la sottrazione viene posta in essere, che dunque segue (e non precede) le condotte violente o minacciose. Invece, nella rapina impropria, la sottrazione deve avvenire - come nel furto - senza violenza o minaccia e, perciò, deve precedere (e non seguire) le condotte violente o minacciose, le quali sono poste in essere dall'agente non alfine di sottrarre la cosa mobile altrui - come per la rapina propria -, ma al fine di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta ovvero l'impunità. In secondo luogo, la sottrazione costituisce l'elemento determinante ai fini della distinzione tra rapina impropria consumata e rapina impropria tentata: infatti, essendo l'impossessamento un elemento facente parte del dolo specifico della rapina impropria e non l'evento del reato, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui - ossia lo spossessamento - l'impiego della violenza (o della minaccia) da parte dell'agente, al fine di conseguire il possesso della res (ovvero l'impunità), costituisce rapina impropria consumata -e non già rapina impropria tentata indipendentemente dalla verificazione in concreto anche dell'impossessamento" (cfr. Cassazione Penale sez. II- 29/05/2019, n. 26596).

Altresì, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che in tema di rapina impropria la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo diverso da quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicché, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l'unitarietà dell'azione volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l'impunità (così, cfr. Cass. n. 43337/2007 nonché Cass. n. 40421/2012 che ha affermato che in tema di rapina impropria il requisito della immediatezza della violenza o della minaccia va riferito esclusivamente agli aspetti temporali della "flagranza" o "quasi flagranza" e non va interpretato letteralmente nel senso che violenza o minaccia debbono seguire la sottrazione senza alcun intervallo di tempo).

Si rammenta poi che non è necessario il conseguimento del possesso o dell'impunità ma è sufficiente che l'azione violenta o minacciosa sia mezzo idoneo al raggiungimento degli scopi indicati dalla legge e avuti di mira dall'agente.

Il delitto di rapina impropria sussiste indipendentemente dal comportamento del soggetto passivo o della persona eventualmente intervenuta in sua difesa. Pertanto, non è necessario che la vittima o altri per lei abbiano tentato di resistere all'aggressore o di trattenerlo (cfr. Cass. n. 6289/1973). Facendo dunque applicazione al caso di specie dei richiamati principi ermeneutici deve ritenersi indubbiamente integrato il delitto di rapina impropria attraverso la condotta posta in essere dall'imputata. Dall'istruttoria dibattimentale, come sopra analizzata, è univocamente emerso (attraverso le convergenti dichiarazioni rese dai testi Ri.Sa. e Ci.An., persone offese dal reato, nonché dal teste Ma.Pa., titolare dell'ambulatorio ove si sono svolti i fatti, intervenuto a tutela delle due dipendenti il giorno del fatto assistendo alla condotta violenta assunta dalla Ma.An. verso Ri.Sa.) che l'imputata, introducendosi nella stanza adibita a spogliatoio per il personale dipendente del centro di riabilitazione "Ro." di Campobasso, ha sottratto i portafogli delle dipendenti Ri.Sa. e Ci.An. dalle rispettive borse, che erano ivi riposte, occultandoli nella propria borsa e tentando di allontanarsi con i beni sottratti. Sorpresa dalla Ri.Sa. nell'atto di riporre la relativa borsa sullo scaffale dello spogliatoio ed invitata da questa a mostrare il contenuto della borsa, avendo la Ri. appurato che mancava il portafogli dalla propria borsa, l'imputata reagiva bruscamente rifiutandosi di mostrare il contenuto della borsa e, vistasi alle strette, atteso che la Ri. e la collega Ci.An., nel frattempo sopraggiunta in ausilio alla prima e anch'essa accortasi di aver subito l'illecita sottrazione del portafogli dalla borsa, le impedivano l'uscita bloccando la porta d'ingresso, estraeva dalla borsa i due portafogli trafugati e li lanciava verso le dipendenti dell'ambulatorio; in quel medesimo frangente, per guadagnare la fuga colpiva altresì con un pugno al volto Ri.Sa., che la stava trattenendo per un braccio al fine di assicurarla alle forze dell'ordine allertate da una persona presente in loco. Attraverso la descritta condotta, perciò, l'imputata riusciva a divincolarsi e a scappare, sfuggendo ai militari. Risulta pertanto integrata la materialità del delitto di rapina impropria, sussistendo tanto la sottrazione della cosa mobile altrui, ai fini della quale non occorre, come evidenziato, il conseguimento dell'autonoma disponibilità del bene da parte del reo (che integra invece l'impossessamento), quanto l'uso della violenza fisica, assunta dalla Ma.An. ad immediata distanza temporale dalla sottrazione dei beni nei confronti di Ri.Sa. - che colpiva con un pugno al volto - allo scopo di divincolarsi e fuggire, e dunque per procurarsi l'impunità.

Deve essere pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputata per il reato di cui all'art. 628 comma 2 c.p. ascrittole in rubrica.

Diverse conclusioni si impongono, alla luce delle complessive risultanze istruttorie, in ordine ai reati descritti ai capi B) e C) dell'imputazione.

Quanto, in particolare, al reato di lesioni personali aggravate, contestato al capo B) della rubrica, va osservato che pur essendo senza dubbio emersa la prova della condotta materiale del reato, stante le univoche risultanze dichiarative dibattimentali acquisite in ordine al fatto che Ma.An. abbia colpito con un pugno al volto, nelle medesime circostanze spazio-temporali dell'analizzato reato di rapina impropria di cui al capo A), Ri.Sa. provocandole un trauma contusivo nella regione temporo mandibolare, come documentato attraverso il referto medico del 118 datato 7.07.2018 (si richiamano, sul punto, le dichiarazioni testimoniali rese da Ri.Sa., confermate dai testi Ci.An. e Ma.Pa., i quali hanno assistito alla condotta di violenza fisica perpetrata dall'imputata in danno della persona offesa, nonché il referto del 118 versato in atti), ritiene questo giudice che non risultino in concreto ravvisabili le circostanze aggravanti oggetto di contestazione, vale a dire quella di aver agito per futili motivi nonché per realizzare il reato di rapina impropria descritto al capo A). Nessun elemento è anzitutto emerso sul crinale del movente che ha animato la condotta delittuosa non potendosi perciò ritenere accertato che la Ma.An. abbia agito per motivi futili. Si rammenta sul punto che "Per la configurabilità della circostanza aggravante dei motivi abietti o futili occorre che il movente del reato sia identificato con certezza, non potendo l'ambiguità probatoria sul punto ritorcersi in danno dell'imputato" (cfr. Cass. I, n. 45326/2008); essendo rimasto ignoto il concreto e specifico motivo che ha spinto l'imputata ad assumere la condotta criminosa in esame, resta preclusa la possibilità di valutarne l'eventuale futilità dovendosi perciò escludere la sussistenza della correlata circostanza aggravante. Quanto alla circostanza aggravante del nesso teleologico di cui all'art. 585,577 n. 4) e 61 n. 2 c.p., ritiene questo giudice che aderendo all'orientamento giurisprudenziale in tal senso formatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità (sebbene in contrasto con un orientamento di segno contrario) vada esclusa la configurabilità di detta circostanza aggravante, di natura soggettiva, sulla considerazione (espressa dalla Suprema Corte di Cassazione con le pronunce: Cass. I, n. 51457/2017; Cass. II, n. 42371/2006; Cass. I n. 5189/1996, Semeraro ed altro, Rv. 204666; Cass. I, n. 12359/1990, D'Aversa, Rv. 185315) per cui l'aggravante deve ritenersi esclusa in quanto assorbita nel delitto di rapina impropria, in applicazione del principio di specialità, atteso che la volontà dell'agente di assicurarsi con violenza sulla persona il prodotto del bene sottratto o l'impunità è già di per sé elemento costitutivo di detto delitto; pertanto, come ritenuto con le citate pronunce giurisprudenziali, risulta maggiormente coerente con la prevalente natura soggettiva dell'aggravante teleologica, posta a censurare la maggior riprovevolezza etica e la più alta pericolosità sociale di chi agisca delittuosamente in rapporto finalistico con un ulteriore delitto, ritenere che, una volta che la volontà del soggetto di assicurarsi con violenza sulla persona il prodotto del bene sottratto o l'impunità dalle sue conseguenze sia stata assunta come elemento costitutivo del delitto di rapina impropria, tale volontà non possa essere nuovamente valutata nella previsione sanzionatoria per il delitto di violenza contestualmente commesso.

Alla luce dei principi testé espressi, va pertanto esclusa la sussistenza della circostanza aggravante in parola. Ebbene, il venir meno delle descritte circostanze aggravanti implica il ripristino del regime di procedibilità a querela della persona offesa del reato di lesioni personali, in ossequio al disposto dell'art. 582 c.p. come da ultimo modificato per effetto delle modifiche apportate dal D.lgs. n. 150/2022 al codice penale (a partire dalla entrata in vigore del decreto, individuata da ultimo, in virtù del disposto dell'art. 99-bis, aggiunto dal d.l. n. 162 del 2022, nel 30.12.2022). Infatti, in aderenza agli obiettivi generali di deflazione processuale e sostanziale perseguiti dalla c.d. Riforma Cartabia, il legislatore della delega ha disposto, agli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 150/2022, l'ampliamento delle ipotesi di reato procedibili a querela ricompresi nel Libro II e III del codice penale, incidendo, per quanto qui di interesse, anche sulla procedibilità del reato di lesioni personali contemplato all'art. 582 che al primo comma sancisce la procedibilità a querela della persona offesa e al secondo comma, nella versione derivante dall'intervento della c.d. Riforma Cartabia, recita testualmente: "si procede tuttavia d'ufficio se ricorre taluna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11 octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel primo comma, numero 1), e nel secondo comma dell'art. 577".

Pertanto, per effetto della modifica in parola e stante l'insussistenza delle circostanze aggravanti descritte in rubrica, il delitto di lesioni personali risulta procedibile a querela della persona offesa che nel caso di specie non risulta essere stata mai formalizzata.

Dunque, per effetto del nuovo regime di procedibilità del reato di cui all'art. 582 c.p. e tenuto conto che lo stesso, in quanto modifica di favore (che riguarda un istituto da assimilare a quelli che entrano a comporre il quadro per la determinazione dell'art e del quomodo di applicazione del precetto, cfr. Cass. pen. sez. 5, n. 44390/2015 in tema di procedibilità d'ufficio per i reati sessuali), trova applicazione anche con riferimento ai reati commessi anteriormente al 30.12.2022, il reato di lesioni personali oggetto di contestazione al capo B) dell'imputazione deve certamente ritenersi divenuto improcedibile attesa la mancanza della querela da parte della persona offesa.

Quanto infine al reato di cui al capo C) dell'imputazione, risulta quantomeno dubbia, alla luce delle complessive risultanze istruttorie, la relativa ascrivibiltà all'imputata. Difatti, come riferito in aula dai testi qualificati, presso il centro di riabilitazione "Ro." di Campobasso, ove il personale dei carabinieri è intervenuto in data 7.7.2018 in seguito alla vicenda relativa alla sottrazione dei portafogli delle dipendenti Ri.Sa. e Ci.An., è stato rinvenuto sul pavimento, nei pressi della porta d'ingresso, un involucro contenente sostanza stupefacente del tipo marijuana per complessivi 0,4 grammi (cfr. verbale di pesatura e narcotest del 7.7.2018, nonché verbale di sequestro del 7.07.2018 e decreto di convalida del 9.07.2018, in atti). Orbene, a fronte di tali emergenze, nessun elemento atto a comprovare che detto involucro contenente della sostanza stupefacente (per grammi 0,4 e una percentuale del 9,56% di principio attivo delta 9 THC) appartenesse all'imputata risulta emerso dall'istruttoria dibattimentale; né detta conclusione è desumibile in via esclusiva dal fatto che l'involucro in parola è stato rinvenuto nello stesso luogo in cui era presente - peraltro nemmeno da sola - la Ma.An. in data 7.07.2018. In difetto, dunque, di elementi univoci e convergenti atti a dimostrare che la sostanza stupefacente in questione fosse nella disponibilità dell'imputata, la stessa va mandata assolta dal reato di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/90, contestato al capo C) dell'imputazione, per non aver commesso il fatto.

Passando al profilo del trattamento sanzionatorio, ritiene questo giudice possibile riconoscere in favore dell'imputata le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p. al fine di garantire una idonea personalizzazione della pena; al contempo deve escludersi l'aumento per la recidiva specifica in quanto, benché correttamente contestata, non risulta nella specie sintomatica di una maggiore pericolosità della prevenuta.

Pertanto, valutati i criteri tutti di cui all'art 133 c.p., in particolare l'intensità del dolo quale si desume dalle modalità di commissione del fatto, appare equa la pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 800,00 di multa.

Pena così determinata: pena base (per il reato di cui all'art. 628 comma 2 c.p., di cui al capo A) anni quattro di reclusione ed euro 1.200,00 di multa (determinata nel minimo edittale come previsto dalla norma vigente alla data di commissione del reato); ridotta per effetto delle riconosciute circostanze attenuanti generiche nella misura di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 800,00 di multa.

Consegue per legge ai sensi dell'art. 535 c.p.p. la condanna dell'imputata al pagamento delle spese processuali.

Si impone, inoltre, in ossequio al disposto dell'art. 240 c.p. la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro.

Da ultimo, l'assenza dell'imputata e la mancanza di procura speciale in capo al suo difensore di fiducia hanno impedito l'attivazione, dopo la lettura del dispositivo, della procedura prevista dall'art. 545 bis c.p.p. (introdotto dalla recente riforma "Cartabia" di cui al D.lgs. 150/2022) per l'accesso alle pene sostitutive.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Ma.An. colpevole del reato ascrittole al capo a) della rubrica e, escluso l'aumento per la contestata recidiva e concesse le circostanze attenuanti generiche, la condanna alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 800,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letto l'art. 529 c.p.p., dichiara non doversi procedere nei confronti dell'imputata per il reato ascrittole al capo b) della rubrica, escluse le contestate aggravanti, per mancanza della condizione di procedibilità. Letto l'art. 530 c.p.p. assolve Ma.An. dal reato ascrittole al capo c) della rubrica per non aver commesso il fatto.

Letto l'art. 240 c.p.p. ordina la confisca e la distruzione dello stupefacente in sequestro.

Letto l'art. 544 comma 3 c.p.p. indica per il deposito della motivazione il termine di giorni novanta.

Così deciso in Campobasso il 6 giugno 2023.

Depositata in Cancelleria il 29 agosto 2023.

Rapina: sulla configurazione della rapina impropria consumata

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