Rapina impropria: sugli elementi costitutivi
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Corte appello Taranto, 18/09/2023, n.545

Integra il reato di rapina impropria, di cui all'art. 628 comma 2 c.p., la condotta del prevenuto che dopo essersi impossessato di un bene del vittima, al fine di trarne profitto, usi violenza e minacce ai danni della medesima vittima al fine di assicurarsi (ovvero nel tentativo) la fuga e l'impunità.

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza del 17 marzo 2023, il g.i.p. del Tribunale di Taranto, all'esito del giudizio abbreviato celebrato, dichiarava SC.La. e FO.Ma. responsabili del reato di cui all'art. 628, commi 2 e 3, nn. 1 e 3 ter, c.p., commesso in Taranto il 10 gennaio 2023, e, negata la circostanza di cui all'art. 62 n. 4 c.p. (per la consistenza del turbamento disceso alle vittime per essere state derubate e aggredite con un coltello all'interno di un autobus in pieno centro cittadino), in concorso per entrambe le imputate di circostanze attenuanti generiche (per le ammissioni rese e, quanto alla SC., per la giovane età della stessa), stimate equivalenti alle aggravanti, salvo il limite di cui all'art. 628, u.c., c.p., con la diminuente per il rito, le condannava alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 933,33 di multa ciascuna, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare, nonché al risarcimento del danno - quantificato in euro 3.500 ciascuno - in favore di MA.Gi. e NA.Si., a vantaggio dei quali liquidava anche la somma di euro 1.996,90, oltre accessori di legge, a titolo di rifusione delle spese di costituzione e partecipazione al giudizio (già tenuto conto dell'aumento del 30 per cento della difesa di più parti).

Il g.i.p., alla luce del contenuto degli atti presenti nel fascicolo del p.m. (come integrati nel corso dell'udienza fissata per la celebrazione del giudizio con il consenso del difensore), tenuto conto del contenuto del verbale di arresto e dei suoi allegati e delle riprese video del fatto, riteneva certo l'addebito mosso a ciascuna delle imputate, considerate concorrenti nel delitto loro ascritto, a dispetto di quanto da ognuna sostenuto in merito alla posizione della FO., asseritamente intervenuta solo in difesa della SC., aggredita dagli astanti, senza essere consapevole del furto da costei poco prima posto in essere.

Il primo giudice, dopo aver testualmente trascritto il contenuto degli atti di indagine (ai quali è sufficiente fare mero rimando, sì da ritenere in parte qua la sentenza impugnata qui trascritta per essere parte integrante del presente provvedimento), pertanto, riteneva certo che, nel giorno indicato nel capo di imputazione, dopo che la SC. (come dalla stessa ammesso), a bordo dell'autobus di linea n. 8, aveva sottratto a MA. il telefono cellulare che quest'ultima aveva in tasca, era stata consumata una rapina impropria visto che, alla reazione della vittima e del di lei fidanzato, in soccorso dell'autrice dell'apprensione era intervenuta la FO. che, sguainato e puntato un coltello a serramanico (dal quale era stata disarmata da GR.Le., intervenuto in difesa della vittima e del suo accompagnatore) alla volta degli astanti, aveva assicurato il mantenimento della refurtiva e l'impunità, in considerazione del fatto che entrambe le donne, grazie a tale azione, erano subito scese dal pullman, venendo rintracciate solo poco dopo da una pattuglia delle forze dell'ordine prontamente intervenuta a seguito della chiamata, della MA.

Il giudice di primo grado (come anticipato), pur ammettendo l'assenza di un previo concerto alla consumazione dell'azione delittuosa, condivideva comunque la qualificazione giuridica attribuita al fatto dal p.m., escludendo la fondatezza della versione difensiva secondo cui la FO. non si era avveduta del furto ed era intervenuta non già per assicurare il provento di tale reato (così consumando il più grave delitto di rapina), ma al solo scopo di aiutare la sua amica, ai suoi occhi ingiustamente aggredita dagli altri passeggeri del mezzo pubblico, e a tal fine valorizzando le discrasie narrative contenute nei verbali di interrogatorio reso da ciascuna delle imputate. Segnatamente, il g.i.p. sottolineava che:

- "la Sc. ha affermato che la Ma., accortasi di aver subito la sottrazione del suo cellulare, si sarebbe buttata, (avventata) contro di lei (Sc.: "si è avventata contro di me, si è avventata, si è buttata, diceva dammi il telefonino, dammi il telefonino"); su specifica domanda del G.i.p. in sede, l'imputata ha affermato di non essere stata colpita dalla persona offesa (Sc.: "no, non mi ha colpito, mi ha solo tirato lo zaino"; giudice: "non le ha messo le mani addosso"; Sc.: "no, no"); la Fo., invece, ha affermato di aver visto la Ma. e la Sc. "menarsi" e, in particolare, di aver visto la prima prendere la seconda schiaffi, costringendo quest'ultima a difendersi (Fo.: "gli stava alzando le mani a La. e diceva dammi il telefono, dammi il telefono, si stavano menando, tutti e due schiaffi, schiaffi, la ragazza del telefono a La.; (La.) si stava difendendo, è normale non volendo ho uscito il coltello", sicché "le dichiarazioni rese dalla stessa Sc. smentiscono le dichiarazioni rese dalla Fo. sotto un profilo essenziale; la prima non ha affermato di essere stata malmenata dalla Ma.; la seconda, invece, ha dichiarato di essere intervenuta in difesa della coimputata vedendo che questa veniva percossa dalla persona offesa", viepiù precludendo di far "ritenere che la Fo. abbia agito al fine di venire in soccorso della Sc., credendo che le sue azioni fossero scriminate da uno stato di necessità", come comprovato "dalle immagini riprese dalla telecamera di videosorveglianza installata presso il locus commissi delicti" dai cui filmati "non emerge che la Ma. e Na. abbiano malmenato Sc.La." (cfr. sentenza appellata, p. 7);

- "Fo.Ma. ha apertis verbis affermato di aver udito la Ma. esigere la restituzione del proprio cellulare (gli stava alzando le mani e diceva: dammi il telefono, dammi il telefono), sicché dalle sue dichiarazioni "si trae che la predetta, quando ha brandito il proprio coltello, era perfettamente a conoscenza dei termini del dissidio venutosi a configurare tra la coimputata e la persona offesa", come coerentemente comprovato dal fatto che "la Ma. abbia preteso la restituzione del proprio telefono non appena accortasi dell'illecita sottrazione di detta res", circostanza, quest'ultima, acclarata pacificamente alla luce "delle sommarie informazioni raccolte dagli inquirenti e delle immagini riprese dal sistema di videosorveglianza installato presso il locus commissi delicti" (cfr. sentenza appellata, ibidem).

A lume di tanto, ritenuto che la FO. avesse scientemente contribuito alla realizzazione dell'azione posta in essere dalla SC., avvantaggiatasi volutamente dell'intervento della complice, il giudice di prime cure perveniva alla conclusione sanzionatoria innanzi indicata.

Avverso la predetta sentenza è stato proposto (unico) tempestivo atto di appello dal difensore delle imputate. Le appellanti hanno chiesto:

- la riqualificazione del fatto accertato (sulla cui modalità di verificazione non è stato mosso alcun rilievo) nel delitto di furto, da ascrivere a SC.La., e in quello di minaccia, da ascrivere a FO.Gr., avendo la prima sottratto il telefono cellulare di MA.Gi. all'insaputa della seconda e senza che questa se ne avvedesse ed essendo la FO. intervenuta, brandendo il coltello, al solo erroneo fine di tutelare la sua amica da una possibile aggressione da parte dei presenti e non già al fine di assicurarle il profitto e l'impunità per il delitto prima consumato, come comprovato dal fatto che la FO., anche a detta del teste GR., aveva asserito di non sapere nulla del telefono, della cui apprensione avrebbe avuto contezza solo dopo essere scesa dall'autobus, e dall'ulteriore circostanza della facilità con la quale il predetto GR. era riuscito a disarmare la FO. medesima, pertanto non adoperatasi evidentemente ad assicurare il provento di alcunché, fermo restando che le immagini registrate evidenziano come la donna si fosse già disposta per scendere dal mezzo allorché la SC. si era appropriata del cellulare;

- la rideterminazione della pena mediante l'applicazione dell'art. 62, n. 4, c.p., non potendosi condividere, in assenza di prova certa sul punto, il ragionamento del primo giudice espressosi nel senso della rilevanza del danno morale disceso alle vittime della rapina impropria oggetto di attenzione e dovendosi ribadire la facilità con la quale la FO. era stata disarmata, peraltro riportando anche la frattura del polso dell'arto con il quale impugnava l'arma.

All'odierna udienza di rinvio si è celebrato il giudizio di secondo grado nelle forme previste dall'art. 23 bis D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, e la Corte ha definito il procedimento come da dispositivo in calce alla presente sentenza, sulla scorta delle conclusioni scritte rassegnate dalle parti. Entrambi i motivi di appello devono essere, per le ragioni che si andranno a esporre, rigettati.

Le argomentazioni esposte nell'atto di gravame non sono tali da superare il ragionamento compiuto dal primo giudice per addivenire alla conclusione secondo cui, pur verosimilmente in assenza di un previo concerto sulla rapina, vi fosse stato comunque il concorso di entrambe le imputate in tale delitto, visto che la FO. era intervenuta consapevolmente in difesa della SC., non già per difenderla da una assertivamente immotivata aggressione, ma per consentire il mantenimento del maltolto e assicurare l'impunità rispetto al reato appena posto a segno. La con divisibilità della conclusione si trae dalle aporie tra le dichiarazioni delle due imputate evidenziate nella sentenza gravata.

E invero, a parere della Corte, secondo id quod plerumque accidit, non è possibile sostenere che la FO., vicinissima alla sua complice all'interno di un luogo chiuso e non particolarmente affollato, non avesse udito le recriminazioni della MA., che avvedutasi dell'avvenuta sottrazione del telefono, si era immediatamente rivolta con toni concitati all'indirizzo della SC., ingiungendole di restituirle l'apparecchio, peraltro in quel momento da quest'ultima malcelato e riposto in vista (come in seguito emerso) nella parte posteriore dei pantaloni. A tanto si aggiunga che la FO., al fine di giustificare il proprio intervento, aveva addotto - in ciò contraddicendo la sua complice (che aveva espressamente escluso di essere stata colpita) - di essere intervenuta in difesa dell'amica, a suo dire aggredita dalla vittima della sottrazione e da altri passeggeri con schiaffi dai quali addirittura aveva preso a difendersi.

Le suddette discrasie palesano la natura posticcia delle affermazioni difensive, evidentemente funzionali, anche in ragione del rapporto affettivo esistente tra le due donne, ad alleggerire la posizione di entrambe e, in particolar modo, della FO., la cui consapevolezza rispetto al delitto accertato e la cui piena partecipazione all'azione non possono essere messe logicamente in discussione.

E' allora evidente che FO. e SC., probabilmente anche senza un previo originario concerto, si erano fornite reciproco supporto nella consumazione del grave reato loro ascritto, contribuendo ciascuna, con la consapevole partecipazione dell'altra, al perseguimento del profitto proprio di tale reato, non potendo tale evenienza essere esclusa neanche dal fatto (sottolineato nel gravame) che la FO., mentre la seconda sottraeva il telefono, si fosse già posta in prossimità della porta di uscita del mezzo pubblico.

Tale azione, infatti, non collide con quanto in seguito avvenuto: l'azione minacciosa era stata realizzata, mentre a gran voce la MA. chiedeva che le fosse restituito il telefono, dopo l'apprensione di tale oggetto, sicché ciascuna delle imputate consapevolmente avvalendosi del contributo dell'altra non solo si era assicurata l'ingiusto profitto tipico del reato predatorio posto a segno, ma si era garantita anche l'impunità discesa dalla possibilità di allontanarsi, con la refurtiva, dal luogo del fatto.

Né può essere trascurato che, dal punto di vista logico, la vicinanza della FO. tanto alla porta quanto alla complice, che non a caso aveva agito anch'ella in prossimità della porta di discesa, fosse proprio funzionale a consentirle un rapido intervento, prima, e un agevole allontanamento, dopo, a consumazione del furto avvenuta.

Resta poi fermo che l'azione della SC. era stata rafforzata dalla presenza della FO., nella consapevolezza del supporto da costei attuabile.

A fondamento della conclusione rassegnata, è sufficiente richiamare il risalente, ma pacifico, principio di diritto secondo cui "ai fini della sussistenza del concorso di persone nel reato non occorre un previo concerto, potendo sorgere una volontà che accomuni la condotta dei partecipanti anche nel repentino svolgersi di un fatto improvviso, mentre, d'altro canto, l'addebitabilità del reato a titolo di concorso morale prescinde dalla materiale partecipazione al fatto. (Nella specie dei giovani erano penetrati con violenza sulle cose nell'abitazione di una donna e mentre si congiungevano carnalmente con la stessa tenendola immobilizzata, altri si impossessavano di una banconota da Lire 100.000 sottraendola da una tasca dei pantaloni della donna; la Cassazione, sulla scorta dei principi di cui in massima, ha ritenuto corretto l'assunto dei giudici di merito che avevano dedotto che la sottrazione del denaro compiuta in presenza di tutti gli aggressori ed in un contesto di comune violenza era stata condivisa e voluta da tutti e che anche chi non l'aveva materialmente compiuta aveva contribuito a realizzare l'evento delittuoso - ritenuto integrare il delitto di rapina - come concorrente morale" (Cass., Sez. II, 16 marzo 1992, n. 2811). Ciò posto in ordine alla correttezza della qualificazione del fatto, deve essere, come anticipato, rigettato anche l'altro motivo di appello.

Nella specie, non ricorrono i presupposti per l'applicazione dell'art. 62, n. 4, c.p. Come correttamente evidenziato dal primo giudice, la valutazione dell'entità del danno nel caso di reati plurioffensivi come la rapina deve avere a oggetto ciascuno dei beni tutelati.

Nel caso in esame, le imputate avevano sottratto un telefono cellulare di non irrisorio valore commerciale, trattandosi di un apparecchio di marca (…), ancora commercializzato, ponendo viepiù in essere una minaccia a mano armata.

E' allora evidente che il pregiudizio arrecato, da valutarsi come sommatoria tra il danno materiale disceso dall'azione (da prendere in considerazione nonostante l'avvenuto recupero della refurtiva) e gli ulteriori effetti pregiudizievoli della condotta complessivamente considerata, non può esser tale da giustificare l'applicazione della circostanza attenuante invocata, il cui parametro quantitativo è computato dalla Corte di Cassazione nell'ordine di qualche decina di euro (cfr.: Cass., Sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 6635, secondo cui "la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della "res", senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale l'imputato invocava la configurabilità della predetta circostanza attenuante in una fattispecie di furto di merce del valore commerciale di 82 euro, sul presupposto che tale somma fosse irrilevante rispetto alla capacità economica del supermercato vittima del reato").

Per le ragioni addotte, l'appello proposto deve essere rigettato e le appellanti devono essere condannate al pagamento delle spese del presente grado di giudizio e alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili nel medesimo grado, quantificate come da dispositivo, tenendo conto dell'aumento del 30 per cento derivante dalla difesa contro più parti.

P.Q.M.
La Corte, letti gli artt. 592 e 605 c.p.p. e art. 23 bis D.L. 137/2020, conv. in L. 176/2020, conferma la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Taranto del 17 marzo 2023, appellata da SC.La. e FO.Ma. che condanna al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio e alla rifusione delle spese di partecipazione al medesimo grado delle pp.cc., determinante in complessivi euro 1.950, oltre accessori di legge, come per legge e nella misura da essa determinata, già comprensivi dell'aumento per la difesa contro più parti. Motivazione contestuale.

Così deciso in Taranto il 18 settembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 18 settembre 2023.

Rapina impropria: sugli elementi costitutivi

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