RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 27/6/2019 la Corte di appello di Palermo confermava la decisione di primo grado con la quale M.S. e C.D., ad esito del giudizio ordinario, erano stati condannati alla pena di tre anni di reclusione e 1.200 Euro di multa ciascuno per i reati, entrambi aggravati, di tentata rapina e lesioni in concorso.
2. Hanno proposto ricorso M.S. e C.D., a mezzo del medesimo difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale sotto quattro distinti profili, avuto riguardo:
- alla ritenuta sussistenza del delitto di tentata rapina, in mancanza dell'altruità della cosa (visti i rapporti di dare e avere fra M. e la persona offesa R.M.) e della violazione di domicilio (il fatto si svolse nell'abitazione dell'imputato M.) nonché dell'elemento psicologico del reato, avendo lo stesso M. la sola intenzione di ottenere il pagamento del compenso per la raccolta delle olive;
- all'affermata responsabilità di C.D., che non esercitò alcuna violenza in danno di R., essendo anche palesemente ubriaco;
- alla omessa riqualificazione del fatto nel reato di minaccia;
- al diniego delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili perché proposti con motivi generici e manifestamente infondati.
2. La difesa, in larga parte, non si è confrontata con le puntuali argomentazioni dell'ordinanza impugnata, incorrendo in più punti nel vizio di genericità dei ricorsi, sotto il profilo del difetto di "specificità estrinseca" (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811-01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, Jallow, Rv. 275841; Sez. 2, n. 5253 del 15/01/2019, C., Rv. 275522; Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, Di Schiena, Rv. 271373-02; Sez. 5, n. 34504 del 25/5/2018, Cricca, Rv. 273778; da ultimo v. Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, in motivazione).
I ricorrenti hanno sostenuto apoditticamente che fra l'imputato M. e la persona offesa esisteva "un rapporto di dare e avere", obliterando le precise argomentazioni con le quali, sulla base delle dichiarazioni di R., ritenute del tutto attendibili, è emerso che fosse quest'ultimo creditore nei confronti dell'imputato per la vendita di alcuni conigli; per contro, gli imputati erano stati pagati per una raccolta di olive risalente a vari anni prima.
La Corte di appello, in conformità alla ricostruzione del fatto operata dal primo giudice, ha ricordato che R. disse di essere stato aggredito sia da M. che da C., i quali gli avevano intimato di consegnare loro tutto il denaro che aveva con sé. Al suo rifiuto, la vittima era stata colpita alla testa ed era riuscita a fuggire, venendo poi accompagnata in ospedale da un conoscente incontrato per strada.
La difesa non ha neppure dedotto un vizio di motivazione inerente a detta ricostruzione, essendosi limitata a proporre assertivamente una lettura alternativa dell'episodio, ignorando la deposizione della persona offesa e le argomentazioni della sentenza impugnata.
Ne consegue che è corretta la qualificazione giuridica del fatto come tentata rapina, così come l'affermazione di responsabilità a titolo concorsuale di C., irrilevante essendo la "circostanza che la persona offesa sia riuscita a divincolarsi, per la condizione di ubriachezza" dello stesso imputato, come logicamente affermato dalla Corte territoriale.
I ricorrenti hanno sostenuto che, in assenza di una violazione di domicilio, non sussisterebbe il reato di rapina. La deduzione, con tutta evidenza, è priva di ogni pregio, considerato che, ovviamente, la commissione del delitto ben può avvenire a prescindere dalla introduzione nell'altrui domicilio contro la volontà della vittima.
La questione, invero non espressamente e specificamente posta dalla difesa, riguarda piuttosto l'applicabilità della circostanza aggravante del fatto commesso in luogo di privata dimora, prevista dall'art. 628 c.p., comma 3, n. 3-bis, "privilegiata" in quanto sottratta al giudizio di comparazione, ai sensi del comma 5 dello stesso articolo.
Laddove - come quasi sempre avviene - l'agente commetta una rapina dopo essersi introdotto nel domicilio della vittima al solo fine di impossessarsi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, è configurabile un reato complesso, ai sensi dell'art. 84 c.p., nel quale resta assorbito il delitto ex art. 614 c.p., legato da nesso di strumentalità a quello di rapina (Sez. 2, n. 17147 del 28/03/2018, Andolina, Rv. 272808; Sez. 2, n. 40382 del 17/07/2014, Farfaglia, Rv. 260322).
Nel caso, assai più raro, in cui la rapina - come nella fattispecie - avvenga all'interno del luogo di privata dimora di uno degli agenti, nel quale, anche spontaneamente, si sia introdotta la vittima, la circostanza del "fatto commesso nei luoghi di cui all'art. 624 bis" sussiste ugualmente, in ragione sia del dato letterale della disposizione, che non prevede alcuna limitazione o specificazione, sia della ratio dell'aggravante, come evidenziata in una recente pronuncia di legittimità: "nelle ipotesi di reato di aggressione al patrimonio che si realizzano in ambiti domestici il maggior disvalore della fattispecie dipende dalle evidenti ripercussioni, diverse da quelle tipicamente patrimoniali, sulla persona, risultando una maggiore gravità dell'offesa per l'insicurezza percepita dalle vittime in luoghi che sono reputati tali da tutelare la vita privata, ed una più intensa pericolosità dell'agente che entra in contatto diretto con la vittima, con il rischio più elevato di possibili aggressioni" (Sez. 2, n. 23331 del 02/07/2020, Milenkovic, Rv. 279479, in motivazione: la Corte ha anche affermato che la rapina va valutata come una condotta unitaria, cosicché l'aggravante di cui si tratta è configurabile non solo qualora in uno dei luoghi indicati dalla norma siano avvenute la sottrazione e la violenza o minaccia, ma anche quando anche solo una frazione della condotta - la sottrazione ovvero la violenza o minaccia sia stata ivi realizzata).
Peraltro, l'abitazione di uno dei rapinatori, all'interno della quale è commesso il fatto, privando la vittima della possibilità di una efficace reazione o di una richiesta di aiuto, è anche uno dei "luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa", rilevante ai fini dell'integrazione della medesima aggravante (art. 628 c.p., comma 3, n. 3-bis, seconda parte).
3. E' manifestamente infondata anche la doglianza relativa al diniego delle attenuanti generiche.
La Corte territoriale, verificata l'assenza di elementi favorevoli agli imputati, gravati di precedenti penali, si è attenuta al principio reiteratamente affermato sul tema dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le attenuanti generiche non vanno intese come oggetto di benevola "concessione" da parte del giudice, nell'ambito del suo potere discrezionale, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 c.p. (cfr., ad es., Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, Boateng, Rv. 276044, in motivazione; Sez. 2, n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694; Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315).
Inoltre, "il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica del art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato" (così Sez. 2, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; in senso conforme v., ad es., Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610, nonché, da ultimo, Sez. 4, n. 20812 del 05/05/2021, Traini, non mass.).
Il giudice di merito, poi, non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 2, n. 28752 del 20/07/2020, Cressotti, Rv. 279671; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509), cosicché anche i soli precedenti penali possono essere valorizzati per escludere il riconoscimento delle attenuanti (cfr., ad es., Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444; Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, Giallombardo, Rv. 274783; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826).
Detti principi sono stati ribaditi in una recente pronunzia delle Sezioni unite, emessa in tema di rapporti fra diniego delle attenuanti generiche e applicazione della recidiva (Sez. U, n. 20208 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, Rv. 275319, in motivazione).
4. Alla inammissibilità delle impugnazioni, segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro duemila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende nonché, in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile R.M., che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021