RITENUTO IN FATTO
1. Con la ordinanza impugnata, pronunciata de plano in data 21 novembre 2022, la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile l'istanza, formulata nell'interesse di M.A., di revisione della sentenza della Corte di appello di Napoli, Sez. 6^, del 26/11/2019 n. 8357 - divenuta irrevocabile a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 15557/2022 del 15/12/2021 - che, nell'ambito di un giudizio per fatti di bancarotta, aveva dichiarato estinti agli effetti penali, per intervenuta prescrizione, plurimi fatti di bancarotta fraudolenta in concorso in danno della società B. s.r.l. amministrato di fatto da M.A., e confermato, agli effetti civili, le statuizioni risarcitorie.
1.1. L'istanza di revisione è stata formulata ai sensi dell'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), per conflitto di giudicati, sul rilevato contrasto tra la condotta dissimulatoria, integrante il reato di bancarotta impropria in concorso con M., consistita nell'acquisizione fittizia di beni e quote societarie della fallita società Bristol Hotel S.r.l. da parte delle società del gruppo (Omissis) S.p.a. e T.M.T. S.A., riconducibili al M., e quanto accertato, invece, nel decreto della Corte d'appello di Napoli, sez. 5^ Penale - prevenzione - n. 131-bis del 15 ottobre 2021, in punto di effettivo trasferimento di beni.
1.2. La Corte di appello di Roma ha ritenuto l'istanza inammissibile perché manifestamente infondata, dal momento che "i fatti posti a fondamento delle diverse decisioni sono gli stessi, non vi è una oggettiva incompatibilità tra i fatti torici, venendo in rilievo semplicemente la diversa natura e funzione dei diversi percorsi logici e di valutazione della prova seguiti dal giudice della prevenzione e dal giudice della cognizione".
2. Ha proposto ricorso per cassazione M.A., con il patrocinio del difensore di fiducia Prof. Avv. D'Alessandro Francesco, che si affida a un unico motivo, con il quale denuncia erronea applicazione dell'art. 630 c.p.p., lett. a) e art. 634 c.p.p., comma 1 e manifesta illogicità della motivazione nella misura in cui l'ordinanza impugnata ha escluso la ricorrenza di un conflitto di giudicati e ravvisato, invece, solo una diversa valutazione del medesimo fatto da parte delle due Autorità Giudiziarie pronunciatesi nelle diverse sedi della cognizione e della prevenzione.
2.1. In realtà - si sostiene - i due giudizi, pur presupponendo l'accertamento del medesimo fatto storico, ovvero la reale o fittizia titolarità dei beni acquisiti dalle società del (Omissis), facente capo al M., avevano avuto a oggetto due diverse regiudicande, nell'un caso venendo in rilievo l'accertamento del concorso del ricorrente in bancarotta per dissimulazione, mentre nel procedimento di prevenzione l'oggetto dell'accertamento era stata la disponibilità dei beni in capo al proposto, onde poterne disporre l'ablazione anche presso il terzo intestatario. Si tratta, quindi, di una diversa valutazione giudiziale che conduce all'accertamento di fatti storici tra loro incompatibili, dal momento che il giudizio di cognizione si era concluso con sentenza dichiarativa di prescrizione, sul presupposto dell'accertata fittizietà del trasferimento di beni della fallita alle società del ricorrente; mentre, nel giudizio di prevenzione, definito con revoca della confisca presso terzi ab origine disposta dal Tribunale, i Giudici di merito avevano ritenuto effettivo il trasferimento di beni dalla fallita al (Omissis). La Difesa ricorrente invoca l'orientamento affermato da questa Corte, che, in plurime pronunce, ha ravvisato il presupposto della revisione in casi in cui diverse valutazioni giudiziali abbiano prodotto effetti sull'accertamento di fatti tra loro incompatibili.
2.1. Denuncia, ancora, il ricorrente l'intrinseca illogicità della motivazione dell'ordinanza impugnata laddove pone in evidenza il diverso standard probatorio che caratterizza il giudizio di prevenzione rispetto a quello di cognizione, per giustificare il diverso esito decisorio in merito alla questione del trasferimento dei beni dal M. alle società del M.. Secondo la Difesa, infatti, l'ordinanza impugnata ha travisato il contenuto del provvedimento della Corte di appello di Salerno, che, si sostiene, avrebbe affermato come "neppure con il canone di accertamento del giudizio di prevenzione tale prova poteva ritenersi raggiunta", conformemente a quanto affermato, nel giudizio di rinvio, anche dalla Corte di appello di Napoli.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta inammissibile.
1. Preliminarmente, va dato atto della ammissibilità dell'istanza di revisione avverso una sentenza che, agli effetti penali, abbia dichiarato la prescrizione dei reati, confermando, agli effetti civili, le statuizioni risarcitorie. E' questo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite "Milanesi", che hanno, infatti, ritenuto ammissibile, sia agli effetti penali che civili, la revisione richiesta ai sensi dell'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c), della sentenza del giudice di appello che, prosciogliendo l'imputato per l'estinzione del reato dovuta a prescrizione o amnistia, e decidendo sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, abbia confermato la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile. (Sez. U, n. 6141 del 25/10/2018 Cc. (dep. 07/02/2019), Milanesi, Rv. 274627).
2. Fatta tale premessa, osserva il Collegio come l'istanza di revisione risulti inammissibilmente proposta.
2.1. Va ricordato che il rilievo della inammissibilità compete ex officio anche alla Corte di cassazione, dovendo il giudice di legittimità verificare, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, "se non si tratti di motivi manifestamente infondati o altrimenti inammissibili o comunque non concernenti un punto decisivo" (Sez. 2 n. 31278 del 15/05/2019, Rv. 276982). Si afferma, infatti, con risalente e mai confutato indirizzo esegetico, che la inammissibilità dell'impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a sanatoria, esse devono essere rilevate, anche d' ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. (Così già Sez. 4, n. 16399 del 03/10/1990, Rv. 185996; conf. da ultimo, Sez. 2, n. 40816 del 10/07/2014, Rv. 260359; Sez. 3 n. 20356 del 02/12/2020 (dep. 2021) Rv. 281630).
2.2. Il principio può essere affermato anche con riguardo alla fattispecie in esame, nel senso che l'istanza di revisione, per come formulata, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile dalla Corte di appello, non tanto per la sua manifesta infondatezza, come ritenuto dall'ordinanza impugnata, quanto perché proposta sulla base della equiparazione del giudizio di cognizione con quello di prevenzione, laddove, invece, nella giurisprudenza di questa Corte si è messa in chiaro, da tempo, la autonomia del procedimento di prevenzione da quello penale, trattandosi di due procedimenti che si fondano su regole di giudizio diverse e su materiale probatorio non omogeneo (cfr. Sez. U, n. 18 del 03/07/1996, P.G. in proc. Simonelli e altro, Rv. 205261). Il procedimento di prevenzione presenta, infatti, natura e scopi diversi dal giudizio penale: le previsioni legislative in tema di misure di prevenzione non mirano a prevenire il compimento di atti criminali, e la loro imposizione non dipende dalla preventiva pronuncia di una condanna per infrazione penale, così che esse non possono essere tecnicamente paragonate ad una pena (la Corte costituzionale ha, di recente, escluso la natura penale delle misure di prevenzione con la sentenza n. 24 del 2019). Poiché il procedimento di prevenzione è oggetto di una cognizione più circoscritta, sia con riguardo al dato della pericolosità, che quanto alla effettività degli atti di alienazione compiuti e, più in generale, delle intestazioni fittizie o fiduciarie, esso non è suscettibile di fare stato nel giudizio penale circa la responsabilità penale dell'imputato: il c.d. giudicato di prevenzione, come quello cautelare, ha un'efficacia preclusiva limitata, vincolata alla situazione in essere (rebus sic stantibus), e, per questo, ontologicamente caratterizzato da margini di flessibilità, che lo rendono sui generis (posto che attiene all'avvenuto riconoscimento di una condizione soggettiva, più che di un fatto, secondo gli insegnamenti derivanti da Sez. U n. 18 del 1996 - cfr. Sez. 1 n. 14825/2021 del 15/01/2021, n. m) e, dunque, diverso dal giudicato penale in senso proprio. L'accertamento operato dal decreto di prevenzione, in quanto giudicato cd. debole, non può incidere sul giudizio di cognizione piena svolto su fatti esaminati anche nel giudizio di prevenzione, vista la diversità della natura e dello scopo del procedimento di prevenzione rispetto al giudizio penale. Non venendo in rilievo un giudicato "stabile", come quello che chiude il giudizio di cognizione, non può verificarsi, e, quindi, non può essere dedotto con l'istanza di revisione, un contrasto rilevante ai sensi dell'art. 630 c.p.p. tra sentenza penale e decreto di prevenzione.
3. In ragione di quanto esposto, il ricorso per cassazione risulta inammissibilmente proposto. A tale declaratoria consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo liquidare in Euro 3000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2023