RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d'Appello di Cagliari ha confermato la sentenza emessa il 7.2.2018 dal Tribunale di Cagliari, con la quale S.G. é stato condannato alla pena di ani uno e mesi sei di reclusione, in relazione al reato di atti persecutori commesso ai danni di C.V., sua ex fidanzata, attraverso telefonate anonime, messaggi minacciosi pubblicati su facebook, continui e vessanti pedinamenti ed appostamenti nei pressi della abitazione, della palestra e del posto di lavoro della vittima.
2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, mediante il difensore avv. Marrocu, deducendo un unico motivo con cui denuncia violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di atti persecutori, sostenendo che non sia stata raggiunta la prova che gli episodi costituenti le reiterate minacce e molestie siano ascrivibili al ricorrente; gli incontri, ambientati nel contesto territoriale limitato del paesino di dimora dell'imputato e della vittima ( V.) e del vicino paese di Orroli, erano inevitabili e casuali.
Non sarebbe stata raggiunta la prova neppure di uno degli eventi del reato di stalking, ed in particolare né del grave stato d'ansia e paura, né del timore per la propria incolumità; né tantomeno vi é stato alcun cambiamento delle abitudini di vita della vittima.
Ci si duole, altresì, della credibilità attribuita alla persona offesa.
2.1. In data 5.3.2020 la difesa del ricorrente ha depositato la remissione della querela da parte di C.V. nei confronti dell'imputato, con relativa accettazione da parte di quest'ultimo.
3. Il Sostituto Procuratore Generale Giordano Luigi, con requisitoria scritta del 16.11.2000, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
Ha rappresentato il PG che la sentenza impugnata contiene adeguata motivazione sia in ordine all'abitualità della condotta, sia in relazione al rapporto di causalità tra condotte ed evento contemplato dalla fattispecie penale.
Ritiene, altresì, che, nel caso di specie, la querela sia irrevocabile, ai sensi dell'art. 612-bis c.p., comma 2.
4. Il difensore dell'imputato ha depositato conclusioni scritte con le quali, rispondendo al PG, evidenzia che la querela é , invece, rimettibile poiché non lo sarebbe solo qualora le minacce reiterate fossero corrispondenti alle ipotesi contemplate dall'art. 612 c.p., comma 2 e non a quelle, mediante strumenti informatici o telematici, previste dallo stesso art. 612-bis c.p., comma 2., come invece sostenuto nella requisitoria scritta.
Nel caso di specie, non ricorrono minacce reiterate, né le ipotesi previste dall'art. 612 c.p., comma 2, sicché la querela é rimettibile anche perché la remissione é corrispondente nelle forme a quella processuale tra cui rientra quella dinanzi alla polizia giudiziaria. Il reato deve pertanto dichiararsi estinto.
In ogni caso, chiede in via subordinata l'accoglimento dei propri motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é inammissibile ed il reato, per come realizzatosi in concreto, rientra nelle ipotesi in relazione alle quali la querela é irrevocabile, ai sensi dell'art. 612-bis c.p., comma 4, ultima parte.
2. Quanto al profilo attinente alla procedibilità, su cui insistono le conclusioni scritte della difesa del ricorrente, deve evidenziarsi che, da un punto di vista astratto, anche la remissione di querela effettuata davanti a un ufficiale di polizia giudiziaria, e non solo quella ricevuta dall'autorità giudiziaria, é idonea ad estinguere il reato di atti persecutori, atteso che l'art. 612-bis c.p., comma 4, là dove fa riferimento alla remissione "processuale", evoca la disciplina risultante dal combinato disposto dagli art. 152 c.p. e 340 c.p.p. (Sez. 4, n. 16669 del 8/4/2016, M., Rv. 266643; Sez. 5, n. 2301 del 28/11/2014, dep. 2015, T., Rv. 261599).
Dunque, in linea generale, la remissione di querela depositata in atti dalla difesa del ricorrente, effettuata dinanzi ad ufficiale di polizia giudiziaria, sarebbe idonea a determinare l'estinzione del reato.
Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ai sensi dell'art. 612-bis c.p., comma 4, ultima parte, é irrevocabile la querela presentata per il reato di atti persecutori quando la condotta sia stata realizzata con minacce reiterate e gravi (Sez. 5, n. 2299 del 17/9/2015, dep. 2016, PF, Rv. 266043).
La disposizione predetta, infatti, individua due condizioni, che, se realizzate entrambe, impediscono la revocabilità della querela già presentata dalla persona offesa dal reato: la reiterazione delle minacce e l'espressione di esse nei modi di cui all'art. 612 c.p., comma 2.
La citata pronuncia di questa Sezione n. 2999 del 2016 ha ampiamente argomentato sulle ragioni che inducono a ritenere ricompresa l'ipotesi della minaccia grave nel dettato normativo, là dove esso fa riferimento alle minacce (reiterate) nei modi di cui all'art. 612 c.p., comma 2: il regime di irrevocabilità della querela, introdotto dal legislatore con il D.L. 14 agosto 2013, n. 93, conv. in L. n. 119 del 2013, é funzionale ad un sempre migliore adeguamento dell'ordinamento interno ai principi della Convenzione di Istanbul del 2011 sulla prevenzione e la lotta alla violenza sulle donne, sottraendo, anche per motivi di opportunità, la disponibilità della procedibilità del reato alla volontà e libertà assolute della vittima, nelle ipotesi caratterizzate da particolare incidenza intimidatoria della condotta, quali, appunto, quelle di minacce gravi.
Appare necessario, altresì, osservare che la disposizione dell'art. 612-bis c.p., comma 4, contempla la gravità della minaccia, attraverso il richiamo all'art. 612 c.p., comma 2, non già nell'ottica aggravatrice espressa formalmente da tale ultima norma, ma come modalità di manifestazione della condotta intimidatrice attraverso la quale é stato commesso il reato di atti persecutori, al fine di decidere il diverso profilo della revocabilità della querela.
2.1. Ciò posto, nel caso di specie, la fattispecie concreta ascritta all'imputato si caratterizza senz'altro per essere composta sia dalla reiterazione delle minacce rivolte alla vittima, sia per la gravità di esse; e tali connotazioni della condotta delittuosa sono evincibili anche dalla contestazione di reato.
I messaggi intimidatori sono stati diversi nel corso dei mesi; sin dall'inizio della rottura della relazione, avvenuta per scelta della vittima, mai accettata dal ricorrente, questi le ha dichiaratamente prospettato la minaccia di renderle la vita impossibile, anzi di non consentirle di avere più una vita con nessun altro in futuro, prospettandole, altresì, indefinite ed inquietanti conseguenze per aver osato interrompere la loro relazione sentimentale.
Si tratta di minacce molto serie, anche perché moltiplicate, sotto il profilo della capacità intimidatoria, dall'essere evocative di un male indeterminato e, al tempo stesso, grave, tanto da coinvolgere l'intera vita della persona offesa e da rendergliela, appunto, insostenibile.
La gravità dei toni utilizzati e la loro allarmante allusività, cui fa eco una seria e concreta capacità di ledere, si manifestano in particolare nell'altro tra i due episodi di minaccia più specificamente descritti, che é stato pubblicato con un post sul social network facebook immediatamente dopo il danneggiamento subito dall'auto di due amici della vittima, mettendo, pertanto, tale evento in stretta relazione con l'imputato, il quale ha minacciato la vittima, in quell'occasione, facendo riferimento al fatto che quanto accaduto era solo l'inizio, un "assaggio" di quanto le sarebbe capitato.
L'impatto negativo sulla persona offesa del reato di tali minacce (e dell'intera azione delittuosa) é stato assolutamente considerevole: ella ha modificato le sue abitudini di vita quotidiane ed é caduta in uno stato d'angoscia ed ansia molto intensi.
Della loro gravità, pertanto, non può dubitarsi, tenuto conto del fatto che gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, che hanno sino ad oggi definito i contorni di tale assetto più grave della condotta intimidatrice, ritengono rilevante, ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave previsto dall'art. 612 c.p., comma 2, l'entità del turbamento psichico determinato dall'atto intimidatorio sul soggetto passivo, che va accertata avendo riguardo non soltanto al tenore delle espressioni verbali profferite ma anche al contesto nel quale esse si collocano (Sez. 5, n. 8193 del 14/01/2019, Criscio, Rv. 275889; Sez. 6, n. 35593 del 16/06/2015, Romeo, Rv. 264341).
La realizzazione di minacce reiterate e gravi, pertanto, rende irrevocabile la querela proposta dalla persona offesa nei confronti dell'imputato.
2.2. Non possono incidere su tale conclusione considerazioni riferite alla disciplina del reato di minaccia grave, oggi procedibile a querela di parte senza eccezioni.
Si é già affermato, infatti, con principio che il Collegio ribadisce, che, in tema di atti persecutori, quando la condotta sia realizzata mediante minacce gravi e reiterate, non spiega alcun effetto sulla regola di irrevocabilità della querela la modifica del regime di procedibilità del delitto di minaccia grave introdotta dal D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 (Sez. 5, n. 12801 del 21/2/2019, C., Rv. 275306).
Ed infatti, come si é già avuto modo di chiarire in precedenza, l'irrevocabilità della querela in ipotesi caratterizzate da maggior disvalore della condotta intimidatoria, poiché reiterata e grave (ovvero reiterata e commessa in uno dei modi di cui all'art. 339 c.p., in ragione del richiamo all'art. 612 c.p., comma 2, nel suo complesso, svolto dall'art. 612-bis c.p., comma 4, ultima parte), risponde ad una logica di tutela peculiare e rafforzata della vittima del reato di stalking, che, in casi non certo infrequenti, potrebbe essere coartata, nella sua scelta di recedere dal proposito di perseguire l'autore del reato, proprio dallo stato di coazione psicologica e di prostrazione morale e fisica conseguente alla condotta persecutoria, sì da rendere inopportuno affidare alla sola sua opzione libera e volontaria la perseguibilità del reato.
Da un punto di vista sistematico, inoltre, non sussiste irragionevole asimmetria nella differenziazione attualmente presente all'interno dell'impianto codicistico tra l'irrevocabilità della querela prevista per lo stalking che si realizzi mediante minacce reiterate e gravi, le quali costituiscono un elemento della più complessa fattispecie persecutoria (e, statisticamente, sovente rappresentano solo una quota della sua condotta oggettiva), e la procedibilità a querela, senza eccezioni, voluta per la minaccia grave quale fattispecie di reato autonoma: é evidente la distanza tra le due ipotesi ed é altresì giustificato che il regime di perseguibilità sia meno rigido in relazione a minacce, sia pur gravi, che, atomisticamente considerate, non realizzano quella carica ulteriore di disvalore tradotta dal legislatore nell'irrevocabilità della condizione di procedibilità per le ipotesi di atti persecutori più gravi e più esposte al rischio di interferenze sulla libera espressione di volontà punitiva della vittima della reato.
2.3. Neppure può dirsi che influisca sulla possibilità di configurare un'ipotesi di querela irrevocabile del delitto di atti persecutori, strutturato attraverso la realizzazione di minacce reiterate e gravi, l'affermazione, che pare oramai stabile all'indomani della sentenza delle Sezioni Unite n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436, secondo cui - avuto riguardo al reato di minaccia - non può considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza la fattispecie aggravata di cui all'art. 612 c.p., comma 2, qualora nell'imputazione non sia esposta la natura grave della minaccia, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma, trattandosi di un'aggravante che implica una spiccata componente valutativa, che deve esprimersi necessariamente nella contestazione di reato formalmente articolata (Sez. 5, n. 25222 del 14/7/2020, Lungaro, Rv. 279596; Sez. 5, n. 13799 del 12/2/2020, Turé , Rv. 279158).
Nella formulazione dell'art. 612-bis c.p., comma 4, infatti, la gravità delle minacce, richiamata attraverso il riferimento al comma 2 dell'art. 612 c.p., configura una modalità di realizzazione della condotta di atti persecutori e non svela alcun profilo di aggravamento della punibilità del fatto, bensì valuta il maggior disvalore di esso sotto il diverso profilo della procedibilità del reato, che é avulso dall'imputazione e non soggetto alle regole di necessaria contestazione dettate dalle Sezioni Unite in tema di aggravanti del reato e in relazione al rispetto del diritto di difesa dell'imputato.
Invero, il massimo collegio di legittimità, nella citata sentenza Sorge, ha chiarito, in motivazione, che la necessaria contestazione formale di un' aggravante a contenuto "valutativo" deriva dalla considerazione del diritto dell'imputato a vedersi correttamente contestato il fatto di reato e le sue circostanze (e non attiene alla questione della diversa qualificazione giuridica del fatto), desumibile dal sistema processuale penale interno e dai principi dettati dalla stessa Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo che, all'art. 6, comma 3, lett. a), dispone che "ogni accusato ha diritto soprattutto ad essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico", da cui deriva la necessità, perché l'esercizio dei diritti di difesa possa dirsi pienamente garantito, che la natura fidefacente dell'atto, oggetto del falso, sia adeguatamente e correttamente esplicitata nell'imputazione.
Tali ragioni, tuttavia, non possono estendersi sino al punto di ritenere necessaria la formale contestazione della gravità delle minacce, che costituiscono, nella specie, un elemento oggettivo della condotta del reato di atti persecutori, in relazione alla cui configurabilità non é affatto previsto detto carattere di gravità, per determinarne il regime di procedibilità e l'irrevocabilità della querela, condizionata ad una modalità particolarmente allarmante dell'intimidazione commessa.
3. Quanto all'unico motivo del ricorso proposto dal ricorrente e attinente alla dedotta inconfigurabilità dello stesso reato di stalking nella fattispecie in esame, deve rilevarsi la sua palese infondatezza.
La sentenza della Corte d'Appello, così come anche quella coerente di primo grado, hanno descritto con dovizia di particolari i punti nodali dell'accertamento probatorio che ha condotto a ritenere sussistente il reato in capo all'imputato.
Questi si é reso autore di assillanti ed intimidatori pedinamenti ai danni della vittima, nei luoghi da lei frequentati; ha molestato telefonicamente la donna con continue telefonate, tanto da indurla a bloccare il suo numero di telefono in entrata; é arrivato anche a danneggiare l'auto di uno degli amici della vittima (il teste L.), proprio in circostanze in cui questi e un altro amico si trovavano insieme alla sua ex compagna, conferendo, poi, all'accaduto l'inquietante valenza di "avvertimento" intimidatorio diretto alla persona offesa, tramite un "post" rivendicativo su facebook (anche in questo episodio, si registra, come conseguenza, un mutamento delle abitudini di vita da parte di costei, che, in seguito al danneggiamento predetto, ha deciso di interrompere i rapporti e la frequentazione dei due amici per timore delle ritorsioni dell'imputato).
La Corte d'Appello ha analizzato, altresì, dal punto di vista della tenuta probatoria, in modo puntuale ed in ossequio alla giurisprudenza di legittimità, le dichiarazioni della vittima del reato, ritenuta attendibile per la genuinità, la spontaneità e coerenza del narrato, oltre che riscontrata dalle dichiarazioni di altri testimoni, ed in particolare da quelle dell'amico, proprietario dell'autovettura danneggiata.
Infine, si é dato atto degli eventi del reato (nella specie, sono stati realizzati tutti e tre gli eventi alternativi previsti dalla disposizione incriminatrice ai fini della configurabilità del reato).
Giova in proposito rammentare che il reato di atti persecutori é ad eventi alternativi, eventualmente concorrenti tra loro e ciascuno dei quali, in ogni caso, idoneo a configurarlo (cfr. Sez. 5, n. 34015 del 22/6/2010, De Guglielmo, Rv. 248412; Sez. 5, n. 29872 del 19/5/2011, L., Rv. 250399).
Il delitto ha natura di reato abituale e di danno, mentre l'evento del reato deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso.
La necessaria reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un'autonoma ed unitaria offensività, in quanto é proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice, sicché ciò che rileva non é la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento (per tutte, cfr. Sez. 5, n. 54920 del 8/6/2016, G., Rv. 269081; Sez. 5, n. 7899 del 14/6/2019, P., Rv. 275381).
Nella fattispecie in esame, non vi é dubbio che la sequenza di condotte criminose poco sopra descritte abbia determinato, complessivamente considerati gli atti tipici realizzati dall'imputato, un grave e significativo stato d'ansia e paura nella vittima, timore per la sua incolumità e innegabili modificazioni delle proprie abitudini di vita.
4. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché , ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2021