RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, datata 23.5.2022, la Corte d'Appello di Napoli ha confermato la decisione del Tribunale di Napoli Nord del 13.1.2017, con cui M.P. è stato condannato alla pena di mesi nove di reclusione in relazione ai reati di atti persecutori, aggravati dall'essere stata la vittima a lui legata da relazione sentimentale (capo 1, limitatamente alle condotte commesse nei confronti di K.A.), lesioni aggravate (capo 2, commesse ai danni della persona offesa del delitto di cui al capo 1) e minaccia (capo 3, esclusa l'ipotesi aggravata di cui all'art. 612 c.p., comma 2 commessa ai danni di K.L. e G.I.), avvinti dalla continuazione.
2. Ha proposto ricorso avverso tale sentenza l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo anzitutto l'estinzione del reato per remissione di querela, presentata in data 19.10.2022 dinanzi ai carabinieri di Giugliano, con relativa accettazione.
In ogni caso, il ricorrente eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione manifestamente illogica in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti rispetto alle contestate aggravanti, nonché all'aumento per la continuazione criminosa, privo di motivazione specifica.
3.2. Il Sostituto Procuratore Generale Sabrina Passafiume ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato quanto alla richiesta di veder dichiarata l'estinzione del reato di minaccia di cui al capo 3 della contestazione ai danni di K.L. e G.I., per essere venuta meno la necessaria condizione di procedibilità - prevista dall'art. 612 c.p., comma 2 qualora il delitto non sia aggravato nelle forme ivi indicate - in seguito alla remissione (ed accettazione) della querela.
Da tale constatazione consegue che la sentenza deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al delitto di minaccia continuata iscritto al ricorrente al capo 3 (persone offese, per essere il reato estinto per remissione di querela; ai sensi dell'art. 340 c.p.p., comma 4, le spese del procedimento sono a spese del querelato (vale a dire l'imputato ricorrente), non essendo stato diversamente convenuto dalle parti all'atto della remissione.
2. Il ricorso e', invece, infondato quanto all'analoga richiesta di improcedibilità del reato di cui al capo 1 dell'imputazione (stalking ai danni di K.A.), poiché la querela per il delitto di atti persecutori è irrevocabile nel caso di specie.
2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ai sensi dell'art. 612-bis c.p., comma 4, u.p., è irrevocabile la querela presentata per il reato di atti persecutori quando la condotta sia stata realizzata con minacce reiterate e gravi (Sez. 5, n. 2299 del 17/9/2015, dep. 2016, PF, Rv. 266043).
Possono individuarsi, nella norma, due condizioni, che, se realizzate entrambe, impediscono la revocabilità della querela già presentata dalla persona offesa dal reato: la reiterazione delle minacce e l'espressione di esse nei modi di cui all'art. 612 c.p., comma 2.
Il regime di irrevocabilità della querela, introdotto dal legislatore con il D.L. 14 agosto 2013, n. 93, conv. in L. n. 119 del 2013, è funzionale, infatti, ad adeguare sempre più l'ordinamento interno ai principi della Convenzione di Istanbul del 2011 sulla prevenzione e la lotta alla violenza sulle donne, sottraendo, anche per motivi di opportunità, la disponibilità della procedibilità del reato alla volontà e libertà assolute della vittima, nelle ipotesi caratterizzate da particolare incidenza intimidatoria della condotta, quali, appunto, quelle di minacce gravi (in tema, cfr. Sez. 5, n. 2299 del 17/9/2015, dep. 2016, PF, Rv. 266043).
L'irrevocabilità della querela nei casi caratterizzati da maggior disvalore della condotta intimidatoria, poiché reiterata e grave (ovvero reiterata e commessa in uno dei modi di cui all'art. 339 c.p., in ragione del richiamo all'art. 612 c.p., comma 2, nel suo complesso, svolto dall'art. 612-bis c.p., comma 4, u.p.), risponde ad una logica di tutela peculiare e rafforzata della vittima del reato di stalking, che, in casi non certo infrequenti, potrebbe essere coartata, nella sua scelta di recedere dal proposito di perseguire l'autore del reato, proprio dallo stato di coazione psicologica e di prostrazione morale e fisica conseguente alla condotta persecutoria, sì da rendere inopportuno affidare alla sola sua opzione libera e volontaria la perseguibilità del reato. Ne', da un punto di vista generale e sistematico, si registra un'irragionevole asimmetria nella differenziazione attualmente presente all'interno dell'impianto codicistico tra l'irrevocabilità della querela prevista per lo stalking che si realizzi mediante minacce reiterate e gravi, le quali costituiscono un elemento della più complessa fattispecie persecutoria (e, statisticamente, sovente rappresentano solo una quota della sua condotta oggettiva), e la regola normativa vigente dell'ordinaria procedibilità a querela della minaccia, anche "grave", salvo che sia stata commessa in uno dei modi previsti dall'art. 339 c.p., oppure sia grave e ricorrano anche le seguenti condizioni: a) ricorrano nella fattispecie circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva; b) la persona offesa sia incapace, per età o infermità (così dispone dell'art. 612 c.p., il comma 4 dopo la novella attuata con il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha modificato la precedente versione della disposizione, con cui si sanciva una regola di procedibilità a querela "senza eccezioni").
Infatti, è evidente la distanza tra le due ipotesi di reato ed e', quindi, giustificato che il regime di perseguibilità sia meno rigido in relazione a minacce, sia pur gravi, che, atomisticamente considerate, non realizzano quella carica ulteriore di disvalore tradotta dal legislatore nell'irrevocabilità della condizione di procedibilità per le ipotesi di atti persecutori più gravi e più esposte al rischio di interferenze sulla libera espressione di volontà punitiva della vittima del reato.
Analizzando la struttura normativa (ed anche su un piano lessicale) appare necessario, altresì, osservare che la disposizione dell'art. 612-bis c.p., comma 4 contempla la gravità della minaccia, attraverso h richiamo all'art. 612 c.p., comma 2, non già nell'ottica aggravatrice espressa formalmente da tale ultima norma, ma come modalità di manifestazione della condotta intimidatrice attraverso la quale è stato commesso il reato di atti persecutori, al fine di decidere il diverso profilo della revocabilità della querela.
E del resto l'impermeabilità tra il regime di procedibilità del reato di minaccia e quello del delitto di stalking è stata già condivisibilmente apprezzata da altro filone interpretativo della giurisprudenza di legittimità, che ha sottolineato come, quando la condotta sia realizzata mediante minacce gravi e reiterate, non spiega alcun effetto sulla regola di irrevocabilità della querela la modifica del regime di procedibilità del delitto di minaccia grave introdotta dal D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 (Sez. 5, n. 12801 del 21/2/2019, C., Rv. 275306), che - come anticipato - aveva declinato una regola di procedibilità a querela "senza eccezioni" del reato di minaccia grave. Il medesimo principio, infatti, vale anche, e a maggior ragione, oggi che la regola di procedibilità a querela assoluta è "temperata" dalle eccezioni già richiamate, introdotte con il D.Lgs. n. 150 del 2022.
2.2. Il complesso delle considerazioni ermeneutiche sinora richiamate spiega le ragioni di fondo per le quali il Collegio - nella fattispecie in esame, in cui la contestazione riporta la gravità delle minacce reiterate con richiami in fatto, pur non citandola espressamente come attributo della condotta - ritiene di dare seguito all'orientamento dominante nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui, in tema di atti persecutori, ai fini della irrevocabilità della querela, non è necessario che la gravità delle minacce, che costituisce una modalità di realizzazione della condotta, sia oggetto di specifica contestazione (Sez. 5, n. 7994 del 9/12/2020, dep. 2021, S., Rv. 280726; Sez. 5, n. 9403 del 24/1/2022, B., Rv. 282983).
Non può condividersi, invece, l'opposta tesi che, ai fini della irrevocabilità, ritiene necessario che, nell'imputazione, sia contestato in modo chiaro e preciso che la condotta è stata realizzata con minacce reiterate ed integranti i caratteri della circostanza aggravante di cui all'art. 612 c.p., comma 2 (Sez. 5, n. 3034 del 17/12/2020, dep. 2021, C., Rv. 280258).
Entrambe le opzioni ermeneutiche si confrontano con la sentenza delle Sezioni Unite n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436 (resa in tema di aggravante dell'atto fidefacente ex art. 476 c.p., comma 2) e con le applicazioni del suo principio di diritto al reato di minaccia aggravata, che sostengono come non possa considerarsi legittimamente contestata in fatto, e ritenuta in sentenza, la fattispecie aggravata di cui all'art. 612 c.p., comma 2, qualora nell'imputazione non sia esposta la natura grave della minaccia o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma, trattandosi di un'aggravante che implica una "spiccata componente valutativa", che deve esprimersi necessariamente nella contestazione di reato formalmente articolata (cfr. anche Sez. 5, n. 25222 del 14/7/2020, Lungaro, Rv. 279596; Sez. 5, n. 13799 del 12/2/2020, Ture', Rv. 279158). Ebbene, da tale confronto, l'orientamento cui si aderisce - diversamente dalla tesi opposta, che ritiene di estendere la regola di necessaria contestazione dell'aggravante valutativa anche quando detta aggravante non rilevi in quanto tale, ma solo come connotazione modale della condotta e ad altri fini, diversi da quelli sanzionatori - ricava condivisibilmente che, nella formulazione dell'art. 612-bis c.p., comma 4 la gravità delle minacce, richiamata attraverso il riferimento all'art. 612 c.p., comma 2 configura una modalità di realizzazione della condotta di atti persecutori e non svela alcun profilo di aggravamento della punibilità del fatto, bensì valuta il maggior disvalore di esso sotto il diverso profilo della procedibilità del reato, che è avulso dall'imputazione e non soggetto alle regole di necessaria contestazione dettate dalle Sezioni Unite in tema di aggravanti del reato e in relazione al rispetto del diritto di difesa dell'imputato.
Sulla base di tali premesse, nel caso di specie, ricorre una situazione di irrevocabilità della querela, poiché la condotta in concreto commessa dall'imputato si caratterizza senz'altro per la reiterazione delle minacce rivolte alla vittima e la gravità di esse; e tali connotazioni dell'agire delittuoso sono evincibili dalla contestazione di reato (che richiama esplicitamente la reiterazione e le minacce di morte in più occasioni, con l'uso di espressioni verbali particolarmente forti, del tipo: "Ti uccido Ti sciolgo nell'acido".
Si tratta di minacce molto gravi, anche perché moltiplicate, sotto il profilo della capacità intimidatoria, dall'essere evocative di un male tristemente entrato nella letteratura criminale delle violenze collegate al reato di atti persecutori: l'utilizzo di sostanze chimiche acide, capaci di provocare danni gravissimi e, in taluni casi, la morte della vittima attinta.
La gravità dei toni utilizzati e la loro allarmante allusività fa eco ad una seria e concreta capacità di ledere, manifestatasi in condotte violente (l'episodio del 9.5.2015, confermato dal certificato di pronto soccorso, è illuminante ai riguardo).
L'impatto negativo sulla persona offesa del reato di tali minacce (e dell'intera azione delittuosa) è stato assolutamente considerevole: ella ha modificato le sue abitudini di vita quotidiane ed è caduta in uno stato d'angoscia ed ansia molto intensi.
Della loro gravità, pertanto, non può dubitarsi, tenuto conto del fatto che gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, che hanno sino ad oggi definito i contorni di tale assetto più grave della condotta intimidatrice, ritengono rilevante, ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave previsto dall'art. 612 c.p., comma 2, l'entità del turbamento psichico determinato dall'atto intimidatorio sul soggetto passivo, che va accertata avendo riguardo non soltanto al tenore delle espressioni verbali profferite ma anche al contesto nel quale esse si collocano (Sez. 5, n. 8193 del 14/01/2019, Criscio, Rv. 275889; Sez. 6, n. 35593 del 16/06/2015, Romeo, Rv. 264341).
La realizzazione di minacce reiterate e gravi, pertanto, rende irrevocabile la querela proposta dalla persona offesa nei confronti dell'imputato.
3. Anche il reato di cui agli artt. 582 e 585 c.p., contestato al capo 2, non è toccato dalla remissione di querela, essendo aggravato dai motivi futili e dall'aver agito l'imputato per commettere il delitto di stalking (l'aggravante cd. del nesso teleologico), sicché la procedibilità è regolata dall'art. 582 c.p., comma 2 che ne prevede la natura officiosa, e non a querela di parte, quando le lesioni siano aggravate ai sensi degli artt. 583 o 585 c.p. (tranne che si tratti di quelle indicate nell'art. 577 c.p., comma 1, n. 1, e comma 2 vale a dire le aggravanti che danno rilievo al legame familiare e personale tra autore del reato e vittima).
3.1. Ferma la procedibilità del reato, la non manifesta infondatezza del complessivo esame dei motivi di ricorso specificamente coinvolgenti la condanna inflitta al ricorrente, in relazione alla fattispecie di cui al capo 2, determina la prescrizione del reato, maturatasi in data 10.11.2022 (viceversa, il delitto di cui al capo 1 si prescriverà solo in data 1.11.2023, dovendo considerarsi la contestazione aperta descritta nell'imputazione e la perimetrazione del tempus commissi delicti dal 1.5.2015 al 1.5.2016, operata dalla sentenza d'appello).
E difatti, devono essere rigettati anche i profili di impugnazione relativi al trattamento sanzionatorio, sia per quanto concerne la richiesta di prevalenza delle circostanze di segno opposto, sia per gli aumenti praticati per la continuazione criminosa, la giustificazione dei quali si evince dalla sentenza impugnata, sia pur non specificamente per ciascun aumento: si fa riferimento al giudizio complessivo relativo al bilanciamento equivalente delle aggravanti con le attenuanti e si evoca la misura degli aumenti ex art. 81 cpv. c.p. in tale contesto, motivato con la gravità della condotta del ricorrente, reiterata nel tempo, in un crescendo di offensività, sfociato nell'aggressione fisica del 9.5.2015.
La particolare mitezza degli aumenti calcolati dai giudici di merito (pari a tre mesi per i due reati meno gravi, fissata la pena base di sei mesi di reclusione per il delitto più grave), insieme alle ragioni valutative complessive suddette, inducono a ritenere rispettate le condizioni di sufficienza motivazionale indicate dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 47127 del 24/6/2021, Pizzone, Rv. 282268: rispetto dei limiti ex art. 81 cpv. c.p.; divieto di operare un cumulo materiale surrettizio; rispetto complessivo della proporzionalità delle pene. Di una pena, infatti, sottolineano le Sezioni Unite, non si può affermare o negare l'esattezza, ma solo riconoscerne o criticarne la ragionevolezza (cfr. pag. 27 della sentenza).
4. In sintesi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al reato di cui al capo 3 (minaccia continuata) perché il reato è estinto per remissione di querela, con condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali; la stessa sentenza deve essere annullata anche in riferimento al capo 2 (lesioni volontarie aggravate) perché il reato di lesioni aggravate è estinto per prescrizione. Di conseguenza, deve essere eliminata la relativa pena di mesi tre di reclusione, con rigetto nel resto del ricorso, in ordine ai motivi riferiti all'improcedibilità dei reati di stalking e lesioni aggravate ed al trattamento sanzionatorio.
4.1. In caso di diffusione del provvedimento dovranno essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo 3 (minaccia continuata) perché il reato è estinto per remissione di querela e condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali; annulla la stessa sentenza anche in riferimento al capo 2 (lesioni volontarie aggravate) perché estinto per prescrizione. Elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2023