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Stalking: la prova del grave e perdurante stato d'ansia o di paura può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'imputato

Stalking

Cassazione penale sez. V, 10/01/2022, n.7559

In tema di atti persecutori, la prova del grave e perdurante stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante, ovvero aggravino una preesistente situazione di disagio psichico della persona offesa.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12 gennaio 2021, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Cuneo che aveva ritenuto B.M. colpevole dei delitti di atti persecutori e di percosse, consumati ai danni di T.P. con la quale aveva intrattenuto una relazione sentimentale, irrogando la pena indicata in dispositivo. 1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte territoriale osservava quanto segue. Le molestie a danno della persona offesa erano ricominciate a seguito della cessazione della misura cautelare emessa in occasione di un precedente procedimento per analoghi fatti e si erano così ripetuti, ad opera dell'imputata, i continui appostamenti e contatti telefonici con contenuti ingiuriosi e minacciosi a danno della persona offesa. Si erano consumate anche le ulteriori condotte vessatorie indicate, in particolare, come avvenute il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), nel corso delle quali l'imputata aveva, nella prima occasione, percosso la persona offesa e, nella seconda, si era trattenuta nel suo domicilio. Il coerente e costante racconto della persona offesa aveva poi trovato adeguato riscontro nelle deposizioni dei suoi familiari, la madre, la sorella e lo zio di cui, nell'impugnata sentenza, veniva dato sinteticamente atto. I contatti telefonici erano avvenuti per la massima parte ad iniziativa dell'imputata. Inattendibili erano le alternative giustificazioni della prevenuta in ordine alla sua casuale presenza nei pressi dell'abitazione della T.. Evidente era lo stato d'ansia e di paura che ne era derivato a quest'ultima, che aveva patito l'aggravamento del proprio già precario equilibrio psicologico. Il timore poi di incontrare l'imputata le aveva anche fatto mutare le ordinarie abitudini di vita. Non potevano riconoscersi le attenuanti generiche per la gravità e la reiterazione dei fatti e per l'analogo precedente. 2. Propone ricorso l'imputata, a mezzo del suo difensore, deducendo, con l'unico complesso motivo, la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione alla valutazione del compendio probatorio. Il medesimo era essenzialmente costituito dalle propalazioni della persona offesa che a torto era stata ritenuta attendibile. Giudizio che non poteva essere tratto da un diverso procedimento per fatti analoghi perché ancora in corso di celebrazione. Si era misconosciuto il valore confutativo delle dichiarazioni dell'imputata, della documentazione prodotta dalla difesa e dell'atteggiamento, attivo, tenuto nella complessiva vicenda dalla medesima persona offesa. In particolare, si era provato che i contatti fra le due avvenivano a mezzo di diverse utenze telefoniche, che avrebbero dovuto essere tutte scandagliate, e che la persona offesa non si era limitata a subire le condotte dell'imputata, tanto da giungere anche alle minacce. I testi che avrebbero, secondo l'accusa, riscontrato la ricostruzione operata dalla T. erano tutti interessati in quanto familiari della stessa. I tabulati dell'utenza della B. provavano solo la compatibilità ma non la certezza dei lamentati appostamenti. E ciò esclusivamente in riferimento al (OMISSIS). Quanto all'episodio di percosse, del (OMISSIS), la ricostruzione offerta dalla persona offesa era inattendibile ed era smentita dalle affermazioni della madre, mentre l'altro testimone, il titolare del locale presso il quale si erano svolti i fatti, aveva confermato i fatti solo dopo plurime contestazioni. Quanto al fatto del (OMISSIS), palesi erano le contraddizioni in cui era caduta la persona offesa e le sue affermazioni erano rimaste prive di riscontro. In ordine all'evento del reato di atti persecutori, non vi erano certificazioni mediche da cui dedurre che lo stato psicologico della T., che peraltro abusava di sostanze alcoliche ed assumeva farmaci, fosse peggiorato a seguito e per causa delle condotte dell'imputata. Molti erano stati i "non ricordo" nel corso della deposizione della T., così da inficiarne l'attendibilità. Ne' costituivano riscontri oggettivi a tale stato le indicazioni fornite dalle familiari della stessa. In ordine al presunto mutamento delle abitudini di vita non vi era prova alcuna. Anche in riferimento all'elemento soggettivo del reato, la motivazione della sentenza era del tutto carente. Altrettando doveva concludersi per il diniego delle circostanze attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso promosso nell'interesse della prevenuta è inammissibile. 1. Le censure argomentate nell'unico motivo di ricorso in ordine alla valutazione del compendio probatorio non tengono conto dei limiti dell'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione che deve limitarsi a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, così che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; ed ancora: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369 e più di recente Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). La Corte di merito, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva osservato come la coerente e costante ricostruzione delle condotte ascritte alla prevenuta ad opera della persona offesa avesse trovato idoneo e puntale riscontro nelle deposizioni degli altri testimoni assunti. Meramente congetturale era la pretesa che l'acquisizione dei tabulati delle ulteriori utenze telefoniche avrebbe consentito di ricostruire un quadro diverso, anche considerando le inequivoche emergenze (la continua, e vessatoria, ricerca di contatti da parte dell'imputata) dei tabulati già agli atti. In tale complessiva vicenda avevano trovato anche la loro logica collocazione anche i due episodi contestati come consumati il (OMISSIS) ed il (OMISSIS). Si era così accertata una condotta persecutoria che giustificava pienamente il grave stato d'ansia e di timore denunciato dalla persona offesa, al riguardo del quale occorre ricordare che in tema di atti persecutori, la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Sez. 5, n. 24135 del 09/05/2012, Rv. 253764) e come sia sufficiente per il concretarsi dell'evento del reato l'aggravamento di una situazione di disagio psichico in cui la persona offesa già eventualmente versasse. 2. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte di merito aveva confermato la decisione di prime cure congruamente osservando come questo traesse idonea giustificazione dalla gravità delle condotte consumate e dal fatto che le stesse costituissero una reiterazione di analoghi comportamenti già oggetto di diverso processo penale (dal quale, deve precisarsi, non si era affatto desunta la prova anche dei nuovi illeciti, oggetto dell'odierno processo, come si duole, invece, il ricorrente). 3. All'inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Il pregresso rapporto personale fra le parti impone l'oscuramento dei dati identificativi. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2022. Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022
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