RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Mantova nei confronti di M.M., che lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione in ordine al delitto di atti persecutori commesso ai danni di G.D., ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la decisione.
2. Avverso l'anzidetta sentenza ricorre per cassazione l'imputato, per il tramite del proprio difensore, sviluppando tre motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, articolato in undici censure, si deduce innanzitutto violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento, in buona sostanza, alla carenza della condizione di procedibilità, per tardività della prima querela sporta solo nel 2013, in ordine alle condotte tenute dal M. anteriormente all'ammonimento del questore; né è ravvisabile un filo conduttore tra tali condotte e quelle successive, comunque non qualificabili come moleste e per di più in realtà risoltesi - a differenza di quanto si assume in sentenza - in un solo comportamento isolato verificatosi a notevole distanza dall'ammonimento (costituente il dies a quo da cui decorre il termine di sei mesi per la proposizione della querela). Ne' si potrebbe invocare la procedibilità di ufficio in conseguenza della sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 38 del 2009, art. 8, comma 4 dal momento che detta disposizione richiede che il nuovo episodio sia una prosecuzione della precedente serie e non, come nel caso di specie, un fatto nuovo, isolato, separato (la cui sussistenza non è stata peraltro nemmeno provata nel caso di specie).
Si deduce in ogni caso l'assenza di prova delle condotte persecutorie ascritte all'imputato, con riferimento sia a quelle che il M. avrebbe tenuto prima dell'ammonimento che a quelle successive. Al riguardo, la difesa censura, attraverso i dedotti vizi della violazione di legge, anche in relazione all'art. 192 codice di rito, e argomentativi, da un lato, la ritenuta attendibilità del dichiarato della persona offesa e dell'ex compagna S.E. e, dall'altro, l'assenza di alcun riferimento alle testimonianze rese dal Comandante dei Carabinieri di Ostiglia e dalle Sig.re F. e C., tutte sintomatiche della mancanza di riscontri alle condotte contestate al M.; e, dopo aver riportato stralci di deposizioni, conclude per l'evidenza del travisamento probatorio in cui sarebbe incorsa la corte territoriale rispetto a diverse circostanze del fatto, con ripercussioni anche sulla configurabilità dell'evento del reato e del nesso causale, e quindi per l'insussistenza del reato di cui all'art. 612-bis c.p. per la mancanza di prova dei suoi elementi costitutivi, sia quello oggettivo che soggettivo, non evincendosi, tra l'altro, con riferimento a quest'ultimo, indizi concreti da cui dedurre la coscienza e volontà del M. di arrecare danno al G., né tanto meno la consapevolezza della idoneità dei comportamenti a produrre taluno degli eventi tipici previsti dalla norma incriminatrice.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione contestando la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui alla L. n. 38 del 2009, art. 8, comma 3 essendo stato, il M., destinatario di ammonimento del Questore di Mantova nel 2010. L'aumento di pena disposto nei confronti del soggetto già ammonito, invero, deve riferirsi a casi in cui la condotta tenuta dall'agente riguardi i medesimi fatti per cui è intervenuto l'ammonimento, commessi nei confronti della medesima vittima. Ciò non si verifica nella specie, posto che per i fatti oggetto di ammonimento non è stata proposta querela e che in riferimento agli stessi è da ritenersi tardiva quella presentata successivamente, a notevole distanza di tempo, peraltro per fatti diversi.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla quantificazione della pena. In particolare, posta l'insussistenza dell'aggravante contestata al motivo precedente, lamenta in ogni caso il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche in assenza di ragioni ostative e senza neppure una concreta valutazione al riguardo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile. I motivi in esso contenuti sono manifestamente infondati, oltre che imperniati su elementi di fatto non valutabili in questa sede.
1.1.1. In relazione al primo motivo, che deduce innanzitutto la mancanza della condizione di procedibilità in ordine alle condotte tenute dal ricorrente anteriormente all'ammonimento del questore per tardività della prima querela sporta dal G., occorre svolgere alcune precisazioni in diritto
Innanzitutto va premesso che il delitto previsto dall'art. 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno, è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, che, pur manifestandosi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio, deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso. Ciò che rileva, non è tanto la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento (Sez. 5, Sentenza n. 7899 del 14/01/2019, P., Rv. 275381 - 01).
Ai fini della procedibilità, a quanto detto consegue che nell'ipotesi in cui il presupposto della reiterazione venga integrato da condotte poste in essere oltre i sei mesi previsti dalla norma rispetto alla prima o alle precedenti condotte, la querela estende la sua efficacia anche a tali pregresse condotte, indipendentemente dal decorso del termine di sei mesi per la sua proposizione, previsto dall'art. 612-bis c.p., comma 4 (Sez. 5, Sentenza n. 48268 del 27/05/2016, D., Rv. 268163 - 01). Allo stesso modo, nell'ipotesi in cui la reiterazione concerna anche condotte poste in essere dopo la proposizione della querela, la condizione di procedibilità si estende a queste ultime, le quali, unitariamente considerate con le precedenti, integrano l'elemento oggettivo del reato, trattandosi di reato abituale improprio, a reiterazione necessaria delle condotte (Sez. 5, Sentenza n. 41431 del 11/07/2016, M., Rv. 267868 - 01).
In questa cornice, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, né la richiesta di ammonimento né, tantomeno, il lasso di tempo trascorso tra lo stesso e le condotte da ultimo oggetto di querela, costituiscono necessariamente una cesura nell'ambito della serie causale determinativa dell'evento. Ed invero, come ha avuto modo di affermare più volte questa Corte "il delitto di atti persecutori è configurabile anche quando le condotte di violenza o minaccia integranti la "reiterazione" criminosa siano intervallate da un prolungato lasso temporale" (Sez. 5, Sentenza n. 30525 del 22/04/2021, C. Rv. 281699),rilevando esclusivamente l'identificabilità delle stesse, ancorché distanti nel tempo, quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento.
Ebbene, la corte territoriale, dopo aver passato in rassegna le condotte poste in essere dall'imputato nel lungo lasso di tempo in cui si sono dipanate (fino all'episodio del pedinamento del 2017 allorquando l'imputato era con la figlia minore), ha concluso che quelle antecedenti all'ammonimento del questore, sebbene estranee al periodo utile individuato dalla norma penale nei sei mesi precedenti la data della querela, fossero da ritenere espressione dell'"unico filo conduttore nel comportamento molesto dell'imputato, che parte dai comportamenti antecedenti all'ammonimento del questore e è continua, con modalità parzialmente diverse, negli anni successivi".
In ogni caso il ricorrente trascura di considerare che il reato di stalking, nella fattispecie in esame, è procedibile di ufficio proprio in virtù dell'ammonimento emesso dal questore nei confronti dell'autore degli atti persecutori che, avviati prima dell'ammonimento, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, sono proseguiti anche dopo, nonostante l'ammonimento stesso. Tale procedibilità di ufficio - al pari della querela - non può che estendersi anche alle condotte antecedenti all'ammonimento laddove queste assumano poi rilevanza penale in conseguenza degli ulteriori atti posti in essere dal destinatario dell'ammonimento che vanno a suggellare la integrazione della fattispecie criminosa.
L'ammonimento è un "comando" a carico del prevenuto, che rimane in ogni caso libero di aderirvi o meno senza che ciò comporti di per sé alcuna sanzione penale, e trova il suo presupposto nella segnalazione di fatti riconducibili all'art. 612-bis c.p. che rimangono suscettibili di accertamento in sede penale se, come nella specie, nonostante l'ammonimento, sono seguiti da ulteriori condotte espressione del medesimo comportamento molesto. Non a caso del D.L. n. 11 del 2009, art. 8, i commi 3 e 4 ricollegano alle condotte illecite poste in essere nonostante l'ammonimento le conseguenze "rafforzate" della procedibilità di ufficio e dell'aggravamento ex lege della pena.
Ne' sussitono dubbi sulla ricorrenza nel caso di specie dei presupposti della procedibilità di ufficio perché ciò che rileva, in tema di atti persecutori, ai fini della procedibilità d'ufficio, come del resto per la sussistenza della circostanza aggravante di cui al D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 8, comma 3, conv. in L. 23 aprile 2009, n. 38, è che l'agente sia destinatario di ammonimento del questore (così in motivazione Sez. 5, n. 34474 del 03/06/2021 Rv. 281771 - 01). Ne' ovviamente ai fini indicati è necessario - a differenza di quanto si assume in ricorso - che vi sia coincidenza tra i fatti oggetto di segnalazione al questore e fatti poi ascritti all'imputato, ben potendo quelli oggetto di ammonimento non possedere gli stringenti requisiti di cui all'art. 612-bis c.p., pur rivelandosi potenzialmente atti ad assumere sulla base della loro concreta manifestazione fenomenica connotati delittuosi; è invero pacifico nella giurisprudenza amministrativa che la correlazione tra la disciplina amministrativa e quella penale insieme alla finalità preventiva della disposizione, (...) induce a ritenere che l'intervento del questore non sia ancorato ai medesimi presupposti di quello penale distinguendosene sia sul piano della ricognizione dei fatti atti a legittimarlo sia in relazione ai mezzi di prova utili al loro accertamento (cfr. sempre in motivazione sentenza cit. Rv. 281771); ciò nondimeno quei fatti possono poi assumere, come detto, rilievo penale.
Il motivo in parte qua si rivela quindi infondato.
1.1.2. Le ulteriori censure mosse col primo motivo ruotano intorno alla valutazione della prova delle condotte persecutorie e contestano in particolare il giudizio di attendibilità della persona offesa e della sua ex compagna S.E. (nei cui confronti si estendevano le molestie indirizzate al G.), lamentando al contempo l'assenza di riferimenti alle testimonianze rese dal Comandante dei Carabinieri di Ostiglia e dalle Sig.re F. e C.. Esse, come prospettate dal ricorrente, sono proprio inammissibili.
Per costante insegnamento di questa Corte, difatti, l'indagine sull'attendibilità dei testimoni, al pari di quella - anche se più rigorosa - della persona offesa dal reato, costituisce apprezzamento fattuale devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e non censurabile in sede di legittimità quando sorretta da congrua e logica motivazione (v. Sez. 4, Sentenza n. 10153 del 11/02/2020, Tassone, Rv. 278609; Sez. 2, Sentenza n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota e altro, Rv. 262575 - 01). Con specifico riferimento alle dichiarazioni della persona offesa, inoltre, è assunto pacifico quello per cui le stesse possano costituire fonte probatoria esclusiva e determinante dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, ove la loro attendibilità intrinseca sia confermata attraverso il rigoroso vaglio delle garanzie procedurali emergenti dalla progressione processuale, senza la necessità di reperire i riscontri esterni di cui all'art. 192 c.p.p., comma 3, (v. ex multis Sez. 5 -, Sentenza n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 1666 del 08/07/2014, Pirajino e altro, Rv. 261730 - 01).
Nella specie, il ricorrente, nel dolersi della mancanza di un rigoroso esame dell'attendibilità della persona offesa da parte del giudice di merito, lungi dall'evidenziare manifeste contraddizioni dell'impianto motivazionale e/o evidenti illogicità, fa piuttosto ricorso a stralci delle deposizioni della persona offesa e di quelle rese da altri testi, estrapolandoli dai rispettivi contesti dichiarativi, e, sulla base di tale frammentaria operazione rivalutativa delle fonti di prova, si muove nell'ottica della mera prospettazione difensiva alternativa più che in quella della contestazione motivazionale; e nel fare ciò manca anche di confrontarsi adeguatamente con l'impugnata sentenza che, al contrario, dà atto delle attendibili, reiterate e coerenti dichiarazioni della persona offesa, confermate dalle analoghe dichiarazioni dell'ex compagna S. - che aveva avuto modo anche proprio di assistere a diversi comportamenti molesti posti in essere dall'imputato - oltre che da alcune affermazioni del M.llo C., più volte intervenuto su richiesta del G., constatando di persona lo stato di preoccupazione e di ansia e paura in cui versava lo stesso (pp. 29 e 30 della sentenza impugnata).
A fronte di ciò il ricorso mira a una svalutazione complessiva del portato dichiarativo dei due testi principali anche sulla base di circostanze di fatto che, di là dell'incursione nel merito che comporta la loro valutazione, che la renderebbe già di per sé inammissibile in questa sede di legittimità, risultano in ogni caso già adeguatamente considerate e vagliate nella motivazione impugnata (così, ad esempio, in relazione alla circostanza del trasferimento della S., dopo la separazione dal G., in abitazione vicina a quella del M., spiega la corte territoriale che trattasi di appartamento che era stato già in precedenza acquistato dalla S. ponendo al contempo in evidenza che anzi ad un certo punto la stessa aveva anche pensato di venderlo proprio a causa dei comportamenti tenuti dall'imputato; o ancora, con riferimento alla circostanza della necessità dell'accompagnamento a scuola della figlia minore infra-quattordicenne - rispetto alla quale vi è una consistente digressione nel ricorso in scrutinio che si spinge fino a una non pertinente valutazione in ordine alla fattispecie di cui all'art. 591 c.p. - parimenti la corte territoriale ragionevolmente evidenzia, secondo massima di comune esperienza, che non è affatto anomalo che in un piccolissimo centro come quello in cui abitava la S. una ragazzina di tale età potesse andare a scuola da sola).
Quanto poi alle testimonianze delle Sig.re F. e C., rispetto alle quali il ricorrente lamenta l'assenza di alcun riferimento, è solo il caso di precisare che l'omessa valutazione di un elemento probatorio acquisito al processo può essere dedotta quale travisamento della prova per omissione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) nel caso in cui sia stata omessa la valutazione di una prova o di un elemento comunque decisivo ai fini della pronuncia e l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio omesso, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio, restando estranei al sindacato di questa Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa (Sez. 6, n. 5146/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035/2013, Giugliano, Rv. 257499); laddove nel caso di specie la corte territoriale ha già, in buona sostanza, escluso che da quanto dichiarato dalle testimoni indicate potessero inferirsi elementi di segno contrario idonei a porre in crisi l'attendibilità della persona offesa e della sua ex compagna, vertendo piuttosto le due deposizioni su circostanze non incompatibili col costrutto accusatorio che ove non lo riscontrano al più si dimostrano neutre rispetto ad esso.
1.1.3.Anche le censure che si appuntano sulla sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, lamentando l'impossibilità di desumere dal compendio istruttorio la prova della reiterazione dei comportamenti illeciti e della verificazione di uno degli eventi tipici della fattispecie di atti persecutori, compreso il nesso causale tra gli stessi e le condotte asseritamente persecutorie ascritte all'imputato, sono prive di pregio. Contrariamente a quanto genericamente dedotto dalla difesa, peraltro valorizzando elementi fattuali proponenti una ricostruzione alternativa la cui valutazione non è ammessa in questa sede, la sentenza ha dimostrato in positivo, con spiegazione immune da vizi logici e giuridici con la quale il ricorso mostra di confrontarsi solo parzialmente e in un'ottica meramente difensiva, la sufficiente consistenza e l'assorbente concludenza delle prove acquisite in ordine alla reiterata esistenza di condotte moleste e minacciose poste in essere dall'imputato, direttamente o indirettamente, ai danni del G. - consistite anche in pedinamenti a bordo della propria autovettura e in manovre definite decisamente pericolose dal giudice del merito - alle quali è conseguito il mutamento delle abitudini di vita e dello stato d'animo della persona offesa. La Corte di Appello evidenzia il grave e perdurante stato di ansia e paura in cui era caduta la persona offesa, il fondato timore per l'incolumità propria e per la figlia, nonché il mutamento delle proprie abitudini di vita, valorizzando le dichiarazioni rese dal G. - sul punto confermate dal M.llo C. -; in particolare, evidenzia la sentenza impugnata come la persona offesa si fosse determinata ad evitare di recarsi al bar ogni qualvolta venisse segnalata la presenza dell'imputato, ad installare telecamere presso l'abitazione in cui la figlia viveva con la ex-compagna, altresì ad evitare che questa percorresse da sola il tragitto scuola-casa, desumendo da ciò non solo l'intervenuto mutamento di determinate abitudini di vita ma anche elementi ritenuti sintomatici di un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima (non essendo a tal fine necessario, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, l'accertamento di uno tra gli stati patologici esemplificati nell'atto di gravame).
Alcun rilievo, peraltro, è stato correttamente attribuito alla circostanza - in più punti evidenziata dal ricorrente, e anche ai fini della dimostrazione dell'assenza dell'evento tipico del reato di atti persecutori - secondo la quale in seguito alla separazione dal G., la S. si è trasferita in un'abitazione vicina a quella dell'imputato. Sul punto, lungi dall'addentrarsi in valutazioni di merito non ammesse in questa sede, si limita questo Collegio ad osservare come il ricorrente manca di confrontarsi con l'impugnata sentenza che, in senso contrario, dà atto i della volontà della S. di mettere in vendita la nuova casa, pur di allontanarsi dall'indirizzo non distante dall'abitazione dell'imputato (oltre che, come già supra detto, del fatto che la casa fosse stata già in precedenza acquistata dalla S.). Alcun pregio, inoltre, è da attribuirsi alle deduzioni relative all'asserita configurabilità dell'art. 591 c.p. con riferimento alla possibilità che la figlia del G., infra-quattordicenne, tornasse da sola autonomamente a casa da scuola, non essendo tale rilievo rilevante, tantomeno pertinente, al caso di specie.
Ne' il ricorso si confronta con la complessiva ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata evidentemente indicativa anche della ricorrenza del nesso causale esistente tra i comportamenti dell'imputato e gli stati di ansia e paura della persona offesa, che si sono in ogni caso rivelati, come sottolineato dalla corte territoriale, le uniche ragioni fondanti le cautele adottate che ebbero peraltro indubbi riflessi sulle abitudini della persona offesa e dei suol familiari.
Quanto all'elemento soggettivo, è solo il caso di evidenziare che nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (v. ex multis Sez. 1, Sentenza n. 28682 del 25/09/2020, S., Rv. 279726 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 18999 del 19/02/2014, C e altro, Rv. 260411 - 01). Le censure prospettate dal ricorrente sul punto sono inammissibili in questa sede non solo e non tanto perché implicanti valutazione in fatto, ma innanzitutto perché la ricostruzione alternativa offerta rimane affidata a mere congetture introduttive di una diversa valutazione. Il ricorrente si limita a dedurre l'assenza di elementi concreti dai quali desumere la coscienza e volontà del M. di arrecare danno al G., mancando di confrontarsi - ancora una volta - con la sentenza impugnata che vi fa espresso riferimento evidenziando come il pervenuto, dopo aver resistito per un certo periodo dall'importunare la persona offesa a seguito della notifica dell'ammonimento del questore, avesse ripreso nella sua condotta persecutoria evitando di recarsi presso l'abitazione di G., ma ponendo in essere molestie e minacce ogniqualvolta incontrava più o meno casualmente la persona offesa o la S., manifestando in tal modo la piena consapevolezza di porre in essere atti collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di perseguitare la vittima (p. 31 della sentenza impugnata).
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Con tale motivo il ricorrente contesta l'applicazione dell'aggravante di cui alla L. n. 38 del 2009, art. 8, comma 3, ritenendo che l'aumento di pena disposto nei confronti del soggetto già ammonito debba riferirsi a casi in cui la condotta tenuta dall'agente riguardi i medesimi fatti per cui è intervenuto l'ammonimento, commessi nei confronti della medesima vittima. Un simile requisito, tuttavia, non è previsto dalla citata norma di legge, che, difatti, subordina l'applicazione dell'aggravante ad una qualificazione soggettiva dell'autore del reato di cui all'art. 612-bis c.p., e, cioè, l'essere stato destinatario di precedente ammonimento. In altri termini, l'aggravante in questione si applica a un soggetto che, nonostante l'ammonimento del Questore, non si è astenuto dal compiere atti molesti, rendendosi responsabile del reato di atti persecutori. Le condotte oggetto di imputazione ex art. 612-bis c.p., aggravate L. n. 38 del 2009, ex art. 8, comma 3, pertanto, potranno solo eventualmente coincidere con i fatti per cui è intervenuto l'ammonimento, nel caso in cui questi ultimi - come già sopra spiegato - seppure intervenuti in precedenza, possano ritenersi inseriti nel decorso causale dell'evento relativo al reato successivamente contestato in sede penale.
1.3. Col terzo ed ultimo motivo, il ricorrente, nel dolersi del mancato bilanciamento delle attenuanti generiche in termini di prevalenza sulla contestata aggravante, nonché della mancanza di motivazione sul punto, ancora una volta non si confronta con i principi affermati in materia da questa Corte e con la motivazione della sentenza impugnata. Ferma l'ammissibilità dell'aggravante contestata, si osserva che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (Sez. 2, Sentenza n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450 - 01). Nella specie, l'impugnata sentenza giustifica l'esclusione della prevalenza delle suddette attenuanti in considerazione della gravità della condotta e della sua reiterazione negli anni, fornendo in tal modo adeguata indicazione delle ragioni della valutazione compiuta che per quanto detto non è quindi sindacabile in questa sede di legittimità.
2. Dalle argomentazioni svolte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso; ai sensi dell'art. 616 c.p.p., si impone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla sua volontà - al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 3.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
3. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge, in considerazione della natura del reato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022