RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 29 dicembre 2015 il Tribunale del Riesame di Roma ha confermato l'ordinanza cautelare emessa dal Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma del 9 dicembre 2015, che ha disposto nei confronti di C.M. la misura coercitiva del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati da B.C. e A.R., con divieto assoluto di comunicare con qualsiasi mezzo, telefonico ed informatico, con le persone offese, ritenendo la sussistenza a suo carico di gravi indizi di colpevolezza in relazione ai delitti di cui agli artt. 81 e 612 bis c.p., art. 61 c.p., comma 2 e artt. 582 e 585 c.p..
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l'indagato affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 282 ter c.p.p. per l'assoluta indeterminatezza dell'oggetto del divieto.
Lamenta il ricorrente che la genericità dell'obbligo di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dalle persone offese si pone in contrasto con l'art. 282 ter c.p.p., che disciplina il divieto di avvicinamento a "luoghi determinati", e dà luogo ad una inammissibile compressione del suo diritto di libera circolazione nonchè l'impossibilità di eseguire correttamente la misura.
Peraltro, la precisa individuazione dei luoghi cui l'indagato non può avvicinarsi ben contempera l'esigenza di tutela della vittima ed il sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta alle indagini.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la mancanza di motivazione e la violazione dell'art. 612 bis c.p..
Lamenta il ricorrente che l'ordinanza impugnata avrebbe recepito acriticamente le dichiarazioni della persona offesa e non avrebbe correttamente valutato l'attendibilità delle persone informate sui fatti, le quali avrebbero riferito solo circostanze loro raccontante dalla persona.
Infine, il ricorrente si duole che il Tribunale del Riesame non ha esaminato e valutato i risultati delle investigazioni difensive prodotte dalla difesa del ricorrente e comunque non ha motivato le ragioni per cui ha ritenuto di disattenderli.
In particolare, tre episodi di quelli esposti dalla persona offesa sono stati smentiti dalle dichiarazioni rese ex art. 391 bis c.p.p. da C.M., Ba.Ma. e, Ci.Ma. e Bo.Au..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
Va premesso che questa Corte ha già avuto modo di osservare che in tema di misure cautelari, il divieto di avvicinamento previsto dall'art. 282 ter c.p.p. riferendosi alla persona offesa in quanto tale, e non solo ai luoghi da questa frequentati, esprime una precisa scelta normativa di privilegio della libertà di circolazione del soggetto passivo, ovvero di priorità dell'esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza, anche laddove la condotta di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali;
ne consegue che il contenuto concreto della misura in questione deve modellarsi rispetto alla predetta esigenza e che la tutela della libertà di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazioni nella sola sfera del lavoro, degli affetti familiari e degli ambiti ad essa assimilabili. (Sez. 5, n. 13568 del 16/01/2012 - dep. 11/04/2012, V., Rv. 253296).
E' stato altresì statuito che la misura cautelare del divieto di avvicinamento, prevista dall'art. 282 ter c.p.p., può contenere anche prescrizioni riferite direttamente alla persona offesa ed ai luoghi in cui essa si trovi, aventi un contenuto coercitivo sufficientemente definito nell'imporre di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all'accesso dell'indagato. (Sez. 5, n. 19552 del 26/03/2013 - dep. 07/05/2013, D. R., Rv. 255513; conf. Sez. 5, n. 48395 del 25/09/2014 - dep. 20/11/2014, P, Rv. 264210).
Questo Collegio condivide pienamente tale orientamento.
Non vi è dubbio che affinchè l'esigenza di tutela della persona offesa possa trovare integrale attuazione, consentendo alla stessa di poter esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza, non si può limitare il divieto di avvicinamento di cui all'art. 282 ter c.p.p. a luoghi specificamente indicati in quanto, diversamente ragionando, una eventuale limitazione definita con le descritte modalità consentirebbe all'agente di avvicinarsi alla persona offesa nei luoghi non rientranti nell'elenco tassativo indicato dal giudice.
Ritiene, pertanto, questo Collegio che, affinchè non sia frustrata la ratio della norma, l'individuazione dei " luoghi determinati" di cui all'art. 282 ter c.p.p., deve avvenire per relationem con riferimento ai luoghi in cui di volta in volta si trova la persona offesa, con la conseguenza che, ove tali luoghi, anche per pura coincidenza, vengano ad essere frequentati anche dall'imputato, costui dagli stessi si deve immediatamente allontanare.
La doglianza del ricorrente non è quindi meritevole di accoglimento.
2. Il secondo motivo è infondato.
Difformemente da quanto dedotto dal ricorrente l'ordinanza impugnata dà atto che le persone informate sui fatti ( F.M., R.F., D.P.F.) "si sono trovate ad essere testimoni di numerosi episodi rassegnati da B.C.", con la conseguenza che le persone informate sui fatti hanno riferito circostanze apprese direttamente e non solo dalla persona offesa.
Va, inoltre, osservato che, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe tenuto in debita considerazione i risultati delle sue indagini difensive, che smentirebbero le accuse della persona offesa e delle altre persone informate sui fatti.
In sostanza, il ricorrente lamenta implicitamente l'avvenuto travisamento da parte dell'ordinanza impugnata delle prove nei termini dell'omessa valutazione di prove decisive a suo favore.
In ordine a tale aspetto, va osservato che questa Corte ha avuto modo più volte di precisare che l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) pone a carico del ricorrente un peculiare onere di inequivoca "individuazione" e di specifica "rappresentazione" degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere che può essere assolto nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi (integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia). Sul punto, si è osservato che tale onere non è stato assolto nel caso in cui una deposizione testimoniale, di cui era lamentato il travisamento, era stata riportata solo per stralcio nel ricorso, atteso che la mancata riproduzione integrale dell'atto probatorio non poteva consentire una puntuale valutazione del motivo del ricorso (Sez. 2, 1 ottobre 2008, n. 38800, p.c. in proc. Gagliardo, rv 241449).
Analogamente, anche nel caso di specie, tale onere non è stato assolto, non avendo il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, allegato i verbali di assunzione di informazioni ex art. 391 bis c.p.p. che confuterebbero gli elementi di prova raccolti a suo carico, non consentendo così a questo Collegio di valutare la decisività del dato probatorio asseritamente omesso.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
A norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 deve disporsi l'oscuramento dei dati identificativi delle parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone l'oscuramento dei dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2016.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016