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Stalking: il termine di prescrizione decorre dalla cessazione del compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa

Stalking

Cassazione penale sez. V, 13/12/2022, n.12498

In tema di atti persecutori, il termine di prescrizione, per la natura abituale del reato, decorre, in caso di contestazione "aperta", dal momento in cui cessa il compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa dell'abitualità, ove emerga dalle risultanze processuali.

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La sentenza integrale

IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Castrovillari, in data 6.7.2017, aveva condannato C.G. alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile G.A.M., in relazione ai reati, in rubrica ascrittigli, dichiarava non doversi procedere nei confronti del C. in ordine ai reati di cui ai capi b); c) ed e) dell'imputazione, perché estinti a causa del decorso del relativo termine massimo di prescrizione, con conseguente rideterminazione dell'entità del trattamento sanzionatorio in favore del prevenuto, confermando nel resto la sentenza impugnata 2. Avverso la sentenza del tribunale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla mancata pronuncia da parte del giudice di appello di sentenza di non doversi procedere in favore del C. per estinzione del reato, derivante dal compiuto decorso del relativo termine di prescrizione prima della pronuncia della sentenza di secondo grado, anche con riferimento al reato ex art. 612 bis, c.p. di cui al capo a) dell'imputazione. 3. Con requisitoria scritta dell'11.11.2022, depositata sulla base della previsione del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, i cui effetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022, per effetto del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 15 del 2022, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile. Con conclusioni scritte del 29.11.2022, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia della parte civile, avv. Margherita Corriere, chiede che il ricorso venga rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile, come da allegata nota spese. 4. Il ricorso appare parzialmente fondato. 5. E invero, premesso che secondo un condivisibile orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), (cfr. Cass., Sez. U., 17.12.2015, n. 12602, rv. 266819; Cass., sez. IV, 06/11/2012, n. 49817, rv. 254092; Cass., sez. VI, 21/03/2012, n. 11739, M., rv. 252319; Cass., sez. V, 11/07/2011, n. 47024, rv. 251209), va rilevato che nel caso in esame il giudice di secondo grado, in violazione del disposto dell'art. 129 c.p.p., ha omesso di rilevare e dichiarare l'estinzione del reato per cui si procede, verificatasi prima del giudizio di appello. Al riguardo si osserva che l'incontestata natura di reato abituale di danno del delitto ex art. 612 bis c.p., l'unico dei reati originariamente contestati al C. "sopravvissuto" alla sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di primo grado, assume indubbio rilevanza ai fini del calcolo del decorso del relativo termine di prescrizione. Come affermato dall'orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità, nel delitto previsto dall'art. 612-bis c.p., che è reato abituale e si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l'accertamento processuale, cosicché, nell'ipotesi di contestazione aperta, è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell'imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado (cfr. Sez. 5, n. 6742 del 13/12/2018, Rv. 275490; Sez. 5, n. 17000 del 11/12/2019; Rv. 279081; Sez. 5, n. 15651 del 10/02/2020, Rv. 279154; Sez. 5, n. 12055 del 19/01/2021, Rv. 281021). Ritiene il Collegio che tale orientamento giurisprudenziale debba essere interpretato nel senso che, consumandosi il reato di cui si discute, come si è detto, al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, diventa decisivo accertare quando la sequenza criminosa si sia effettivamente conclusa con il compimento dell'ultimo degli atti che la integrano. Orbene, applicando tali principi alla fattispecie in esame non appare revocabile in dubbio che, a fronte di una contestazione formalmente "aperta" (reato commesso "in Cerchiara di Calabria dall'ottobre 2012 con condotta attuale"), come si evince dalla lettura della motivazione di entrambe le sentenze di merito, l'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato si è consumato il 6 febbraio del 2013, con la pubblicazione di due foto della persona offesa dal reato (cfr., in particolare, pp. 2-6 della sentenza di primo grado). Da tale momento, pertanto, deve iniziare a calcolarsi il decorso del termine di prescrizione del reato, in quanto ragionando diversamente, si farebbe dipendere tale decorso e, in ultima analisi, l'esistenza stessa del reato rispetto al trascorrere del tempo, da una particolare tecnica di contestazione dell'imputazione, pur quando dalle risultanze processuali emerga incontestabilmente che la condotta criminosa, lungi dall'essere ancora in atti si è conclusa in un preciso momento, con l'esaurimento della sequenza criminosa integrativa dell'abitualità del reato. Ne consegue che, ai sensi di quanto previsto dagli artt. 157,160 e 161 c.p., il termine di prescrizione del reato in questione, nella sua massima estensione, pari a sette anni e sei mesi, in considerazione degli intervenuti atti interruttivi, e delle intervenute cause di sospensione del relativo decorso, risulta perento alla data del 3.6.2021, dunque prima della data della pronuncia della sentenza di secondo grado, che risale al 15.11.2021. Ciò impone al Collegio di rilevare la compiuta prescrizione, posto che il principio della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, sancito dall'art. 129 c.p.p., comma 2, opera anche con riferimento alle cause estintive del reato, quale è la prescrizione, rilevabili nel giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 3, 01/12/2010, n. 1550, Rv. 249428; Cass., sez. un., 27/02/2002, n. 17179, Rv. 221403; Cass., Sez. 2, n. 6338 del 18/12/2014, Rv. 262761). Qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'art. 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, infatti, deve prevalere l'esigenza della definizione immediata del processo (cfr. Cass., sez. IV, 05/11/2009, n. 43958, F.). In presenza di una causa di estinzione del reato, invero, la formula di proscioglimento nel merito (art. 129 c.p.p., comma 2) può essere adottata solo quando dagli atti risulti "evidente" la prova dell'innocenza dell'imputato, sicché la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di "constatazione" che di "apprezzamento" (cfr. Cass., sez. II, 11/03/2009, n. 24495, G.), circostanza che non può ritenersi sussistente nel caso in esame e nemmeno è stata eccepita dal ricorrente. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio agli effetti penali, per essere il reato ascritto all'imputato estinto per prescrizione. 6. Deve, infine, rilevarsi l'inammissibilità del ricorso agli effetti civili, sui quali, per la presenza delle statuizioni civili in favore della persona offesa, il Collegio è chiamato comunque a pronunciarsi, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., posto che sul punto l'impugnazione è del tutto carente di motivi che la sostengano. La non completa soccombenza del ricorrente implica che lo stesso non sia condannato, né al pagamento delle spese processuali di questo grado di giudizio, né al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende. Il C. deve essere condannato, invece, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, da liquidarsi in complessivi Euro 1710,00, oltre accessori di legge. Va, infine, disposta l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata dagli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Inammissibile il ricorso agli effetti civili e condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 1710,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2022. Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2023
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