top of page

Stalking: in assenza di specifica contestazione il termine finale di consumazione del reato coincide con la pronuncia della sentenza di primo grado

Stalking

Cassazione penale sez. V, 20/01/2020, n.17350

Nel delitto previsto dall'art. 612-bis c.p., che è reato abituale, e non permanente, e si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado, che cristallizza l'accertamento processuale, cosicché, nell'ipotesi di "contestazione aperta", è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell'imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado.

Atti persecutori: la reiterazione delle condotte produce un evento unitario di danno desumibile dal turbamento psicologico della vittima

Atti persecutori: perché l’attenuante della provocazione è esclusa

Recidiva nello stalking: obbligo di contestazione specifica per ogni reato

Atti persecutori: rilevanza giuridica dei messaggi assillanti anche sui social

Atti persecutori: le condotte reiterate configurano il reato anche con lunghe pause

Atti persecutori: il grave turbamento si desume anche senza certificato medico

Stalking: il riavvicinamento episodico non interrompe la continuità del reato

Stalking o maltrattamenti? Come distinguere i reati dopo la separazione

Atti persecutori o molestie? Le differenze tra i due reati

Fine convivenza: maltrattamenti in famiglia o atti persecutori? Ecco quando si configurano

Sospensione condizionale e percorsi di recupero in caso di stalking: quando si applica la legge del 2019

Maltrattamenti o atti persecutori? Cosa succede dopo la fine della convivenza

Hai bisogno di assistenza legale?

Prenota ora la tua consulenza personalizzata e mirata.

 

Grazie

oppure

PHOTO-2024-04-18-17-28-09.jpg

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 18.01.2019 la Corte di Appello di Lecce, in riforma della pronuncia di primo grado emessa dal Tribunale di Lecce in data 26.09.2017, che aveva condannato C.V. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per il reato di cui all'art. 612 bis c.p. - aggravato perchè soggetto già destinatario di provvedimento di ammonimento del Questore del 12.9.16 - ai danni di D.D.D., ha dichiarato non doversi procedere limitatamente alle condotte poste in essere fino al 12.09.2016 (ovvero prima del provvedimento di ammonimento del Questore) in quanto il reato in relazione ad esse è estinto per remissione della querela e, valutate le già riconosciute circostanze attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti, ha rideterminato la pena con riferimento alle condotte successive in mesi quattro di reclusione (eliminando le statuizioni civili in conseguenza della intervenuta transazione degli aspetti civilistici con risarcimento del danno a seguito della remissione della querela). 2. Avverso la suddetta sentenza ricorre per Cassazione l'imputata C.V., per i seguenti quattro motivi. 2.1. Col primo si deduce erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.L. n. 11 del 2009, art. 8, comma 4, convertito in L. n. 38 del 2009. Secondo i Giudici di secondo grado, infatti, una parte della condotta contestata si sarebbe consumata nella forma aggravata di cui al D.L. n. 11 del 2009, art. 8, comma 4, poi convertito nella L. n. 38 del 2009, ovvero violando il provvedimento di ammonimento emesso dal Questore di Lecce in data 12.09.2016. Tuttavia a parere dei ricorrente sia la norma in esame che lo specifico provvedimento emesso dal Questore si pongono in contrasto con i principi di tassatività, determinatezza e prevedibilità della norma penale; a sostegno delle proprie ragioni si allega giurisprudenza sia convenzionale che costituzionale (in particolare, Corte Cost., sent. nn. 24 e 25 del 2019, in applicazione di Corte EDU, Grande Chambre, sent. emessa il 23/02/2017 sul ricorso n. 43395/2009, "De Tommaso contro Italia"). Si chiede dunque in subordine la promozione di un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale - della L. n. 87 del 1953 - del D.L. n. 11 del 2009, art. 8, comma 2, per contrasto con l'art. 3 Cost., art. 13 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, in relazione all'art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. La doglianza si fonda pertanto sulla circostanza che la Corte di Appello non abbia dato un'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata dei principi di tassatività, tipicità e prevedibilità del precetto penale così come sanciti dalla richiamata giurisprudenza oltre che dalle numerose pronunce di questa Corte. La norma in questione si presenta come eccessivamente vaga nella sua formulazione, non consentendo in tal modo all'interessato di prevedere la possibile applicazione, nei propri confronti, di una sanzione penale; il dato letterale consiste invero solo nel generico invito a "tenere una condotta conforme alla legge", proprio negli stessi termini che hanno originato il dibattito giurisprudenziale di cui supra, con riferimento alla espressione "vivere onestamente e rispettare le leggi" (D.Lgs. n. 159 del 2011 art. 8 comma 4). Sul punto la giurisprudenza convenzionale e quella interna hanno concluso che l'obbligo, appunto, di rispettare le leggi è talmente vago e generico da risultare privo di qualsiasi contenuto precettivo, risolvendosi in un mero riferimento a tutte le leggi dello Stato, non consentendo di individuare la condotta dalla cui violazione derivi una responsabilità penale. Ciò comporta (Cass. Pen., sez. U., sent. n. 40076/2017, Paternò) un'illegittima carenza di conoscibilità del precetto penale da parte del destinatario della norma e, dunque, l'assoluta inidoneità della stessa ad orientare il suo comportamento. 2.2. Col secondo motivo si deduce il vizio di omessa motivazione della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riferimento agli episodi che avrebbero costituito violazione dell'ammonimento del Questore. L'onere motivazionale della Corte di Appello si è infatti speso esclusivamente sul computo della pena, non individuando in modo analitico quali sarebbero state le condotte poste in essere dall'imputata dopo l'ammonimento del Questore effettuato in data 12.09.2016. 2.3. Col terzo motivo si deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), l'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità ex art. 522 c.p.p.. Infatti, relativamente al tempus commissi delicti, il campo d'imputazione riporta la seguente dicitura: "In Lecce dal luglio 2016 con permanenza". Orbene, la contestata permanenza cessava con l'arresto della C. avvenuto in data (OMISSIS), a cui ha fatto seguito l'ordinanza di convalida dello stesso, emessa il 07.12.2016, con contestuale applicazione del divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa; la predetta misura cautelare, infine, ha cessato i suoi effetti con ordinanza della Corte di Appello di Lecce del 03.05.2017. Date queste coordinate temporali, si rileva l'inutilizzabilità ai fini della decisione di quanto indicato dal primo giudice in ordine agli episodi che sarebbero accaduti dopo il (OMISSIS), in quanto essi si pongono fuori dal capo d'imputazione; ciò comporta la nullità della sentenza per difetto di contestazione ai sensi dell'art. 522 c.p.p.. 2.4. Col quarto motivo si denuncia il vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. La Corte di Appello di Lecce, infatti, una volta rideterminata la pena da anni 1 e mesi 6 di reclusione in mesi 4, avrebbe potuto concedere all'imputata il beneficio della sospensione della pena; sul punto si osserva che non solo tale beneficio non è stato concesso ma che si è anche omessa qualsivoglia motivazione per il mancato riconoscimento dello stesso, essendo invece presenti tutti i presupposti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. I motivi, ivi compreso il primo, anche nella parte in cui si prospetta la illegittimità costituzionale del D.L. n. 11 del 2009, art. 8, sono manifestamente infondati. 1.1. Innanzitutto occorre sgomberare il campo dal rilievo mosso col terzo motivo in relazione alla mancata corrispondenza tra il contestato e le condotte ravvisate in sentenza, osservandosi che, di là della dicitura contenuta nel capo di imputazione "In Lecce dal luglio 2016 con permanenza", è pacifico che il reato di atti persecutori è un delitto abituale e non permanente, di talchè siffatta contestazione si risolve piuttosto nella cd. contestazione aperta - rispetto alla quale non risultano sollevate obiezioni sotto il profilo delle modalità di formulazione e di una eventuale indeterminatezza - con la conseguenza che la deduzione qui formulata dal ricorrente nei termini suindicati, finalizzati unicamente a rilevare la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, è palesemente ultronea ed inammissibile (essendo peraltro noto che in caso di delitto di atti persecutori, come per qualunque altro reato abituale, in difetto di contestazione di un termine finale di consumazione, questo non può che coincidere con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l'accertamento processuale - nel caso di specie risalente al 26.9.17, cfr. ex multis Sez. 5, n. 6742 del 13/12/2018 Ud. (dep. 12/02/2019) Rv. 275490 - 01, che ha, tra l'altro, affermato che nel delitto previsto dall'art. 612-bis c.p., nell'ipotesi di contestazione aperta, è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell'imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado; nonchè Sez. 5, n. 22210 del 03/04/2017 Ud. (dep. 08/05/2017) Rv. 270241 - 01). 1.2. Orbene, passando ora all'esame del primo motivo, si osserva che quanto con esso si deduce in ordine al prospettato contrasto della disposizione di cui al D.L. n. 11 del 2009, art. 8, comma 2, con i principi di tassatività, determinatezza e prevedibilità della norma penale è manifestamente infondato; inconferente è innanzitutto il richiamo della giurisprudenza sia convenzionale che costituzionale (Corte Cost., sent. nn. 24 e 25 del 2019, in applicazione di Corte EDU, Grande Chambre, emessa il 23/02/2017 sul ricorso n. 43395/2009, "De Tommaso contro Italia"), trattandosi di caso del tutto diverso quello affrontato dapprima dalla giurisprudenza convenzionale e poi da quella costituzionale citate. La norma qui in questione - che non è una norma incriminatrice - non si presenta affatto come eccessivamente vaga nella sua formulazione. Il Giudice delle leggi (Corte Cost., sent. nn. 24 e 25 del 2019, in applicazione di Corte EDU, "De Tommaso contro Italia", ric. n. 43395/2009, sent. del 23/02/2017) ha di recente dichiarato parzialmente incostituzionale il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 1 e 2, (c.d. "Codice Antimafia") nella parte in cui viene irrogata la sanzione penale per la violazione di condotte generiche quali il "vivere onestamente" ed il "rispettare le leggi", di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 8, comma 4, per le quali vi è stata la sottoposizione a misura di prevenzione. Il parallelismo operato dal ricorrente appare senz'altro del tutto inappropriato: esso si fonda su mera apparenza derivante dal simile tenore lessicale che viene enfatizzato estrapolano i due lemmi "vivere onestamente e rispettare le leggi", di cui al Codice Antimafia, ed assimilandoli alla espressione "tenere una condotta conforme alla legge" di cui al D.L. n. 11 del 2009, art. 8, comma 2, conv. in L. n. 38 del 2009. Attraverso tale norma si ricava, piuttosto, che è facoltà del Questore di emettere l'ammonimento - che è un avviso orale - ovvero un provvedimento mediante il quale si invita, semplicemente, lo stalker, rectius il soggetto oggetto di segnalazione da parte della persona offesa di presunti atti persecutori, a tenere un comportamento conforme alla legge, ad astenersi cioè dal compiere ulteriori atti di molestia a danno della persona offesa. Trattasi di mero ammonimento orale - di cui si dà atto in un verbale in copia consegnato all'ammonito - che trova il suo presupposto nella segnalazione di fatti riconducibili all'art. 612 bis c.p. - se del caso suscettibili di accertamenti - e che non può che trarre il suo contenuto da questa, che a sua volta ha ex lege come punto di riferimento il disposto normativo di cui all'art. 612 bis c.p.; la diffida dal proseguire nel comportamento sino a quel momento tenuto non può dunque che avere ad oggetto le pregresse condotte che il prevenuto - in virtù dell'ammonimento - deve astenersi dal proseguire; da qui l'impossibilità di una previsione normativa specifica circa l'oggetto dell'ammonimento, che, in ogni caso, risulta specificato e certo nelle sue linee portanti non potendo esso che essere inteso con riferimento al disposto di cui all'art. 612 bis c.p., costituente la fattispecie-presupposto (stante il chiaro incipit della norma di cui all'art. 8 che così recita: "Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all'art. 612-bis c.p. (...)). La previsione dell'ammonimento con l'invito a tenere una condotta conforme alla legge non ha peraltro contenuto precettivo diretto nei confronti del soggetto, inserendosi piuttosto essa nell'ambito della disciplina del procedimento di competenza del Questore, che è l'effettivo destinatario della norma; essa, solo con l'applicazione da parte di questi mediante l'adozione del provvedimento di ammonimento, si risolverà in un "comando" a carico del prevenuto, che rimane in ogni caso libero di aderirvi o meno senza che ciò comporti di per sè alcuna sanzione penale, che è piuttosto ricollegabile alle condotte illecite che - nonostante l'ammonimento - dovesse - nella consapevolezza delle conseguenze " rafforzate" cui va incontro, procedibilità di ufficio e aggravamento della pena, ex lege stabilite - eventualmente porre in essere; in altri termini l'ammonimento del Questore nell'ottica del legislatore assolve ad una funzione preventiva e rafforzativa, al contempo, del precetto penale, e nessun dubbio può insorgere sulla prevedibilità nè sulla determinatezza della complessiva previsione che contempla l'aggravamento e la procedibilità di ufficio in caso di ammonimento del Questore, trattandosi di conseguenze che in maniera chiara e netta la legge riconduce ad una siffatta, determinata, ipotesi (su tutt'altro piano potrebbero svolgersi eventuali rilievi sull'assoluta indeterminatezza dell'avviso dato dal Questore nel caso concreto - rispetto al quale è comunque prevista la redazione di processo verbale - tale cioè da riflettersi sulla stessa sua essenza ed esistenza, o sull'assoluta evanescenza delle condotte oggetto di segnalazione da parte della presunta persona offesa, nel caso di specie non oggetto di specifica deduzione). Altro profilo è infine - aggiunge questa Corte per completezza - quello che riguarda l'integrazione della fattispecie criminosa che non può che rimanere del tutto sganciato rispetto alla correttezza o meno dell'ammonimento perchè ove pure per ipotesi il soggetto non avesse inteso bene l'invito rivolto dal Questore per la carenza del suo contenuto, non per questo esso potrebbe andare esente da responsabilità penale, dal momento che il precetto da rispettare è in ogni caso quello di cui all'art. 612 bis c.p.. Indi alcuna assimilabilità alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, commi 1 e 2, indicata dal ricorrente è ravvisabile, nè tanto meno ricorrono i presupposti per sollevarsi questione di illegittimità costituzionale dell'articolo indicato nei termini qui proposti. Nel caso in esame non si "sanziona" la violazione di prescrizioni generiche bensì il fatto-circostanza di essere stato ammonito; pure a voler riconoscere valenza soggettiva all'aggravante, a voler considerare il termine "ammonito" nel senso di "informato di ciò che si doveva e non si doveva fare", non vi è, per tutto quanto sopra detto, comunque spazio per la promozione, per i motivi indicati dal ricorrente, di un giudizio di illegittimità costituzionale della disposizione in esame, laddove contiene la previsione dell'invito a tenere una condotta conforme alla legge (potendosi al più eccepire rispetto al singolo caso la eventuale assoluta indeterminatezza del provvedimento di ammonimento adottato). 1.3. Il secondo motivo deduce genericamente la mancata individuazione delle condotte poste in essere dopo l'ammonimento del 12.9.2016, senza confrontarsi con le pronunce di merito (da cui emergono condotte - anche sms - protrattesi fino al giugno 2017; una delle quali oggetto di annotazione di servizio risalente al 1.12.2016). 1.4. Il quarto motivo che lamenta il mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pene, è inammissibile risultando formulato solo in questa sede, nonostante si fosse già in appello richiesta per più versi la riduzione della pena; esso in ogni caso non tiene conto delle risultanze del certificato penale dell'imputato da cui emerge che lo stesso non solo ne ha già usufruito per condanna alla pena di anni uno ma risulta anche medio tempore condannato per il reato di estorsione ad anni due di reclusione, circostanza che preclude l'applicazione dell'istituto ai sensi dell'art. 168 c.p., n. 2. 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 606 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonchè, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate. 3. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge, versandosi in ipotesi di stalking familiare. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2020. Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020
bottom of page