Testimonianza: in caso di costituzione di parte civile della persona offesa, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi
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Cassazione penale sez. III, 22/02/2024, (ud. 22/02/2024, dep. 08/03/2024), n.10091

Alle dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole fissate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. - e, quindi, non "sono valutate unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità" - , sicché esse possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, sottoponendo a preventiva e motivata verifica la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità intrinseca del narrato, che deve tuttavia effettuarsi in modo più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, aggiungendo che, in caso di costituzione di parte civile della persona offesa, può essere opportuno procedere anche al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Ancona ha confermato la pronuncia emessa dal G.u.p. del Tribunale di Pesaro all'esito del giudizio abbreviato e appellata dall'imputato, la quale, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di subvalenza rispetto alle contestate aggravanti e ritenuta la continuazione, aveva condannato Ma.Fe. alla pena di sei anni di reclusione, perché ritenuto ritenuta responsabile dei delitti di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale continuata, entrambi commessi in danno della compagna convivente.

2. Avverso la sentenza, l'imputato, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, comma 3, e 391 -bis cod. proc. pen. Assume il difensore che la motivazione sarebbe errata, laddove ha ribadito che le dichiarazioni della persona offesa sono adeguatamente riscontrate; invero, secondo il difensore, le dichiarazioni de relato rese da Ta.So. non possono assurgere a riscontro esterno in quanto lacunose e generiche; allo stesso modo, le annotazioni di p.g. non solo non corroborano il narrato della persona offesa, ma lo smentiscono, laddove risulta che la donna, interpellata dagli operanti, aveva loro riferito che il compagno non le aveva mai usato violenza. Aggiunge il difensore che la Corte di merito non avrebbe compiutamente valutato né le prove raccolte, né le dichiarazioni rese dall'imputato, che ha sempre negato ogni addebito.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 572 cod. pen. Secondo il difensore, la Corte di merito ha erroneamente confermato la sussistenza del delitto di cui all'art. 572 cod. pen., non avendo accertato il requisito dell'abitualità della condotta, emergendo piuttosto che l'imputato abbia sempre agito per effetto di situazioni e condizioni del tutto estemporanee e contingenti. Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo, argomenta il difensore che esso è stato desunto unicamente sulla base della versione della persona offesa, senza considerare gli ulteriori elementi probatori versati in atti.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 609-bis cod. pen. Secondo il ricorrente, la Corte di merito ha confermato la penale responsabilità anche per il capo b), senza considerare che le dichiarazioni dell'imputato avrebbero dovuto indurre ad escludere il reato in esame per effetto del consenso, quantomeno percepito, della persona offesa.

2.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. Espone il difensore che il contegno processuale dell'imputato - che da sùbito ha preso posizione rispetto ai fatti a lui addebitati, ha partecipato alle udienze e ha reso l'esame -avrebbe dovuto essere positivamente valorizzato ai fini dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza o, quantomeno, di equivalenza rispetto alla contestata aggravanti. Allo stesso modo, il complessivo trattamento sanzionatorio sarebbe stato inflitto in violazione dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. e con una motivazione del tutto parziale e illogica.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

2.1. Il ricorrente, invero, pare accreditare l'interpretazione secondo cui le dichiarazioni rese dalla persona offesa, per assurgere al rango di prova, avrebbero necessità di essere riscontrante da elementi esterni.

Si tratta di una prospettazione del tutto errata, che si pone in contrasto con il dato letterale dell'art. 192 cod. proc. pen., come costantemente interpretato da questa Corte di legittimità.

2.2. E' principio consolidato quello secondo cui alle dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole fissate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. - e, quindi, non "sono valutate unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità" - , sicché esse possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, sottoponendo a preventiva e motivata verifica la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità intrinseca del narrato, che deve tuttavia effettuarsi in modo più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, aggiungendo che, in caso di costituzione di parte civile della persona offesa, può essere opportuno procedere anche al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell'Arte, Rv. 253214). Il senso di tale ultimo chiarimento è quello di imporre un vaglio rinforzato dell'attendibilità del testimone portatore di un astratto interesse a rilasciare dichiarazioni etero accusatorie e non certo quello di negare l'autonomo valore probatorio delle stesse, ciò che contraddirebbe il principio, parimenti enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa sono sottratte dall'applicazione della disciplina prevista dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen, Peraltro, come già affermato da questa Corte, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (Sez. 5, n. 21135 dei 26/3/2019, S., Rv. 275312), posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva.

2.3. E' quindi erronea la prospettiva indicata dal ricorrente, laddove - non contestando la credibilità soggettiva della persona offesa, né l'attendibilità intrinseca del suo narrato - pretende che le dichiarazioni della donna, per essere legittimamente poste a fondamento dell'affermazione della penale responsabilità, debbano essere assistite da riscontri esterni, proprio perché, come detto, gli elementi di riscontro che il giudice può opportunamente accertare attengono ai profili della credibilità soggettiva del teste, alle cui dichiarazioni cui non si applica lo statuto previsto dal comma 3 dell'art. 192 cod. proc. pen.

2.4. Si osserva, peraltro, che la Corte di merito ha indicato una serie di elementi che corroborano il racconto della persona offesa - quali le dichiarazioni rese da Ta.So., lungamente analizzate alle p. 15-17 della sentenza impugnata, e le annotazioni di servizio del 17 dicembre 2018 e del 21 settembre 2019, i cui contenuti sono puntualmente esposti alla p. 17 - elementi che sono contestati dal ricorrente in maniera generica e assertiva.

2.5. Infine, laddove lamenta che la Corte di merito non avrebbe adeguatamente valutato le dichiarazioni dell'imputato, il motivo introduce censure di natura fattuale, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, dovendosi peraltro rilevare che la Corte di merito (p. 19 della sentenza impugnata) si è confrontata con la versione dell'imputato, che si è limitato a negare gli addebiti, versione stimata non credibile alla luce della valutazione di piena affidabilità del narrato della persona offesa.

3. Dall'inammissibilità del primo motivo discende, per logica consequenzialità, l'inammissibilità del secondo e del terzo motivo.

3.1. Invero, una volta affermata la piena attendibilità della persona offesa, quanto al requisito dell'abitualità, che connotata il delitto di maltrattamenti in famiglia - contestato con il secondo motivo -, la Corte di merito lo ha desunto dal contenuto delle dichiarazioni della donna, la quale ha riferito che la condotta violenta del compagno non era affatto né estemporanea, né occasionale, ma reiterata in maniera sistematica e continuativa nel tempo, essendosi protratta per alcuni anni, il che, oltretutto, è chiaramente indicativo della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in esame.

3.2. Allo stesso modo, così venendo al terzo motivo, la Corte di merito ha respinto la prospettazione difensiva secondo cui l'imputato non avesse colto il dissenso manifestato dalla compagna, posto che costei ha chiaramente e inequivocabilmente riferito che i rapporti sessuali erano stati consumati con violenza, come chiaramente dimostrato anche dalle fotografie che documentano le perdite ematiche subite dalla donna a causa della penetrazione orale e che hanno anche comportato la scelta della persona offesa di abortire, nonché dal fatto che l'imputato non si sia fermato dal compimento degli atti sessuali neppure di fronte alle lacrime della compagna.

A fronte di tale motivazione, con la quale il ricorrente omette di misurarsi criticamente, il motivo appare del tutto generico.

4. Il quarto motivo è inammissibile.

4.1. Ricordato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931), nel caso di specie la Corte di merito ha ribadito il giudizio di prevalenza delle aggravanti in considerazione della protrazione del tempo della condotta violenta tenuta dall'imputato, dall'assenza di segni di resipiscenza, nonché dalla precedente condanna definitiva per i delitti di percosse e di lesioni personali commessi nel 2015 in danno della precedente compagna.

Si tratta di una valutazione di fatto certamente non manifestamente illogica, che quindi si sottrae al sindacato di legittimità.

4.2. Lo stesso è a dirsi in relazione alla determinazione del complessivo trattamento punitivo: la Corte di merito, infatti, con una motivazione adeguata e priva di aporie logiche, ha ritenuto la congruità della pena, peraltro inflitta in prossimità del minimo edittale e con un anno di aumento per la continuazione, in considerazione dell'estensione temporale degli episodi delittuosi, che si sono protratti dal 2016 sino alla data della denuncia, sporta il 19 settembre 2020, e il fatto che i maltrattamenti siano stati commessi anche in presenza del figlio e durante lo stato di gravidanza della persona offesa.

Al cospetto di tale apparato argomentativo, adeguato e non manifestamente illogico, il motivo si appalesa del tutto generico.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen.,

non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 Euro in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 22 Febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria l'8Marzo 2024.

Testimonianza: in caso di costituzione di parte civile della persona offesa, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi

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