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Reati contro il patrimonio

Usura: ai fini dell'accertamento di difficoltà economica della vittima rileva anche la carenza momentanea di liquidità

Usura

Cassazione penale sez. II, 29/03/2017, n.26214

In tema di usura c.d. in concreto (art. 644, comma 3, seconda parte, c.p.), al fine della verifica della sproporzione degli interessi, dei vantaggi e dei compensi pattuiti, per l'accertamento della “condizione di difficoltà economica” della vittima deve aversi riguardo alla carenza, anche solo momentanea, di liquidità, a fronte di una condizione patrimoniale di base nel complesso sana, laddove, invece, la “condizione di difficoltà finanziaria” investe più in generale l'insieme delle attività patrimoniali del soggetto passivo, ed è caratterizzata da una complessiva carenza di risorse e di beni. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avessero affermato la penale responsabilità dell'imputato per aver ottenuto un compenso “usurario” in relazione alla mediazione svolta per l'erogazione di un mutuo bancario alla persona offesa, che versava in grave difficoltà economica, come risultante, in particolare, dalla destinazione della maggior parte della somma mutuata all'estinzione dei debiti che la affliggevano).

Usura: sull'onere motivazionale del giudice in ordine alla natura usuraria degli interessi

Usura: sulle “condizioni di difficoltà economica o finanziaria” della vittima

Usura: sulla condotta frazionata o a consumazione prolungata

Usura: si perfeziona con la sola accettazione della promessa degli interessi

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Usura: sull'aggravante dello stato di bisogno

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Usura: si perfeziona con la sola accettazione della promessa degli interessi usurari

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Torino in parziale riforma della sentenza di primo grado condannava il G. alla pena di anni due, mesi nove di reclusione ed Euro 9000 di multa per il reato di usura. Si contestava al G. di avere chiesto ed ottenuto un compenso qualificabile come "usurario" in relazione alla attività di mediazione di mediazione svolta per l'erogazione di un mutuo da parte della Banca Carige s.p.a.. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato che deduceva: 2.1. vizio di motivazione: mancherebbe la prova delle condizioni di difficoltà economica della persona offesa; si deduceva che il C. sarebbe versato al più in una condizione di "difficoltà finanziaria", ma non di "difficoltà economica", situazione che implicherebbe un dissesto più generale; inoltre si deduceva la carenza di motivazione in ordine all'attendibilità dello Z. che non sarebbe stato ritenuto credibile quando testimoniava in relazione al reato di circonvenzione di incapace (in relazione al quale egli era persona offesa) e, contraddittoriamente, sarebbe stato ritenuto attendibile nel momento in cui riferiva dell'usura; inoltre: le dichiarazioni del C. sarebbero contraddittorie in ordine allo stato di difficoltà economica nel quale si sarebbe trovato; sarebbe infatti emerso che al momento della stipula del mutuo i debiti verso terzi sarebbero stati irrisori rispetto alla somma mutuata e che il debito nei confronti dello Z. era stato in buona parte estinto; infine non avrebbero alcuna efficacia confermativa le dichiarazioni della D., moglie del C., nè quelle del D.B.; si deduceva, peraltro, che l'effettuazione dei pagamenti non sarebbe stata dimostrata da documenti; 2.2. vizio di motivazione: i tassi usurari non sarebbero stati valutati in coerenza con le indicazioni della Banca d'Italia; non vi sarebbe prova del fatto che l'imputato avesse incassato la somma di 16.000 Euro; inoltre non si comprenderebbe a quali parametri avesse fatto riferimento la Corte nel ritenere che il compenso percepito dal B. fosse esorbitante rispetto all'impegno preso; mancherebbe, infine, la prova che l'imputato fosse a conoscenza della situazione economica del C.. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 1.1. Il ricorrente denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui riconosce la difficoltà economica della persona offesa criticando la attendibilità delle testimonianze e rimarcando l'assenza di prove documentali; si tratta di un motivo che si risolve nella proposta di una lettura alternativa delle prove, non ammissibile in sede di legittimità. Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest'ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato. E' noto infatti che il perimetro della giurisdizione di legittimità è limitato alla rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l'area di competenza della Cassazione fino alla rivalutazione dell'interno compendio indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali per essere rilevanti devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa. Nel caso di specie, come evidenziato in premessa, il ricorrente piuttosto che rilevare vizi decisivi della motivazione, si limitava ad offrire una interpretazione degli elementi di prova raccolti diversa da quella fatta propria dalla Corte di appello, senza indicare vizi logici manifesti e decisivi, in contrasto palese con le indicate linee interpretative. Invero, dal compendio motivazionale integrato offerto dalle due sentenze di merito emergeva, contrariamente a quanto dedotto, una accurata analisi della attendibilità delle fonti dichiarative. Si rilevava che sia il D. che il D.B. e lo Z. avevano concordemente confermato sia la progettazione che l'esecuzione della compravendita simulata finalizzata a far incamerare al C. le somme del mutuo che avrebbero dovuto sanare la sua grave situazione debitoria. Del pari, risultava dimostrata l'esistenza dello stato di difficoltà economica della persona offesa sulla base dei contenuti delle testimonianze raccolte e delle emergenze documentali, ovvero delle attestazioni dei pagamenti effettuati con la somma ricevuta a titolo di mutuo, che risultava essere stata destinata, per la maggior parte, proprio all'estinzione dei debiti che affliggevano il C. (pag. 10 della sentenza impugnata). 1.2. La sentenza, oltre a non presentare fratture logiche, si presenta rispettosa delle linee ermeneutiche tracciate dalla Corte di legittimità in materia di c.d. "usura in concreto". Sul punto il collegio ribadisce che il reato di usura si consuma non solo con la promessa o la dazione di interessi, ma anche nel caso in cui oggetto di pattuizione siano altri vantaggi usurari, ovvero illegittimi profitti, di qualsiasi natura, che l'accipiens riceve e che, per il loro valore, raffrontato alla controprestazione, assumano carattere usurario (Cass. sez. 2 n. 5683 del 25/10/2012, Rv 255238). Il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui "perchè sia integrata la c.d. usura in concreto, occorre che: a) il soggetto passivo versi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria; b) gli interessi pattuiti (pur se inferiori al tasso-soglia usurario ex lege) ed i vantaggi e i compensi risultino, avuto riguardo alle "concrete modalità del fatto ed al tasso medio praticato per operazioni similari", comunque "proporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione". Trattasi di elementi il cui accertamento in concreto (diversamente dai casi di usura c.d. presunta) è rimesso alla discrezionalità del giudice usurario" (così, in motivazione Cass. sez. 2 n. 5683 del 25/10/2012, Rv 255238). La Corte ha infatti chiarito che al fine della verifica della sproporzione degli interessi, dei vantaggi e dei compensi pattuiti, per l'accertamento della "condizione di difficoltà economica" della vittima deve aversi riguardo alla carenza, anche solo momentanea, di liquidità, a fronte di una condizione patrimoniale di base nel complesso sana, laddove, invece, la "condizione di difficoltà finanziaria" investe più in generale l'insieme delle attività patrimoniali del soggetto passivo, ed è caratterizzata da una complessiva carenza di risorse e di beni (Cass. sez. 2 n. 18778 del 25/03/2014, Rv. 259961). Si tratta di squilibri patrimoniali di differente gravità che, tenuto conto della formulazione alternativa utilizzata dal legislatore, rilevano entrambi al fine della valutazione dell'esistenza dell'usura in concreto. 1.3. In sintesi: il delitto di usura si configura non solo quando gli interessi pattuiti in relazione alla somma di denaro prestata siano superiori al tasso stabilito dalla legge, configurando un'ipotesi di c.d. "usura presunta", ma anche quando l'agente ottiene da persone in difficoltà economica o finanziaria vantaggi sproporzionati rispetto all'opera prestata; sproporzione che deve essere valutata "in concreto" dal giudice, effettuando una comparazione tra i vantaggi effettivamente conseguiti e quelli ordinariamente correlati all'effettuazione delle prestazioni erogate. Il delitto di usura c.d. "in concreto" è funzionale, pertanto, a sanzionare condotte di sfruttamento delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria della vittima attraverso l'induzione della stessa all'accettazione di condizioni contrattuali sproporzionate rispetto a quelle che caratterizzano il libero mercato. Nel caso di specie la Corte territoriale, contrariamente a quanto dedotto, riconosceva l'esistenza della difficoltà economica, ovvero di uno stato di dissesto meno grave della "difficoltà finanziaria", ma comunque idoneo ad integrare il reato contestato (pag. 10 della sentenza impugnata). 1.4. La Cassazione ha altresì chiarito, con giurisprudenza che si condivide, che le "condizioni di difficoltà economica o finanziaria" della vittima, che integrano la materialità del reato, si distinguono altresì dallo "stato di bisogno", che integra la circostanza aggravante di cui all'art. 644 c.p., comma 5, n. 3, perchè le prime consistono in un situazione meno grave ed in astratto reversibile, che priva la vittima di una piena libertà contrattuale, laddove la seconda consiste in uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che compromette la libertà contrattuale del soggetto, inducendolo a ricorrere al credito a condizioni sfavorevoli (Cass. sez. 2 n. 18778 del 25/03/2014, Rv. 259961). La motivazione della sentenza impugnata si presenta, anche sotto questo profilo coerente con le indicazioni della Suprema corte, rilevando in capo al C. lo stato di "difficoltà economica" dovuto ad una momentanea,seppur seria, situazione debitoria che lo aveva indotto ad accettare la proposta usuraria del G.. 2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Si deduceva la mancanza del carattere usurario delle somme ricevute dal G. in cambio della sua "mediazione" nella concessione del mutuo a favore del C.. Come si è chiarito, poichè non si versa nell'area dell'usura presunta, la cui esistenza è collegata al semplice superamento del tasso di interesse stabilito dalla legge, per la verifica della natura usuraria del compenso deve aversi riguardo essenzialmente alla eventuale sproporzione dello stesso rispetto a quello ordinariamente corrisposto in casi analoghi. Nel caso di specie, la Corte territoriale effettuava il giudizio di proporzione comparando le somme da questi ricevute con i compensi pagati ordinariamente dalle banche ai mediatori, individuati correttamente come parametri utili per comparazione richiesta dalla legge nella effettuazione del giudizio di proporzione (pag. 9 della sentenza impugnata). Anche in relazione alla valutazione di tale requisito, la motivazione della sentenza impugnata risulta coerente con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Cassazione e con le prove raccolte sottraendosi ad ogni censura in questa sede. Manifestamente infondate sono, infine, le censure rivolte al riconoscimento della consapevolezza in capo al G. della esistenza della difficoltà economica della vittima: la Corte territoriale evidenziava, infatti, con motivazione esente da vizi, che il progetto di vendita simulata era stato generato e portato a compimento proprio dall'imputato che si era occupato anche di effettuare la stima dell'alloggio (pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata). 3. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 1500,00. PQM P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500.00 a favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 29 marzo 2017. Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2017
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