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Reati contro il patrimonio

Usura: l’aggravante dello stato di bisogno è configurabile solo se sussiste una condizione psicologica determinata da un impellente assillo di natura economica

Usura

Cassazione penale sez. II, 06/07/2020, n.23880

In tema di usura, lo stato di bisogno in cui deve trovarsi la vittima affinché sia integrata la circostanza aggravante di cui all'art. 644, comma 5, n. 3, c.p. può essere di qualsiasi natura, specie e grado e può quindi derivare anche dall'aver contratto debiti per il vizio del gioco d'azzardo, non essendo richiesto dalla norma incriminatrice che il predetto stato presenti connotazioni che lo rendano socialmente meritevole.

Usura: sull'onere motivazionale del giudice in ordine alla natura usuraria degli interessi

Usura: sulle “condizioni di difficoltà economica o finanziaria” della vittima

Usura: sulla condotta frazionata o a consumazione prolungata

Usura: si perfeziona con la sola accettazione della promessa degli interessi

Usura: sull'aggravante dello stato di bisogno della persona offesa

Usura: può concorrere con il reato di estorsione?

Usura: sull'aggravante dello stato di bisogno

Usura: è un reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata

Usura: si perfeziona con la sola accettazione della promessa degli interessi usurari

Usura: sulla nozione di profilo confiscabile

Usura: sulla circostanza aggravante dello "status" di imprenditore

Usura: gli acconti vanno imputati agli interessi già scaduti e non al solo capitale

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 03/12/2018, la Corte di appello di Bari, in riforma della pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Trani in data 25/06/2014, appellata da D.M., revocava la confisca dell'immobile iscritto presso il Catasto del Comune di Canosa di Puglia cat. (OMISSIS), ordinando il dissequestro e la restituzione del medesimo all'avente diritto e confermava nel resto la sentenza di primo grado che aveva condannato il sunnominato D.M. alla pena di anni tre, mesi otto di reclusione ed Euro 4.000 di multa per i reati di usura (escluso un episodio in contestazione) ed estorsione consumata ai danni di G.S., ritenuta la continuazione, esclusa la recidiva, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull'aggravante di cui all'art. 644 c.p., comma 5, n. 3 e con l'interdizione temporanea dai pubblici uffici. 2. Avverso detta sentenza, nell'interesse di D.M., viene proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., per lamentare: - inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 644 e 629 c.p. nonchè mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione mercè la quale il ricorrente è stato ritenuto penalmente responsabile di entrambi i reati contestatigli (primo motivo); - inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 644 c.p., comma 5, n. 3 nonchè mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione mercè la quale si è ritenuta sussistente l'aggravante dello stato di bisogno del danneggiato dal reato di usura (secondo motivo); - inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 133 c.p. nonchè mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione mercè la quale è stato confermato in appello il trattamento sanzionatorio irrogato in primo grado (terzo motivo). 2.1. In relazione al primo motivo, si censura la decisione della Corte territoriale che, nell'esaminare le dichiarazioni rese dalla persona offesa ( G.S.), non ha minimamente revocato in dubbio la discrasia emersa con riferimento all'episodio di usura (di cui al capo Ad) per il quale era stata emessa sentenza di assoluzione in primo grado, ritenendo che si fosse in presenza di un semplice chiarimento e non, invece, di una decisa autosmentita, idonea a mettere in dubbio l'intera ricostruzione accusatoria. Anche in ordine all'analisi della personalità del dichiarante, la motivazione della sentenza presenta caratteri altamente contraddittori, risultando essersi altresì sottratta all'obbligo di verificare la tenuta "intrinseca ed estrinseca" delle dichiarazioni rese a carico dell'imputato, in alcuni casi del tutto accondiscendenti e, in altri, caratterizzate da reticenza. Medesime censure vengono rivolte alle dichiarazioni rese dalla madre del G., P.A.) e della figlia dell'imputato ( D.G.). In ogni caso, i plurimi elementi di riscontro emersi nel processo a sostegno della tesi difensiva evidenziati in sede di gravame di appello, risultano essere stati del tutto trascurati. Quanto evidenziato in relazione al reato di usura non potrà che ripetersi anche per l'ulteriore imputazione di estorsione non essendosi spiegate le ragioni per le quali la persona offesa in un primo momento avesse inteso che le parole del D. avessero una portata scherzosa e, in un secondo momento, invece avessero assunto un chiaro intento minaccioso. 2.2. In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza impugnata che omesso di considerare l'insegnamento giurisprudenziale (da ultimo, Sez. 2, n. 26525 del 21/04/2017) secondo cui, nel reato di usura, lo stato di bisogno va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza nè la causa di esso, nè l'utilizzazione del prestito usurario (Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, Rv. 266162); si è ancora affermato che lo stato di bisogno consiste in una situazione che elimina o comunque limita la volontà del soggetto passivo e lo induce a contrattare in condizioni di inferiorità psichica tali da viziare il consenso (Sez. 2, n. 45152 del 13/11/2008, Rv. 241978): situazione di "inferiorità psichica" che il G. non nutriva affatto nei confronti del D., al quale non potrà certo farsi carico, ai fini della configurabilità dell'aggravante de qua, il patologico ed incontrollato vizio del gioco del primo e la sua incontrollata propensione alla scommessa. 2.3. In relazione al terzo motivo, si censura la sentenza impugnata così come quella di primo grado che, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, hanno operato una mera ricopiatura dei criteri generalissimi indicati dall'art. 133 c.p. senza tenere in alcun conto della limitatezza dei prestiti erogati e l'impegno "salvifico" mostrato dall'imputato in favore della persona offesa in occasione del suo "tentato suicidio". Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Con riferimento al primo motivo, evidenzia il Collegio come, pur volendo superare il profilo della concomitante proposizione di una (non consentita, e come tale inammissibile) censura cumulativa in relazione a tutti e tre i profili del vizio di motivazione (Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota e altri, Rv. 263541, secondo cui il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ha l'onere - sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica), si sia comunque in presenza di motivo assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (si reiterano censure già dedotte in appello ed ivi non accolte con ampia ed argomentata motivazione) che pretende una non consentita rivalutazione nel merito e, comunque, manifestamente infondato. 2.1. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come la Corte territoriale, dopo un'accurata ricostruzione della vicenda, abbia posto in rilievo che la prova della penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati di usura e di estorsione trovi fondamento in molteplici elementi, rappresentati dal dichiarato della persona offesa, dai flussi dei movimenti di denaro con relative causali, dai rinnovi dei debiti, dalla denuncia sporta, dall'arresto avvenuto con rinvenimento delle banconote, opportunamente contrassegnate, oggetto di consegna "controllata" nonchè dalle deposizioni del verbalizzante (maresciallo N.) e dalla madre della persona offesa ( P.A.). Detti elementi di prova, caratterizzati da concordanza e convergenza, hanno consentito di ritenere superate le prove a discarico introdotte dall'imputato, alla luce delle argomentate e concludenti valutazioni rese sul punto dai giudici di secondo grado. Scrive la Corte territoriale: "... le affermazioni di D.G. circa la somma che suo padre avrebbe dovuto ricevere in quel frangente (200,00 Euro) non confortano da sole la prospettazione difensiva, giacchè nel vagliare tale deposizione non si può prescindere dal considerare il legame familiare con l'imputato, in questo caso sì sospetto, giacchè forte è l'interesse in gioco (interesse che invece manca in capo alla madre della persona offesa) e tenuto conto che detta dichiarazione non è stata resa nell'immediatezza dei fatti...;... il mancato rinvenimento di titoli presso l'abitazione dell'imputato, non è indicativa, potendo egli aver deciso di occultare altrove ciò che avrebbe potuto costituire prove della illecita attività. Quanto al rapporto tra D. e il fratello del G. (che renderebbe inverosimile il rapporto usurario in contestazione), nessuna attività di approfondimento è stata al riguardo effettuata anche solo per prospettarne la natura e l'attualità...". 2.2. In particolare, sulla denunciata illegittima valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui le regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone; inoltre, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri). Dette conclusioni appaiono tanto più giustificate se, come nella fattispecie, la persona offesa non si sia costituita parte civile, dal momento che, in tal caso, il valore delle dichiarazioni rese non subisce alcuna attenuazione, essendo il proprio coinvolgimento nel fatto assai più sfumato e potendosi parificare detta posizione a quella di qualunque altro dichiarante non coinvolto nel fatto a ragione della totale assenza di interessi di carattere patrimoniale. Peraltro, quand'anche si volesse ritenere che anche la persona offesa non costituita parte civile debba soggiacere ad un controllo di attendibilità particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi, è altrettanto vero che la giurisprudenza di legittimità, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l'attendibilità estrinseca della testimonianza dell'offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di "opportunità" e non di "necessità", lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto. In tal senso, le Sezioni unite hanno infatti affermato che "può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato" (conformi, Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755). Peraltro, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo la quale la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis, Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis e altri, Rv. 240524; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232). Fermo quanto precede, rileva il Collegio come, nella fattispecie, la Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici, che la credibilità intrinseca ed estrinseca del dichiarante - le cui dichiarazioni sono state sottoposte a rigoroso vaglio da parte del giudice di primo grado - non potesse considerarsi scalfita nemmeno a seguito dell'avvenuta assoluzione dell'imputato per il capo Ad), dal momento che detta pronuncia assolutoria "non (poteva) dirsi intervenuta per questione di inattendibilità del G., ma in conseguenza del fatto che quest'ultimo, nel corso della sua deposizione, (aveva) chiarito che le somme relative a tale episodio non costituivano nuovo prestito, ma rinnovo di quello precedente. Dunque, nessuna incoerenza può registrarsi nella narrazione del G. dovendosi peraltro tenere conto del fatto che non risulta per nulla agevole ricostruire gli episodi di erogazione dei prestiti quando questi, come nella specie, si susseguono a distanza ravvicinata, sicchè le scadenze ed i pagamenti dei ratei riferibili a diversi capitali infine si sovrappongono, e ad essi si aggiungono poi episodi di rinnovo per il debito originario. Nè l'attendibilità può essere messa in discussione facendo riferimento alla destinazione del denaro preso a prestito (saldare debiti di gioco), giacchè non può confondersi il piano giuridico con quello morale". L'applicazione dei sopra esposti principi esclude che nel caso in esame i giudici di merito siano incorsi in qualsivoglia vizio denunciabile in sede di legittimità. La credibilità del G. risulta, infatti, essere stata propriamente scandagliata dalla Corte territoriale la quale ha sottolineato come essa sia stata innanzi tutto valutata direttamente ed in ossequio al principio di immediatezza dal giudice di primo grado che ha proceduto ad esame della parte offesa. Inoltre, non attenendosi soltanto a tale dato, i giudici di merito, e la Corte territoriale in particolare, hanno sottolineato come un riscontro completo alle affermazioni della vittima sia stato ricavato dai sopra indicati ulteriori univoci elementi di prova. 2.3. Con tale congrua, logica ed articolata motivazione, il ricorrente omette di confrontarsi preferendo insistere pedissequamente nei motivi di ricorso conducenti al giudizio di inammissibilità per aspecificità (cfr., Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, Palma, Rv. 221693). In ogni caso il ricorrente, riproponendo questioni in fatto, ha inteso sollecitare una rilettura di merito, del tutto impedita in sede di legittimità. 3. Manifestamente infondato, oltre che aspecifico, è anche il secondo motivo che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità dello stato di bisogno del danneggiato, ritenendo di essere in presenza di interessi economici immeritevoli di tutela. 3.1. Secondo l'insegnamento della Suprema Corte, in tema di usura, lo stato di bisogno in cui deve trovarsi la vittima per integrare la circostanza aggravante di cui all'art. 644 c.p., comma 5, n. 3 può essere di qualsiasi natura, specie e grado e può quindi derivare anche dall'aver contratto debiti per il vizio del gioco d'azzardo, non essendo richiesto dalla norma incriminatrice che il predetto stato presenti connotazioni che lo rendano socialmente meritevole (Sez. 2, n. 709 del 01/10/2013, dep. 2014, Mazzotta, Rv. 258072). Invero, si afferma nel citato precedente giurisprudenziale che, in tema di usura, lo stato di bisogno va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza nè la causa di esso, nè l'utilizzazione del prestito usurario. 3.1.1. Si è anche precisato (Sez. 2, n. 40526 del 12/10/2005, Lubreglia ed altro, Rv. 232667) che lo stato di bisogno in cui deve trovarsi la vittima può essere di qualsiasi natura, specie e grado, e quindi può essere determinato anche da debiti contratti per il vizio del gioco d'azzardo, non essendo richiesto dalla norma incriminatrice alcun requisito. E così, lo stato di bisogno oggi integrante circostanze aggravante speciale del delitto di usura (art. 644 c.p., comma 5, n. 3), ed in precedenza (prima delle modifiche introdotte dalla L. n. 108 del 1996) necessario ai fini dell'integrazione della stessa materialità del reato di usura, consiste, sotto il profilo soggettivo, in una particolare condizione psicologica, da qualsiasi causa determinata, in presenza della quale il soggetto passivo subisce una limitazione nella volontà di autodeterminazione, mentre, sotto il profilo obiettivo, esso può essere di qualsiasi natura, specie e grado, e può essere indifferentemente determinato da cause incolpevoli oppure da prodigalità od altre colpe inescusabili, e quindi, tra l'altro, può derivare anche dalla necessità di soddisfare un vizio (come quello del gioco d'azzardo), non essendo richiesto dalla norma incriminatrice alcun requisito di meritevolezza del bisogno considerato. 3.1.2. Non a caso, sia pure in riferimento alla precedente formulazione dell'art. 644 c.p., la Relazione al progetto definitivo del codice penale osservava che, nel delitto di usura, "non vi è ragion di avere riguardo alla moralità del soggetto passivo, giacchè si punisce non per tutelare i privati interessi di costui, ma per reprimere, nell'interesse pubblico, l'usura che non cessa di essere tale solo perchè esercitata a danno, anzichè di uno sventurato, d'un prodigo o di un vizioso". L'art. 644 c.p. ha, quindi, voluto colpire il disvalore di una condotta considerata dal legislatore come una grave forma di parassitismo, causa di vero e proprio allarme in una società civile, ed è per questo che non può e non deve rilevare la causa che ha determinato il bisogno e la relativa menomazione psicologica persegue; d'altro canto, l'usuraio è considerato persona socialmente nociva, che non cessa di essere tale quale che sia la natura o la causa del bisogno del creditore. 3.2. Lo stato di bisogno della vittima dell'usura (prima necessario ai fini dell'integrazione tout court della materialità del reato; oggi previsto come mera circostanza aggravante speciale) sussiste, pertanto, anche quando l'offeso abbia inteso insistere negli affari al di fuori di ogni razionale criterio imprenditoriale, o coltivare un proprio vizio, come quello del gioco. 4. Manifestamente infondato è il terzo motivo che invoca un più benevolo trattamento sanzionatorio avuto riguardo al modesto importo delle somme erogate e all'intervento salvifico eseguito in occasione del tentativo di suicidio della vittima. Costituisce ulteriore incontrastato insegnamento giurisprudenziale che l'indicazione in motivazione - con riferimento alla determinazione dell'entità della pena - degli elementi negativi ritenuti di dominante rilievo non rende necessario l'esame dettagliato degli ulteriori elementi rappresentati solo genericamente nel ricorso (Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252). E' quindi sufficiente, in considerazione dell'entità della pena determinata nella sentenza impugnata, il richiamo, tra i criteri di valutazione previsti dall'art. 133 c.p., unicamente alla capacità a delinquere dell'imputato, desunta dai precedenti penali, e alla gravità dei fatti per le particolari modalità di commissione. Allorchè la pena, come nel caso in esame, non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, l'obbligo motivazionale previsto dall'art. 125 c.p.p., comma 3 deve ritenersi assolto anche attraverso espressioni che manifestino sinteticamente il giudizio di congruità della pena o richiamino sommariamente i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall'art. 133 c.p. (cfr., Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo, Rv. 241189; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri, Rv. 237402). Nella fattispecie, la Corte territoriale ha incensurabilmente valorizzato la circostanza che, a fronte della "gravità dei fatti", della "reiterazione della condotta" e dell'"intensità del dolo", il D. si è visto riconoscere le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza ed escludere la recidiva, con conseguente immeritevolezza di ulteriori sconti di pena e benefici premiali. 5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila. PQM P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 6 luglio 2020. Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2020
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