RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20/03/2018, la Corte d'Appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza emessa in data 15/03/2011 dal Tribunale di Torino, con la quale B.G. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai delitti di usura in danno di Z.R.V. (capi A, A-bis) e di Z.S.R. (capo A), nonchè di tentata estorsione (capo B, in danno del solo Z.R.V.).
In particolare, la Corte d'Appello ha escluso la recidiva e ha dichiarato conseguentemente estinti per intervenuta prescrizione i reati di cui ai capi A-bis) e B) nonchè, quanto agli episodi delittuosi di cui al capo A), il reato di usura in danno di Z.S.R.; ha quindi rideterminato il trattamento sanzionatorio per le residue condotte usurarie contestate sub A) in danno di Z.R.V., confermando nel resto.
2. Ricorre per cassazione il B., a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge con riferimento alla mancata declaratoria di estinzione dell'usura sub A) in danno di Z.R.V..
Si censura la distinzione operata dalla Corte, in relazione a tale capo di accusa, tra il prestito accordato nel 2005 a Z. Silvio (consumatosi con la restituzione delle somme avvenute nello stesso anno, e perciò dichiarato estinto) e i prestiti concessi all'altra persona offesa nell'aprile 2005 e nel luglio 2006, in relazione ai quali la Corte territoriale ha valorizzato, ai fini della consumazione, i pagamenti a titolo di interessi avvenuti fino al gennaio 2008, ritenendo conseguentemente applicabili, anche ai fini del calcolo della prescrizione, le disposizioni più severe introdotte nell'art. 644 c.p. dalla L. n. 205 del 2005. Al riguardo, la difesa afferma che le tre pattuizioni usurarie menzionate nel capo A) dovrebbero essere considerate unitariamente perchè unificate dalla continuazione, e che la fase iniziale dell'attività illecita (ovvero il primo accordo usurario) risaliva all'aprile 2005, ovvero ad un momento anteriore alle modifiche legislative intervenute in tema di continuazione e di usura: in tale prospettiva, ad avviso del difensore, la pena dovrebbe essere calcolata nei limiti edittali ante riforma (da uno a sei anni) anche per i reati successivi, pur se protrattisi fino al 2008, perchè avvinti dalla continuazione. Conseguentemente, anche gli ulteriori reati dovrebbero essere considerati estinti per prescrizione.
3. Con requisitoria presentata ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 12-ter, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso. Si evidenzia che, per l'imputazione residua, la corresponsione dei pagamenti della persona offesa, riferibili alle dazioni usurarie dell'aprile 2005 e del luglio 2006, era proseguita fino al 2008: a tale data doveva quindi farsi riferimento - secondo la giurisprudenza di legittimità espressamente richiamata - per la consumazione del reato, con ogni conseguenza in ordine al calcolo del termine prescrizionale sia all'individuazione della pena edittale applicabile in caso di successione di leggi nel tempo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La giurisprudenza di questa Suprema Corte è assolutamente costante nell'affermare che "il reato di usura si configura come reato a schema duplice e, quindi, si perfeziona o con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, non seguita dalla effettiva dazione degli stessi, ovvero, quando questa segua, con l'integrale adempimento dell'obbligazione usuraria" (così ad es. Sez. Fer., n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, Rv. 248142, relativa ad una fattispecie in tema di prescrizione. In senso analogo, cfr. tra le altre Sez. 2, n. 50397 del 21/11/2014, Aronica, Rv. 261487, che ha affermato il medesimo principio in sede di individuazione della disciplina applicabile dopo le modifiche introdotte all'art. 644 c.p. dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251).
Dopo aver escluso la recidiva ritenuta dal primo giudice, la Corte d'Appello (pag. 10 segg. della sentenza impugnata) ha fatto buon governo di tali principi, distinguendo - ai fini del computo del termine massimo prescrizionale - tra gli episodi di usura consumatisi con l'integrale restituzione del prestito nella vigenza della pregressa e più favorevole disciplina, che prevedeva una pena edittale da uno a sei anni di reclusione (si tratta degli episodi contestati al B. ai capi A - limitatamente alle condotte in danno di Z.S.R. - e A-bis), e gli ulteriori episodi oggetto del capo A, posti in essere in danno di Z.V.R., in relazione ai quali era stata invece accertata la dazione di interessi usurari e la prestazione di lavoro sostitutivo almeno fino all'inizio del 2008 (ovvero dopo l'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, che ha inasprito la risposta sanzionatoria prevedendo una pena detentiva da due a dieci anni di reclusione).
In particolare, quanto alla prima categoria di condotte illecite del B. qui appena richiamate, la Corte d'Appello ha ritenuto ormai maturato il termine massimo di prescrizione, dichiarando conseguentemente l'estinzione dei reati; ad opposte conclusioni è pervenuta quanto alla seconda categoria, in considerazione del più severo regime edittale applicabile al momento della cessazione dei pagamenti. Per le condotte usurarie di cui al capo A) in danno di Z.V.R. il termine prescrizionale è stato individuato nel mese di luglio 2020, aumentando di un quarto il termine di dieci anni correlato al nuovo massimo edittale (in tale computo, peraltro, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto - cfr. pag. 10 - che l'aggravante speciale di cui all'art. 644, comma 5, n. 4, c.p., fosse stata "neutralizzata anche riguardo alle ripercussioni sulla prescrizione" dalla concessione delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza. Si tratta peraltro di un errore ininfluente nell'economia della decisione, per le ragioni qui subito esposte).
3. Come già accennato, il ricorrente ha censurato la decisione della Corte d'Appello sostenendo che, per l'unicità del disegno criminoso comune a tutte le fattispecie di usura, dovrebbe aversi riguardo - sia quanto alla disciplina applicabile, sia quanto al calcolo dei termini prescrizionali - al momento iniziale dell'attività illecita, collocato in epoca anteriore alla novella.
L'assunto è manifestamente infondato, alla luce sia degli insegnamenti giurisprudenziali sopra richiamati, sia dell'ulteriore fondamentale principio per cui per cui l'istituto della continuazione non comporta l'ontologica unificazione dei diversi reati avvinti dal vincolo del medesimo disegno criminoso, essendo fondato su una mera fictio iuris a fini di temperamento del trattamento penale (Sez. 3, n. 54182 del 12/09/2018, Pettenon, Rv. 275296), con conseguente necessità di considerare il reato continuato un fenomeno unitario solo per i fini previsti espressamente dalla legge (Sez. 5, n. 41275 del 19/03/2015, G., Rv. 264817); sia anche del chiaro tenore dell'art. 644-ter c.p., che, per i delitti di usura, individua il dies a quo del termine prescrizionale nel giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale (disposizione che verrebbe evidentemente resa inoperante, nella prospettiva dedotta in ricorso).
4. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del B. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2020