RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza in data 14 dicembre 2015 la corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia di primo grado emessa dal Tribunale di Patti il 21 gennaio 2014, dichiarava non doversi procedere nei confronti di C.A. in ordine ai reati allo stesso ascritti di tentata violenza privata e minaccia aggravata ai danni di S.A. e rideterminava la pena, in ordine ai rimanenti delitti di usura aggravata in danno dello stesso S. e di F.G. contestati ai capi nn. 5 e 6, in anni 3, mesi 6 di reclusione ed Euro 7.700,00 di multa.
1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa del C.; con il primo motivo deduceva violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione agli artt. 522 e 181 c.p.p. per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione n. 5.
Difatti all'imputato venivano contestate genericamente differenti condotte riguardanti sia prestiti dall'ammontare indeterminato di vecchie lire sia la concessione di altro prestito portato da un solo assegno dall'importo di Euro 10.000 del 2002, fatto per il quale risultava affermata la responsabilità in primo grado.
Con il secondo motivo lamentava violazione dell'art. 192 c.p.p. in ordine alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa S.A. la cui attendibilità intrinseca risultava affermata in maniera aprioristica, senza tenere conto dello specifico interesse; inoltre, si rappresentava al proposito che l'assegno di 10.000 Euro non era stato rinvenuto, che mancavano indicazioni precise riguardo allo stesso ed, altresì, che l'analisi degli estratti conto del C. intrattenuti con gli istituti di credito non aveva fatto emergere alcuna operazione di tale importo, senza che la sussistenza di altri titoli o di rapporti analoghi con differenti soggetti potesse fare venire meno il rilievo decisivo di tale dato.
Con il terzo motivo si lamentava violazione degli artt. 210 e 64 c.p.p. in relazione alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal F.G. sia in sede dibattimentale che durante le indagini, ed acquisite con il consenso delle parti, posto che lo stesso avrebbe dovuto essere escusso quale imputato di reato connesso di favoreggiamento poichè, una prima volta sentito in sede di perquisizione nella sua abitazione, aveva negato di avere ricevuto prestiti usurari dal C..
In ogni caso le dichiarazioni del F. non potevano essere valutate alla stregua di quelle di un testimone interessato ma, in quanto provenienti da indagato di procedimento connesso, andavano valutate ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 3 mentre la corte di appello non aveva valorizzato adeguati elementi di riscontro.
Con ulteriori motivi deduceva ancora:
- Violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. d) per mancata assunzione di prove decisive;
E erronea applicazione dell'art. 157 c.p. in relazione all'art. 644 c.p. con riferimento alla mancata declaratoria di prescrizione dei reati di cui ai capi 5 e 6 dell'imputazione, non essendovi prova della consumazione dei fatti sino al 2007 e non potendo l'elemento decisivo indicato dall'art. 644 ter c.p. costituito dal versamento di somme a titolo di interessi usurari, comunque ricavarsi dalla sola richiesta di versamento delle somme a tale titolo richiamata dai giudici di appello come elemento decisivo, facendo appunto l'art. 644 ter c.p. esclusivo riferimento alla dazione di interessi usurari per determinare lo spostamento della decorrenza del termine di prescrizione;
- violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche;
- violazione di legge e motivazione mancante in relazione alle statuizioni civili posto che la provvisionale liquidata era eccessiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.1 Quanto al primo motivo, con il quale il ricorrente eccepisce la nullità dell'imputazione elevata al capo n. 5, va ricordato che per costante interpretazione di questa corte in tema di citazione a giudizio, non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi (Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013, Rv. 258948). Al proposito tale principio è stato oggetto anche di approfondimento e specificazione con varie successive affermazioni secondo le quali non sussiste alcuna incertezza sull'imputazione, quando questa contenga con adeguata specificità i tratti essenziali del fatto di reato contestato in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa; la contestazione, inoltre, non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l'imputato in condizione di conoscere in modo ampio l'addebito (Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, Rv. 265825). L'applicazione pratica di tali affermazioni ha portato ad escludere la nullità del capo di imputazione quando oggetto della contestazioni siano condotte reiterate pur se le stesse non vengano analiticamente e singolarmente individuate; così si è affermato che in tema di reati tributari, la mancanza nel capo di imputazione di una specifica e analitica indicazione di tutte le fatture ritenute falsificate o contraffatte non comporta alcuna genericità o indeterminatezza della contestazione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, allorchè tali documenti siano agevolmente identificabili attraverso il richiamo ad una categoria omogenea che ne renda comunque possibile la individuazione (Sez. 3, n. 6102 del 15/01/2014, Rv. 258905). Analogamente deve affermarsi che in tema di usura continuata non sussiste alcuna nullità del capo di imputazione quando all'imputato siano contestati i plurimi rapporti instaurati con un determinato soggetto ove si faccia riferimento alla persona offesa dal reato ed ad un determinato arco temporale.
L'applicazione del predetto principio comporta il rigetto del primo motivo poichè nel caso di specie vi è sufficiente indicazione dei fatti contestati e delle condotte dalle quali l'imputato è chiamato a difendersi nella specie costituite dalla concessione di prestiti ad usura nei riguardi del S. uno dei quali dell'importo di Euro 10.000.
2.2 In relazione alla seconda doglianza, il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito appare conforme ai criteri dettati da questa Corte e secondo cui le dichiarazioni della persona offesa - cui non si applicano le regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104). E si è anche affermato che in tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575), nel caso di specie evidentemente non ravvisabili, posto che il giudice di appello, nella ampia motivazione sul punto, ha negato valenza decisiva alle dedotte contraddizioni evidenziando i davvero consistenti elementi di riscontro e conforto alla tesi accusatoria esposta dal S. nella propria dichiarazione, costituiti dal rinvenimento di numerosi titoli in possesso del C. che non trovano alternativa spiegazione se non la concessione di ripetuti prestiti e nelle dichiarazioni di altre vittime di fatti analoghi. Il percorso argomentativo seguito dal giudice di appello appare pertanto privo delle lamentate censure poichè il dato della mancata individuazione specifica di un singolo assegno pare non decisivo a fronte della avvenuta individuazione di un rapporto usurario protratto nel tempo come documentato dalla presenza di vari assegni.
2.3 Inammissibile è il terzo motivo per un duplice ordine di considerazioni; in primo luogo va ricordato che la doglianza relativa alla inutilizzabilità della dichiarazione resa quale testimone c.d. puro dalla persona offesa F. è stata sollevata solo con i motivi nuovi di appello. Orbene, per costante interpretazione di questa corte, l'art. 585 c.p.p., comma 4 permette la proposizione di nuove doglianze necessariamente connesse a quelle oggetto dei motivi principali e non completamente estranee all'oggetto del devolutum principale. Si è così chiarito che i "motivi nuovi" a sostegno dell'impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell'art. 585 c.p.p., comma 4, quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311 c.p.p., comma 4) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611 c.p.p., comma 1), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame ai sensi dell'art. 581 c.p.p., lett. a), (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Rv. 210259). E tale generale principio stabilito dalle Sezioni Unite ha avuto applicazione anche in tema di deduzione di violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) relativamente ad una fattispecie di inutilizzabilità del risultato delle intercettazioni dedotta solo come motivo nuovo per la quale si è analogamente affermato che deve ritenersi inammissibile un motivo nuovo di ricorso, presentato ai sensi dell'art. 585 c.p.p., comma 4, avente ad oggetto un punto della decisione non investito dall'atto di ricorso originario, operando la preclusione prevista dall'art. 167 disp. att. trans. anche se la deduzione riguarda l'inutilizzabilità prevista dall'art. 191 c.p.p., comma 2, occorrendo pur sempre che l'eccezione venga proposta con l'atto di ricorso principale (Sez. 1, n. 33662 del 09/05/2005, Rv. 232406).
Orbene, l'applicazione dei sopra esposti principi, porta a concludere che anche il motivo relativo alla inutilizzabilità non può essere eccepito con i motivi nuovi di appello poichè non oggetto dei motivi principali. La deduzione di inutilizzabilità affronta un punto autonomo della decisione non devoluto all'esame del giudice di secondo grado con i motivi principali ed è pertanto non ammissibile; sicchè nel caso in esame non avendo il difensore eccepito l'inutilizzabilità delle dichiarazioni del F. per violazione dell'art. 64 c.p.p. con i motivi principali tale eccezione alla luce della sopra esposta giurisprudenza di questa corte, non poteva essere dedotta con i motivi nuovi come invece avvenuto secondo quanto risulta dalla consultazione degli atti di appello.
In ogni caso, va ricordato come questa sezione della corte di cassazione abbia al proposito anche affermato che la qualità di indagato non può essere stabilita dal giudice in via presuntiva, in quanto essa va desunta dall'iscrizione nell'apposito registro a seguito di specifica iniziativa posta in essere dal pubblico ministero o da un fatto investigativo, come l'arresto o il fermo, che qualifichi di per sè il soggetto come persona sottoposta ad indagini, con la conseguenza che la persona offesa che ha reso alla polizia giudiziaria versioni contrastanti sui fatti, non può, per ciò solo, essere considerata indagata di favoreggiamento personale, da intendersi collegato a quello per cui si procede, ai sensi dell'art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), (Sez. 2, n. 40575 del 24/09/2014, Rv. 260362). E nel caso in esame non vi è alcuna prova della natura di indagato di F. nè la stessa risulta in alcun modo provata dal ricorrente che si limita a dedurre l'esistenza di una prima dichiarazione della predetta persona offesa nella quale non avrebbe riferito circa i prestiti ad usura concessigli dal C., senza però che vi sia alcuna specifica indicazione del verbale nel contesto del quale il supposto reato di favoreggiamento sarebbe stato commesso. Va pertanto ancora ricordato come in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l'omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, provvedere alla trascrizione in ricorso dell'integrale contenuto degli atti medesimi, nei limiti di quanto già dedotto, perchè di essi è precluso al giudice di legittimità l'esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009, Rv. 243225).
2.4 Anche il motivo relativo alla dedotta mancata assunzione di prove decisive è inammissibile perchè manifestamente infondato posto che la corte di appello di Messina ha adeguatamente spiegato per quale ragione ritenere non rilevante ai sensi dell'art. 603 c.p.p. la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello con valutazione che pare fondata sul richiamo di vari atti processuali ed esente dalle lamentate censure.
2.5 Ben più complessa si profila la questione relativa alla dedotta intervenuta prescrizione di cui il ricorrente lamenta la maturata decorrenza già alla data di emissione della pronuncia di appello (14-12-2015).
Al proposito va premesso che il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie - destinate strutturalmente l'una ad assorbire l'altra con l'esecuzione della pattuizione usuraria - aventi in comune l'induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l'una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l'altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato. Nella prima il verificarsi dell'evento lesivo dei patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all'eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell'illecito il quale, nel caso di integrale adempimento dell'obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell'obbligazione rimasta inadempiuta (Sez. 2, n. 38812 del 01/10/2008, v. 241452). In definitiva, tale orientamento giurisprudenziale, che pare seguito con costanza da questa sezione, differenzia le diverse ipotesi in cui alla pattuizione degli interessi usurari ne sia seguito il pagamento, ed allora tale fatto costituisce elemento costitutivo dell'illecito, l'evento del delitto di cui all'art. 644 c.p. da cui decorre il termine di prescrizione, dal caso diverso in cui non vi sia adempimento della pattuizione usuraria. Nel secondo caso quando cioè alla pattuizione degli interessi usurari non sia seguito alcun pagamento degli stessi il delitto è consumato al momento del raggiungimento dell'accordo circa il rapporto di mutuo tra le parti e da tale data deve necessariamente decorrere il termine di prescrizione. Viene quindi riaffermata la tesi secondo cui il reato di usura rientra nel novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata perchè i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come "post factum" non punibile dell'illecita pattuizione (Sez. 2, n. 33871 del 02/07/2010, Rv. 248132).
Pertanto, la qualificazione del reato di usura quale delitto istantaneo ad effetti permanenti non è più attuale ed è stata superata da più recenti decisioni, oltre che ripudiata dalla quasi generalità della dottrina. L'occasione per il mutamento di indirizzo è stata offerta dalla riforma del reato di usura del 1996, che ha introdotto una speciale regola in tema di decorrenza della prescrizione, l'art. 644 ter c.p., il quale stabilisce che "la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale". Tale statuizione, infatti, non è allineata con l'orientamento che attribuiva all'usura la natura di reato istantaneo, sia pure con effetti permanenti, e rappresenta un segnale forte di superamento di quella visione del delitto tutta incentrata sul momento della pattuizione. Così che, in tema di usura, qualora alla promessa segua - mediante la rateizzazione degli interessi convenuti - la dazione effettiva di essi, questa non costituisce un post factum penalmente non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell'originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo "sostanziale" del reato, necessariamente realizzandosi, così, una situazione non assimilabile alla categoria del reato eventualmente permanente, ma configurabile secondo il duplice e alternativo schema della fattispecie tipica del reato, che pure mantiene intatta la sua natura unitaria e istantanea, ovvero con riferimento alla struttura dei delitti cosiddetti a condotta frazionata o a consumazione prolungata.
Fatta tale doverosa premessa in ordine alla struttura del delitto, occorre poi chiarire il senso ed il significato dell'art. 644 ter c.p. secondo cui "la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale"; introdotto con la riforma del reato in oggetto di cui alla legge n.108 del 1996 la predetta norma ha certamente inteso evitare che facendo decorrere la prescrizione dal momento della sola c.d. pattuizione degli interessi usurari che identifica il momento consumativo del reato, i rapporti caratterizzati da un lungo arco temporale, e per ciò solo già maggiormente afflittivi e significativi di capacità criminale, fossero destinati alla prescrizione ove la stessa venisse fatta decorrere sempre dal momento del contratto di mutuo tra le parti e cioè del sinallagma contrattuale. Può pertanto dirsi che la introduzione dell'art. 644 ter c.p. ha inteso definitivamente suggellare il superamento della teoria della usura come reato a struttura esclusivamente sinallagmatica, che si consuma al momento dell'accordo, individuando l'evento lesivo del patrimonio del danneggiato come momento significativo, pur se non indispensabile, del reato e dal quale decorre la prescrizione.
Quanto alla identificazione del momento della "riscossione" che a norma del suddetto articolo costituisce il momento ultimo dal quale decorre la prescrizione, questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass.Sez. 2, 11 aprile 2012 n.13418) che deve ritenersi che si abbia "riscossione" ai sensi dell'art. 644 ter c.p. quante volte la percezione di somme o altre utilità, da parte dell'autore del reato, in dipendenza del rapporto usurario, sia comunque la conseguenza di opportunità volontariamente offertegli dalla vittima, anche quando, in concreto, nel momento finale della realizzazione dell'interesse dell'usuraio, manchi la collaborazione dell'usurato. Tanto avviene quando il credito usurario sia realizzato in tutto o in parte in sede esecutiva mediante strumenti legali assicurati dal debitore, essendo in particolare originariamente immanente nella costituzione di un rapporto cartolare, la prospettiva di un adempimento coattivo agevolato dalla natura del titolo, in luogo dell'adempimento volontario del debitore.
La tesi della rilevanza ai fini della individuazione del momento consumativo ultimo del reato e della decorrenza del termine di prescrizione dell'ultimo dei pagamenti degli interessi usurari o del capitale, è stata altresì validata da questa corte in altre e differenti pronunce anche recenti (Sez. 2, ordinanza n.4270 del 2018; 23 giugno 2016 n.29882), con la precisazione che costituiscono ipotesi di riscossione anche le attività di rinnovazione dei titoli portanti il credito usurario (Sez. 2, 17, maggio 2017 n. 29492), l'esecuzione forzata (Sez.2, 31 gennaio 2017 n. 18714), la monetizzazione delle cambiali rilasciate dalla vittima (Sez. 2, 4 giugno 2014 n. 37694; 26 novembre 2013 n. 13551/2014).
Conseguentemente, per riscossione ai sensi dell'art. 644 ter c.p. va inteso o il momento del pagamento da parte del debitore di parte o tutto del capitale o degli interessi usurari, o la rinnovazione dei titoli, ovvero la realizzazione del credito in sede esecutiva ma non anche la semplice proposizione di richieste informali o meno all'indirizzo del debitore. Con la precisazione che costituiscono attività di riscossione idonee a spostare il termine di prescrizione ex art. 644 ter c.p. anche quelle condotte di apprensione del patrimonio del debitore effettuate attraverso il ricorso alla procedura esecutiva che determinano il vincolo anche parziale del patrimonio e che in quanto tali appaiono rientrare nel novero delle attività di riscossione forzata.
Il tema della prescrizione e dell'identificazione del momento iniziale della stessa inoltre si intreccia con quello relativo alla identificazione del termine massimo per il verificarsi della causa estintiva; posto infatti che con la legge c.d. Cirielli (L.n.251 del 5 dicembre 2005) la pena massima del delitto di cui all'art. 644 c.p. è stata elevata da anni 6 ad anni 10, ne deriva affermare che ove sia avvenuto il pagamento di somme a titolo di interessi dopo tale data (5-12-2005) il termine prescrizionale massimo è pari ad anni 12 e mesi 6, mentre ove non vi sia prova di un tale evento, idoneo a spostare in avanti la consumazione del delitto di usura secondo la formula della c.d. doppia fattispecie, il termine di prescrizione avuto riguardo alla pena massima di anni 6 è quello di anni 7 e mesi 6, pari cioè alla pena massima prevista ante dicembre 2005 aumentata di un quarto per l'effetto interruttivo. Tuttavia quando come nel caso di specie siano contestate circostanze aggravanti di cui all'art. 644 c.p., comma 5 la pena massima, aumentata della metà, ascende ad anni 9 sicchè il termine prescrizionale finale va individuato in anni 11 e mesi 3 (anni 9 + 1/4). A tale termine poi vanno aggiunti i periodi di sospensione che sono determinati nella sentenza di primo grado in anni 1, mesi 10 e giorni 10 (vedi pagina 7 sentenza di primo grado) e corrispondono ad effettivi rinvii.
Orbene, dalla lettura delle pronunce di primo e secondo grado risulta, quanto all'usura in danno del S., che questi venne obbligato a fronte della corresponsione del prestito di Euro 10.000 nel 2002 a consegnare due assegni in bianco rinvenuti nel possesso del C. in occasione della perquisizione operata nella abitazione dell'imputato nel luglio 2007 e ad effettuare periodiche consegne di merci per un importo di ben 14.000 Euro nei successivi anni; se pertanto, così come dedotto dal ricorrente, la sentenza di appello ha ancorato il momento iniziale della prescrizione ad un dato non decisivo, la sola richiesta di ulteriori pagamenti effettuata nel settembre 2006 che non pare idonea ad integrare la condizione prevista imprescindibilmente dall'art. 644 ter c.p. e costituita dalla "ultima riscossione", è certo però che l'accertamento dei fatti compiuto nei due gradi di giudizio ha fatto emergere che il C. era ancora in possesso di assegni dati in garanzia per la restituzione delle somme concesse in prestito nel 2007 e che lo stesso aveva negli anni successivi al 2002 ricevuto merce in pagamento degli interessi usurari per un importo considerevole che il Tribunale individua in 11.559,72 (vedi pagina 10 della sentenza di primo grado). Ne deriva affermare non avere il ricorrente provato con la dovuta certezza l'intervenuta prescrizione del reato, poichè la tesi della consumazione alla data del 2002, di cui a pagina 17 del ricorso, è certamente smentita da plurimi elementi di fatto che dimostrano la prosecuzione del pagamento degli interessi usurari e del capitale negli anni successivi al 2002 e l'avvenuta consegna di altri titoli, adeguatamente ricostruiti dai giudici di merito e non oggetto peraltro di adeguata contestazione sotto il profilo del travisamento della prova. Ed al proposito basta ancora osservare che il termine prescrizionale non risulterebbe decorso nemmeno alla data odierna aggiungendo l'effetto della contestazione della aggravante ed il periodo di sospensione.
A differenti conclusioni deve invece pervenirsi quanto alla usura in danno del F.; la corte di appello ancora l'ultima erogazione alla data dell'i novembre 2002 (vedi pagina 9 sentenza di secondo grado), ritenendo rilevante la maturazione degli interessi in data successiva anche in presenza di ulteriori richieste di pagamento avanzate nel tempo dal C.. Tuttavia, per le considerazioni già espresse, tali condotte non paiono idonee ad affermare la sussistenza dei presupposti per l'operatività dell'art. 644 ter c.p. che richiede immancabilmente per la protrazione del termine di prescrizione l'effettiva riscossione di somme, siano esse a titolo di capitale che di interessi. Mancando nel caso di specie prova di tali riscossioni, deve necessariamente farsi riferimento all'ultimo momento individuato dalla corte di appello e cioè all'1-11-2002 come momento consumativo finale ed alla pena allora vigente per il reato di usura aggravata pari come detto ad anni 6, aumentati della metà per effetto del riconoscimento della aggravante ad anni 9, prorogati di un quarto per effetto dell'interruzione e così sino ad anni 11 e mesi 3 cui va aggiunto il periodo di sospensione in precedenza citato per un termine complessivo finale pari ad anni 13, mesi 1 e giorni 10. Sommato tale periodo a quello di consumazione dei fatti il termine finale di prescrizione va fissato al 16 dicembre 2015 e cioè esattamente dopo la emissione della sentenza di appello ed in pendenza del presente ricorso per cassazione.
Nè può dedursi che in tal caso applicando la nuova disciplina della prescrizione introdotta dalla L. n. 251 del 2005 ma la vecchia pena vigente al momento della consumazione dei fatti si produrrebbe l'effetto di applicare simultaneamente disposizioni diverse; questa corte in tema di prescrizione del reato di usura commesso anteriormente il dicembre del 2005 ha già statuito che la disciplina della prescrizione più favorevole in riferimento ai reati di usura commessi prima dell'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, la quale ha contestualmente modificato i termini di prescrizione dei reati in generale ed ha aumentato la pena detentiva edittale massima per il reato di usura portandola da sei a dieci anni, è quella contenuta nell'indicata novella. E la Corte ha escluso in motivazione che l'applicazione del nuovo più breve termine prescrizionale parametrato alla pregressa più lieve pena si risolva nella indebita creazione di una "tertia lex"(Sez. 2, n. 26312 del 22/06/2010, Rv. 247743). Difatti l'unica disciplina che va applicata "in blocco" senza possibilità di interpretazione cumulata è quella della prescrizione che va applicata o interamente nella versione anteriore ovvero in quella successiva le modifiche della c.d. legge Cirielli; viceversa quanto alla determinazione della pena edittale massima sulla quale poi calcolare il termine di prescrizione vale il principio fondamentale dettato all'art. 2 c.p., comma 4, secondo cui se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. Deve pertanto essere affermato che in caso di consumazione del reato di usura anteriormente alla entrata in vigore della legge c.d. Cirielli del dicembre 2005, il termine di prescrizione va calcolato facendo riferimento alla disciplina più favorevole prevista dall'art. 157 e segg. ma la pena edittale su cui calcolarlo è quella prevista dalla previgente disciplina dell'art. 644 c.p. con gli eventuali aumenti per le aggravanti ad effetto speciale.
Ne deriva affermare l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al capo n.6 della rubrica, l'usura in danno del F., con rinvio alla corte di appello di Reggio Calabria per la rideterminazione della pena, essendo tale fatto individuato come reato più grave nel calcolo della continuazione.
Ai sensi dell'art. 578 c.p.p. avendo la domanda principale avanzata dal ricorrente non trovato accoglimento anche per quanto attiene la fattispecie di usura in danno del F., la cui esistenza risulta verificata all'esito dei due gradi di giudizio di merito, ne consegue la conferma integrale delle statuizioni civili.
2.6 Quanto alle ulteriori doglianze proposte, e da esaminare in relazione al capo n. 5 per il quale è stata dichiarato il rigetto del gravame, la mancata concessione delle attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da vizi ed adeguatamente esposta dal giudice di appello alla pagina 12 della motivazione ove viene fatto riferimento alla gravità dei fatti commessi in un lungo arco temporale ed ai danni di più soggetti. Analogamente deve ritenersi quanto alla disposta provvisionale che i giudici di merito hanno ancorato ad aspetti concreti del fatto e del danno cagionato con motivazione esente da ogni illogicità.
Conseguentemente il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, che si liquidano, per S.A. in Euro 3510,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA con distrazione a favore dell'avv.to Massimiliano Fabio antistatario, per F.G. in Euro 3510,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA, per il comune di Brolo ed A.C.I.B. in Euro 4212,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo n.6 della rubrica per essere il reato estinto per prescrizione e rinvia per la determinazione della pena alla corte d'appello di Reggio Calabria con conferma delle statuizioni civili. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità per il capo di imputazione n. 5. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, che liquida, per S.A. in Euro 3510,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA con distrazione a favore dell'avv.to Massimiliano Fabio antistatario, per F.G. in Euro 3510,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA, per il comune di Brolo ed A.C.I.B. in Euro 4212,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2018