Violenza privata: condannati attivisti che irrompono in un convegno
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Cassazione penale sez. V, 14/12/2020, n.6208

L'elemento oggettivo del reato di violenza privata è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, diversa dal fatto in cui si esprime la violenza, sicché il delitto di cui all'art. 610 c.p. non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l'evento naturalistico del reato, ossia il "pati" cui la persona offesa sia costretta. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il reato di violenza privata nella condotta di un gruppo di manifestanti che, dopo aver fatto irruzione nella sala di un convegno, avevano minacciato il relatore, così da costringere questi ed i partecipanti a subire, per un apprezzabile lasso temporale, l'interruzione dell'attività scientifica in atto).

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, emessa il 20 dicembre 2018, la Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale in sede del 6 giugno 2017, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di M.F. per i reati di minaccia aggravata e violenza privata in danno di N.M., magistrato in servizio presso il Tribunale di Torino, per avere l'imputato, unitamente ad oltre eventi persone, fatto irruzione nella sala dell'ordine forense dove si teneva un convegno, interrompendo la relazione del predetto magistrato e rivolgendogli frasi del tipo "lei è un bastardo...sappiamo dove abita e cosa fa....ogni sfratto anticipato sarà un casino assicurato...oggi parliamo solo...ma non finisce così...lei non potrà far più un passo senza che noi la seguiamo".

2.Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto a firma del difensore, Avv. Claudio Novaro, deducendo, con unico motivo, violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento al reato di violenza privata, insussistente per essersi la condotta risolta in un mero pati, senza che alla stessa conseguisse alcun evento costrittivo, e per essere stata, in ogni caso, l'irruzione dei manifestanti limitata in un lasso temporale insignificante.

3. Con requisitoria scritta ex D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.

1. La Corte d'appello di Milano ha fatto corretta applicazione dei principi espressi, con orientamento consolidato, da questa Corte di legittimità (Sez. 5, n. 10132 del 05/02/2018, Ippolito, Rv. 272796; N. 2480 del 2000 Rv. 216545, N. 35237 del 2008 Rv. 241159, N. 1215 del 2015 Rv. 261743, N. 44548 del 2015 Rv. 264685, N. 47575 del 2016 Rv. 268405).

1.1. Dalle conformi sentenze di merito risulta che la condotta contestata all'imputato è stata ravvisata nell'irruzione, unitamente ad un gruppo di manifestanti, componenti del "movimento antagonista torinese", nella sala convegni di palazzo (OMISSIS), dove si teneva un convegno in materia di sfratti ed era in corso la relazione del magistrato del Tribunale di Torino, N.M., al quale venivano rivolte le espressioni minacciose sub b), interrompendone l'esposizione.

Ed è alla stregua di siffatta evenienza che la Corte territoriale ha ritenuto integrato un evento diverso ed ulteriore rispetto alla mera soggezione degli astanti rispetto all'incursione dei manifestanti, ravvisando una costrizione dei presenti ulteriore rispetto alla mera presenza dei militanti, oltre alle condotte ex se integratrici dell'ulteriore fattispecie di reato. Richiamata la necessità, ai fini dell'integrazione della fattispecie di violenza privata, della necessaria distinzione tra condotta - violenta o minacciosa - ed evento - costrizione - che a tale condotta consegua, la Corte territoriale ha ritenuto integrato il secondo profilo evocato in relazione all'interruzione della relazione in corso di svolgimento.

1.2. La ricostruzione in fatto operata dai giudici del merito non è contestata dal ricorrente, che censura l'applicazione dell'art. 610 c.p.ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in riferimento all'erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza), ovvero l'erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l'erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto la fattispecie astratta), oltre al vizio di motivazione, postulando l'assenza di un "evento costrizionale" tanto per le modalità della condotta, risoltasi in se in un mera tolleranza dell'altrui presenza, che per l'insignificante riduzione della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo del reato, in correlazione della ridottissima durata temporale dell'incursione.

2. Le censure svolte dal ricorrente non sono fondate.

2.1. Secondo il consolidato insegnamento di legittimità, autorevolmente espresso (Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 - dep. 2009, Giulini, in motivazione) ed unanimemente seguito (Sez. 5, n. 10132 del 05/02/2018, Ippolito, Rv. 272796; N. 35237 del 2008 Rv. 241159, N. 1215 del 2015 Rv. 261743, N. 44548 del 2015 Rv. 264685, N. 47575 del 2016 Rv. 268405), l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 610 c.p., è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa "deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di "qualcosa" di diverso dal "fatto" in cui si esprime la violenza", sicchè "la coincidenza tra violenza" - e la minaccia - "e l'evento di "costrizione a tollerare" rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all'art. 610 c.p." (Sez. U, n. 2437 del 2009, cit.).

Da siffatte premesse è stato enucleato il principio di diritto affermato da questa Corte - e richiamato dalla Corte territoriale - secondo cui il delitto di cui all'art. 610 c.p. non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l'evento naturalistico del reato, ovvero il peti cui la persona offesa sia costretta: "L'elemento oggettivo del delitto di violenza privata è, dunque, costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, poichè in assenza di tale determinatezza, possono integrarsi i singoli reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non quello di violenza privata" (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. Altoè, Rv. 268405), in quanto "l'evento del reato, nell'ipotesi di ricorso alla violenza, non può coincidere con il mero attentato all'integrità fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua libertà di movimento conseguente e connaturata all'aggressione fisica subita" (Sez. 5, n. 1215 del 06/11/2014 - dep. 2015, Calignano, Rv. 261743, che ha sottolineato la necessità, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 610 c.p., di un aliquid diverso dal fatto concretante la violenza).

2.2. Nel quadro così delineato, la questione di diritto proposta all'esame di questa Corte si traduce nella valutazione del se, nel caso di specie, sia ravvisabile la costrizione a tollerare "qualcosa" di diverso ed ulteriore" rispetto alla mera irruzione ed ai fatti di minaccia contestati.

Come premesso, i giudici del merito hanno, al riguardo, valorizzato le connotazioni dell'azione - durata per un apprezzabile lasso temporale - e la conseguente costrizione del relatore e del pubblico a tollerare non solo la presenza dei manifestanti, ma a subire l'interruzione dell'attività scientifica in atto, ripresa solo in seguito all'allontanamento forzoso dalla sala del gruppo di manifestanti.

Nei termini indicati, la qualificazione della fattispecie concreta non risulta censurabile.

Richiamandosi il fondamento di ragione enunciato nella già citata sentenza di questa Sezione n. 47575 del 2016, evocata dal medesimo ricorrente, nel caso al vaglio è dato ravvisare - diversamente dalla fattispecie in quella decisione disaminata - un evidente rapporto di alterità tra l'irruzione dei manifestanti - determinante un mero pati - e la successiva ed autonoma costrizione coercitiva, effettivamente realizzatasi nell'interruzione della relazione; interruzione, questa, che ha riguardato, nel contempo, l'esposizione del relatore e la formazione del pubblico intervenuto, in tal guisa sottoponendo tutti gli astanti ad un evento diverso ed ulteriore rispetto alla tolleranza della presenza dei contestatori e delle minacce comunque rivolte al relatore.

Non colgono, pertanto, nel segno le censure del ricorrente che, da un lato, si limitano a valorizzare l'unitarietà del contesto spazio-temporale, ex se insufficiente ad escludere il profilo di alterità dell'evento aggiuntivo invece nel caso ravvisato, e che, dall'altro, spostano il fuoco dell'indagine sul dolo, asseritamente insussistente ed invece integrato dalla inevitabile - e non contestata - rappresentazione dell'attività in corso di svolgimento e dalla volontà della sua interruzione; fine, peraltro, alla cui realizzazione l'azione di protesta era preordinata, come evincesi anche dall'esplicito contenuto semantico delle contestuali minacce rivolte dall'imputato al relatore.

2.3. Nè le pronunce di questa Corte richiamate dal ricorrente smentiscono le conclusioni raggiunte.

La sentenza di questa Sezione n. 47575 del 2016, già richiamata, ha escluso la configurabilità del reato di violenza privata nella condotta degli imputati che, nel corso di una manifestazione sulla pubblica via, si erano introdotti per pochi istanti nei locali di una ditta dopo avere spinto una delle impiegate, in quanto la violenza aveva coinciso con la "costrizione a tollerarne" la mera presenza, escludendo qualsivoglia evento aggiuntivo, mentre, come rilevato, nel caso di specie la costrizione si è dispiegata nell'interruzione del convegno, in tal guisa venendo a configurarsi il nesso di strumentalità tra l'irruzione e le minacce ed un evento ulteriore di tipo costrittivo.

In altri termini, nel caso di specie è la stessa imputazione a contenere espliciti riferimenti ad una costrizione rivolta, oltre che all'imposizione della presenza dei manifestanti ed alle minacce rivolte al relatore, anche ad impedire a questi di proseguire nella esposizione ed ai presenti di ascoltarla, tanto integrando un evento autonomo e distinto dalla mera soggezione alle condotte di protesta.

La pronuncia in esame ha, dunque, dato conto, ai fini della sussistenza del reato di violenza privata, della ravvisabilità, nella fattipecie concreta, di ""qualcosa" di diverso" dai fatti di violenza o minaccia contestati.

2.4. Nè la sussistenza del reato è esclusa dalla asserita inoffensività della costrizione in quanto, da un lato, è irrilevante, per la consumazione del reato, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo (Sez. 5, n. 3403 del 17/12/2003 - dep. 2004, Agati, Rv. 228063); dall'altro, le circostanze del concreto contesto esprimono, tanto in riferimento al numero dei manifestanti che dei presenti al convegno, una durata del tutto significativa dell'evento costrittivo, protrattasi almeno per il tempo necessario al ripristino dell'ordine pubblico.

Il ricorso è, pertanto, manifestamente infondato.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento di una sanzione in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in Euro tremila.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

Violenza privata: condannati attivisti che irrompono in un convegno

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