Violenza privata: in caso di minacce a giornalista può sussistere l'aggravante dell'agevolazione del sodalizio mafioso
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Cassazione penale sez. V, 07/12/2021, n.2725

Sussiste l'aggravante dell'agevolazione del sodalizio mafioso nel caso di minacce rivolte ad un giornalista con il fine di ottenere il cd. "silenzio giornalistico", per consentire al clan di continuare ad agire secondo logiche criminali in maniera indisturbata. (Fattispecie in tema di tentata violenza privata realizzata dall'imputato collegandosi attraverso il "social network FB" al sito internet della testata "online" e inviando dai propri profili ripetuti "post" minacciosi).

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 16/06/2020 la Corte di Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza pronunciata nei confronti di V.G.B. dal Tribunale di Ragusa che lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione per il reato di tentata violenza privata ai danni del giornalista B.P., ha ritenuto sussistente altresì l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, rideterminando la pena in anni uno e mesi dieci di reclusione.

I fatti concernono le minacce di danni nei confronti del giornalista B.P., al fine di indurlo a non pubblicare più articoli che riguardavano il V. ed il suo nucleo familiare in relazione ad asserite attività illecite, quali il mercato della droga ed infiltrazioni della criminalità organizzata - del clan Carbonaro Dominante - in alcune attività economiche, ed in particolare nel settore delle onoranze funebri nel territorio di Vittoria; condotte poste in essere collegandosi attraverso il social network Facebook al sito internet della testata online (OMISSIS), di cui il B. è direttore, ed inviando ripetutamente dai profili "Agenzia funebre V." e " T.S.V." messaggi minacciosi.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione V.G.B., con atto dei difensori Avv. Biagio Maurizio Catalano e Avv. Giuseppe Di Stefano, che ha dedotto i seguenti motivi.

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento dell'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7: con riferimento all'agevolazione mafiosa, sostiene che il clan C. - D. non è più operativo da oltre un decennio, essendo stato smantellato dalle forze dell'ordine, così come affermato dalla Corte di Appello di Catania nella sentenza del 16/04/2014; con riferimento all'uso del metodo mafioso, sostiene che gli episodi contestati, pur connotati da una certa violenza verbale, siano scevri del metodo mafioso.

2.2. Vizio di motivazione in relazione al diniego della circostanza attenuante della provocazione, essendosi trattato di reazioni immediate ai post del pubblicista.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile, perché, oltre a proporre doglianze eminentemente di fatto, sollecitando una non consentita rivalutazione del merito e della ricostruzione dei fatti, è generico, nella parte in cui omette un concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, che ha diffusamente motivato in merito alla sussistenza dell'aggravante, nella duplice dimensione dell'agevolazione di un sodalizio mafioso e del metodo mafioso (da p. 23 a p. 76 della sentenza impugnata); motivazione in relazione alla quale il ricorrente deduce argomenti generali e privi di specificità.

Nei passaggi con i quali si riferisce al caso specifico, peraltro, il ricorrente pone come presupposto delle proprie deduzioni circostanze di fatto che non hanno avuto riscontro istruttorio.

Al contrario, premesso che la configurabilità dell'aggravante prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 (conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203), non richiede necessariamente la sussistenza di una compagine mafiosa o camorristica di riferimento non solo quando è contestato l'utilizzo del metodo mafioso, ma anche quando è addebitata la finalità agevolativa, anche se, in questa seconda evenienza, occorre che lo scopo sia quello di contribuire all'attività di un'associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalità di controllo del territorio con le modalità tipiche previste dall'art. 416-bis c.p. (Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019, Gallelli, Rv. 276109; Sez. 1, n. 18019 del 11/10/2017, dep. 2018, Calabria, Rv. 273302; Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, Pagano, Rv. 260007), la Corte territoriale ha evidenziato compiutamente che l'esistenza e l'operatività del clan C.- D., articolazione della Stidda operante in (OMISSIS), è stata affermata non soltanto da sentenze irrevocabili, richiamate nella sentenza impugnata (tra le altre, quella del 03/12/1994; del 27/11/1999; del 23/10/2000; del 10/12/2010), ma anche dalla recente sentenza del Gup di Catania del 04/12/2018, che ha ribadito l'esistenza del clan capeggiato da V.F. (fratello dell'odierno imputato), avente la disponibilità di un vero e proprio arsenale di armi, che fin dal 2006 ha proseguito le attività criminali del clan Dominante, in tal senso superando anche le sentenze del 23/04/2012 e del 16/04/2014, che avevano riqualificato l'associazione di tipo mafioso in associazione per delinquere semplice.

Dunque, l'esistenza del sodalizio mafioso è stata accertata processualmente, e non può ritenersi meramente supposta, come affermato da Sez. 6, n. 1738 del 14/11/2018, dep. 2019, Mancuso, Rv. 274842, secondo cui la circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa, prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l'attività di una associazione mafiosa, implica necessariamente la prova dell'esistenza reale a non semplicemente supposta di essa.

Ciò posto, l'agevolazione del sodalizio mafioso è stata affermata sul rilievo che le minacce rivolte al giornalista erano dirette alla ricerca del "silenzio giornalistico", per consentire al clan di continuare ad agire secondo logiche criminali in maniera indisturbata, tacitando una voce libera che non faceva altro che riportare notizie di cronaca giudiziaria, aventi un indubbio interesse pubblico alla divulgazione.

Anche con riferimento all'esercizio del metodo mafioso, la Corte territoriale ne ha affermato la sussistenza, evidenziando il tenore dei messaggi "postati" dall'imputato - richiamati interamente a p. 3-4 -, che ha evocato nella vittima la coartazione e l'intimidazione tipica dell'agire delle consorterie mafiose, tanto da modificargli le abitudini di vita ed a rafforzargli la tutela già predisposta in suo favore.

Al riguardo, ricorre la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'art. 416-bis.1 c.p., quando l'azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (ex multis, Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, Marcianò, Rv. 281027, con riferimento ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l'aggravante in relazione alle minacce profferite in udienza da un soggetto imputato per il reato di associazione mafiosa, per il grave turbamento indotto nella persona offesa dal timore di fronteggiare possibili azioni punitive dei complici e dei parenti dell'imputato).

2. Il secondo motivo, con cui si lamenta il diniego dell'attenuante della provocazione, è inammissibile, per l'assorbente considerazione che, nella fattispecie, manca il presupposto oggettivo del fatto ingiusto altrui, essendosi il giornalista B. limitato ad esercitare il proprio diritto di cronaca e di critica nell'espletamento dell'attività giornalistica.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano, per ciascuna di esse, in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida per ciascuna di esse in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

Violenza privata: in caso di minacce a giornalista può sussistere l'aggravante dell'agevolazione del sodalizio mafioso

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