RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 18 marzo 2019, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di pronunciata dal Tribunale di Sciacca, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di C.L. per i reati di violenza sessuale, aggravato dall'uso
di sostanze alcoliche e stupefacenti, e di sottrazione consensuale di minorenni, entrambi commessi tra il (OMISSIS), la condanna alla pena di sei anni e sei mesi di reclusione, e il giudizio di equivalenza tra opposte circostanze, escludendo però la recidiva.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, l'imputato avrebbe indotto la persona offesa a subire atti sessuali di vario tipo, anche orale ed anale, abusando delle condizioni di inferiorità psichica della vittima al momento del fatto sia perchè affetta da significativo deficit psichico e cognitivo, sia perchè sotto l'effetto di bevande alcoliche e stupefacenti, ed inoltre minacciando ed allettando la stessa.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe C.L., con atto sottoscritto dall'avvocato Giuseppe Minà, articolando un unico motivo, con il quale si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 609 bis c.p., commi 1 e 2, e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., avendo riguardo alla configurabilità dell'aggravante dell'uso di sostanze alcoliche o stupefacenti.
Si deduce che la sentenza impugnata descrive sì un uso di sostanze alcoliche o stupefacenti, ma non contro la volontà della persona offesa, e che, però, la giurisprudenza di legittimità ritiene che, per la configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2, sia necessaria la somministrazione di tali sostanze contro la volontà della vittima (si cita Sez. 3, n. 32462 del 19/01/2018). Si premette che il capo di imputazione indica in termini dubitativi l'uso di sostanze alcoliche o stupefacenti e che la sentenza di primo grado nulla espone sul punto. Si rappresenta, poi, che la Corte d'appello segnala come: a) lo spinello è stato offerto alla vittima da altra persona; b) non vi sono elementi per ritenere tale iniziativa concordata con l'odierno ricorrente; c) non vi sono elementi per affermare che l'assunzione della sostanza stupefacente da parte della persona offesa sia avvenuta per costrizione; d) l'assunzione dello stupefacente è avvenuta molte ore prima del rapporto sessuale.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito precisate.
2. La questione posta dal ricorrente ha ad oggetto l'individuazione delle condizioni per la configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2, e, precisamente, se detta aggravante possa essere ritenuta integrata anche in caso di assunzione di sostanza alcolica o stupefacente non provocata o agevolata dall'autore o dagli autori del reato di violenza sessuale.
2.1. Appare utile premettere che la situazione di approfittamento dell'assunzione di sostanze stupefacenti o alcoliche da parte della vittima, avvenuta per libera iniziativa della stessa, o comunque per causa non imputabili all'agente, è ritenuta idonea ad integrare il reato di violenza sessuale.
Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, tra le condizioni di "inferiorità psichica o fisica", previste dall'art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, rientrano anche quelle determinate dalla volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti, in quanto anche in tali casi la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l'abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'agente (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 16046 del 13/02/2018, S., Rv. 273056-01, e Sez. 3, n. 45589 del 11/01/2017, B., Rv. 271017-01).
Tuttavia, questa conclusione non può implicare la configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2.
In questo senso, in effetti, risulta orientata la giurisprudenza di legittimità. Non solo le decisioni massimate che hanno ritenuto la sussistenza dell'aggravante in questione si riferiscono ad ipotesi in cui l'assunzione delle sostanze alcoliche o stupefacenti è stata indotta dall'autore del reato (cfr., ad esempio Sez. 3, n. 40565 del 19/04/2012, D.N., Rv. 253667-01, e Sez. 3, n. 18360 del 05/03/2008, A., Rv. 240032-01). Soprattutto, recenti pronunce hanno espressamente precisato che "l'uso delle sostanze alcoliche deve essere (...) necessariamente strumentale alla violenza sessuale, ovvero deve essere il soggetto attivo del reato che usa l'alcol per la violenza, somministrandolo alla vittima; invece l'uso volontario incide sì, ma non anche sulla sussistenza dell'aggravante" (così Sez. 3, n. 32462 del 19/01/2018, P., non massimata).
La soluzione secondo cui, ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2, l'uso delle sostanze alcoliche o stupefacenti debba dipendere da un'attività di somministrazione la quale sia stata effettuata o agevolata dall'agente e risulti funzionalmente diretta alla realizzazione degli atti sessuali sembra imporsi per un duplice ordine di ragioni.
Invero, soccorrono argomenti letterali e sistematici. Precisamente, l'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2, ha riguardo ai "fatti di cui all'art. 609 bis (...) commessi: (...) 2) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa". Il riferimento ai "fatti (...) commessi (...) con l'uso" e l'accostamento, in via alternativa, delle sostanze alcoliche o stupefacenti alle armi costituiscono elementi dai quali è ragionevolmente inferibile come, per il legislatore, ai fini dell'aggravante in discorso, il ricorso a tali sostanze rilevi quale strumento per costringere o indurre la vittima a compiere o subire atti sessuali, e, quindi, dia luogo ad una situazione diversa, e più grave, rispetto a quella in cui l'agente "si limita" ad approfittare di una situazione di inferiorità della persona offesa.
2.2. Nella specie, la sentenza impugnata rappresenta che la persona offesa aveva assunto volontariamente sostanza stupefacente, fumando uno spinello, cedutogli da altra persona al di fuori di ogni accordo con l'odierno ricorrente.
Precisamente, la Corte d'appello evidenzia che la persona offesa, quando è stata presentata all'odierno ricorrente da M.G., aveva già fumato lo spinello a casa di quest'ultimo, e, quindi, era già sotto l'effetto della sostanza stupefacente nel momento in cui il medesimo M. aveva informato C. che la vittima era in condizioni di "sballo" e, perciò, poteva essere indotta al compimento anche di atti omosessuali (cfr. pagg. 49-50 e 53-54).
Nè questa ricostruzione contrasta con quanto esposto dalla sentenza di primo grado, la quale, pur ritenendo l'aggravante, non ha indicato alcun elemento fattuale o giuridico a supporto di questa conclusione.
2.3. In considerazione del principio giuridico affermato e dei fatti accertati, deve essere esclusa la configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2.
Se, infatti, la droga era stata assunta dalla vittima senza alcuna istigazione o agevolazione del ricorrente, deve escludersi che questi abbia costretto o indotto la prima a compiere o subire atti sessuali con l'uso di sostanze alcoliche o stupefacenti. Il ricorrente, piuttosto, ha approfittato (anche) dello "stordimento" della vittima per compiere gli atti sessuali.
3. L'esclusione della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2, impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con riferimento a tale circostanza, con eliminazione della stessa, ed il rinvio degli atti alla Corte d'appello di Palermo per la rideterminazione della pena.
Innanzitutto, per quanto concerne la decisione di eliminazione della circostanza aggravante, risulta corretto fare applicazione del più generale principio enunciato anche dalle Sezioni Unite secondo cui, nel giudizio di cassazione, l'annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorchè un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata (cfr. per tutte, Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226100-01, nonchè, per citare la più recente nnassimata, Sez. 6, n. 26226 del 15/03/2013, Savina, Rv. 255784-01).
Ciò posto, l'eliminazione della precisata aggravante, in quanto ritenuta equivalente alle circostanze attenuanti generiche, implica l'applicazione di una riduzione della pena per le circostanze attenuanti generiche secondo un giudizio discrezionale, che tenga conto di tutti gli elementi di fatto rilevanti.
Infine, a norma dell'art. 624 c.p.p., in considerazione dell'esito del giudizio, diventa irrevocabile l'affermazione di responsabilità del ricorrente per i reati per i quali la Corte d'appello ha pronunciato condanna.
PQM
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'aggravante di cui all'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2, che esclude, con rinvio per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo.
Visto l'art. 624 c.p.p., dichiara l'irrevocabilità della sentenza quanto all'affermazione di responsabilità.
Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che - a tutela dei diritti o della dignità degli interessati - sia apposta a cura della cancelleria sull'originale della sentenza, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2020