RITENUTO IN FATTO
1. Le sentenze di merito.
1.1. Con la sentenza del 26 maggio 2014 il Tribunale di Milano ha condannato P.M. ed PA.AN., genitori della minore P.F., rispettivamente alla pena di otto anni e sei mesi di reclusione e sette anni e sei mesi di reclusione, per i reati di cui all'art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p., art. 609-bis c.p., commi 1 e 2, n. 1, art. 609-ter c.p., u.c., art. 609-quinquies c.p., per avere costretto o indotto la figlia minore F. (nata il (OMISSIS)), agendo disgiuntamente e congiuntamente, abusando delle sue condizioni di inferiorità fisio-psichica, e della loro qualità di genitori "alleati e allineati", ad assistere e/o compiere e/o subire atti sessuali.
1.2. Secondo l'imputazione, P.M., minacciando e picchiando P.F. con un frustino o con la cintura, ordinando alla minore di spogliarsi e sdraiarsi sul letto, le toccò le parti intime mentre le metteva la mano nella "patatina"; inoltre, obbligandola a mettersi, vestita o in pigiama, cavalcioni sopra di lui strusciando gli organi genitali, le ordinò "di fare veloce" nonostante il dolore che la persona offesa dichiarava di provare.
La madre Pa.An., essendo presente ad alcuni atti sessuali compiuti dal marito ed essendo ben consapevole di quanto avveniva tra P.M. e la figlia minore F., omise di intervenire, pur avendo l'obbligo di impedire l'evento, consentendo che il convivente continuasse ad abusare della minore ed inducendo quest'ultima a non rivelare l'accaduto.
In alcuni casi gli imputati compirono atti sessuali consapevolmente in presenza della minore.
I fatti sono stati commessi in (OMISSIS) in epoca anteriore e prossima al (OMISSIS), data dell'allontanamento della minore dal nucleo familiare.
1.3. La Corte di appello di Milano, con la sentenza del 18 gennaio 2018, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 26 maggio 2014, ha assolto PA.AN. dal reato ex art. 609-quinquies c.p. perchè il fatto non costituisce reato; ha ritenuto l'ipotesi di cui all'art. 609-bis c.p., u.c. ed ha condannato PA.AN. alla pena di 3 anni e 10 mesi di reclusione; ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.
2. Il ricorso nell'interesse di P.M..
Il difensore di P.M. ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 18 gennaio 2018.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione, in relazione all'art. 192 c.p.p., quanto alla valutazione effettuata dalla Corte di appello di Milano sulla capacità a testimoniare della minore F., all'epoca dei fatti.
2.1.1. Con l'atto di appello era stato ripercorso lo sviluppo psichico della minore, a partire dalla prima diagnosi di grave quadro neuro psichiatrico con elementi psicotici e regressivi, riconosciuta in tenera età; il perito del giudice per le indagini preliminari ha sottolineato la particolare tendenza della minore a rispondere in modo accondiscendente alle domande suggestive; il consulente tecnico della difesa ha descritto il severo disturbo della personalità di cui era affetta la minore, tale da essere non idonea a testimoniare.
La Corte di appello di Milano avrebbe risposto al motivo di appello affermando che le difese non avrebbero spiegato perchè le condizioni psichiche costituirebbero impedimento a testimoniare ed indicando che non era stata indicata la fonte alternativa che avrebbe indotto la minore al falso ricordo o alla totale fantasia del narrato. In tal modo, però, la Corte di appello di Milano avrebbe invertito l'onere della prova.
2.1.2. Si deduce l'illogicità della motivazione anche quanto alla risposta al motivo di appello sul mancato rispetto delle modalità di assunzione delle dichiarazioni della minore, in base alla carta di Noto.
La Corte di appello di Milano avrebbe ritenuto che il mero richiamo alla carta di Noto non avrebbe raggiunto la finalità cui era diretta, senza valutare che l'accertamento sulla idoneità a testimoniare della minore non era stato effettuato prima dell'audizione, che la narrazione dei fatti era stata sollecitata, che di fronte alla negazione degli episodi la psicologa e l'agente presente insistettero affinchè la minore cambiasse versione.
2.1.3. La Corte di appello di Milano avrebbe poi omesso la risposta sul motivo di appello sulle domande suggestive ed inducenti svolte nell'incidente probatorio, in violazione della giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla valutazione delle dichiarazioni dei minori (riportata nel ricorso).
2.2. Con il secondo motivo si deduce la contraddittorietà e illogicità della motivazione, la violazione dell'art. 192 c.p.p. e l'inversione dell'onere della prova quanto alle dichiarazioni rese dalla parte civile in sede di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello.
La Corte di Appello di Milano avrebbe omesso di valutare (pag. 11), con conseguente vizio di contraddittorietà della motivazione, la parte della testimonianza della parte civile, riportata nel ricorso per cassazione, nella quale la parte civile ha dichiarato di ricordare di aver subito "delle botte", quale ricordo vivo che non si può cancellare facilmente ma di non ricordare che il padre avesse compiuto nei suoi confronti degli atti sessuali.
La contraddittorietà della motivazione sussisterebbe anche quanto all'omessa valutazione della dichiarazione resa dalla parte civile la quale, nel corso dell'esame, ha riferito "mi hanno fatto dire queste cose" nell'incontro con la psicologa della comunità.
Anche in tal caso, la Corte di Appello di Milano non avrebbe valutato completamente le dichiarazioni della parte civile; la parte di cui sarebbe stata omessa la valutazione è riportata nel ricorso. In particolare, la Corte d'appello non avrebbe tenuto conto che la parte civile ha dichiarato, come riportato nel ricorso, che la psicologa durante le sedute la sforzava, la costringeva a parlare di certe cose e che lei invece stava in silenzio. La parte civile avrebbe ricollegato esplicitamente le sue dichiarazioni al fatto che le avessero fatto dire le cose relative agli atti sessuali.
Si deduce poi che la Corte di appello di Milano avrebbe rivolto alla parte civile domande suggestive che avrebbero influenzato la genuinità delle sue dichiarazioni.
2.3. Con il terzo motivo si deducono, ex art. 606 c.p.p., lett.) b) ed e), i vizi di illogicità della motivazione e di erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p., art. 609-bis c.p., commi 1 e 2, n. 1, art. 609-quinquies c.p..
La condanna sarebbe stata emessa con una motivazione apparente perchè il reato contestato è stato ritenuto sussistente senza che fosse con certezza provato cosa effettivamente sia accaduto; nella sentenza d'appello non vi sarebbe la motivazione.
Analogo vizio della motivazione riguarderebbero l'art. 609-quinquies c.p. in quanto la Corte di Appello si sarebbe limitata (pagina 12) a dare per certo che la minore avesse assistito ai rapporti sessuali tra i genitori; ciò nonostante la parte civile durante la deposizione lo avesse escluso.
2.4. Con il quarto motivo si deducono i vizi ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per l'illogicità della motivazione e l'erronea applicazione degli artt. 70,110 e 118 c.p. e art. 609-bis c.p., u.c..
Si rileva che la Corte di Appello ha riconosciuto la sussistenza del concorso di persone nel reato ex art. 609-bis c.p. a P.M. ed a PA.AN.; solo a quest'ultima però ha applicato l'art. 609-bis c.p., u.c., nonostante sia una circostanza attenuante oggettiva, che si estende ai concorrenti, in violazione degli artt. 70 e 118 c.p..
3. Il ricorso nell'interesse di PA.AN..
Il difensore di PA.AN. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 18 gennaio 2018 della Corte di Appello di Milano.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce: la violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 2, ex art. 606 c.p.p., lett. c); il vizio di travisamento della prova, rispetto alle audizioni protette della minore persona offesa del (OMISSIS) e sulla ritrattazione, ex art. 606 c.p.p., lett. e); l'inosservanza degli artt. 530 e 533 c.p.p.; l'illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione.
L'affermazione della penale responsabilità della ricorrente si fonderebbe sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso delle audizioni protette sulla scorta del fallace presupposto della mancata ritrattazione delle accuse formulate nei confronti dei genitori dinanzi alla Corte di appello.
3.1.1. Al punto 1 del primo motivo, quanto alle dichiarazioni rese quando la persona offesa era minorenne, dopo aver riportato la giurisprudenza sui criteri di valutazione della prova testimoniale dei minori vittime di reati sessuali, anche con riferimento alla carta di Noto ed alle modalità di assunzione delle dichiarazioni, si afferma che la sentenza della Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto l'assenza delle induzioni, dei condizionamenti subiti dalla minore nel corso delle audizioni e della contaminazione della fonte di prova: ciò avrebbe viziato l'intero percorso logico e determinato la violazione dei parametri di cui all'art. 192 c.p.p..
Le modalità dell'audizione sarebbero state caratterizzate da inappropriate induzioni e pressioni psicologiche; vi sarebbe stata una scorretta conduzione dell'esame. Nel ricorso (pagine 5 e 6) si riportano, ripercorrendo l'atto di appello, alcuni esempi di tali violazioni e si contesta la motivazione della Corte di Appello che ha ricondotto le violazioni all'accompagnamento della minore nel percorso di svelamento del proprio vissuto, senza ritenerle suggerimenti plateali, forzature o pressioni tali da indurre la minore a rivelare ciò che le interlocutrici da lei volevano.
3.1.2. Si rileva poi che la Corte di appello di Milano ha impropriamente richiamato la giurisprudenza secondo cui la violazione delle linee guida non determina alcuna nullità laddove la questione proposta con l'appello concerneva invece la valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni della minore a seguito dell'inosservanza delle regole metodologiche che il consulente psicologo avrebbe dovuto seguire nella conduzione dell'esame.
Nel corso delle tre audizioni sarebbe stata alterata ogni possibilità di ricostruire un ricordo genuino da parte della bambina; per altro, nel corso dell'esame dinanzi alla Corte d'Appello di Milano la parte civile ha riferito di non ricordare nulla degli abusi subiti pur avendoli già rievocati.
3.1.3. Si contesta poi la motivazione della sentenza (pagine 7-8) laddove afferma che la difesa avrebbe dovuto dimostrare anche la fonte del racconto inveritiero riferito: in tal modo sarebbero state violate le regole di ripartizione dell'onere della prova, ponendo a capo della difesa l'onere di dimostrare l'inattendibilità del dichiarante. Inoltre, la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che nel corso dell'audizione protetta la minore aveva dichiarato di aver visto un telefilm inadeguato per la sua età, per le scene riprodotte, e che la prima rivelazione di abuso era nata in un contesto, la comunità protetta per minori, ad elevato rischio di contaminazione. La Corte di Appello non avrebbe neanche tenuto conto del contesto in cui viveva la famiglia P., due piccole stanze, sicchè era anche probabile che la bambina potesse aver assistito, anche casualmente e all'insaputa dei genitori, ad atti di natura sessuale.
3.1.4. Al punto 2 del motivo, si critica la valutazione della deposizione della parte civile all'udienza del 5 dicembre 2017 dinanzi alla Corte di appello di Milano. In primo luogo, si osserva che la parte civile ha reso dichiarazioni nel corso dell'esame in contrasto con quelle rese in precedenza ai difensori dei suoi genitori.
Nel corso dell'esame, poi, la parte civile aveva collegato il suo ricordo solo agli episodi di maltrattamenti ma non agli atti sessuali. La Corte di Appello erroneamente avrebbe ricondotto la mancanza del ricordo degli atti sessuali non all'assenza del fatto ma alla sua esistenza.
Si rappresenta poi che la parte civile ha raccontato dei rapporti normali che aveva con il padre e di non ricordare che quest'ultimo avesse fatto nei suoi confronti gesti sessuali: ciò nonostante le fossero state rivolte delle domande per appurare se il mancato ricordo derivasse dalla volontà di cancellarlo.
La Corte di Appello non avrebbe valutato che la teste ha avuto un ricordo selettivo, ricordando solo gli atti di violenza e non quelli sessuali, e ciò dopo che il fatto era stato rievocato nelle audizioni protette.
Si contesta poi il peso probatorio attribuito alla decisione della parte civile di mantenere la costituzione nel giudizio, nonostante il difensore ne avesse preannunciato la revoca. Si osserva che la persistenza della costituzione di parte civile non dimostra la sussistenza del fatto così come la revoca non avrebbe avuto alcuna valenza probatoria. Invece la Corte di Appello ha attribuito alla mancata revoca di costituzione di parte civile il significato di chiave di lettura della deposizione della parte civile.
Illogica sarei poi anche l'affermazione per la quale il quadro psicotico non sarebbe emerso nel corso della deposizione della parte civile: tale affermazione non terrebbe conto degli esiti delle perizie da cui era risultata la patologia psicotica di cui soffriva la minore all'epoca delle prime dichiarazioni.
3.1.5. La Corte di appello di Milano avrebbe adottato una motivazione contraddittoria affermando che la parte civile sarebbe credibile quando afferma di non aver avuto presto conoscenza del sesso: se la parte civile è credibile su tale circostanza, significa che non può aver avuto conoscenza del sesso quando era bambina; tale affermazione dimostrerebbe pertanto che i fatti non sarebbero successi.
3.1.6. Il criterio di giudizio sarebbe stato quello di prendere in esame solo ciò che serviva a sorreggere l'ipotesi accusatoria, non valutando gli altri dati, con conseguente manifesta illogicità della motivazione.
3.2. Con il secondo motivo si deduce il travisamento della prova quanto alla valutazione della capacità a testimoniare della minore e dall'esistenza degli elementi di riscontro alla dichiarazione della persona offesa.
3.2.1. Al punto 1, si afferma che non esisterebbero elementi di prova esterni alle dichiarazioni della persona offesa, tanto che il pubblico ministero richiese l'archiviazione del procedimento.
3.2.2. La Corte di Appello di Milano avrebbe erroneamente ritenuto che la perizia sulla capacità a testimoniare ha un esito sfavorevole agli imputati. Il consulente tecnico della difesa è giunto alle stesse conclusioni del perito sulla valutazione diagnostica della parte civile: il perito, infatti, ha dato atto della severa compromissione psichica della persona offesa al momento del suo esame, perchè affetta da disturbo di personalità Cluster a, e di un quadro psichico ancor più compromesso al momento in cui aveva reso le prime rivelazioni dell'abuso.
Rileva la difesa che il perito, erroneamente, nonostante l'individuazione delle patologie, aveva poi concluso per la sussistenza della capacità a testimoniare: nella perizia però si fa anche riferimento all'incapacità di rievocare i fatti in maniera coerente o corrispondente con dati oggettivi; alla intensa volatilità emotiva della minore che costituiva un fattore di interferenza particolarmente disfunzionale alla sua organizzazione del pensiero ed alle sue capacità di comprendere, ricordare e discernere in modo sempre coerente.
Il perito aveva ritenuto probabile che negli anni precedenti la sua condizione fosse più grave di quella in cui rese le dichiarazioni e che la sua situazione di funzionamento psichico fosse tale da comportare disturbi formali della sfera ideativa ed una maggiore interferenza con le capacità di giudizio e critica.
Si riporta poi un passo della relazione del perito sulle difficoltà di un accesso critico ai ricordi per i condizionamenti intra psichici e le reiterate rievocazioni.
Per la difesa quindi il quadro clinico deponeva per l'assenza della capacità a testimoniare anche per la certificazione del dottor L. di un quadro pre-psicotico nel periodo prossimo alle dichiarazioni di abuso.
Sul punto la Corte di appello di Milano sarebbe incorsa nel travisamento della prova per omissione nell'affermare la sussistenza della capacità a testimoniare.
3.2.3. Al punto 2 la difesa ha contestato la motivazione della sentenza della Corte di Appello laddove ha ritenuto che la sentenza di patteggiamento, passata in giudicato, per il reato di maltrattamenti in famiglia costituisse un riscontro alle dichiarazioni della parte civile.
Si rileva che è stata la stessa dichiarante a mettere in dubbio la sussistenza dei fatti di abuso sessuale nel corso dell'esame. La sentenza emessa per un fatto diverso non potrebbe costituire riscontro alle dichiarazioni sul fatto oggetto dell'imputazione: la scelta degli imputati di accettare l'accusa di maltrattamenti non può costituire indizio di responsabilità per il reato di violenza sessuale. Il vizio logico della sentenza sarebbe costituito dall'aver equiparato il genitore maltrattante al genitore abusante.
3.3. Con il terzo motivo si deducono i vizi della motivazione e di violazione di legge per la ritenuta responsabilità della ricorrente ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2.
Si ritiene che l'argomento adoperato dalla Corte di appello di Milano per escludere il dolo del reato di cui all'art. 609-quinquies c.p. avrebbe dovuto essere utilizzato anche per escludere il reato di cui all'art. 609-bis c.p..
La Corte di Appello non avrebbe spiegato le ragioni per cui si debba ritenere che la ricorrente si sia astenuta, con coscienza e volontà, dall'attivarsi ed abbia voluto o preveduto l'evento di cui al reato ex art. 609-bis c.p.. Si ritiene contraddittoria la motivazione perchè se i fatti oggetto delle due contestazioni sono identici non è possibile affermare da un lato che la madre sia stata consapevole dell'evento ed il proprio dovere giuridico di intervenire per poi negare lo stesso presupposto soggettivo in relazione al reato di cui all'art. 609-quinquies c.p..
3.4. Con l'ultimo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di Appello ha riconosciuto la circostanza attenuante ex art. 609-bis c.p., u.c., per il minor danno derivante dalla condotta della ricorrente alla persona offesa, per la ridotta intensità del dolo, per la permanenza del rapporto affettivo con la figlia. Tali motivazioni avrebbero dovuto indurre la Corte di appello di Milano a riconoscere le circostanze attenuanti generiche: invece la loro applicazione sarebbe stata negata senza alcuna motivazione, nonostante la richiesta della difesa.
1. Premessa.
La sentenza della Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado quanto alla responsabilità degli imputati per il reato ex art. 609-bis c.p..
1.1. Va ricordato che secondo il costante orientamento della giurisprúdenza (cfr. Cass. Sez. 3, n. 39800 del 21/06/2016, C., Rv. 267757, in motivazione) nell'ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo.
Inoltre, (cfr. anche, Cass. Sez. 6 n. 35346 del 12/6/2008, Bonarrigo, Rv.241188) se l'appellante si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e risolte dal primo giudice oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relationem e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati.
1.2. I giudici di merito hanno ritenuto la penale responsabilità degli imputati non solo in base alle dichiarazioni della persona offesa quando era minorenne, ritenuta attendibile valutando la spontaneità del percorso di disvelamento e la coerenza delle dichiarazioni, ma anche in base alle dichiarazioni degli altri soggetti a cui la minore aveva riferito degli atti sessuali subiti o sulle testimonianze sui comportamenti sessualizzati della minore, oggetto di testimonianze dirette e non de relato.
I giudici di merito hanno valutato infatti le dichiarazioni di N.V., educatrice presso la comunità nella quale la persona offesa, all'epoca minore, era stata collocata nel (OMISSIS); p.t., responsabile nel (OMISSIS) della struttura in cui era stata allocata la minore; La.La.; Pi.Pa., che svolse l'indagine psicosociale sul nucleo familiare della persona offesa; D.L., coordinatrice delle comunità in cui era stata nel (OMISSIS) la minore; B.P., Lo.Al. e U.S., educatori presso la comunità ove la minore era stata dal (OMISSIS).
Si è accertato che le rivelazioni della persona offesa sono state spesso casuali o determinate proprio dai collegamenti con gli atti subiti dal padre.
I giudici di merito hanno fatto altresì riferimento a quanto emerso nel corso delle sedute di psicoterapia ed ai comportamenti negatori dei genitori, che definivano la figlia una bugiarda.
1.3. Orbene, tale valutazione complessiva delle prove orali è stata di fatto ignorata dai ricorrenti, le cui censure si muovono esclusivamente sui punti concernenti la sussistenza della capacità a testimoniare e dell'inattendibilità della persona offesa, senza però poi concretamente spiegare perchè a diverse persone la persona offesa avrebbe raccontato, anche se in parte, quanto accaduto.
I motivi non si confrontano con la reale ratio decidendi, espressa con la complessiva motivazione delle sentenze di merito, fondate anche su elementi di prova diversi dalle sole dichiarazioni della persona offesa.
2. I motivi di ricorso sui vizi relativi alla capacità a testimoniare.
I motivi di ricorso sui vizi relativi alla capacità a testimoniare sono infondati.
2.1. Il primo motivo del ricorso P., con riferimento al vizio della motivazione sulla sussistenza della capacità a testimoniare, è infondato, non avendo la Corte di appello, come sostenuto nel ricorso P., invertito l'onere della prova.
2.2. Va preliminarmente rilevato che:
- la minore è stata escussa nella fase delle indagini preliminari quando aveva (OMISSIS) anni mentre l'incidente probatorio si è svolto quanto la persona offesa aveva già compiuto (OMISSIS) anni;
- dalle sentenze di merito emerge che sulla capacità a testimoniare è stata effettuata, anche se in epoca successiva, la perizia redatta dal dottor Be.St. che ha concluso per la sussistenza di tale capacità.
Tale dato non risulta specificamente contestato se non estrapolando alcuni passaggi della perizia, ritenuti favorevoli.
2.3. Ai sensi dell'art. 196 c.p.p. la regola generale è che ogni persona ha la capacità a testimoniare. L'idoneità a rendere testimonianza implica la capacità di comprensione delle domande e di adeguamento delle risposte, in uno ad una sufficiente memoria circa i fatti oggetto di deposizione ed alla piena coscienza di riferirne con verità e completezza.
Pertanto, ove la parte processuale intenda dimostrare l'esistenza di fatti dai quali dipende l'inesistenza della capacità a testimoniare, ha l'onere della prova ai sensi dell'art. 187 c.p.p., comma 2.
L'incapacità a testimoniare deriva solo "da una situazione di abnorme mancanza nell'escutendo di ogni consapevolezza in relazione all'ufficio ricoperto", non essendo rilevante ogni comportamento contraddittorio (cfr. in tal senso Cass. Sez. 1, n. 6969 del 12/09/2017, dep. 2018, S., Rv. 272605 - 01).
2.4. I giudici di merito hanno ritenuto la sussistenza della capacità anche in base alla perizia effettuata nel corso del giudizio di primo grado e le argomentazioni del consulente tecnico di parte sono state esaminate e valutate, come emerge chiaramente dalla sentenza di primo grado, che ha operato specificamente la valutazione della c.t. della difesa e dell'esame del consulente, non condividendo le conclusioni in base ad una articolata motivazione (cfr. a partire da pagina 18) che ha escluso anche la sussistenza di fenomeni di suggestione sulle dichiarazioni della persona offesa.
La Corte di appello ha esplicitamente richiamato sul punto la motivazione della sentenza di primo grado, affermando di condividerne le conclusioni ed ha valutato che i motivi di appello P., sul punto della capacità a testimoniare, proponevano questioni generiche.
Nella sentenza di primo grado sono riportati i passi dell'esame del teste L.G. (pagina 11) in cui pur affermando l'esistenza di una patologia, ha però anche indicato che la persona offesa non era una ragazza che s'inventava le cose dal nulla; un soggetto quindi capace di avere una consapevolezza del ruolo nel momento in cui doveva rendere la testimonianza.
Quanto al perito di ufficio, che ha ritenuto sussistente la capacità a testimoniare, pur affermando l'esistenza di un disturbo della personalità, deve rilevarsi che nella sentenza di primo grado si riporta che il perito non rilevò segni o sintomi di disturbi dell'ideazione, incapacità ad avere un corretto esame di realtà, deliri o altri disturbi e che pertanto non avrebbe potuto confermare la precedente diagnosi clinica (tratti psicotici) se non avesse avuto alcuna informazione amnestica.
Il perito però ha rilevato un sufficiente grado di capacità critica, la capacità di comprendere e ricordare, la capacità critica di discernere tra ricordi autentici ed indotti.
2.5. La valutazione della Corte di appello è pertanto del tutto corretta perchè, come affermato da ultimo da Cass. Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269909 - 01, in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d'ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell'obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente; conseguentemente, può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), solo qualora risulti che queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice.
2.6. Il ricorso Pa. è manifestamente infondato perchè nel secondo motivo, al punto 1, si conferma che la perizia ha concluso per la sussistenza della capacità a testimoniare: ciò che si critica con il motivo sono le conclusioni del perito, in relazione a quelle del proprio consulente tecnico: è però questa una questione di merito.
Per altro, la Corte di appello ha riferito l'esito negativo della perizia per gli imputati proprio in relazione all'affermazione della capacità a testimoniare, negata con i motivi di appello; il dato probatorio non è stato minimamente travisato. Nè la Corte di Cassazione può essere chiamata a valutare gli esiti delle perizie, compito del giudice di merito e non rilevandosi sul punto alcun vizio della motivazione.
2.7. Per altro, deve rilevarsi che nel ricorso Pa., cosi come nei motivi di appello, si fa riferimento esclusivamente all'esistenza di un "dubbio" sulla capacità a testimoniare: dallo stesso ricorso emerge dunque che il fatto processuale dedotto - l'inesistenza della capacità a testimoniare - non sia stato provato.
2.8. Va infine ricordato che il c.d. "travisamento della prova" si realizza nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia: nello stesso ricorso Pa. si conferma che la conclusione della perizia è stata per la sussistenza della capacità a testimoniare. Il risultato della perizia è pertanto stato valutato nel senso conforme alle conclusioni del perito.
3. I motivi relativi all'inattendibilità da suggestione.
Manifestamente infondate sono le questioni dedotte con il primo motivo del ricorso P. sulla violazione della Carta di Noto e sulle domande suggestive, motivo preso in esame nelle pagine 7 e ss. della sentenza di appello.
3.1. Va ricordato il principio espresso da Cass. Sez. 3, n. 648 del 11/10/2016, dep. 2017, L., Rv. 268738 - 01, secondo il quale in tema di testimonianza del minore vittima di abusi sessuali, il giudice non è vincolato, nell'assunzione e valutazione della prova, al rispetto delle metodiche suggerite dalla cd. Carta di Noto, salvo che non siano già trasfuse in disposizioni del codice di rito con relativa disciplina degli effetti in caso di inosservanza, di modo che la loro violazione non comporta l'inutilizzabilità della prova così assunta; tuttavia, il giudice è tenuto a motivare perchè, secondo il suo libero ma non arbitrario convincimento, ritenga comunque attendibile la prova dichiarativa assunta in violazione di tali metodiche, dovendo adempiere ad un onere motivazionale sul punto tanto più stringente quanto più grave e patente sia stato, anche alla luce delle eccezioni difensive, lo scostamento dalle citate linee guida.
Le questioni relative alla violazione della cd. Carta di Noto devono, però, essere proposte in maniera specifica e devono anche indicare perchè, ove non si concretizzi nella violazione di norme previste a pena di nullità o di inutilizzabilità, determini, il vizio di contraddittorietà o di manifesta illogicità della motivazione.
3.2. Inoltre, in tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande suggestive non dà luogo nè alla sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 191 c.p.p., nè a quella di nullità, atteso che l'inosservanza delle disposizioni fissate dall'art. 498 c.p.p., comma 1 e art. 499 c.p.p. non determina nè l'assunzione di prove in violazione dei divieti di legge, nè la inosservanza di alcuna delle previsioni dettate dall'art. 178 c.p.p. (Cfr. Cass. Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013, Rv. 259728, Rossi). In mancanza di una precisa sanzione processuale, la domanda suggestiva compromette la genuinità della dichiarazione a condizione che destrutturi l'esame nel suo complesso e non solo, come potrebbe essere, la risposta che è stata fornita alla domanda suggestiva, potendo il giudizio di piena attendibilità essere confermato sulla base delle altre risposte.
Per predicare l'assenza di genuinità della prova non è sufficiente affermare e comprovare che una o più domande dell'esame testimoniale abbiano suggerito la risposta ma occorre estendere l'analisi all'affidabilità della prova nel suo complesso, pervenendo alla conclusione che l'uso di una metodologia non corretta abbia inciso sul risultato della prova in maniera da rendere il materiale raccolto, globalmente inidoneo ad essere valutato. Cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, Rv. 262468, L., in tema di incidente probatorio, in motivazione.
3.3. Entrambi i ricorsi poi sul punto non sono autosufficienti.
3.3.1. Deve affermarsi che l'estrapolazione di solo alcune domande da un contesto dichiarativo più ampio, per altro in alcuni casi senza indicare le risposte della persona offesa, senza riportare integralmente il contenuto delle dichiarazioni o allegare il verbale delle dichiarazioni, rende il motivo di ricorso non autosufficiente. Cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, Rv. 262468, L., in motivazione.
L'estrapolazione dal contesto dichiarativo non consente di formulare alcuna ipotesi sulla natura suggestiva o meno della domanda nè di verificare se la domanda suggestiva comprometta la genuinità della dichiarazione; ciò può avvenire, infatti, solo a condizione che destrutturi l'esame nel suo complesso e non solo, come potrebbe essere, la risposta (sconosciuta quanto agli esempi di cui a pagina 5 del ricorso Pa.) che è stata fornita alla domanda suggestiva, potendo il giudizio di piena attendibilità essere, in ipotesi, confermato sulla base delle altre risposte.
3.3.2. Orbene, su tali punti il ricorso P. è del tutto generico in quanto nel ricorso non sono state neanche indicate quali siano state le violazioni della Carta di Noto e quali domande siano state suggestive e nè è stato dimostrato, ove tali domande siano state sussistenti, che abbiano inciso sull'attendibilità della persona offesa, per altro escussa anche nell'incidente probatorio nel contraddittorio delle parti.
3.3.3. Il ricorso proposto nell'interesse di PA.AN. si limita a prospettare alcune ipotesi di domande suggestive o che si sostiene essere non in linea con la carta di Noto senza però in alcuni casi riportare le risposte.
In entrambi i ricorsi non sono stati allegati i verbali di sommarie informazioni testimoniali o il verbale dell'incidente probatorio per dimostrare la sussistenza delle asserite violazioni e che sul punto la Corte di appello sia incorsa in un vizio della motivazione.
4. I motivi sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa alla Corte di appello. Infondati sono poi il secondo motivo del ricorso P., il primo motivo, punto 2, ed il secondo motivo, punto 2, del ricorso Pa..
4.1. Il primo motivo, punto 2, del ricorso Pa. in realtà propone per larghi aspetti solo una valutazione alternativa delle dichiarazioni rese alla Corte di appello dalla persona offesa.
4.2. La Corte di appello ha infatti chiaramente indicato che le dichiarazioni assunte dai difensori dalla persona offesa sono state acquisite esclusivamente quale elemento di novità per procedere alla valutazione della richiesta difensiva di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante un nuovo esame della persona offesa e non ai fini di prova. Dunque, l'unica prova rinnovata, che si aggiunge a quelle emerse nel primo grado, è l'esame della persona offesa.
4.3. La Corte di appello ha correttamente escluso che i "non ricordo" della persona offesa, limitati agli atti sessuali, costituiscano la ritrattazione delle dichiarazioni precedenti e dimostrino, come si sostiene nel ricorso, che le prime dichiarazioni siano il frutto dell'influenza e dei suggerimenti della psicologa.
4.4. Come già indicato in precedenza, gli atti sessuali subiti quando la persona offesa era minore furono riferiti, oltre che da lei stessa, ad una pluralità di soggetti e confermati dai comportamenti precocemente sessualizzati della persona offesa, descritti ampiamente nella sentenza di primo grado e richiamati esplicitamente dalla Corte di appello. La genuinità di tali dichiarazioni è stata dimostrata anche smentendo le conclusioni della c.t. della difesa, come prima indicato.
Ciò implica che la Corte di appello non è caduta in alcuna contraddizione quando ritiene la parte civile credibile quando afferma di non aver avuto presto conoscenza del sesso: semmai la frase dimostra come la persona offesa, raggiunta la maturità, distingua il sesso, quello frutto di normali rapporti consenzienti e di libera scelta, dagli atti sessuali subiti dal padre.
La corte territoriale ha effettuato una valutazione complessiva dell'attendibilità della persona offesa, come prima indicato, prendendo in esame una pluralità di elementi.
4.5. Quanto alle dichiarazioni della persona offesa sui maltrattamenti in famiglia, il criterio di giudizio adoperato non è quello indicato nel ricorso Pa., per cui un padre maltrattante è anche un padre sessualmente abusante; la Corte di appello ha preso atto che le dichiarazioni della minore sui maltrattamenti in famiglia sono state poste a fondamento di una sentenza divenuta definitiva, anche se di patteggiamento, e pertanto sono state ritenute attendibili, anche se nei limiti del giudizio negativo ex art. 129 c.p.p.. Da ciò la Corte di appello ha tratto un argomento per ritenere non scindibili le dichiarazioni, ai fini della valutazione dell'attendibilità della persona offesa.
4.6. La Corte di appello ha poi correttamente ritenuto che i "non ricordo" non costituissero una ritrattazione delle dichiarazioni precedenti per la volontà esplicitata in maniera chiara di voler mantenere la costituzione di parte civile.
La Corte di appello ha spiegato questa apparente contraddizione legando i "non ricordo" al percorso doloroso e personale della persona offesa ma ha attribuito, correttamente, la volontà di proseguire nell'azione civile al riconoscimento dei torti subiti, chiaramente esposti sia a terze persone - le testimonianze indirette sono riportate nella sentenza di primo grado e richiamate dalla Corte di appello - che direttamente nelle sommarie informazioni testimoniali e nell'incidente probatorio.
Per altro, la difficoltà a ricordare gli atti sessuali subiti era emersa anche in primo grado, tanto che nella sentenza del Tribunale si ricorda il passo della perizia in cui la minore ha indicato che la "magia" che la persona offesa, allora minore, avrebbe voluto fare era quella di cancellare i brutti ricordi. Esattamente ciò che è poi accaduto in parte nell'esame dinanzi alla Corte di appello, dove sono stati ricordate solo le condotte meno gravi.
Pertanto, i passi che secondo la difesa non sarebbero stati valutati costituiscono o la conferma della volontà di non ricordare o aspetti della difficoltà della persona offesa di accedere a quel ricordo per lei ancora più doloroso dei maltrattamenti subiti. Dunque, non intaccano in alcun modo il ragionamento, del tutto corretto, della Corte di appello.
5. Sul terzo motivo del ricorso di P.M..
Il terzo motivo del ricorso P. è manifestamente infondato.
5.1. Va infatti rilevato che il secondo motivo dell'appello era incentrato esclusivamente sulla contestazione dell'attendibilità della minore, sotto i diversi profili prima indicati. Pertanto, i vizi di violazione di legge sono stati dedotti per la prima volta con il ricorso: il motivo sul punto è pertanto inammissibile ex art. 606 c.p.p., comma 3.
5.2. Come già indicato, la responsabilità degli imputati è stata ritenuta sussistente in relazione al complesso delle fonti di prova; quanto alla descrizione dei fatti accaduti, la Corte di appello di Milano ha richiamato le pagine 13-15 della sentenza di primo grado nelle quali si riportano le dichiarazioni della minore sugli atti sessuali subiti dal padre, sulla condotta tenuta dalla madre e sulle occasioni in cui assistette ai rapporti sessuali tra i genitori.
Pertanto, una volta ritenuta attendibile la persona offesa, rigettato il motivo di appello, correttamente la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado senza procedere ad una nuova specifica valutazione.
Per altro, l'asserito contrasto con le dichiarazioni della persona offesa non risulta essere stato specificamente dedotto mediante l'allegazione delle dichiarazioni che sarebbero state travisate.
6. L'accoglimento del quarto motivo del ricorso di P.M..
Il quarto motivo del ricorso nell'interesse di P.M. è fondato nel senso che segue.
6.1. Va in primo luogo rilevato che con l'atto di appello la difesa di P.M. chiese l'applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3.
6.2. Secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza, ai fini del riconoscimento della minore gravità di cui all'art. 609 bis c.p., u.c., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, l'invasività nella sfera sessuale della vittima, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità; cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 6784 del 18 novembre 2015 Rv. 266272, D.: fattispecie nella quale la Corte ha escluso che la reiterazione degli abusi nel tempo, in quanto approfondisce il tipo di illecito e compromette maggiormente l'interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, possa essere compatibile con la minore gravità del fatto.
Va poi ribadito il principio espresso da Cass. Sez. 3, n. 14560 del 17/10/2017, dep. 2018, B., Rv. 272584 - 01 secondo il quale ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità nel reato di violenza sessuale, rilevano i soli elementi indicati dall'art. 133 c.p., comma 1, e non anche quelli di cui al comma 2, riguardanti la capacità a delinquere ed utilizzabili solo per la commisurazione complessiva della pena.
I Inoltre, la circostanza attenuante prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 3, concorre nel giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c.p.; cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 13866 del 07/12/2016, dep. 2017, G., Rv. 269328 - 01.
La circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, ha una natura oggettiva e pertanto ai sensi dell'art. 118 c.p. si estende al concorrente nel reato.
6.3. Tale circostanza attenuante è stata riconosciuta ad PA.AN., ritenuta concorrente nel reato ex art. 609-bis c.p. per effetto dell'art. 40 c.p., comma 2.
6.3.1. Secondo Cass. Sez. 3, n. 40663 del 23/09/2015, dep. 2016, Z., Rv. 267594 - 01, in tema di reati contro la libertà sessuale, la posizione di garanzia verso i propri figli, costituita dall'art. 147 c.c. in capo al genitore, comporta l'obbligo per costui di tutelare la vita, l'incolumità e la moralità sessuale dei minori contro altrui aggressioni; ne consegue che risponde del reato di violenza sessuale in danno del figlio minore, commesso da terzi, il genitore che, consapevole del fatto, non si attivi per impedirlo ed anzi consenta il protrarsi degli abusi (fattispecie in cui il genitore aveva tollerato che la figlia quindicenne subisse abusi da parte del futuro sposo, con loro convivente, nonostante il rifiuto e le proteste della minore).
6.3.2. Si è altresì chiarito che risponde del reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'art. 609-octies c.p. il genitore che, pur non partecipando alla commissione di atti sessuali sul figlio minore, sia presente sul luogo del fatto ed agevoli concretamente l'abuso sessuale posto in essere da parte del correo.
Il meno grave reato di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p., materialmente commesso da altri, è configurabile, a titolo di concorso morale, solo quando il genitore sia assente dal luogo del fatto e, pur consapevole dell'abuso ai danni del figlio minore, tenga una condotta meramente passiva in violazione dei doveri inerenti alla potestà genitoriale. Cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 23272 del 30/04/2015, 0., Rv. 263994.
6.4. La Corte di appello, pur ritenendo che la condotta ex art. 609-bis c.p. sia stata commessa in concorso di persone, anche se quanto ad PA.AN. ex art. 40 c.p., comma 2, non ha risposto al motivo di appello con cui P.M. ha richiesto l'applicazione di tale circostanza attenuante; nè ha indicato i motivi per i quali, pur applicando la circostanza attenuante alla concorrente, l'ha esclusa per P.M..
Sul punto pertanto, si impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al punto concernente l'estensione dell'attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., u.c., di cui si è indicato l'ambito applicativo.
7. Sugli altri motivi del ricorso di PA.AN..
7.1. Il primo motivo del ricorso di PA.AN., con il quale la difesa ha dedotto il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 192,530 e 533 c.p.p., è inammissibile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, in quanto l'inosservanza di tali norme non è prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza.
Secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, in tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla violazione dell'art. 192 c.p.p., non essendo l'inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all'art. 606 c.p.p., lett. c), ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (Cass. Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Cass. Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, Pecorelli, Rv. 271294).
Analogamente, tenuto conto dei limiti del giudizio di legittimità, si è affermato che la regola di giudizio compendiata nella formula dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (cfr. in tal senso Cass. Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D'Urso, Rv. 270108).
Il mancato rispetto di tale regola di giudizio, come anche di quella indicata nell'art. 192 c.p.p., non può essere dedotto in sede di legittimità invocando una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero un'attività esclusa dal perimetro della giurisdizione di legittimità, ma solo evidenziando vizi logici manifesti e decisivi del tessuto motivazionale, dato che oggetto del giudizio di cassazione non è la valutazione (di merito) delle prove, ma la tenuta logica della sentenza di condanna.
7.1.1. Quanto al vizio della motivazione dedotto con il primo motivo, al punto 1, deve rilevarsi che nel motivo in realtà non si indicano i profili di contraddittorietà e di manifesta illogicità della motivazione quanto al rigetto delle questioni relative all'insussistenza dei condizionamenti, ma si prospetta esclusivamente una diversa lettura del materiale probatorio ritenendo errata la valutazione della dei giudici di merito.
7.1.2. Del tutto infondata è poi la questione relativa all'inversione dell'onere della prova: si confonde l'onere della prova sulla penale responsabilità con l'onere della prova del fatto processuale, che è a carico della parte che deduce l'esistenza del fatto da cui dipende l'applicazione della norma processuale.
La Corte di appello, avendo ritenuto sussistente l'attendibilità della minore, condividendo il percorso logico del Tribunale, non solo in base alle dichiarazioni della minore, ma valutando il percorso di disvelamento e le dichiarazioni degli altri soggetti a cui la minore ha riferito degli atti sessuali subiti, la già valutata attendibilità della persona offesa in relazione alla sentenza definitiva sul reato di maltrattamenti in famiglia, ha ritenuto non provato dalla difesa che tali dichiarazioni fossero il frutto di suggestioni ad opera di terzi.
Per altro, l'argomento dell'influenza della visione di un noto sceneggiato televisivo, di cui per altro non si indica neanche quando fu mandato in onda per rapportarlo ai fatti per cui è processo, era già stato proposto in primo grado e respinto con motivazione condivisa dalla Corte di appello.
7.2. Il terzo motivo del ricorso Pa. è manifestamente infondato.
Ed invero, non vi è alcuna contraddizione tra l'argomento adoperato dalla Corte di appello per l'assoluzione dal reato ex art. 609-quinquies c.p., e la condanna per i reati ex art. 40 c.p., comma 2 e art. 609-bis c.p..
L'assoluzione per la mancanza dell'elemento soggettivo del reato concerne i rapporti sessuali avvenuti dinanzi alla figlia; la condanna concerne invece gli atti sessuali, avvenuti anche con violenza da parte del padre, senza che la madre abbia impedito l'evento.
Affermare, come avviene nel ricorso, che la madre poteva non essere consapevole del proprio dovere di impedire l'evento, significa invocare un errore di diritto non scusabile. In ogni caso, il motivo non si confronta realmente con la motivazione della sentenza della Corte di appello che ha fatto riferimento al racconto della persona offesa sui pianti sommessi della madre mentre lei veniva portata in camera da letto ed ai tentativi, che dimostrano la piena consapevolezza di quanto accadeva, di sottrarla, almeno per qualche ora, alle morbose attenzioni del marito mandandola a giocare dai vicini.
8. Sul motivo del ricorso di PA.AN. sulle circostanze attenuanti generiche.
Con l'ultimo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il motivo è fondato.
Va preliminarmente rilevato che la difesa dell'imputato ha formulato un articolato motivo di appello (cfr. pagina 21 dell'appello) contestando specificamente il rigetto dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Ciò determinava per il giudice dell'impugnazione l'obbligo di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli; al principio devolutivo è coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste dell'impugnante:
stante la correlazione tra motivi di impugnazione e ambito della cognizione e della decisione, non è ammissibile che il giudice possa esimersi da tale compito.
La Corte di appello ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, nonostante lo specifico motivo di impugnazione; la mancata pronuncia sul punto impone pertanto l'annullamento con rinvio, limitatamente al punto concernente le attenuanti generiche, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
9. Poichè l'annullamento con rinvio concerne esclusivamente la valutazione sulla concessione di circostanze attenuanti, deve dichiararsi ai sensi dell'art. 624 c.p.p., irrevocabile l'affermazione di responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata in relazione all'imputata Pa.An. limitatamente al punto concernente le attenuanti generiche; annulla la medesima sentenza in relazione all'imputato P.M. limitatamente al punto concernente l'estensione dell'attenuante di cui all'art. 609 bis c.p., u.c..
Rinvia per nuovo giudizio sui predetti punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Visto l'art. 624 c.p.p., dichiara irrevocabile la sentenza in ordine alla affermazione di penale responsabilità degli imputati.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2019