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Violenza sessuale: la condizione di inferiorità psichica della vittima al momento del fatto prescinde da fenomeni di patologia mentale

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 13/07/2022, n.31776

In tema di violenza sessuale, la condizione di inferiorità psichica della vittima al momento del fatto prescinde da fenomeni di patologia mentale, essendo sufficiente ad integrarla la circostanza che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza all'altrui opera di coazione psicologica o di suggestione, anche se dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale, ma con esclusione di ogni causa propriamente morbosa.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 25 novembre 2021 la corte di appello di L'Aquila, riformando parzialmente la sentenza del 5 novembre 2019 del tribunale di Chiavari, applicava nei confronti di B.E., in relazione all'episodio del (OMISSIS) e con riguardo al reato ex art. 609 c.p., commi 1 e 2, n. 1 bis, l'attenuante di cui all'art. 609 bis c.p., u.c., rideterminava la pena finale in ordine a tale episodio, nella misura di anni tre di reclusione, ed assolveva l'imputato in ordine agli ulteriori episodi contestati. 2. Avverso la sentenza sopra indicata propongono ricorso per cassazione B.E., mediante il proprio difensore, e il Procuratore Generale della Repubblica della Corte di appello di L'Aquila, deducendo entrambi due motivi di impugnazione. 4. B.E. deduce con il primo, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), il vizio di violazione dell'art. 609 bis c.p., comma 1 e comma 2, n. 1). Rileva che la Corte di appello avrebbe errato nell'applicazione dell'art. 609 bis c.p., comma 1 e comma 2, n. 1) in ordine ai fatti di cui all'episodio del 23.1.2016, in quanto avrebbe presunto e desunto l'approfittamento, dalla consapevolezza delle minorate condizioni del soggetto passivo da parte del prevenuto, mentre invece, nell'ipotesi di reato in argomento, andava provato dall'accusa e verificato dal Giudicante non tanto se l'agente fosse consapevole di tali condizioni, quanto se avesse indotto la ragazza all'atto sessuale, abusandone a fini sessuali. Si aggiunge peraltro, che non sussisterebbe l'elemento materiale del reato ascritto, essendo emersa in dibattimento la sussistenza della capacità di autodeterminazione della p.o. (affermata sotto altro profilo dalla stessa Corte territoriale), nella quale capacità andava ricompresa quella di autodeterminazione a compiere un atto sessuale. 5. Con il secondo motivo rappresenta vizi di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Si osserva che la corte di appello, affrontando il tema della capacità di autodeterminazione della vittima in relazione alle doglianze difensive sulla validità della querela sporta, avrebbe affermato che la p.o. non sarebbe stata incapace, in assoluto, di autodeterminarsi in modo consapevole e volontario e si evidenzia e si contesta che tuttavia la stessa corte avrebbe affermato che la condizione di menomazione della ritenuta vittima sarebbe stata comunque tale da essere assolutamente riconoscibile e, per questo, l'imputato (per compiere l'atto sessuale) ne avrebbe senza dubbio approfittato. Così omettendo ogni indagine e rilasciando una motivazione incoerente e contraddittoria sul consenso della vittima e sull'entità dell'invasione della sua sfera sessuale. 6. Il Procuratore generale con il primo motivoiha dedotto vizi di motivazione nonché di violazione di legge in ordine agli artt. 195 e 546 c.p.p.. La Corte d'Appello, avrebbe omesso di valutare prove testimoniali indirette che il giudice di prime cure aveva rimarcato come prove dichiarative di indubbio valore probatorio. Tra queste, da un lato la deposizione della responsabile della struttura comunitaria per disabili presso la quale la vittima è stata ricoverata dall'ottobre 2017, di cui il ricorrente riporta il passaggio della deposizione con riferimento al racconto fattole dalla persona offesa in ordine a comportamenti dell'imputato nei suoi confronti, e con riferimento a intervenuti cambiamenti, extraprocessuali, di versione, effettuati dalla ragazza medesima, che conforterebbero il quadro probatorio a carico. Dall'altro, la deposizione della teste W., di cui si contesta il giudizio di attendibilità limitato solo al racconto della notte del (OMISSIS), con esclusione quindi della parte relativa al racconto delle confidenze ricevute dalla persona offesa in ordine ai contatti sessuali subiti ad opera dell'imputato. I giudici di secondo grado inoltre, non avrebbero tenuto conto in maniera più approfondita della testimonianza della vittima, che doveva essere valutata complessivamente anche a fronte della mimica mostrata. Inoltre, la corte non avrebbe tenuto in adeguata considerazione lo stato di grave disagio psico-fisico della persona offesa, che avrebbe imposto ben altra modalità di esame rispetto a quella svoltasi. 7. Con il secondo motivo deduce vizi di motivazione nonché il travisamento della prova oltre che il vizio di violazione di legge con riguardo all'art. 609 bis c.p., u.c.. Sarebbe stata travisata la testimonianza di un teste oculare, W., nella parte in cui al riguardo la corte ha parlato di condotte consistite in toccamenti, sebbene, anche alla luce dei gesti mimati, e sintetizzati dal Presidente del collegio di primo grado in termini di manipolazione dell'organo genitale dell'imputato, si sarebbe trattato, secondo la sintesi della predetta deposizione riportata in ricorso, proprio delle condotte prima descritte dal Presidente. Sarebbe peraltro di ostacolo alla concessione della attenuante ex art. 609 bis c.p., u.c., la totale omessa valutazione del grado di coartazione esercitato sulla vittima oltre che le condizioni fisiche e mentali di quest'ultima. In violazione della norma, alla luce della giurisprudenza di legittimità in tema di configurabilità della circostanza attenuante della minore gravità in tema di violenza sessuale, in quanto sarebbe imprescindibile una valutazione globale del fatto, con particolare attenzione proprio alla coartazione psicologica esercitata sulla vittima particolarmente vulnerabile a cagione dell'infermità fisica e psichica. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo proposto nell'interesse dell'imputato è manifestamente infondato. Va premesso che in tema di violenza sessuale, la condizione di inferiorità psichica della vittima al momento del fatto prescinde da fenomeni di patologia mentale, in quanto è sufficiente ad integrarla la circostanza che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza all'altrui opera di coazione psicologica o di suggestioni, anche se dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale (Sez. 3, n. 38261 del 20/09/2007 Rv. 237826 - 01). Inoltre, sempre in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorità fisica o psichica, questa Suprema Corte ha più volte ribadito che l'induzione a compiere o a subire atti sessuali si realizza quando, con un comportamento attivo di persuasione sottile e subdola, l'agente spinge, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto (Sez. 3 -, n. 38011 del 17/05/2019 Rv. 277834 - 01). La corte ha fatto corretta e coerente applicazione di tali principi: infatti, dapprima ha evidenziato la sussistenza dello stato di inferiorità psichica, laddove ha rappresentato che la persona offesa era affetta da un disturbo della personalità, da grave ritardo mentale, da disturbi psicotici ricorrenti, oltre che da vare patologie fisiche. Il tutto assolutamente riconoscibile, come attestato da vari testi, tanto che la ragazza non poteva essere lasciata da sola. Quanto alla condotta induttiva, ha perspicuamente sottolineato come la realizzazione, da parte dell'imputato, di un comportamento attivo di persuasione sottile e subdola nei confronti della persona offesa, finalizzato alla consumazione del rapporto sessuale altrimenti non voluto dalla vittima, è desumibile dal fatto che l'approccio sessuale fu realizzato clandestinamente (nel senso che del rapporto non fossero a conoscenza i congiunti della persona offesa), dietro pagamento di un'irrisoria somma di denaro, oltre che dalla circostanza - particolarmente rilevante sul piano della dimostrazione del dissenso, altrimenti, all'atto -, per cui la stessa persona offesa, nel corso della deposizione resa in dibattimento, non si è limitata ad ammettere il rapporto rivendicando la propria scelta, bensì ha negato tutto, così manifestando, secondo i giudici, come il suo comportamento non sia stato il frutto di una scelta libera e consapevole. Si tratta di riflessione che non appare per nulla manifestamente illogica, cosicché trova spazio il principio per cui con specifico riguardo ai vizi di mancanza, l'illogicità e contraddittorietà della motivazione, essi devono essere di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). 2. Quanto al secondo motivo esso è inammissibile: non emerge alcuna contraddizione tra il rilievo inerente la capacità di autodeterminazione della persona offesa e la peculiare condizione di inferiorità della stessa, la quale, per quanto inizialmente premesso, prescinde da fenomeni di patologia mentale, in quanto è sufficiente ad integrarla la circostanza che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza all'altrui opera di coazione psicologica o di suggestioni, anche se dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale. 3. Riguardo al primo motivo dedotto con il ricorso del Procuratore generale, esso appare fondato. Pur a fronte della corretta premessa circa l'assenza di una narrazione accusatoria della persona offesa, in ragione della relativa ritrattazione intervenuta in dibattimento, seppur non credibile a fronte delle contestazioni formulate dal P.M. richiamando dichiarazioni opposte, rese in fase predibattimentale, appare connotata da una motivazione carente la conclusione della corte per cui, a fronte del predetto dato, il compendio probatorio sarebbe contraddittorio, in quanto la teste Wittokwska avrebbe riferito dettagliatamente solo di un unico episodio, per il quale è intervenuta condanna, laddove l'altra teste, Finoli, avrebbe riferito della rivelazione, da parte della vittima, di atti sessuali compiuti dall'imputato in cambio di cifre irrisorie, per poi successivamente ritrattare, anche nei confronti della predetta teste, quanto sopra sostenuto. Ed invero, come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, la prima testimone oltre a descrivere l'episodio direttamente percepito, con inevitabile maggiore precisione narrativa, ha in realtà anche ricordato come da verbale correttamente allegato al ricorso - che secondo quanto rivelatole dalla persona offesa, condotte come quelle viste dalla teste erano accadute altre volte; circostanza, quest'ultima, che si accompagna con quella di cui al ricordo della testimone responsabile della comunità ove era stata ricoverata la ragazza, secondo la quale la persona offesa varie volte aveva detto all'interno dell'istituto di essere stata molestata dall'imputate, aggiungendo altresì che si agitava molto nel riferire ciò e che aveva detto comunque che si prostituiva per qualche Euro. Ed egualmente non può essere trascurata la valutazione della analoga circostanza della ritrattazione, extraprocessuale, effettuata dalla vittima. Emerge, dunque, in sostanza, un travisamento parziale, per omissione, del compendio probatorio dichiarativo, che invero incide negativamente sulla motivazione come formulata dalla corte, nel senso della sussistenza di un quadro probatorio "contraddittorio" che, tuttavia, nella relativa illustrazione manca della valutazione dei predetti profili dichiarativi e quindi del loro completo esame, nel quadro di una complessiva valutazione delle varie dichiarazioni tra loro, oltre che in rapporto alla considerazione della non attendibilità della intervenuta ritrattazione in sede dibattimentale. In proposito, occorre osservare che seppure in materia di reati di violenza sessuale assume, di norma, un rilievo particolare la deposizione della vittima, ciò non osta alla praticabilità di regole probatorie ordinarie, nel senso che il singolo reato ben può trovare, nel singolo caso concreto, dimostrazione, attraverso fonti diverse dal racconto diretto della persona offesa. Comprese quelle de relato, nella misura in cui ne sia rispettata, come nel caso di specie, in cui il teste di riferimento è stato comunque sentito, la cornice normativa di riferimento. Ed invero discende proprio dai predetti assunti, anche il principio per cui in tema di testimonianza indiretta, il giudice può ritenere attendibile la deposizione del teste "de relato", sebbene sia contrastante con quella della fonte diretta, in quanto l'art. 195 c.p.p. non prevede alcuna deroga al principio di libera valutazione della prova. (Sez. 6 n. 38064 del 05/06/2019 Rv. 277062 - 01). 4. E' fondato anche il quarto motivo. Alla luce del principio per cui, in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità, prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 3, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, in modo da accertare che la libertà sessuale non sia stata compressa in maniera grave e che non sia stato arrecato alla vittima un danno grave, anche in termini psichici (Sez. 3 - n. 50336 del 10/10/2019 Rv. 277615 - 01). Si tratta invero di un indirizzo di legittimità che non pare essere stato osservato dalla corte, nella misura in cui la concessione della attenuante è spiegata solo per la ritenuta occasionalità della condotta e la ritenuta natura degli atti sessuali compiuti. Del resto, dalle considerazioni sopra esposte circa la necessaria rivalutazione di tutti i fatti ascritti, consegue inevitabilmente anche una valutazione a più ampio spettro, rispetto ad ulteriori fatti che si ritengano eventualmente alfine accaduti, della attenuante medesima. 5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che vada annullata la sentenza impugnata dal Procuratore Generale, con rinvio per nuovo giudizio alla corte di appello di Perugia. Va altresì dichiarato inammissibile il ricorso presentato da B.E. con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata dal Procuratore Generale con rinvio per nuovo giudizio alla corte di appello di Perugia. Dichiara inammissibile il ricorso presentato da B.E. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 13 luglio 2022. Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2022
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