Tribunale Nola, 10/01/2022, (ud. 29/11/2021, dep. 10/01/2022), n.2315
La sentenza ribadisce che la partecipazione al reato di accesso abusivo a sistemi informatici (art. 615 ter c.p.) e frode informatica (art. 640 ter c.p.) può essere configurata anche per chi, pur non essendo autore materiale dell'intrusione, fornisce strumenti essenziali alla consumazione del reato, come l'apertura di conti correnti per ricevere i proventi dell'illecito.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
A dibattimento, assente l'imputato, in assenza di questioni preliminari, veniva data lettura del capo di imputazione; il difensore muti di procura speciale dichiarava di voler proseguire i giudizio con rito abbreviato; acquisito il fascicolo del PM all'udienza del 29.11.2021 le parti concludevano come in epigrafe ed il Giudice dava lettura del dispositivo, riservandosi il deposito dei motivi nel termine di 90 giorni.
Dagli atti procedimentali utilizzabili per la decisione è emersa la responsabilità dell'imputato, quanto meno come partecipe ex art. 110 c.p., dei reati a lui ascritti in rubrica.
L'affermazione della penale responsabilità si fonda sugli atti di indagine utilizzabili in virtù del rito prescelto, in particolare la denuncia querela sporta da RA. Ol. e documenti allegati ( in particolare e- mail ricevuta in data 30.9.2019), annotazione di servizio redatta dal compartimento della Polizia Postale e delle Comunicazioni Emilia Romagna con relativi allegati (tra cui documentazione bancaria per l'apertura del conto corrente intestato a Ce. Ci.) da cui emerge quanto segue.
In data 30.9.2019 BO. Mo., dipendente amministrativa dell'azienda (omissis) Re. s.r.l.s., con sede legale in (omissis) e legalmente rappresentata da RA. Ol., disponeva dal conto aziendale avente Iban (omissis), aperto presso banca Credem filiale di (omissis), un bonifico on line dell'importo di Euro 14039,86, a favore del conto avente Iban (omissis) intestato alla società M. Pr. S.r.L.s. (cfr. fattura).
Dopo aver disposto il predetto bonifico la Bo. riceveva una mail, proveniente dalla sicurezza pagamenti della Credem, con la quale le veniva comunicato che la distinta era stata individuata tra le operazioni sospette e che pertanto era necessario effettuare dei controlli sulla validità del bonifico effettuato di cui si riportavano i dati (cfr. in atti). Nella predetta e-mail l'istituto bancario evidenziava che l'operazione di pagamento sospetta era a beneficio dell'Iban n. (omissis), conto in effetti diverso dal fornitore.
La BO. allora accedeva nuovamente al portale dell'home banking confermando l'operazione di pagamento in favore del conto del proprio fornitore, avente Iban (omissis) intestato alla società M. Pr. S.r.L.s., così come appariva sulla pagina dell'istituto bancario.
In data 17 ottobre, mentre la dipendente effettuava la registrazione contabile dell'azienda, notava invece che il predetto bonifico dell'importo di Euro 14039,86 risultava effettuato in favore di tale AR. Ci., soggetto diverso dal fornitore M. Pr. S.r.l.s..
Quest'ultima società, una volta contattata, confermava di non aver ricevuto alcun pagamento.
Pertanto, la Bo. contattava l'istituto bancario evidenziando che il pagamento del 30.9.2019 era stato disposto in favore del conto avente Iban (omissis), intestato alla società M. Pr. S.r.l.s., mentre invece risultava essere stato effettuato in favore del conto n. (omissis), chiedendo spiegazioni e disconoscendo la predetta operazione.
In seguito alla denuncia, la P.G. procedente compiva accertamenti bancari da cui emergeva quanto segue:
- l'IBAN (omissis) era associato alla Carta Postepay Evolution n. (omissis) intestata a AR. Ci., nato il (omissis), identificato con carta di identità prodotta al momento dell'apertura del conto, poco più di un mese prima dell'operazione sospetta, cioè in data 28.8.2019 ( cfr. documentazione relativa all'IBAN (omissis));
- dal confronto tra l'immagine posta sul documento presentato per l'attivazione della Carta Postepay Evolution e la foto apposta sul cartellino d'identità acquisito dalla PG presso il Comune di residenza dell'Ar., si evinceva che si trattava della medesima persona;
- tramite l'Ufficio Accertamenti Giudiziari di Poste Italiane si accertava che il 2.10.2019 alle ore 8.9.03 dal conto avente IBAN (omissis) era stato disposto un bonifico pari a 15.000,00 in favore di altro IBAN intestato a Ro. Kh. e che quindi la somma indebitamente percepita dall'Ar. pochi giorni dopo era stata dirottata su altro conto.
Sulla base di tali univoche risultanze processuali, ritiene questo giudicante che appaia evidente la responsabilità dell'imputato in relazione ai reati a lui ascritti in rubrica. La prova si basa anche sulle dichiarazioni rese in sede di denuncia dalla persona offesa.
In proposito la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la deposizione della persona offesa può, anche da sola, essere posta a fondamento di una sentenza di condanna, per il valore equiparato a quello di una testimonianza che il legislatore attribuisce alla stessa. In particolare, le dichiarazioni della persona offesa, a differenza di quelle rese da uno dei soggetti previsti dall'art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., non necessitano d'alcun riscontro esterno, non trovando applicazione per esse la previsione di cui alla parte finale del terzo comma del citato articolo, dettata solo per le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato, da persona imputata in un procedimento connesso e da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'art. 371, comma 2 lett. b), c.p.p. La persona offesa, però, è pur sempre portatrice di un interesse antagonistico a quello dell'imputato, per questo è richiesto che la sua testimonianza sia sottoposta a un vaglio particolarmente rigoroso in ordine alla sua credibilità soggettiva e oggettiva (cfr., tra le tante pronunce in tale senso e solo per citare le più recenti, Cassazione penale, sez. un., 19/07/2012, n. 41461, P.M.; Cassazione penale, sez. II, 24/09/2015, n. 43278, M.). Qualora, però, la deposizione della persona offesa superi tale vaglio critico, facendo ricorso se del caso a qualsiasi elemento di controllo ricavabile dal processo, la stessa può "essere assunta anche da sola come fonte di prova" (così Cassazione penale sez. V, 27 aprile 1999, n. 6910. Vedi anche tra le più recenti Cassazione penale, sez. II, 18/12/2015, n. 10457, R.A.).
In una recente sentenza della Cassazione, i giudici di legittimità hanno compiuto una ricostruzione dell'evoluzione giurisprudenziale stilla questione in esame, chiarendo anche l'interpretazione da dare ad alcune affermazioni contenute nella pronuncia delle Sezioni Unite prima citata. In particolare, è stato sostenuto quanto segue.
"Con specifico riguardo alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, il collegio condivide la giurisprudenza della Corte di legittimità secondo cui le regole dettate dall'art. 192 cpp., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone; la Corte ha altresì precisato Come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Cass. sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214). Come si evince dal tessuto motivazionale della richiamata pronuncia delle Sezioni unite, la circostanza che l'offeso si sia costituito parte civile non attenua il valore probatorio delle dichiarazioni rendendo la testimonianza omogenea a quella del dichiarante "coinvolto nel fatto", che soggiace alla regola di valutazione indicata dall'art. 192 c.p.p., comma 3, ma richiede solo un controllo di attendibilità particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi in funzione dell'interesse patrimoniale vantato.
La Corte di Cassazione, peraltro, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l'attendibilità estrinseca della testimonianza dell'offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di "opportunità" e non di "necessità", lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto. Le sezioni unite hanno infatti affermato che "può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato" (nello stesso senso Cass. Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, St., Rv. 248016; Cass. Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755)" (così Cassazione penale, sez. II, 27/10/2015, n. 46100, G.).
Orbene, le dichiarazioni rese in querela da RA. Ol., superano certamente quel vaglio particolarmente rigoroso al quale si è fatto riferimento, apparendo le stesse credibili sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo.
È stato possibile apprezzare, in primo luogo, la credibilità soggettiva delle dichiarazioni della persona offesa. Al riguardo va rilevato che RA. Ol. non si è costituita parte civile.
Analoghe considerazioni valgono a proposito della credibilità oggettiva della persona offesa, la quale ha reso dichiarazioni coerenti e prive di contraddizioni.
Le dichiarazioni di RA. Ol., inoltre, sono state riscontrate dalle acquisizioni documentali, che costituiscono autonomi elementi di prova nei confronti dell'imputato.
Ciò posto, il Tribunale ritiene configurabili i reati contestati all'imputato di cui agli artt. 615 ter e 640 ter c.p., tenuto conto che vi sono indizi gravi, precisi e concordanti che consentono di inferire che l'odierno imputato, quanto meno in concorso con altri soggetti rimasti non identificati, abbia commesso i reati a lui ascritti.
Il resoconto dei fatti così come dianzi sommariamente tracciato consente di ritenere pienamente integrati gli elementi costitutivi delle fattispecie di cui agli artt. 615 ter e 640 ter c.p., contestati in un unico capo di imputazione.
In sintesi, l'imputato tramite l'uso dei propri documenti di identità e del proprio codice fiscale, apriva un conto corrente postale ed acquisiva la disponibilità di una Carta Postepay Evolution su cui veniva accreditata la somma di Euro 14039,86, prelevata disponendo un bonifico dal conto della persona offesa, attraverso la tecnica di illecita intromissione in via informatica.
Il fatto che l'istruttoria non abbiano consentito di individuare se sia stato l'imputato o altri ad operare materialmente l'"intrusione" nel sistema informatico della Credem con illecito accesso al conto personale della parte offesa, non vale ad escludere la partecipazione, ex art. 110 c.p. dell'AR. alla consumazione dei reati, alla luce della condotta dallo stesso compiuta. La frazione di condotta riconducibile all'Ar. è apprezzabile sotto il profilo fattuale ed essenziale, posto che consiste nella predisposizione degli strumenti necessari alla ricezione delle somme indebitamente prelevate dal conto della vittima. Il ruolo svolto dall'imputato per la parte che ha una sua dimostrazione storica, è da considerarsi "attivo" sotto il profilo della partecipazione tenuto conto che per aprire il conto per l'accredito delle somme illecitamente carpite sono stati adoperati i documenti personali dell'imputato, ivi compresa la carta di identità che ha permesso all'impiegato postale che ha curato l'operazione la verifica della corrispondenza tra il documento di documento di identità e la persona che accedeva alla procedura di apertura del conto.
Trattasi di frazione dell'illecita condotta apprezzabile, se non altro per l'apprestamento dei mezzi necessari per la consumazione dell'illecito, sicché il ruolo attribuito all'AR. è definito nei suoi contorni. Ne consegue che sotto il profilo oggettivo, all'odierno imputato, quantomeno in concorso con altri soggetti rimasti ignoti, sono riconducibili i reati a lui ascritti per aver attivato una carta sulla quale è stato operato un accredito pari all'importo fraudolentemente prelevato dal conto della p.o., attraverso la tecnica di illecita intromissione in via informatica.
Quanto al profilo soggettivo, in linea generale va osservato che la prova della volontà della commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze che abbiano connotato l'azione e delle quali deve essere verificata l'oggettiva idoneità a cagionare l'evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione. (Cass sez 6 n. 16465 del 6.4.2011 in ced rv 250007). Nel caso in esame, l'imputato non ha mai denunciato lo smarrimento né richiesto il blocco della carta a lui intestata; tali fatti unitamente alla condotta assunta dall'imputato sono idonei a dimostrare implicitamente l'elemento psicologico dei reati.
La condotta tenuta dal prevenuto integra, in primo luogo, il reato di cui all'art. 615 ter c.p., in quanto ha concorso ad introdursi abusivamente nel sistema informatico dell'istituto di credito, protetto dalla misura di sicurezza della password.
La disposizione di cui all'art. 615 ter c.p. punisce "Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni."
Dal compendio degli elementi di prova emerge, inoltre, che, già sul piano logico, l'introduzione abusiva nel sistema informativo e la successiva appropriazione delle somme di denaro in danno della persona offesa non può che essere avvenuta con la partecipazione - quantomeno a titolo di concorso - dell'attuale imputato, il quale, se non ha realizzato in prima persona la condotta materiale di cui all'art. 615 ter c.p., ha offerto la disponibilità a rendersi intestatario del conto corrente, sul quale è alla fine confluita la somma di Euro 14.039,86.
Si deve ribadire che non vale a escludere la penale responsabilità dell'imputato la circostanza che non siano emersi elementi per ritenerlo l'autore materiale dell'abusiva introduzione nella casella di posta elettronica della vittima, poiché tale circostanza "non vale ad escludere la partecipazione, a titolo di concorso ex art. 110 c.p., alla consumazione dei reati di cui agli artt. 615-ter e 640-ter c.p. di colui che sia titolare della carta (…) su cui venivano illegittimamente riversate le somme prelevate dal conto della persona offesa attraverso la tecnica di illecita intromissione in via informatica" (così Cassazione penale, sez. II, 12/09/2018, n. 5748).
Sussiste, infine, anche l'elemento soggettivo del reato in esame, il quale richiede la presenza del dolo generico, essendo reato di mera condotta, che si perfeziona con la violazione del domicilio informatico, e quindi con l'introduzione in un sistema costituito da un complesso di apparecchiature che utilizzano tecnologie informatiche, senza che sia necessario che l'intrusione sia effettuata allo scopo di insidiare la riservatezza dei legittimi utenti, né che si verifichi una effettiva lesione alla stessa. Sez. 5, Sentenza n. 11689 del 06/02/2007 Cc. (dep. 20/03/2007) Rv. 236221" (così Cassazione penale, sez. V, 19/02/2020, n. 17360).
La condotta tenuta dall'imputato integra altresì gli estremi del reato di frode informatica previsto dall'art. 640 ter c.p.
La disposizione di cui all'art.640 ter c.p. punisce "Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da Euro 51 a Euro 1.032."
Sulla struttura del delitto in esame è possibile affermare, sulla scorta del dato normativo e della sua interpretazione giurisprudenziale, che la norma di cui all'art. 640 ter c.p. incrimina due condotte.
La prima consiste nell'alterazione, in qualsiasi modo, del funzionamento di un sistema informatico o telematico.
Per alterazione deve intendersi ogni attività o omissione che, attraverso la manipolazione dei dati informatici, incida sul regolare svolgimento del processo di elaborazione e/o trasmissione dei suddetti dati e, quindi, sia sull'hardware che sul software. In altri termini, il sistema continua a funzionare ma, appunto, in modo alterato rispetto a quello originariamente programmato. Per sistema informatico o telematico deve intendersi un complesso di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all'uomo, attraverso l'utilizzazione (anche parziale) di tecnologie informatiche, che sono caratterizzate - per mezzo di un'attività di codificazione e decodificazione - dalla registrazione o memorizzazione, per mezzo di impulsi elettronici, su supporti adeguati, di dati, ossia di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli (bit), in combinazione diverse, e dall'elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare informazioni, costituite da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di esprimere un particolare significato per l'utente. La seconda condotta è costituita dall'intervento senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico ad esso pertinenti.
È questo un reato a forma libera che, finalizzato pur sempre all'ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno, si concretizza in un'illecita condotta intensiva, ma non alterativa del sistema informatico o telematico (Sez. 2, n. 13475 del 06/03/2013, Sc., Rv. 254911)" (così Cassazione penale, sez. II, 29/05/2019, n. 26604).
Nel caso di specie la condotta criminosa contestata è senz'altro riconducibile all'imputato a AR. Ci. poiché, come già evidenziato, non vi è alcun minimo dubbio - trattandosi di dati derivanti da elementi di prova documentale - che l'operazione di accredito sia avvenuta a favore di un conto corrente a lui intestato (attivato attraverso l'esibizione di un documento del quale non risulta il furto o lo smarrimento denunciato in epoca antecedente all'attivazione dello stesso, né la sua contraffazione). E', quindi, certo che la condotta criminosa si è risolta in un vantaggio economico a favore dell'attuale imputato, con pari danno per la persona offesa.
Sul piano, soggettivo, infine, la prova del dolo richiesto dalla norma incriminatrice si trae agevolmente dalle caratteristiche esteriori della condotta, come prima ricostruite.
Deve in definitiva dichiararsi la penale responsabilità di AR. Ci. per i fatti in questa sede allo stesso addebitati.
Giova evidenziare che è ormai pacificamente ammesso il concorso tra il delitto di cui all'art. 615 ter c.p. e quello previsto dall'art. 640 ter c.p., sulla base della considerazione che sono diversi "i beni giuridici tutelati e le condotte sanzionate, in quanto il primo tutela il cosiddetto domicilio informatico sotto il profilo dello "ius excludendi alios", anche in relazione alle modalità che regolano l'accesso dei soggetti eventualmente abilitati, mentre il secondo contempla e sanziona l'alteratone dei dati immagazzinati nel sistema al fine della percezione di ingiusto profitto" (così Cassazione penale, sez. V, 19/02/2020, n. 17360, relativa a una fattispecie in cui la condotta specificamente addebitata all'imputato era quella di aver proceduto, in concorso con ignoto, ad aprire, con propri documenti di identità, conti correnti postali sui quali affluivano, poco dopo, somme prelevate da conti correnti o da carte (…) di altri soggetti. (Cfr., tra le tante in senso conforme, Cassazione penale, sez. II, 29/05/2019, n. 26604).
I reati contestati nell'unico capo di imputazione appaiono commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e possono, pertanto, essere unificati ai sensi dell'art. 81, cpv., c.p..
Tenuto conto, poi, di tutti i criteri valutativi di riferimento dettati dall'art. 133 c.p., questo giudice stima equa e adeguata al caso concreto la pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 500,00 di multa (pena così determinata: p.b. per il più grave reato di cui all'art. 640 ter c.p. anni uno e mesi due di reclusione 800,00 di multa; aumentata per la continuazione a mesi quindici di reclusione ed Euro Euro 100,00 di multa, ridotta per il rito a mesi dieci di reclusione ed Euro 500,00 di multa.
Sussistono i presupposti per concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il carico di lavoro rende indispensabile il più lungo termine per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Letti gli artt. 110 c.p. e 533-535 c.p.p, dichiara AR. Ci. colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica, ritenuti i reati avvinti dal vincolo della continuazione, ridotta la pena per il rito prescelto, lo condanna alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Pena sospesa.
Motivi in giorni 90.
Così deciso in Nola, il 29 novembre 2021
Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2022