Corte appello Taranto, 16/08/2023, n.340
La determinazione della base imponibile per reati fiscali deve avvenire mediante costi effettivamente documentati; i prelievi e gli accrediti non giustificati possono essere considerati ricavi imponibili in assenza di prova contraria, specie in contesti di totale assenza di contabilità.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza del Tribunale di Taranto, resa in data 7.12.2021, D'A.Fr. e Lo.Sa. venivano ritenuti colpevoli del reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 c.p. e 5 d.lgs. 74/2000 per avere, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, il primo in qualità di rappresentante legale nonché amministratore unico dal 31.5.2013 della società (…) S.r.l., (con sede legale in Maruggio (TA) via Camene snc attualmente inattiva); il secondo (D'A.) nella sua qualità di rappresentante legale dal 18.12.2006 al 31.5.2013 e di c.d. "amministratore di fatto" dall'1.6.2013 in poi della citata società, al fine di evadere l'imposta sui redditi (IRES) delle società di capitali, omesso di presentare la dichiarazione annuale relativa a detta imposta per gli anni 2012 e 2013, con un'evasione complessiva accertata per Euro 220.359,00. (Il primo) il secondo ed il terzo (Lo.), quest'ultimo in qualità di c.d. "amministratore di fatto" dal 1.12.2012 al 31.5.2013 della citata società), per avere al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, omesso di presentare la dichiarazione annuale relativa a detta imposta per l'anno 2012, con un'evasione accertata per euro 58.114,00;
In Maruggio (TA), condotte commesse il 30.12.2013 (per le dichiarazioni relative all'anno di imposta 2012) e il 30.12.2014 (per la dichiarazione relativa all'anno di imposta 2013).
La decisione si fonda sulle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, in particolare sull'esame del teste (…), maresciallo della Guardia di Finanza in forza presso la Compagnia di Manduria, il quale rappresentava che la società (…) s.r.l., operante nel settore della riparazione e commercializzazione di pneumatici, non aveva mai presentato alcuna dichiarazione fiscale omettendo di versare anche le relative imposte dirette ed indirette, come emerso dalle indagini finanziarie relative al periodo compreso tra il 2002 ed il 2015; la predetta società, ormai totalmente inattiva dal 2013, era stata amministrata dal D'A. dal 18 dicembre 2006 al 31 maggio 2013 mentre il LO. era risultato essere stato l'amministratore di fatto dall'I.12.2012 al 31.5.2013; i predetti imputati avevano ceduto le quote della citata società a tale (…), soggetto mai reperito, a partire dal giugno 2013; al momento dei controlli finanziari, gli operanti non avevano rinvenuto alcuna documentazione contabile.
Sulla scorta dei criteri applicati per ricostruire la movimentazione degli affari, era risultato che, ai fini delle imposte dirette "IRES" per l'anno 2012, i ricavi della (…) dovevano ritenersi essere pari ad euro 347.000, con un'imposta applicabile ed evasa pari a 95.520 euro, secondo un'aliquota del 27,5 per cento; ai fini dell'IRES per l'anno 2013, i ricavi erano da ritenersi pari ad euro 453.000, applicando l'aliquota del 27.5 per cento, l'imposta accertata ed evasa era pari ad euro 124.000; ai fini IVA per l'anno 2012, i ricavi dovevano ritenersi pari ad euro 276.000 mentre l'imposta evasa, applicando l'aliquota dei 21 per cento, ammontava ad euro 58.000; l'imposta complessiva evasa, ai fini IRES, per gli anni 2012/2013 ammontava ad euro 220.359,00.
I predetti importi erano stati ricavati analizzando i conti correnti della società, previa esclusione di tutte le operazioni "neutre", cioè non riconducibili ad attività di spesa, e dopo aver invitato la società a presentare la documentazione giustificativa, senza alcun esito; per determinare l'importo esatto dell'imposta evasa ai fini IRES ed IVA, gli operanti avevano analizzato i prelevamenti ed i versamenti, effettuando la somma tra i due importi; inoltre, nel corso delle indagini, erano stati effettuati controlli incrociati con 16 ditte, clienti della società in questione, all'esito dei quali non erano state rinvenute alcune fatture pur essendo stati individuati tali nominativi attraverso la consultazione dello spesometro; non erano stati detratti, ai fini del calcolo dell'imposta evasa, alcuni costi, quali il canone di locazione, dato che i beni rinvenuti in sede di accertamento erano risultati intestati ad una terza società, ovvero la (…) s.r.l.; il (…) era rimasto irreperibile mentre il D'A. e il LO. avevano dapprima ricoperto formalmente la qualifica di amministratore unico, successivamente erano stati amministratori di fatto visto che la gestione ordinaria della (…) era stata affidata esclusivamente a ciascuno di essi; circostanza dedotta dal fatto che, nel corso dell'accertamento, era stato ritrovato, presso i locali della ditta, il LO.; al (…) non era mai stata comunicata l'assunzione di tale carica in quanto aveva acquisito le quote della società nel corso di un cambio pneumatici.
Esaminati i testi della difesa, Vi.Si. e Me.An., il primo, consulente di parte, affermava che il reato di omesso versamento dell'IVA non avrebbe potuto essere contestato agli odierni imputati per diverse ragioni: in primo luogo, per l'impossibilità del LO. nel presentare la dichiarazione dei redditi, in considerazione del fatto che per gli anni in contestazione quest'ultimo non aveva assunto la carica di rappresentante legale della (…); ai fini IVA, per l'anno di imposta 2013, il LO. non sarebbe stato obbligato a presentare alcuna dichiarazione dato che il termine perentorio sarebbe scaduto il 30 settembre laddove questi aveva svolto il ruolo di amministratore di fatto soltanto sino al 31 maggio 2013; l'IVA evasa nel 2012 ammontava ad euro 48.000, dato che la (…) era una società operante nel commercio al dettaglio e l'imposta indiretta doveva essere calcolata tenendo conto dei singoli scontrini emessi e non facendo riferimento all'importo complessivo dei versamenti, visto che sugli scontrini viene indicato l'importo versato al lordo dell'IVA; il LO. aveva rivestito la carica di amministratore di fatto soltanto dall'1.12.2012 al 31.5.2013, per cui l'IVA evasa avrebbe dovuto essere determinata, al più, con esclusivo riferimento a tale arco temporale rispetto al quale l'imposta evasa sarebbe stata pari ad euro 10.784,80 euro; rilevava, inoltre, la mancata considerazione dei costi sostenuti dall'impresa al fine di determinare l'importo esatto delle imposte dirette ed indirette evase; detrazione che, se realizzata, avrebbe comportato un ammontare dell'imposta evasa pari ad euro 35.000, quindi al di sotto della soglia punibile.
All'esito della testimonianza la difesa produceva la consulenza redatta dal teste, acquisita agli atti. Successivamente, veniva esaminato il teste Me. il quale riferiva di aver curato la contabilità della (…) sino al 2011 insieme al D'A.; nel maggio 2013, il D'A. aveva effettuato una cessione delle quote in favore di un terzo; in considerazione della cessione effettuata, il D'A. interrompeva il rapporto di consulenza contabile non essendo più obbligato a presentare alcuna dichiarazione; sino al 2011, la citata società aveva adempiuto regolarmente a tutti gli obblighi fiscali.
Infine, il teste Li. riferiva di aveva lavorato presso la (…) dalla sua costituzione fino al 2013; la società aveva due sedi, Taranto e Maruggio presso le quali operavano due dipendenti; il D'A. era stato il suo datore di lavoro avendogli versato i compensi lavorativi; aveva conosciuto anche il LO. il quale aveva frequentato l'officina saltuariamente fino al 2013; lo stipendio lo aveva ricevuto in contanti, con acconti settimanali; non ricordava i nominativi dei suoi colleghi nè l'importo delle buste paga, ovvero se esistesse un'eventuale differenza con le somme ricevute tramite acconto.
Sulla scorta di tali elementi, il primo Giudice condannava il D'A. e il Lo. alla pena ritenuta di giustizia, con le statuizioni conseguenti.
Avverso tale pronuncia propongono tempestivo appello entrambi gli imputati a mezzo del loro unico difensore di fiducia il quale rileva che la cessione delle quote societarie effettuata dal D'A. nel maggio del 2013 non potrebbe ritenersi fittizia in assenza di elementi valutabili in tal senso, di talchè l'appellante in parola non potrebbe considerarsi amministratore di fatto della citata compagine sociale. Inoltre, il trattamento sanzionatorio irrogato al predetto risulterebbe del tutto illogico non essendo stato riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena e tantomeno le circostanze attenuanti generiche alla luce del comportamento processuale tenuto dal citato imputato.
In ordine alla responsabilità ascritta al Lo. rimarca l'impossibilità sia normativa che materiale per costui di ottemperare alla presentazione della dichiarazione dei redditi del 2013 in quanto il soggetto abilitato a fare ciò alla data del 30.09.2013 era il (…) e nel capo d'imputazione, a quella data risulterebbe indicato quale amministratore di fatto il D'A.
Rileva, inoltre, che non sarebbe stata superata la soglia di punibilità prevista dalle norme incriminatrici in quanto il prezzo indicato nello scontrino fiscale emesso a fronte della vendita di pneumatici o della prestazione di un servizio costituirebbe il corrispettivo comprensivo di IVA. Di talché, i versamenti bancari considerati profitti in nero andrebbero scorporati dell'IVA in relazione a tutti gli anni in contestazione. Inoltre contesta, seppur in maniera quanto mai generica, il ruolo di amministratore di fatto assertivamente svolto dal suo assistito.
In data odierna, sulle conclusioni rassegnate per iscritto dal P.G. e dal difensore degli imputati, la Corte ha deciso il presente processo nel senso fatto proprio dal dispositivo depositato all'esito della camera di consiglio. L'appello non è fondato.
Attraverso l'acquisizione della CTP, fa parte del compendio documentale anche la CNR della G. di F. redatta il 23.06.2016, allegata alla prima.
1) In relazione alla posizione del D'A. occorre rilevare che l'asserzione del Tribunale in ordine alla fittizietà della cessione delle quote in favore del (…), che trova fondamento nella inverosimiglianza del fatto che tutte le quote sociali sarebbero state cedute in occasione di un "cambio gomme" ed in favore di soggetto mai rintracciato e mai più individuato all'interno dei locali aziendali, non appare scalfita da alcuna argomentazione difensiva di segno contrario se non assolutamente generica e non idonea a palesare l'erroneità del ragionamento svolto dal primo Giudice.
2) Relativamente alla posizione del Lo., anche l'affermazione secondo la quale fosse lampante il concorso tra i due odierni imputati nell'evasione delle imposte dirette ed indirette, dato l'accordo con cui gli stessi avevano, dapprima, intestato formalmente l'attività in capo ad un terzo soggetto e successivamente operato mediante la conclusione di svariate operazioni commerciali "in nero" risulta non essere stata adeguatamente contestata dal difensore appellante. Invero, Lo.Sa., oltre a detenere il 95 per cento delle quote sociali è risultato essere titolare di delega ad operare sui conti correnti della società da lui movimentati, unitamente al D'A., attraverso varie operazioni di accredito di bonifici, versamento di contanti e assegni, pagamenti fornitori. La cessione dell'azienda è avvenuta mediante il pagamento in suo favore (e del D'A. per la restante parte) di vaglia postali emessi in Manduria e in Taranto, per un importo complessivo di euro 10 mila (di cui euro 500,00 indirizzati al D'A.) nonostante la mancanza di una valutazione dello stato patrimoniale dell'azienda, avviata circa 7 anni prima e con un volume di affari di particolare rilevanza. Particolari rilevanti appaiono essere sia l'immediato trasferimento della sede legale in Licata sia l'inizio dell'attività di impresa, pressoché contestuale alla cessione delle quote dell'altra compagine, da parte della (…) s.r.l., per la commercializzazione di pneumatici, avvenuto in data 8.05.2013, le cui quote sociali erano suddivise tra i due fratelli Lo.Sa. (socio di maggioranza) e Lo. Gianfranco (dipendente), con sede operativa in Maruggio, cioè la vecchia sede della società ceduta. Peraltro, in data 9.08.2013, anche altra società la (…) s.r.l., (i cui soci al 50 per cento erano i fratelli Lo.) era stata ceduta sempre al (…) con modalità analoghe a quelle evidenziate in precedenza.
Orbene, per giurisprudenza della S.C., è configurabile il concorso nel reato di cui all'art. 2 del D.lgs. n. 74 del 2000 di coloro che - pur essendo estranei e non rivestendo cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta - abbiano, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all'amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione fraudolenta, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia (fattispecie nella quale una società aveva evidenziato nelle dichiarazioni annuali costi per l'acquisto di diritti cinematografici maggiorati rispetto a quelli effettivamente versati al venditore, attraverso il ed sistema della catena societaria, e cioè facendo risultare acquistati i diritti medesimi da più intermediari fittizi e la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità concorsuale sia di coloro che avevano escogitato il sistema fraudolento sia di coloro che avevano gestito le società che avevano funto da fittizie intermediarie) (Cass. sez. F, n. 35729 del 01/08/2013 ud. - dep. 29/08/2013), a maggior ragione deve ritenersi che risponde del reato in questione anche il precedente amministratore di fatto che in concorso con l'amministratore di fatto succedutogli a presentare una dichiarazione dei redditi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti avendo registrato nei libri contabili della società tale documentazione contabile. Inoltre:
- non vi è contestazione in ordine all'evasione dell'imposta sui redditi (IRES) contestata nel capo d'imputazione. Di talché la pronuncia di colpevolezza per tale profilo rimarrebbe integra anche laddove si accogliessero i rilievi difensivi;
- in relazione all'Iva, nessun riconoscimento di costi forfettariamente determinati può essere effettuata posto che: "Ai fini della configurabilità dei reati in materia di Iva, la determinazione della base imponibile, e della relativa imposta evasa, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l'eventuale sussistenza di costi non documentati, mentre è possibile tenere conto di questi ultimi nelle ipotesi di reati concernenti le imposte dirette. (In motivazione la Corte ha precisato che l'Iva è collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali, a nulla rilevando l'eventuale sussistenza di costi effettivi non registrati che, invece, possono essere considerati con riferimento alle imposte dirette, non vincolate al rispetto di stringenti oneri documentali)", (Cass. sez. 3, n. 53980 del 16/07/2018 ud. - dep. 03/12/2018);
- sulla legittimità della presunzione tributaria secondo la quale sia gli accrediti che i prelevamenti su conto corrente bancario debbano considerarsi egualmente ricavi occorre richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2005 con la quale il Giudice delle leggi, nel ritenere la questione non fondata, ha precisato che la presunzione in ordine ai prelievi non risulta "lesiva del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, non essendo manifestamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all'esercizio dell'attività d'impresa e siano, quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile". In altre parole, la presunzione in questione costituisce "una presunzione che, quanto all'equiparazione dei prelevamenti ai ricavi, è in realtà duplice (o di secondo grado): i prelievi sarebbero utilizzati per sostenere costi occulti, i quali a loro volta avrebbero generato pari ricavi non risultanti, anch'essi, dalla contabilità dell'imprenditore".
Argomentazione questa espressamente e puntualmente ripresa dalla recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2023.
In tale ultima sentenza la Corte costituzionale precisa che: "In conclusione, la disposizione censurata in tanto si sottrae alle censure mosse, in riferimento agli evocati parametri, dalla CTP rimettente - sì che le sollevate questioni possono essere dichiarate non fondate - in quanto si interpreti nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi "occulti", scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la "incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non giustificati", (sentenza n. 225 del 2005). Si può quindi riaffermare che, almeno quando i ricavi non indicati nelle dichiarazioni fiscali obbligatorie sono individuati sulla base di entrate registrate puntualmente nelle scritture contabili o nei conti correnti bancari, e, quindi, sulla base non di presunzioni, ma di precisi elementi documentali, i correlativi costi possono essere riconosciuti solo in presenza di allegazioni fattuali da cui desumere la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza".
Con questo si vuol sottolineare che, in ipotesi di mancanza di qualsiasi contabilità e di mancata dichiarazione dei redditi, se non si utilizzassero tali presunzioni le relative condotte illecite sarebbero destinate a rimanere impunite. D'altra parte, nel caso di specie, non si tratta di presunzioni sic et simpliciter bensì fondate su elementi certi, quelli cioè costituiti dalle scritture dei conti correnti, rimanendo in potere del soggetto verificato la possibilità di fornire prova contraria dando comunque prova dei costi di produzione sopportati o dell'utilizzo dei prelevamenti di denaro. E' indubbio che dinanzi a prelevamenti di denaro contante anche per il Giudice penale l'utilizzo delle presunzioni tributarie appare una strada obbligata in quanto nessun altra indagine sarebbe in grado di stabilire l'utilizzo di quelle somme.
Ciò posto, nonostante non vi sia stata alcuna contestazione in merito, occorre rilevare che: - gli imputati non hanno allegato la sussistenza di alcun costo d'impresa;
- la formula corretta per lo scorporo dell'IVA è la seguente:
100: (100 più aliquota IVA) uguale imponibile: prezzo IVA compresa;
- per quanto affermato in precedenza, la somma su cui calcolare l'IVA non è quella relativa ai soli versamenti (euro 276.734,52) bensì quella ottenuta dalla somma dei versamenti e dei prelevamenti (70.609,93).
Pertanto, applicata la formula di cui in precedenza sui ricavi complessivamente intesi, pari a 347.344,45, si otterrà un imponibile pari a 287.061,52 e l'IVA evasa (ottenuta dalla sottrazione tra i ricavi e l'imponibile) sarà pari a 60.282,93 superiore alla soglia di punibilità.
Tale calcolo vale per l'anno d'imposta 2012, l'unico in contestazione.
Non sussistono motivi per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendone stato individuato nessuno per il Lo. neppure dal difensore appellante, né la presenza alle udienze del D'A. e l'aver reso costui dichiarazioni spontanee non costituisce comportamento processuale rilevante ai sensi dell'art. 133 c.p.
Neppure può concedersi a quest'ultimo il beneficio della sospensione condizionale della pena avendone beneficiato, in precedenza, per altre due volte. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, visti gli artt. 605 - 592 c.p.p. e 23 bis d.l. 137/2020 conv. in L. n. 176/2020, conferma la sentenza del Tribunale di Taranto, resa in data 7.12.2021, appellata da D'A. e Lo.Sa. che condanna al pagamento, in solido, delle spese del presente grado di giudizio in favore dell'Erario.
Termine di 90 gg. per il deposito della motivazione.
Così deciso in Taranto il 17 maggio 2023.
Depositata in Cancelleria il 16 agosto 2023.