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Condanna per dichiarazione fraudolenta con uso di fatture inesistenti: conferma della responsabilità e applicazione delle pene accessorie

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Tribunale Torino, 17/06/2022, n.952

Principio di diritto:
L’uso di fatture per operazioni inesistenti al fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali integra il reato di dichiarazione fraudolenta ai sensi dell’art. 2 D.lgs. 74/2000, anche in presenza di rapporti commerciali pregressi tra le parti. L’esistenza di rapporti non esime dalla necessità di provare l’effettività delle prestazioni documentate nelle fatture, pena l’invalidità della detrazione dell’IVA.

Sintesi della sentenza:
Il Tribunale di Torino ha condannato Ma. Fo., amministratore di una società in accomandita semplice, per aver utilizzato due fatture per operazioni inesistenti nella dichiarazione fiscale 2014, ottenendo una indebita detrazione IVA di €5.500. Nonostante la difesa abbia sostenuto l’esistenza di un rapporto commerciale pregresso con il professionista emittente le fatture, la Corte ha accertato che le prestazioni indicate non sono mai state effettivamente eseguite, configurando così il reato di dichiarazione fraudolenta.
La pena è stata determinata in otto mesi di reclusione, ridotta per il rito abbreviato, con la concessione della sospensione condizionale e della non menzione. Sono state applicate le pene accessorie previste dall’art. 12 del D.lgs. 74/2000, inclusa l’interdizione dagli uffici direttivi per otto mesi e la confisca di beni per un valore corrispondente al profitto illecito.

Fatture false e dichiarazioni fraudolente: criteri di valutazione della responsabilità e limiti alla tenuità del fatto (Corte appello Napoli - Terza sezione)

Reati tributari e responsabilità dell’amministratore uscente e subentrante

Emissione di fatture per operazioni inesistenti: responsabilità penale e accertamenti tributari

Dichiarazione fraudolenta e interposizione fittizia: condanna di titolare formale e dominus effettivo (Giudice Diego Vargas)

Assoluzione e onere della prova nell’utilizzo di fatture sospette.

Dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture inesistenti: configurazione del reato e valutazione probatoria (Giudice Francesco Saverio Martucci di Scarfizzi)

Emissione di fatture inesistenti: responsabilità del titolare formale e gravità del reato (Corte appello Napoli - Terza sezione)

Dichiarazione fraudolenta con utilizzo di fatture inesistenti: responsabilità e dolo specifico nell'elusione fiscale

Prova dell'emissione di fatture per operazioni inesistenti e limiti di responsabilità penale

Fatture per operazioni inesistenti e configurabilità del reato di riciclaggio

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio di Ma. Fo. per il reato meglio esposto nel capo di imputazione riprodotto in epigrafe.

In udienza preliminare l'imputata, personalmente comparsa, ha avanzato istanza perché il giudizio fosse definito secondo il rito abbreviato.

Il Giudice, accertati i presupposti prescritti dall'art. 438, comma primo, c.p.p., ha ammesso la parte alla trattazione del procedimento secondo le forme del rito speciale prescelto.

All'udienza del 19 maggio 2022 l'imputata ha rilasciato spontanee dichiarazioni depositando una breve memoria sottoscritta.

Indi, si è dato corso alla discussione e le parti hanno rassegnato le loro conclusioni come già esposte in rubrica.

All'esito della camera di consiglio, il Giudice ha pronunciato sentenza mediante lettura del dispositivo riservandosi il termine di 30 giorni per la stesura delle motivazioni.

Dalla disamina degli atti riversati nel fascicolo delle indagini preliminari si evince chiaramente che l'imputata, in qualità di socia accomandataria e rappresentante legale della società Bi. di Fo. Ma. e C. S.a.s., al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, ha inserito nella dichiarazione fiscale relativa all'esercizio 2014 componenti passivi fattizi avvalendosi di due fatture aventi per oggetto prestazioni mai avvenute.

Innanzitutto, vale la pena di segnalare che le vicende in esame traggono origine dagli accertamenti compiuti a carico di Ma. Gi., ingegnere che nel corso dell'anno 2014 aveva emesso due fatture nei confronti di Bi., in relazione alle quali non era riuscito a documentare lo svolgimento di alcuna attività. Ma. Gi. non era in possesso di alcun contratto, bolla di trasporto, scambio comunicativo che riguardasse le due operazioni appena esposte, fattore che aveva destato notevole (e comprensibile) sospetto nei funzionari dell'Agenzia delle Entrate, che avevano, pertanto, proceduto all'espletamento di alcuni controlli, così appurando che il titolare della ditta individuale in parola non disponeva di macchinari di proprietà ovvero a noleggio per produrre le campionature indicate in una delle fatture, non aveva registrato alcuna fattura per l'acquisto di prodotti in qualche modo correlati all'esecuzione dell'incarico, non disponeva neppure di utenze industriali, tutti elementi che convergevano nel senso dell'odierna accusa (vd. avviso di accertamento, in atti).

A seguito di esibizione documentale, si è poi verificato che le due fatture in esame erano state annotate nei registri Iva della società Bi. ed erano state esibite dal suddetto contribuente all'Agenza delle Entrate in sede di accertamento a giustificazione della dichiarazione fiscale presentata, così venendo integrati i presupposti di un avvalimento effettivo dei documenti in esame al fine di evasione contestato (cfr. avviso di accertamento, dichiarazioni, fatture 8 e 9, registri IVA, tutti acquisiti agli atti).

Sulla scorta degli elementi di prova finora esposti è stata, di conseguenza, esercitata l'azione penale.

A propria difesa l'imputata ha ribadito in più occasioni che Gi. era uno stimato ingegnere che era da molti anni iscritto al relativo ordine professionale, che disponeva di un capannone ad (omissis), ove operava con macchinari lui solo riconducibili. Con il suddetto professionista/imprenditore individuale la società Bi. aveva intrattenuto un rapporto di fornitura negli anni 2011-2013, rapporto che nel corso dell'anno successivo si era invertito essendo divenuto Gi. un fornitore di servizi per conto della Bi.. Ciò si era verificato in conseguenza dell'esposizione monetaria che si era venuta a cumulare nel tempo, non avendo l'ing. Gi. provveduto ad evadere alcune fatture a suo carico emesse da Bi.. La suddetta condizione debitoria aveva indotto l'amministrazione di Bi. ad accordarsi per la realizzazione di alcuni incarichi da parte del proprio cliente che si era rivelato nel tempo inadempiente. Le parti avevano, pertanto, concordato che l'ing. Gi. si sarebbe occupato di espletare tutte le procedure necessarie per ottenere la certificazione di Qualità ISO 9001-2008 (fattura 8) e di realizzare alcuni disegni tecnici per la produzione di stampi "di tappi motore" (fattura 9). In relazione a tale ultimo progetto, Gi. si era impegnato a redigere un disegno 3D dello stampo, a produrre i prototipi relativi e a fabbricare 100 pezzi di campionatura. Entrambe gli accordi non ebbero fortuna, perché nel frattempo erano venute meno le ragioni industriali che avevano imposto alla Bi. di acquisire la certificazione Qualità ISO, che di fatto non è mai stata conseguita, mentre Gi. non era parimenti riuscito a perfezionare la produzione dei cento pezzi di campionario, facendo perdere la relativa commessa ottenuta a sua volta da Bi.. Malgrado l'infausto esito intervenuto, la società in accomandita semplice aveva iscritto nei suoi registri le due fatture ricevute e provveduto al pagamento del corrispettivo ivi esposto, così procurandosi il diritto alla relativa detrazione Iva, secondo la prospettazione fornita in tesi difensiva (vd. memorie, in atti).

Così delineate le posizioni, deve prendersi atto che nel caso di specie è la stessa ricostruzione offerta dalla difesa che depone per l'inesistenza soggettiva/oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture. Vige, infatti, in materia di Iva il principio di dettagliata descrizione delle operazioni svolte, come stabilito dall'art. 21 del d.P.R. 633/1972, con la conseguenza che in caso di generica descrizione il contribuente non è più legittimato ad avvalersi del documento per reclamare la detrazione dell'Iva esposta nel suddetto titolo (si legga, fra le molte, Cass. 21980/2015; Cass. 7878/2016; Cass. 27777/2017; Corte giustizia UE, sentenza del 15 settembre 2016). Ciò comporta che non è sufficiente affermare l'esistenza di rapporti commerciali tra due parti per giustificare la detrazione Iva, essendo pur sempre richiesto dalla normativa interna ed Eurounitaria che la fattura si riferisca ad operazioni specificamente individuate che abbiano trovato realizzazione effettiva fra le parti indicate, presupposto imprescindibile per non incorrere nella realizzazione di un illecito.

Da questa premessa deve, dunque, prendere avvio l'esame del caso di specie, considerando, innanzitutto, l'oggetto delle operazioni espressamente indicate nelle due fatture in esame.

Nella fattura n. 8/2014 la prestazione svolta viene così descritta: "programma semplificato "Qualità" ISO 9001 2008, fase 3: completamento rif. Normative ISO, verifica piano operativo, definizione e stesura finale, MdQ conforme ISO 9001".

Nella fattura n. 9/2014 la prestazione svolta viene parimenti dettagliata: "fornitura di: progetto esecutivo stampo per tappi motore, disegnatone 2d e configurazione 3d dello stampo, realizzazione stampo in 4 fasi, prototipo, validazione, per preserie, definitivo, realizzazione campionatura 100 pezzi per validazione, imballaggio, spese generali (trasferte e ore extra progetto come concordato), spese amministrative per cessione proprietà stampo a Bi. Sas (lo stampo diventa di proprietà esclusiva Bi. Sas).

In entrambe i casi l'emittente ha ben indicato le attività che avrebbe svolto per conto della società Bi., dovendosi, però, constatare che è la stessa difesa dell'imputata ad ammettere nelle sue memorie che buona parte di tali prestazioni non si sono mai verificate. Con riferimento alla prima fattura la procedura di certificazione non è mai stata terminata, nessun manuale di qualità è mai stato definitivamente compilato, nessuna verifica esecutiva di piani operativi è mai stata attuata, essendosi il tutto reso superfluo dalla determinazione assunta da un cliente che inizialmente aveva preteso la certificazione ISO per collaborare con la Bi. e che successivamente aveva interrotto ogni rapporto, rendendo inutile ogni sforzo esecutivo ulteriore (vd. memorie difensive). L'unica attività realizzata - nella stessa prospettazione difensiva - consisterebbe nella stesura di una prima bozza del manuale di qualità, documento che sarebbe stato stilato dall'ing. Gi. e che in copia cartacea è stato depositato nel corso del processo. Si badi bene. Il documento è di provenienza assolutamente ignota, non è neppure datato con certezza, non avendo inteso l'imputata fornire a questo giudice l'originale informatico eventualmente in suo possesso; non risulta sottoscritto dall'ing. Gi. in alcuna sua componente, riporta in numerose pagine una intestazione riferita ad una società diversa da quella in esame, la CO. Srl. Dalla sua lettura si comprende che si tratta soltanto di un testo di lavoro, che non ha neppure subito una prima revisione (edizione n. 00, rev. 00 del 21.0.2014), il che significa che non è mai stato neppure vagliato per una prima volta dal cliente (in questo caso la Bi.). A ciò si aggiunga che si tratta all'evidenzia di un documento che non è mai caduto nella sfera detentiva dell'ing. Gi., che in sede di verifica fiscale non ha avuto modo di esibire ai funzionari dell'Agenzia delle Entrate alcun prodotto del suo operato. Ne deriva che non si tratta di un lavoro predisposto dall'emittente della fattura, perché altrimenti quest'ultimo ne avrebbe conservato una copia nella memoria del proprio elaboratore elettronico e soprattutto si sarebbe peritato di sottoscriverlo per poter attribuire a sé l'opera nel prossimo futuro. Non solo. Appare dirimente ai fini del decidere, constatare che la fattura n. 8 in contestazione non concerne la prima fase di realizzazione del manuale di qualità, ma è stata espressamente emessa per remunerare la fase conclusiva dell'incarico (si legge nell'oggetto: fase tre), che comprendeva la stesura di un elaborato definitivo, di cui non si ha traccia, perché l'elaborato depositato dalla difesa è una semplice bozza iniziale, che non ha mai raggiunto una fase di lavoro più avanzata.

A seguito delle produzioni svolte nell'interesse di Fo., è, dunque, logico affermare che la fattura n. 8/2014 è stata in ogni caso emessa per retribuire una fase avanzata di lavoro che l'imputata asserisce non essersi mai perfezionata e che di certo non corrisponde al prodotto cartaceo depositato agli atti, la cui provenienza è assolutamente ignota e il cui contenuto deve essere inserito in uno stadio certamente primordiale di evasione dell'incarico, che non corrisponde all'oggetto espressamente riportato nel documento fiscale (fase tre, verifiche operative, stesura finale).

Quanto alla seconda fattura, la difesa si è limitata a produrre delle copie fotostatiche di un disegno tecnico ritraente un tappo e delle fotografie in cui è immortalato il processo di produzione di un manufatto di fattezze non dissimili. Ancora una volta si tratta di documenti di origine e provenienza assolutamente ignota, che non riportano impronte, sigilli e sottoscrizioni riferibili all'ing. Gi.. È, d'altronde, ben poco credibile che un professionista provveda alla redazione di un disegno tecnico senza apporvi la propria firma, senza attribuirsi la paternità dell'elaborato, senza assumersi le responsabilità conseguenti alla sua meticolosa realizzazione e che lo trasmetta brevi manu alla controparte senza inviarlo per posta elettronica. Anche in questo caso, come nel precedente, non solo le parti non avrebbero mai redatto un contratto ovvero conferito un incarico per iscritto, ma non si sarebbero mai confrontate fra loro attraverso alcuna comunicazione elettronica. Sotto il profilo oggettivo della prestazione, deve, ancora segnalarsi che secondo il postulato difensivo il professionista non avrebbe realizzato i 100 tappi di campionario nei termini previsti, così violando gli accordi assunti. Anche in questo caso, l'imputata di fatto ammette che una parte

significativa e, fors'anche, preponderante della prestazione non avrebbe avuto la benché minima realizzazione, finendo con il confermare che l'oggetto della fattura non corrispondeva al vero, remunerando il titolo attività che non hanno mai avuto esternazione nel mondo reale.

A ciò si aggiunga che l'imputata ha deliberatamente prescelto di non concentrare in questa sede alcuna prova che attestasse la realizzazione del software menzionato in fattura, preferendo - per quanto dalla stessa affermato, ma non dimostrato - fornirne una copia soltanto in sede amministrativa, determinazione che ha sottratto a questo giudice ogni possibilità di valutare una prova ulteriore, che, tuttavia, alla stregua delle emergenze raccolte non avrebbe di certo potuto mutare l'esito del giudizio, per lo spessore e la consistenza delle evidenze già raccolte in favore dell'accusa, che dimostrano come non vi sia piena corrispondenza tra quanto dichiarato nel documento fiscale e la realtà.

Deve, in conclusione, pervenirsi al logico convincimento che nessuna attività del tenore complessivamente esposto nelle due fatture sia stata effettivamente realizzata dall'ing. Gi.

Ogni ragionamento logico in proposito deve, infatti, prendere avvio dalla – decisiva - considerazione che il professionista in sede di verifica fiscale non vantava la disponibilità di alcun documento, atto che potesse dimostrare l'effettività delle prestazioni. Non aveva archiviato alcun disegno tecnico riferibile alla Bi., tanto meno memorizzato nei suoi dispositivi elettronici softwares ovvero manuali di qualità realizzati per conto della società in esame. Non ha potuto neppure esibire una qualche comunicazione elettronica intrattenuta tra le parti, che fosse attinente all'oggetto delle due fatture (vd. cnr Gi., avviso di accertamento Gi.).

Tutti i documenti prodotti da Fo. in questo giudizio sono privi di data certa, non sono ricollegabili alla persona di Gi. per nessuna ragione latamente immaginabile, non presentano impronte, segni distintivi, sottoscrizioni riconducibili all'ingegnere (il che è già peculiare per un manuale di qualità redatto da un professionista, ma tanto più per un disegno tecnico che è il cuore della professione esercita dall'emittente). Il contenuto del manuale di qualità prodotto dall'imputato non è minimamente riferibile ad alcuna fase tre di realizzazione del progetto, trattandosi di un abbozzo iniziale privo di revisione ben lungi dall'aver acquisito ogni minimo connotato di definitività, come invece richiesto dalla fattura n. 8, che è stata emessa per remunerare una fase conclusiva di avanzamento dei lavori (stadio avanzato della prestazione che la stessa Fo. ha dichiarato non essersi mai verificato). Il che rende certo sotto ogni profilo che la fattura è stata emessa in relazione ad un lavoro che non è mai stato svolto, non avendo le parti mai raggiunto la fase di completamento della procedura ISO 9001 2008.

Anche la fattura n. 9 si riferisce ad attività che non si sono mai svolte o che sono state realizzate da soggetti diversi dall'ing. Gi., dal momento che nessun documento oggettivamente riconducibile a questi è mai pervenuto a Bi., società che non ha neppure ottenuto i 100 pezzi di campione promessi, come confermato in tesi difensiva. A ciò si aggiunga che la fattura espone persino improbabili spese di trasferta e per la cessione dei diritti di proprietà relativi al tappo che non hanno ragione d'essere, non avendo il professionista portato a termine l'incarico e non essendovi traccia di registrazioni presso gli uffici marchi e brevetti. Il lavoro avrebbe dovuto essere svolto nella prospettazione dell'imputata nel capannone di (omissis), ove Gi. prestava già la sua attività (non si spiegano, pertanto, le asserite spese di trasferta), mentre nessun costo amministrativo risulta documentato per il trasferimento dei diritti di privativa sul tappo, perché si tratta di altra fase del rapporto che non ha mai avuto esecuzione persino nella prospettazione di Fo. (la mancata produzione di 100 pezzi di campionario aveva comportato per la Bi. la perdita di una commessa direttamente collegata, con la conseguenza che a quel punto la società per azioni non aveva più avuto alcun interesse a proseguire il rapporto precedentemente instaurato con il Gi.). Ne consegue che nessun elemento probatorio consente di attribuire la redazione del disegno tecnico prodotto in atti dall'imputata all'ing. Gi., che, se avesse preso parte alla prestazione, non avrebbe di certo avuto remora ad inserire la propria sigla sull'elaborato apponendo il timbro dell'ordine di appartenenza, come accade di consueto in queste circostanze (nessuno ha interesse a ricevere un disegno tecnico senza la sottoscrizione del suo materiale redattore, in quanto solo mediante la sigla il professionista si assume la responsabilità delle operazioni compiute in virtù delle specifiche competenze lui riconosciute dall'appartenenza ad un ordine di categoria). È doveroso, pertanto, concludere che anche in relazione alla fattura n. 9 si verte in una ipotesi di prestazione inesistente sotto il profilo soggettivo e persino oggettivo, perché è chiaro che non è stato Gi. a realizzare al tempo la documentazione in questa sede esibita e che il titolo fiscale remunera attività che per stesso asserto difensivo non si sono mai perfezionate.

Sotto tale ultimo profilo, appare, infine, utile rammentare che "in tema di IVA, il fatto generatore dell'obbligazione tributaria, che comporta l'obbligo di fatturazione, in caso di prestazione di servizi è costituito dalla materiale esecuzione della prestazione, laddove il pagamento del corrispettivo identifica esclusivamente il momento di esigibilità dell'imposta, ossia quello di riscossione, nonché, in relazione a quanto previsto dall'art. 21, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, il termine per l'adempimento dell'obbligo di emettere fattura (Cass. Civ. 9064/2021). Il che esclude che vi fosse in qualche modo un obbligo di emettere e registrare documenti fiscali in relazione a prestazioni che le parti ben sapevano non essere mai state adempiute. Ne deriva che, quand'anche si volesse accedere alla postulazione difensiva, Fo. avrebbe egualmente utilizzato per evadere le imposte due fatture per prestazioni mai avvenute, avendo iscritto in contabilità e detratto l'Iva relativa ai documenti fiscali in contestazione che comprendevano incarichi che l'imputata ha dichiarato in questo processo non essere mai stati espletati.

Sia sposando la tesi difensiva, che prestando adesione (alla ben più credibile) tesi accusatoria si perviene, di fatto, sempre alla medesima conclusione, atteso che le prestazioni descritte nelle fatture 8 e 9 non trovano corrispondenza nella realtà, enucleando opere che non sono state realizzate dall'ing. Gi..

Dirimente è, poi, constatare che nella prospettazione difensiva la società Bi. non avrebbe mai redatto contratti scritti, né intrattenuto alcuna comunicazione telematica con l'ing. Gi., il quale non avrebbe neppure trasmesso per mail il frutto del suo lavoro, tutte asserzioni che non sono minimamente credibili per la complessità degli incarichi conferiti, che avrebbero persino richiesto il rispettò di termini perentori, l'adozione di contatti formali con enti certificatori, il rispetto di rigorose procedure per la tutela del know-how e delle privative intellettuali, apporti tutti che avrebbero dovuto lasciare immancabili tracce scritte. Rimane, poi, insoddisfatta anche un'ultima questione: come avrebbe potuto Gi. cedere i diritti di proprietà intellettuale in relazione ad un prodotto i cui disegni tecnici non recavano neppure la sua firma?

Nessun dubbio o perplessità logicamente condivisibile può sorgere, pertanto, in merito alla falsità delle prestazioni indicate nelle fatture oggetto di contestazione, essendo oggettivamente dimostrato attraverso gli elementi di prova in precedenza esposti che tali documenti si riferiscono ad opere che non realizzate in radice ovvero che non sono state a suo tempo compiute da Gi. nei termini indicati nei documenti fiscali.

Per completezza espositiva si rammenta, infine, che le fatture di contenuto apocrifo contestate sono tutte riversate in atti, sono state prodotte dal contribuente all'Agenzia delle Entrate in fase di contraddittorio per documentare le passività computate nella dichiarazione fiscale presentata per l'anno di riferimento, risultano registrate in contabilità (in atti sono riversati i registri Iva) ed impiegate per il calcolo dell'Iva, materiale documentale integralmente acquisito al processo ed esaminato dal decidente, che ne ha vagliato la conformità alle conclusioni appena esposte.

Con riferimento all'elemento oggettivo si osserva, ancora, che non esime da responsabilità il fatto che l'amministratore possa essersi avvalso di collaboratori per la redazione della contabilità e delle dichiarazioni fiscali, considerato, tra l'altro, che tali soggetti non dispongono di norma di alcuna conoscenza diretta dei rapporti commerciali effettivamente intrattenuti dalla società con i clienti e i fornitori e si limitato a riportare i dati loro riferiti (in tal senso si legga, tra le molte, Cass. 9417/2020). Le dimensioni ridotte della società Bi. inducono, infatti, a stimare che l'imputata vantasse una diretta conoscenza dei rapporti commerciali intrattenuti con i clienti, conclusione cui si perviene nel caso di specie valorizzando anche altri aspetti ed, in particolare, il fatto che l'impresa non avesse mai conseguito la certificazione ISO e avesse perso la commessa collegata al disegno tecnico in esame, emergenze di cui certamente l'amministratore era a conoscenza e non poteva ignorare per l'impatto dirompente che avevano avuto tali fatti sulle sorti dell'impresa e l'andamento degli affari.

È quindi dimostrato che l'imputata ha presentato la dichiarazione fiscale relativa all'esercizio 2014, essendo compiutamente a conoscenza dell'inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture 8 e 9, avvalendosi di tali valori per ottenere la detrazione Iva.

Quanto al fine di evasione perseguito, si tratta di presupposto che risulta ben configurato nelle circostanze del caso. Fo. ha utilizzato le due fatture in parola con il proposito di ottenere un ristoro - a spese dell'erario - per il credito pregressamente maturato nei confronti di Gi., che non aveva evaso alcuni assegni a pagamento di forniture già ricevute negli anni precedenti. Di fatto ha cerco di scaricare sulla collettività il credito vantato nei confronti del cliente, emettendo

fatture per attività mai realizzate ed ottenendo – illecitamente - una indebita detrazione Iva a pregiudizio dell'Erario. L'azione risulta sorretta dal dolo specifico, perché l'imputata voleva effettivamente ottenere il risparmio di imposta attraverso la condotta concretamente posta in essere.

Insegna in proposito il giudice di legittimità che il dolo del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all'art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, consiste semplicemente nella consapevolezza della fittizietà delle poste e della falsità delle fatture inserite nella dichiarazione, apporto psicologico che può essere integrato persino nei termini del dolo eventuale (Cass. 30492/2015; Cass. 50362/2019). Con riferimento al dolo specifico, occorre, inoltre, rammentare che "il fine di evadere le imposte, che concorre ad integrare il reato di cui all'art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste anche quando ad esso si affianchi una distinta ed autonoma finalità extraevasiva non perseguita dall'agente in via esclusiva", che, tuttavia, nel caso di specie non è neppure dato riscontrare, avendo l'agente esclusivamente operato per abbattere l'imposta dovuta, senza che siano emerse ulteriori finalità (Cass. 27112/2015).

In qualità di amministratore di diritto e di materiale (consapevole) esecutore del disegno criminoso, Ma. Fo. deve essere ritenuta responsabile del delitto lei ascritto, avendo indicato nella dichiarazione fiscale relativa all'esercizio 2014 elementi passivi fittizi avvalendosi consapevolmente di fatture fraudolentemente emesse da terzi a fronte di prestazioni economiche mai avvenute.

Tutto ciò premesso, può dunque procedersi alla valutazione del trattamento sanzionatorio.

Il contegno assunto in sede processuale e l'incensuratezza inducono lo scrivente giudice a propendere per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per meglio ponderare la pena alle emergenze del caso concreto.

L'imputa non ha aderito alla pretesa tributaria e, pertanto, non ricorrono le circostanze attenuanti del caso (art. 13 bis d.lgs. 74/2000).

È, dunque, possibile procedere alla determinazione della pena.

Tenuto conto dei criteri oggettivi e soggettivi di commisurazione della pena prescritti dall'art. 133 c.p., considerate le modalità di commissione dei fatti, il danno arrecato all'erario, la pluralità di fatture false di cui si è avvalsa l'imputata, concesse le attenuanti generiche, applicata la cornice edittale risalente all'epoca dei fatti per l'art. 2, comma primo, d.lgs. 74/2000 (trattamento oggi reintrodotto per le ipotesi del comma 2bis), considerate le conseguenze punitive che potranno derivare in futuro dal procedimento repressivo instaurato in sede amministrativa nei confronti della società Bi. e del suo rappresentante legale secondo un approccio sanzionatorio complessivamente equilibrato e proporzionale all'offesa complessivamente arrecata al bene giuridico tutelato, pare congruo condannare Ma. Fo. alla pena complessiva di mei otto di reclusione, già applicata la riduzione per il rito prescelto (pena base anni uno mesi sei di reclusione, ridotta per le circostanze attenuanti generiche riconosciute a mesi 12 di reclusione, ridotta per il rito a mesi otto di reclusione).

Alla dichiarazione della penale responsabilità consegue, ope legis, la condanna dell'imputata al pagamento delle spese del procedimento.

Considerata l'incensuratezza, il contegno processuale adottato, tenuto conto dell'effetto deterrente che può essere riconosciuto all'odierna statuizione, può pervenirsi alla formulazione di una prognosi favorevole circa il futuro comportamento del reo, con la conseguenza che lo stesso appare meritevole della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

In ragione della sua personalità e delle circostanze di fatto sopra riscontrate, può concedersi anche la non menzione.

Infine, devono essere imposte al reo le pene accessorie disciplinate dall'art. 12 d.lgs. 74/2000 che conseguono alla violazione della normativa tributaria.

Le pene accessorie temporanee previste dall'art. 12 d. lgs. 74/2000 devono essere pertanto inflitte per un periodo pari a mesi otto (per l'interdizione dagli uffici direttivi) e mesi dodici (per l'incapacità di contrattare con la pa, l'interdizione delle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria, l'interdizione dai pubblici uffici), dal momento che la suddetta durata deve essere determinata in concreto sulla base dei criteri stabiliti dall'art. 133 c.p. (si legga in termini Cass. S.U. 28910/2019; Cass. 41061/2019). Pare, pertanto, congruo irrogare le pene accessorie nella misura anzidetta, tenuto conto della gravità dei fatti commessi, dell'attitudine criminale dimostrata dalla prevenuta, apprezzata l'entità delle imposte evase, le esigenze rieducative sottese alla pronuncia, la complessiva personalità dell'imputata.

L'interdizione da componente di commissione tributaria è perpetua secondo quando previsto dal legislatore.

La sentenza deve essere doverosamente pubblicata nelle forme prescritte dalla legge (art. 12 d.lgs. 74/2000, art. 36 c.p.), considerata l'intensità del dolo riscontrato nelle circostanze in esame, ben attestato dall'utilizzo di due distinte fatture e dall'omessa adesione prestata alle richieste del fisco, tale da indurre a prediligere una siffatta statuizione onde assicurare adeguata tutela alle relazioni giuridiche e tributarie, gravemente perturbate da simili condotte in uno all'andamento della libera concorrenza, falsata dalla liquidità ingiustamente trattenuta dall'impresa gestita da Fo..

Quanto alla possibile violazione del principio di ne bis in idem sostanziale in caso di esercizio dei poteri sanzionatori direttamente attribuiti dalla legge all'autorità amministrativa tributaria, si rammenta che le più recenti pronunce adottate dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE Me., C-524/15) e dalla Corte Europea dei diritti umani (A e B c. Norvegia) si sono attestate nel ritenere legittimo il ricorso al doppio binario ogni qual volta i procedimenti in questione presentino una "sufficientily close connection in substance and time", avendo riguardo alle peculiarità dei casi di specie. Per verificare la sussistenza del parametro indicato la predetta giurisprudenza ha poi elencato alcuni criteri da tenere in considerazione, che paiono integralmente rispettati nel caso di specie (come d'altronde constatato anche in ipotesi non dissimile da Cass. 6993/2017) e che consistono: a) nel perseguimento di finalità distinte da parte dei procedimenti parallelamente istruiti e nell'apprezzamento di profili diversi della medesima condotta antisociale (il procedimento concerne infatti una condotta fraudolenta e non la semplice evasione di imposta prevista dal diritto tributario); b) nella prevedibilità del doppio giudizio, costante in tali casi; c) nella conduzione dei procedimenti in modo da evitare, per quanto possibile, la duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova (il procedimento è stato articolato in principalità dall'Agenzia delle Entrate) d) nella proporzione complessiva della pena (la sanzione penale è esclusivamente detentiva, mentre la confisca è destinata a perdere efficacia con il pagamento dell'imposta, senza che si vengano a generare duplicazioni di sorta); e) nell'appartenenza delle fattispecie in oggetto al nucleo essenziale del diritto penale e, dunque, caratterizzate da forme accentuate di stigma sociale (la condotta fraudolenta di falsa fatturazione contraddistingue una ipotesi ben più marcata e grave rispetto alla semplice omissione del pagamento d'imposta); f) nella presenza di un collegamento di natura cronologica fra i procedimenti (che sono sostanzialmente contestuali).

Occorre, infine, considerare che nella determinazione del trattamento sanzionatorio si è tenuto conto del prevedibile esito del procedimento amministrativo, bilanciando accuratamente la pena detentiva applicata in conformità ai principi di proporzionalità e adeguatezza.

Alla dichiarazione di condanna per i reati tributari commessi segue la confisca obbligatoria del profitto e del prezzo del reato, ovvero, qualora la confisca diretta non sia possibile, segue la confisca obbligatoria di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo ovvero profitto.

Come è noto, per giurisprudenza costante del giudice di legittimità il profitto si identifica innanzitutto con il risparmio economico realizzato attraverso l'effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, ossia nell'intero ammontare del tributo non versato (Cass. 1199/2011; Cass. 18308/2014).

Sulla scorta degli elementi fattuali appena esplicitati e della documentazione contabile conseguita, può affermarsi che l'Iva evasa in relazione all'anno fiscale per cui è stata pronunciata condanna ammonta ad Euro 5.500, essendo intervenuta una illegittima detrazione dell'imposta indicata nelle fatture 8 e 9 per le ragioni già tutte sviscerate.

L'importo anzidetto deve essere oggetto di confisca obbligatoria (diretta e per equivalente) ai sensi dell'art. 12bis d.lgs, 74/2000, prescrizione semplicemente riproduttiva della disposizione già contenuta nel combinato disposto degli artt. 1 comma 143 l. n. 244/2007 e 322 ter c.p.

Si segnala che l'addebito in esame ha per oggetto soltanto la posizione tributaria maturata dalla società Bi., con la conseguenza che è doveroso ritenere che il processo riguardi unicamente l'imposta sul valore aggiunto evasa. Occorre, infatti, rammentare che in caso di società per accomandita semplice i redditi sono tassati per trasparenza e, dunque, direttamente in capo ai soci, indipendentemente dalla percezione di tali utili, ossia a prescindere dalla effettiva distribuzione ai soci di somme a titolo di dividendo. Ne consegue che la società di persone, in quanto tale, è titolare dell'obbligo tributario maturato con riferimento all'imposta sul valore aggiunto, che viene direttamente corrisposta dalla società, mentre, per quanto riguarda le imposte dirette, il credito tributario insorge - in primo luogo - nei confronti dei soci quali persone fisiche, posizioni che, tuttavia, esulano dall'odierno processo.

Con riferimento ai criteri di esecuzione della confisca, pare opportuno evidenziare che, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una società, la confisca per equivalente prevista dall'originario disposto di cui agli artt. 1, comma 143, della l. n. 244 del 2007 e 322 ter cod. pen., oggi traslato all'art. 12 bis d.lgs. 74/2000 "non può essere disposta sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni" (Cass. S.U. n. 10561/2014; si rammenta che l'art. 25 quinquiesdecies d.lgs. 231/2001 è stato introdotto in epoca successiva alla consumazione del fatto di reato). Diversamente, alla luce delle conclusioni a cui in ultimo è pervenuta la giurisprudenza di legittimità, "la confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una società, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante," è sicuramente consentita anche nei confronti della stessa persona giuridica/ente, non potendo considerarsi l'ente una persona estranea al detto reato (ancora Cass. S.U. n. 10561/2014). Occorre, infatti, in proposito rammentare che, quando si tratta di apprendere denaro o altri beni fungibili, la confisca del profitto non può essere qualificata come confisca per equivalente, ma deve essere sussunta nella nozione di confisca diretta, purché sussistano nell'ipotesi di interesse sufficienti indizi per i quali il denaro di provenienza illecita (nel caso di specie il risparmio fiscale) sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di nascondere con il più semplice degli artifizi (cfr. Cass 23773/2003; Cass. S.U. 10561/2014). D'altronde, deve pur sempre considerarsi che nella nozione di profitto funzionale alla confisca rientrano non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attività criminosa (Cass. 45389/2008), con la conseguenza che la confisca del profitto di reato avente per oggetto il denaro integrante la nozione di risparmio fiscale derivante dall'evasione di imposta costituisce una forma di ablazione diretta come tale applicabile all'ente medesimo, che non può essere considerato assolutamente un soggetto estraneo all'illecito. In carenza di fondi oggetto di possibile apprensione diretta, si dovrà di contro procedere all'aggressione del patrimonio dell'imputato soggetto a confisca per equivalente ai sensi dell'attuale formulazione dell'art. 12 bis d.lgs. 74/2000, non essendo la previsione della confisca per equivalente applicabile alla persona giuridica, stante la sua natura sanzionatoria che la rende applicabile al solo (potenziale) condannato (Cass. S.U. 10561/2014; si rammenta che la disposizione dell'art. 25 quinquiesdecies d.lgs. 231/2000, introdotta dal d.l. 124/2019, convertito con modificazioni nella l. 157/2019, che prevede - a determinate condizioni - la responsabilità amministrativa dell'ente non è applicabile ratione temporis alle vicende oggetto di contestazione).

Considerata infine la complessità del presente procedimento ed il carico di lavoro di questo Giudice si è imposta la fissazione di un termine di giorni trenta per il deposito della motivazione della sentenza.

P.Q.M.
Visti gli artt. 438 e segg., 533, 535 c.p.p.,

dichiara

Fo. Ma. responsabile del reato lei ascritto e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, applicata la fattispecie di cui al primo comma dell'art. 2 d.lgs. 74/2000 in vigore al momento del fatto, la condanna alla pena di mesi otto di reclusione, già applicata la riduzione per il rito prescelto, con condanna al pagamento delle spese del procedimento.

Visti gli artt. 163 e ss, 175 c.p.,

concede

la sospensione condizionale della pena nei termini di legge e la non menzione.

Visto l'art. 12 D.lgs. 74/2000,

applica

a Fo. Ma.:

a) l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo pari a mesi otto;

b) l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo pari ad anni uno;

c) l'interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo pari ad anni uno;

d) l'interdizione perpetua dall'ufficio di componente di commissione tributaria;

e) la pubblicazione della sentenza a norma dell'articolo 36 del codice penale;

nonché l'interdizione dai pubblici uffici per un periodo pari a mesi 12. Visto l'art. 12 bis d.lgs. 74/2000,

dispone:

la confisca diretta di beni e denaro appartenenti alla società BI. di Fo. Ma. e C. S.a.S. e, in subordine, a Ma. Fo. nella misura di Euro 5.500,00 ovvero, in caso di mancato reperimento totale ovvero parziale dei suddetti valori, la confisca anche per equivalente di beni e valori rinvenuti nel patrimonio di Ma. Fo. fino a concorrenza dell'importo monetario di Euro 5.500,00.

Indica in giorni 30 il termine per il deposito delle motivazioni.

Così deciso in Torino, il 19 maggio 2022

Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2022

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