Corte appello Ancona, 17/01/2024, n.2454
In caso di conflittualità condominiale, le condotte reiterate di molestia, anche se non integrano gli eventi tipici del delitto di atti persecutori ex art. 612-bis c.p., possono comunque costituire il reato di molestie ex art. 660 c.p., laddove si accerti che esse abbiano superato la soglia della tollerabilità, interferendo significativamente con la libertà morale della persona offesa. Il giudice d'appello, in sede di impugnazione proposta dalla parte civile, può accertare la responsabilità dell'imputato limitatamente agli effetti civili e riconoscere il risarcimento del danno non patrimoniale in via equitativa, basandosi sul criterio del "più probabile che non" previsto per l'illecito civile.
Svolgimento del processo
- Il giudice di primo grado, in esito all'istruttoria dibattimentale, perveniva al proscioglimento del prevenuto dal reato ascrittogli perché, pur considerando che le dichiarazioni rese dalla PO, risultavano connotate "da credibilità e sufficiente attendibilità" (pag. 7 motivazione), le stesse non consentivano di ritenere inequivocabilmente provata la condotta di stalking contestata all'imputato. Il Tribunale considerava che i rapporti tra le parti non erano buoni a causa dell'accesso nello stabile da parte di persone estranee che usavano l'ascensore, circostanza questa non gradita al Te.; le risultanze probatorie facevano emergere una conflittualità dovuta a dissidi condominiali, dai quali erano derivati contrasti tra le parti.
Riteneva che non fosse stata raggiunta la prova della riconducibilità alla persona dell'imputato dei c.d. "dispetti" subiti dalla P.O. e delle lettere dalla stessa ricevute. Neppure la paternità della scritta "puttane" all'interno dell'ascensore del palazzo poteva essere attribuita con certezza al Te.; a tale riguardo la riconducibilità al Te., espressa dalla teste a discarico No., sarebbe stata più la suggestione di un'amica accondiscendente che una verosimile ricostruzione, posto che la No. si sarebbe trovata a passare proprio nel momento in cui l'imputato aveva imbucato delle lettere offensive nella cassetta postale della PO ed aveva inciso nell'ascensore la parola "puttane". Altro elemento distonico della tesi accusatoria è rappresentato dalla circostanza che uno dei biglietti (in atti) inseriti nella cassetta postale della PO, sia scritto in una lingua diversa dall'italiano.
La versione dei fatti resa dalla PO non era confermata in dibattimento circa un aspetto rilevante, ossia la minaccia diretta dell'imputato di volerla mandare via dal palazzo, argomento che induceva il primo giudice "a ridimensionare le condotte poste in essere dall'imputato" (pag. 7 motivazione); il presunto atteggiamento minaccioso che l'imputato avrebbe tenuto nei confronti della condomina non era stato confermato da alcun altro condomino, ma solo parzialmente dagli amici della P.O.; quest'ultima, tra l'altro, non aveva mai avvisato l'amministratore dello stabile dei comportamenti del Te., "segno che la stessa non ha provato in alcun modo a porre fine al diverbio con il Te." (pag. 6 motivazione).
Nemmeno emergeva alcunché di specifico in merito ad uno stato di perdurante ansia in capo alla Be., fatta eccezione per l'episodio del 4 gennaio 2019 quando la P.O. aveva fatto accesso al pronto soccorso di Civitanova Marche in preda ad una sindrome ansiosa, ma senza riferire ai sanitari che il suo stato di salute fosse legato ai cattivi rapporti col Te..
Alcuni testi, amici della PO, avevano riferito che ella prendeva dei medicinali per dormire e la stessa Be. aveva dichiarato di assumere antidepressivi, ma senza la prova certa che ciò fosse direttamente collegabile ai rapporti con l'imputato e senza la prova certa circa il fatto che la PO avesse effettivamente paura per la propria incolumità fisica.
Con riferimento al presunto cambiamento delle abitudini di vita, la PO aveva dichiarato di uscire dal garage per non incontrare il Te. e di non aver invitato i propri familiari per paura che si incontrassero col prevenuto, ma il Tribunale di Macerata considerava che la teste Poggi Barbara aveva riferito che la PO usciva sempre dal garage, quindi anche prima che iniziassero i dispetti da parte del Te.. Ancora, quanto al fatto che la PO non invitasse il figlio a stare da lei per paura che potesse incontrare il prevenuto, il giudice quo" rilevava che la Be. non aveva precisato quante volte aveva ricevuto visite da parte del figlio e tale circostanza era di scarso rilievo rispetto all'integrazione della fattispecie di reato in contestazione (pag. 6 motivazione). Il tutto portava il Tribunale al "ridimensionamento" (pag. 7 motivazione -ma non ali3esclusione-) di talune condotte poste in essere dall'imputato, mancando la prova certa, "oltre ogni ragionevole dubbio" che le condotte riferite dalla vittima potessero, comunque, rappresentare un elemento costitutivo del delitto previsto e punito dall'art. 612 bis c.p. che necessita della produzione di un evento di danno o di pericolo.
Di qui l'assoluzione del Te. dal reato ascrittogli ai sensi dell'art. 530, comma 2 c.p.
- La Difesa della parte civile Be.Sv. propone appello ex art. 576 cpp avverso la sentenza di cui sopra al fine di ottenere l'affermazione -incidentale- della responsabilità dell'imputata e conseguire il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale di Euro 20.000,00;, richiesto nelle conclusioni del giudizio di primo grado, o nella diversa somma di giustizia, con assegnazione di provvisionale pari ad Euro 5.000,00.
In sintesi, la parte civile deduce che la motivazione è viziata da contraddittorietà ed illogicità, per aver escluso la prova della sussistenza del delitto contestato, pur avendo ritenuto credibile la persona offesa.
L'appellante ritiene che l'imputato avesse causato congiuntamente tutti gli eventi previsti dalla fattispecie cri minatrice.
Per colmare la presunta lacuna probatoria circa i c.d. "dispetti" subiti dalla p.o. e con specifico riferimento alle lettere posizionate nella cassetta postale, la parte civile rinnova la richiesta di ammissione di una perizia grafologica.
In ogni caso, il giudice di primo grado avrebbe dovuto sussumere le condotte emerse nel dibattimento di primo grado quantomeno nell'alveo delle molestie di cui all'art. 660 c.p. All'udienza del 26.10.2023, tenutasi ai sensi dell'art. 23bis legge 176/2020, le parti hanno rassegnato le conclusioni come da verbale ed il Collegio ha assunto la decisione.
Diritto
Motivi della decisione
Anzitutto, la perizia grafologica di ufficio non si presta a risultati decisivi, perché la grafologia è disciplina non fondata su leggi scientifiche universali, ma su concetti legati alla valutazione soggettiva dell'esperto. Avendo la perizia grafologica valore meramente indiziario non ricorrono i presupposti ex art. 603 cpp per disporla.
La decisione appellata non è del tutto immune dalle censure prospettate con l'atto di gravame. La sentenza del Tribunale, dettagliata e puntuale nella ricostruzione della vicenda e nell'analisi dei dati salienti emersi dall'istruttoria dibattimentale, nel ritenere la mancanza di prova certa delle "minacce" attribuite alla persona del Te., non escludeva affatto l'attendibilità della testimonianza della p.o., limitandosi a "ridimensionare" la portata vessatoria delle condotte poste in essere dall'imputato. Se così è e come deve ritenersi, alla luce delle dichiarazioni della p.o. Be. circa le condotte del Te. cadute sotto la sua diretta percezione, esclusa la prova delle minacce sulla base delle condivisibili argomentazioni del giudice di primo grado ed esclusa la prova della stessa produzione degli eventi tipici del delitto originariamente contestato, non sembra possa escludersi la prova di un atteggiamento comunque "molesto" tenuto dall'imputato, idoneo in astratto a configurare gli elementi costitutivi del meno grave reato di cui all'art. 660 c.p. Difatti, il delitto di atti persecutori viene consumato quando condotte reiterate di minaccia o molestia, intimidatorie e vessatorie, espongono la vittima a conseguenze psicofisiche nella vita emotiva e pratica, manifestando un disvalore giuridico e sociale maggiore rispetto alle generiche condotte di minaccia (art. 612 c.p.) o di molestia (art. 660 c.p.). Il delitto di stalking, figura autonoma e più grave, si distingue dalla minaccia e dalla molestia - condotte illecite che possono, comunque, rappresentare un elemento costitutivo del delitto previsto e punito dall'art. 612 bis c.p. - perché necessita della produzione di un evento di danno o di pericolo.
Si ribadisce, esclusa la prova della minaccia e della produzione di uno degli eventi tipici del delitto in contestazione, residua la condotta di molestia, di cui, invece, vi è prova, considerata la credibilità della testimonianza della p.o., affermata dallo stesso giudice di primo grado. A riprova della condotta "molesta" tenuta dal Te. verso la p.o. Be., vi è la testimonianza di quest'ultima di comportamenti posti in essere dall'imputato direttamente percepiti: la B. dichiarava di avere visto due volte il Te. accostato vicino al portone di ingresso della sua abitazione, intento ad origliare (pag. 12 trascrizione ud. 01.02.2019); la teste specificava pure come fosse riuscita a vederlo: attraverso "l'occhio magico" (cioè lo spioncino); tante altre volte la Be. aveva visto dal balcone Te. suonarle al citofono insistentemente e poi fuggire (pag. 14).
Queste ultime condotte si aggiungono all'insieme degli elementi evidenziati dal giudice di primo grado per ritenere che vi fosse comunque stata, da parte dell'imputato (che nemmeno aveva titolo per esercitare istituzionalmente la vigilanza sullo stabile condominiale, non essendone il custode o portiere), una condotta disturbatrice caratterizzata da atteggiamenti ostili, finalizzata a farla sentire persona sgradita all'interno del condominio, manifestata alla p.o. sia direttamente -come appena descritto-, sia indirettamente, attraverso condizionamenti alla cerchia di conoscenti, soliti frequentare l'abitazione della p.o., finalizzati a limitarne la libertà di movimento (richieste di dove stessero andando, limiti all'uso dell'ascensore, limiti all'uso dell'area adibita a parcheggio condominiale....).
Tanto basta per ritenere integrati gli estremi dell'illecito aquiliano, richiamandosi ai criteri sanciti dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 182/2021, sia pure con riferimento a reati estinti per prescrizione, ove espressamente è stato previsto che "Il giudice dell'impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.). Con riguardo al "fatto" - come storicamente considerato nell'imputazione penale - il giudice dell'impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un "danno ingiusto" secondo l'art. 2043 cod. civ., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno. Nel contesto di questa cognizione rilevano sia l'evento lesivo della situazione soggettiva di cui è titolare la persona danneggiata, sia le conseguenze risarcibili della lesione, che possono essere di natura sia patrimoniale che non patrimoniale. La mancanza di un accertamento incidentale della responsabilità penale in ordine al reato estinto per prescrizione non preclude la possibilità per il danneggiato di ottenere l'accertamento giudiziale del suo diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, la cui tutela deve essere assicurata, nella valutazione sistemica e bilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di quella, per l'imputato, derivante dalla presunzione di innocenza"; e, ancora, "Il giudice, in particolare, non accerta la causalità penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all'evento in base alla regola dell'"alto grado di probabilità logica" (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza 10 luglio - 11 settembre 2002, n. 30328). Per l'illecito civile vale, invece, il criterio del "più probabile che non" o della "probabilità prevalente" che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria (in tal senso è la giurisprudenza a partire da Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenze 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584)".
E3 certo che ima condotta come quella descritta nella motivazione della sentenza impugnata e nella presente, attribuibile all'imputato, integrerebbe, quantomeno, la fattispecie di molestia o disturbo ai sensi dell'art. 660 c.p., per avere Te. posto in essere un'attività disturbatrice che ha superato la "soglia" di tolleranza; la sua condotta si risolveva in un apprezzabile condizionamento della tranquillità e della libertà morale della persona offesa, essendo ispirata da biasimevole motivo o, comunque, avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri.
Va poi specificato che all'esito del gravame proposto dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione, il giudice d'appello, anche qualora sia intervenuta la prescrizione del reato contestato (in questo caso ritenuto previa derubricazione di quello originariamente contestato), deve valutare la sussistenza dei presupposti per una dichiarazione di responsabilità limitata agli effetti civili e può condannare l'imputato al risarcimento del danno o alle restituzioni qualora reputi fondata l'impugnazione, in modo da escludere che possa persistere la sentenza di merito più favorevole all'imputato (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 6568 del 26/01/2022 Ud., dep. 23/02/2022, Rv. 282689 -01). La previsione di cui all'art. 576 cod. proc. pen. conferisce al giudice penale dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto; detta previsione introduce una deroga all'art. 538 cod. proc. pen., legittimando la parte civile non soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento ma anche a chiedere al giudice dell'impugnazione, ai fini dell'accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell'imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo difforme, rispetto al precedente giudizio, sul medesimo fatto oggetto dell'imputazione e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto. Legittimo risulta, pertanto, il riconoscimento di un diritto risarcitorio, di carattere non patrimoniale, a favore della parte civile Be.Sv.. Va considerato il "danno morale soggettivo" la cui valutazione sfugge, in virtù del suo contenuto etico, ad una precisa quantificazione ed è, pertanto, di natura essenzialmente equitativa; nel caso di specie, non è ancorabile né a minacce di sorta, né ad alcuno degli eventi di cui al delitto ex art. 612 bis, c.p., esclusi dal giudice di primo grado con motivazione condivisa da questa Corte. Il disagio psicologico vissuto dalla vittima viene commisurato alla sola molestia - condotta arrogante che incide sulla libertà morale, sotto il profilo specifico della libertà psichica - che consiste nella fastidiosa, invadente e petulante alterazione della serenità e della tranquillità individuale; congrua, a ristoro della sofferenza interiore che la vicenda ha ingenerato nella psiche della vittima, è la somma complessiva, liquidata con valutazione equitativa ed in termini attuali, di euro 500,00, comprensiva anche degli "interessi compensativi" dovuti per la mancata disponibilità della somma di denaro nel corso degli anni; sulla somma finale liquidata sono dovuti i normali interessi legali decorrenti dalla data di pubblicazione della presente decisione fino al saldo effettivo. Il tutto da porsi a carico dell'imputato, unitamente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile in entrambi i gradi di giudizio e liquidate come in dispositivo secondo i criteri del D.M. 10.03.2014, n. 55, come modificato con D.M. 13 agosto 2022, n. 147, oltre iva e cap come per legge (per il primo grado fase studio Euro 150, fase introduttiva Euro 300, fase istruttoria Euro 450, fase decisoria Euro 450; per il grado di appello fase studio Euro 160, fase introduttiva Euro 320, fase decisoria Euro 480).
In definitiva, si impone la riforma della sentenza impugnata come in dispositivo, con ogni conseguente statuizione circa il regolamento delle spese processuali del grado nei confronti dell'imputato.
P.Q.M.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA
Visti gli artt. 576, 605 c.p.p., 110 D.P.R. n. 115/2002,
in riforma della sentenza del Tribunale di Macerata in data 09.12.2021 nei confronti dell'imputato Te.Gi., appellata dalla parte civile, dichiara l'imputato responsabile limitatamente agli effetti civili e lo condanna al risarcimento del danno non patrimoniale subito da Be.Sv. che liquida in via definitiva, all'attualità, in complessivi Euro 500,00, oltre interessi legali decorrenti dalla presente sentenza al saldo; condanna, altresì, l'imputato al pagamento delle spese processuali del grado nonché al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile Be. in entrambi i gradi che liquida nell'intero in complessivi Euro 2.310,00, di cui Euro 1.350,00 per il primo ed Euro 960,00 per il secondo grado, oltre accessori di legge, disponendone il pagamento in favore dello Stato.
Motivi entro giorni 90.
Così deciso in Ancona il 26 ottobre 2023.
Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2024.