Con la sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che integra il reato di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 577 c.p., comma 1, n. 2, la condotta dell'agente che, nell'ambito del normale traffico cittadino, speroni l'automobile condotta dalla vittima, costituendo tale comportamento "mezzo insidioso" di natura ingannevole, recante in sé un pericolo nascosto idoneo a sorprendere l'attenzione della vittima e a rendere più difficoltosa la difesa.
Cassazione penale sez. I, 07/04/2022, (ud. 07/04/2022, dep. 26/04/2022), n.15838
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza, in rito abbreviato, del 25 ottobre 2019 il Tribunale di Sassari ha condannato V.D. alla pena di quindici anni e sei mesi di reclusione per il delitto di omicidio volontario in danno di D.M.N. e la contravvenzione di porto di coltello fuori della propria abitazione.
Con sentenza del 13 novembre 2020 la Corte d'assise di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, accogliendo parzialmente l'appello dell'imputato, ha riformato la sentenza di primo grado, eliminando l'aggravante dell'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, riconosciuta in primo grado, rideterminando, per l'effetto, la pena inflitta in quindici anni di reclusione, e confermato per il resto.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, con i motivi descritti di seguito.
Con il primo motivo il ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alla mancata concessione dell'attenuante dell'art. 62 c.p., comma 1, n. 2, in quanto l'omicidio sarebbe stato determinato da una provocazione della vittima, che avrebbe strattonato l'imputato per allontanarlo da un circolo privato in cui si era recato e poi lo avrebbe raggiunto sotto l'abitazione della di lui suocera e, prima di essere colpito, gli avrebbe dato una manata sulla spalla sinistra.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'aggravante del mezzo insidioso ex art. 577 c.p., comma 1, n. 2, che non sarebbe ravvisabile nel caso in esame in cui l'imputato non ha tenuto comportamenti insidiosi ma si è limitato a colpire la vittima con un coltello.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alla mancata valutazione di prevalenza delle attenuanti generiche, riconosciute invece soltanto come equivalenti alle aggravanti contestate.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha chiesto l'accoglimento del ricorso, relativamente al secondo motivo.
La parte civile, costituita anche nel giudizio di cassazione, ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso, dedicato all'attenuante della provocazione, è inammissibile.
Come evidenziato nella sentenza di secondo grado, i rapporti tra l'imputato e la famiglia della vittima erano molto turbolenti e si erano verificati numerosi episodi di attrito prima del fatto. In particolare, come riportato nella sentenza di secondo grado, prima del fatto per cui si procede l'imputato aveva danneggiato l'auto del suocero della vittima, che in risposta gli aveva dato uno schiaffo, in risposta al quale l'imputato aveva minacciato di sparargli e nell'immediatezza distrutto il lunotto stesso. Inoltre, sempre prima del fatto per cui si procede, l'imputato avrebbe scritto con la vernice frasi ingiuriose sull'asfalto davanti al circolo gestito dai suoceri della vittima.
E' pertanto corretta la deduzione contenuta a pag. 12 della sentenza di secondo grado in cui si afferma che in quel contesto il comportamento dell'imputato, consistente nel presentarsi la sera del fatto nel circolo in questione, non era neutro ma integrava una sorta di sfida alla famiglia della vittima, che impedisce di poter tener conto di quanto accaduto successivamente come un fatto ingiusto altrui che possa mitigare la sua responsabilità per l'omicidio. Come correttamente rilevato dalla Corte d'appello, infatti, l'aver accettato, o addirittura portato la sfida, esclude in radice la configurabilità dell'attenuante (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 12045 del 16/12/2020, dep. 2021, Gallace, Rv. 281137 - 03: l'accettare o il portare una sfida per la risoluzione di una contesa o per dare sfogo ad un risentimento, impedisce l'applicazione della circostanza attenuante della provocazione, per la illiceità del comportamento di sfida, seppur occasionato da un precedente fatto dell'avversario; Sez. 1, Sentenza n. 16123 del 12/04/2012, Samperi, Rv. 253210 - 01: l'accettazione di una sfida, come anche il portare una sfida, per la risoluzione di una contesa o per dare sfogo ad un risentimento, impedisce l'applicazione della circostanza attenuante della provocazione, per la illiceità del comportamento di sfida, seppure esso sia stato occasionato da un precedente fatto dell'avversario).
2. Il secondo motivo di ricorso, dedicato all'aggravante del mezzo insidioso è fondato.
L'aggravante del mezzo insidioso è stata riconosciuta sia in primo che in secondo grado. Nel caso in cui una statuizione della pronuncia di primo grado sia confermata in appello, ai fini del controllo di legittimità, la motivazione della sentenza di primo grado e quella della sentenza di appello si integrano vicendevolmente (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595: "ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione").
Nel caso in esame, la sentenza di primo grado ha motivato il riconoscimento dell'aggravante con le seguenti espressioni: "la persona offesa non poteva essere a conoscenza della presenza (occultata) di due coltelli in capo all'odierno imputato, ritenendo di poter affrontare tranquillamente quest'ultimo. L'imputato, oltre ad un coltello da cucina, aveva ingiustificatamente nascosto all'interno del suo giubbotto, anche un altro coltello da macellaio altamente lesivo e letale. Tale circostanza è stata sicuramente tale da sorprendere le difese della persona offesa, che aveva deciso di affrontare l'imputato" (pag. 11.).
La sentenza di secondo grado ha motivato, invece, il riconoscimento dell'aggravante con le seguenti espressioni: "nel caso di specie, V., voltandosi di scatto con un gesto fulmineo che ha colto di sorpresa il D.M., ha usato il coltello, che evidentemente aveva nascosto alla vista della vittima, dandogli le spalle" (pag. 15).
Pertanto, la pronuncia di primo grado ha ritenuto l'esistenza dell'aggravante come conseguenza del mero occultamento dell'arma utilizzata per il delitto, che era stata nascosta alla vista della vittima; la sentenza di secondo grado ha effettuato, invece, un passaggio logico in più, perché non ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'aggravante in esame, che l'arma del delitto fosse stata occultata, ma ha incentrato il nucleo dell'aggravante nell'aver l'agente dato le spalle alla vittima e nell'averla colpito con gesto fulmineo.
In definitiva, per la pronuncia di appello il mezzo insidioso si sostanzierebbe nel combinato di tre circostanze di fatto esistenti nel caso in esame: l'occultamento dell'arma, l'essersi posto l'agente di spalle alla vittima, l'essere stata colpita la vittima con gesto fulmineo.
E' noto che il mezzo insidioso di cui all'art. 577 c.p., comma 1, n. 2, non è soltanto il mezzo venefico o fraudolento, ma anche il mezzo violento qualora le circostanze che ne accompagnino l'uso rechino in sé un pericolo nascosto, perché l'insidia non sta nel mezzo in sé considerato ma nel comportamento complessivo tenuto dall'agente (cfr. per tutte, Sez. 5, Sentenza n. 2925 del 18/12/2008, dep. 2009, Perazzi, Rv. 242619 - 01: in tema di lesioni personali volontarie, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'art. 577 c.p., comma 1, n. 2, l'espressione "mezzo insidioso" indica quello che, per la sua natura ingannevole o per il modo o le circostanze che ne accompagnino l'uso, reca in sé un pericolo nascosto, tale da sorprendere l'attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile, o comunque, più difficile che di fronte ad ogni altro mezzo la difesa. In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità, a titolo di lesioni aggravate ai sensi dell'art. 577 c.p., comma 1, n. 2, dell'agente che aveva schiaffeggiato, gettato a terra e colpito la vittima con una cintura di cuoio con la quale successivamente le stringeva il collo).
Con riferimento al caso specifico del delitto commesso mediante un coltello, nella giurisprudenza di legittimità esistono due precedenti sulla configurabilità o meno dell'aggravante del mezzo insidioso.
Nel precedente più risalente la esistenza o meno dell'aggravante era stata incentrata sulla circostanza che il coltello fosse o meno visibile alla vista della vittima (Sez. 5, Sentenza n. 2491 del 31/01/1991, Piras, Rv. 186478 - 01: mezzo insidioso è quello che o per la sua natura ingannevole o per il modo e le circostanze che ne accompagnano l'uso, reca in sé un pericolo nascosto tale da sorprendere l'attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile o più difficile la difesa. Pertanto, non può considerarsi tale un coltello a serramanico che, allorché venga mostrato ed usato, non può presentarsi certo come pericolo tale da sorprendere l'attenzione della vittima), secondo una prospettiva simile, pertanto, a quella seguita nel caso in esame dal giudice di primo grado.
Nel secondo caso in cui ha affrontato l'argomento, però, la corte di legittimità è tornata sulla questione ed ha sostenuto una tesi più restrittiva, ritenendo che l'occultamento di per sé non sia sufficiente a ritenere integrata l'aggravante, essendo necessario un quid pluris, ovvero che, per tempi e modi dei movimenti, la vittima non abbia potuto approntare una reazione difensiva (Sez. 1, Sentenza n. 7992 del 08/11/2018, dep. 2019, Viola, Rv. 274876 - 01: In tema di omicidio, la circostanza aggravante dell'uso del mezzo insidioso ricorre quando il mezzo usato, per la sua natura ingannevole o per il modo e le circostanze che ne accompagnano l'uso, reca in sé un pericolo occulto, tale da sorprendere l'attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile o più difficile la difesa. Fattispecie relativa a tentato omicidio, in cui la Corte ha escluso la configurabilità dell'aggravante in relazione all'occultamento di un coltello da cucina successivamente impiegato dall'imputato per ferire la vittima che era riuscita a difendersi e a respingere l'aggressione). E' questa la pronuncia di legittimità su cui è costruita la decisione della Corte di assise di appello di Cagliari, che ha per l'appunto, individuato l'aggravante non nel mero occultamento, ma nel gesto fulmineo dell'autore del reato che ha sorpreso la reazione della vittima.
Si tratta di uno sforzo argomentativo apprezzabile, che cerca di riempire di contenuto la condotta tenuta dall'agente, caratterizzandola sotto il profilo dell'azione (aver occultato il coltello, essersi posto di spalle alla vittima, averla colpita con un gesto repentino) e delle conseguenze della stessa sulla possibilità di percezione del pericolo da parte della vittima (ignara dell'esistenza del coltello, ed ignara del movimento che l'agente si apprestava a fare per colpirla).
Pur essendo apprezzabile questo sforzo argomentativo, esso, però, non risolve del tutto i problemi di tipicità della condotta che reca con sé la individuazione di questa aggravante.
La circostanza che entrambi i precedenti di legittimità, che hanno giudicato della applicabilità dell'aggravante del mezzo insidioso ad un delitto commesso tramite coltello, abbiano escluso in fatto l'esistenza dell'aggravante tradisce, infatti, la evidente difficoltà di applicazione dell'aggravante in esame ai delitti commessi mediante un mezzo violento.
D'altronde, l'art. 577 c.p., comma 1, n. 2, prevede l'aggravamento di pena per il reato commesso "col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso", dove la clausola generale della seconda parte sembra destinata ad essere applicata a fatti simili al veneficio che non rientrerebbero in esso per ragioni di tipicità.
Il delitto commesso con mezzo violento differisce, però, in modo sostanziale dal delitto commesso tramite veneficio. Come precisato dalla sentenza Viola, infatti, "l'impiego di un coltello da cucina non presenta di per sé un'intrinseca potenzialità ingannatoria".
Nel tentativo di ricostruire la sistematica della applicazione della aggravante del mezzo insidioso ai fatti commessi mediante un mezzo in sé violento, il collegio ritiene di confermare l'orientamento già espresso nella pronuncia Viola, che considera insufficiente per l'integrazione dell'aggravante il mero occultamento dell'arma utilizzata per il delitto. Il pericolo nascosto non e', infatti, semplicemente, e banalmente, il pericolo che non si vede, ma il pericolo inaspettato che sorprende la capacità di difesa della vittima (per una applicazione giurisprudenziale in cui è stata riconosciuta l'insidiosità a fronte di un mezzo usato ben visibile, ma utilizzato in modo da sorprendere le difese della vittima, v. Sez. I., Sentenza n. 11561 del 05/02/2013, Tavelli, Rv. 255337 - 01: integra il reato di tentato omicidio aggravato ai sensi dell'art. 577 c.p., comma 1, n. 2, la condotta dell'agente che, nell'ambito del normale traffico cittadino, speroni l'automobile condotta dalla vittima, costituendo tale comportamento "mezzo insidioso" di natura ingannevole, recante in sé un pericolo nascosto idoneo a sorprendere l'attenzione della vittima e a rendere più difficoltosa la difesa).
Il collegio ritiene, però, di precisare ulteriormente tale indirizzo e specificare che per riempire di contenuto la condotta in cui si deve sostanziare questa aggravante non è sufficiente che le capacità di difesa della vittima siano state sorprese dalla repentinità del gesto dell'agente.
La repentinità della condotta dell'agente può avere, infatti, un contenuto di insidiosità soltanto quando è eccentrica rispetto al contesto in cui si si svolge l'azione ed introduce un pericolo inaspettato, come nel caso oggetto della pronuncia Tavelli appena citata. Quando, però, come nel caso in esame, la sfida tra i due contendenti era stata portata (dal V., entrando nel circolo) ed accettata (dal D.M., che lo aveva obbligato ad uscire, e poi seguirlo fin sotto casa per regolare i conti), il gesto repentino diventa solo una modalità dell'azione, che non giustifica l'inasprimento di pena consequenziale al riconoscimento di questa aggravante.
Il pericolo nascosto si realizza, infatti, non quando la vittima non ha fatto in tempo a difendersi, ma quando le modalità della condotta dell'agente consentano di individuare un inganno in cui la vittima è caduta e di cui non si poteva avvedere.
Le particolarità della complessa vicenda accaduta la sera dei fatti, e del comportamento tenuto dall'agente, potrebbero comunque condurre a ritenere esistente in fatto l'inganno in cui la vittima è caduta e di cui non si poteva avvedere, valorizzabile con una diversa motivazione, ma per ciò occorre un accertamento compiuto del fatto, che non è in potere di questa Corte, e che è rimesso al giudice del merito, il che induce, conclusivamente, ad annullare la pronuncia impugnata, limitatamente al riconoscimento dell'aggravante del mezzo insidioso, per nuovo esame da parte della Corte di assise.
Ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2 si enuncia specificamente il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi: in tema di omicidio volontario, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'art. 577 c.p., comma 1, n. 2, l'espressione "mezzo insidioso" indica quello che, per la sua natura ingannevole o per il modo o le circostanze che ne accompagnino l'uso, reca in sé un pericolo nascosto, tale da sorprendere l'attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile, o comunque, più difficile che di fronte ad ogni altro mezzo la difesa. Nel caso in cui il mezzo usato per recare offesa sia un coltello, non integra il mezzo insidioso il mero occultamento dell'arma del delitto o la mera repentinità del gesto dell'agente nel colpire la vittima, dovendo essere riconosciuto il pericolo nascosto quando le modalità della condotta dell'agente consentano di ricostruire un inganno in cui la vittima è caduta e di cui non si poteva avvedere.
3. Il terzo motivo di ricorso, sul bilanciamento delle circostanze, è inammissibile.
Il motivo di ricorso non si confronta, infatti, con la motivazione del provvedimento impugnato, in cui, respingendo il relativo motivo di appello, la corte di secondo grado ha ricordato che vi è divieto legale di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva reiterata.
Nel motivo di ricorso nulla si dice sulla norma dell'art. 69 c.p., comma 4, che prevede il divieto di prevalenza, limitandosi il ricorrente ad evidenziare ragioni relative alla storia personale dell'imputato che avrebbero giustificato che le attenuanti generiche fossero valorizzate di più nel giudizio di bilanciamento.
Il motivo di ricorso e', pertanto, inconferente con quanto scritto dal giudice di secondo grado, e, quindi, è inammissibile per difetto del requisito della specificità estrinseca (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823 - 01), non confrontandosi con il contenuto della pronuncia impugnata.
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sussistenza della circostanza aggravante del mezzo insidioso con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di assise di appello di Cagliari. Dichiara inammissibile il ricorso per il resto.
Così deciso in Roma, il 7 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2022