Tribunale Nola, 19/08/2021, (ud. 08/07/2021, dep. 19/08/2021), n.1567
Giudice: Raffaele Muzzica
Reato: 572, 56, 629 e 582, 585 in relazione agli artt. 576 n. 1, 61 n. 2 c.p.
Esito: Condanna e assoluzione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOLA
GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Sezione Penale
Il Giudice monocratico del Tribunale, dott. Raffaele Muzzica, alla
pubblica udienza dell'8/7/2021 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
(...), nato a San Giuseppe Vesuviano il (...), residente ed
elettivamente domiciliato in Ottaviano alla via (...) (domicilio
eletto in sede dì interrogatorio di convalida il 26/3/2021) - detenuto
in carcere per questa causa, rinunciante a comparire Difeso di fiducia
dall'avv. (...)
IMPUTATO
A) Del delitto p. e p. dall'art. 572 c.p., perché, rivolgendo alla madre,
(...), incessanti richieste di denaro per l'acquisto di stupefacenti o
per soddisfare i suoi bisogni materiali e ponendo in essere rappresaglie
in caso di rifiuto, assumendo atteggiamenti e comportamenti aggressivi,
lanciando suppellettili, ingiuriandola con le seguenti espressioni
puttana, zoccola, minacciando di accoltellarla, maltrattava quest'ultima,
sottoponendola ad atti di violenza morale, tenendo nei suoi confronti una
condotta abitualmente vessatoria, tale da provocare uno stato di
prostrazione fisica e psichica e da renderle la vita impossibile. In
Ottaviano(1), da marzo 2020 con condotta perdurante
B) Del delitto p. e p. dagli artt. 56,629 co. 1 c.p., perché, con
violenza consistita nello spingere la madre (...) cagionandole le
lesioni di cui al capo c), compiva atti idonei diretti in modo non
equivoco a procurarsi l'ingiusto profitto derivante dal denaro consegnato
dalla vittima, con pari danno per quest'ultima, non essendo riuscito
nell'intento per cause indipendenti dal proprio voleri (intervento delle
Forze dell'Ordine).
In Ottaviano, il 9.6.2020
C) Del reato p. e p. dagli artt. 582, 585 in relazione agli artt. 576 n.
1, 61 n. 2 c.p., perché, al fine di commettere il reato di cui al capo
precedente e con la condotta ivi descritta, cagionava a (...) lesioni
personali e, in particolare, frattura media distale dell'ulna e della
falange dell'alluce destro, malattia nel corpo giudicata guaribili in
giorni 30, come da referto in atti.
In Ottaviano, il 9.6.2020
(Si omettono le conclusioni delle parti)
Svolgimento del processo
L'imputato (...) veniva citato a giudizio, con decreto di giudizio immediato emesso dal GIP in sede il 12/5/2021, per rispondere all'udienza del 24/6/2021 dei reati in rubrica contestati.
In quell'udienza il Giudice, accertata la regolarità della notifica del decreto nei confronti del (...), non tradotto, rinviava il procedimento all'udienza del 30/6/2021. Il difensore anticipava il consenso all'acquisizione di tutti gli atti di indagine ed il Giudice esonerava il PM dalla citazione dei testi di lista. In quella sede, in assenza di questioni o eccezioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva i mezzi di prova richiesti dalle parti, in quanto legittimi, non manifestamente superflui o irrilevanti.
Con il consenso delle parti veniva acquisito l'intero fascicolo del PM ed il Giudice revocava le ordinanze ammissive della prova, eccezion fatta per quella relativa all'escussione della persona offesa, (...), sentita a chiarimenti, la quale peraltro dichiarava di voler rimettere la querela.
Con il consenso delle parti veniva acquisito il verbale di interrogatorio di garanzia reso in data 25/3/2021 dall'imputato, che aggiungeva spontanee dichiarazioni. Al termine dell'istruttoria il PM chiedeva ex art. 507 c.p.p. di escutere la sorella dell'imputato, (...); il Giudice, sentito il difensore, che si opponeva, con ordinanza a verbale qui da intendersi riprodotta rigettava l'istanza. Il processo veniva rinviato alla presente udienza per la chiusura dell'istruttoria e per la discussione del procedimento.
In questa udienza il Giudice, non residuando ulteriori adempimenti istruttori, dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale ed invitava le parti a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe.
Al termine della discussione questo Giudice si ritirava in camera di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al verbale d'udienza, riservando un congruo termine per il deposito dei motivi.
Diritto
Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che, alla luce degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, deve essere pronunciata sentenza di condanna nei confronti di (...) in ordine ai reati a lui ascritti ai capi A) e C). Per converso, l'istruttoria dibattimentale non ha consentito di fugare ogni ragionevole dubbio circa la responsabilità dell'imputato in ordine al reato di cui al capo B) dell'imputazione, in ordine al quale deve essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Giova sul punto evidenziare che gli elementi posti a fondamento del giudizio sono costituiti da tutti gli atti contenuti nel fascicolo del PM ed utilizzabili in ragione del consenso manifestato dalle parti, ovvero le denunce querele e le sommarie informazioni rese dalla persona offesa, la madre dell'imputato (...), confermate dalla sua escussione dibattimentale, la comunicazione notizia di reato redatta dalla Legione Carabinieri Campania - stazione di Ottaviano del 10/6/2020 con la connessa annotazione di polizia giudiziaria redatta in pari data, dalle prove documentali versate in atti, ovvero la documentazione medico-sanitaria rilasciata dalle strutture competenti nei confronti di (...), il referto medico di pronto soccorso 202001803 rilasciato il 9/6/2020 dalla casa di cura (...) nei confronti della persona offesa, il materiale fotografico allegato all'annotazione di polizia giudiziaria.
Completa il compendio probatorio il narrato reso dall'imputato sia in sede di interrogatorio di garanzia, acquisito con il consenso delle parti, sia in sede di dichiarazioni spontanee dibattimentali, oltre al contenuto della perizia sullo stato di mente dell'imputato, effettuata nelle forme dell'incidente probatorio e come tale confluita nel fascicolo del dibattimento.
Sulla base delle fonti di prova utilizzabili la vicenda per cui vi è processo può essere così ricostruita.
0 giorno 27/11/2019 (...) rendeva sommarie informazioni, acquisite con il consenso delle parti, riferendo di essere la madre di (...), odierno imputato, all'epoca dei fatti detenuto agli arresti domiciliari per rapina.
La donna raccontava agli operanti che il figlio aveva da tempo questioni con la giustizia, nonché annosi problemi di salute sia fisica che mentale che provocavano delle conseguenze sulla vita quotidiana della (...). Quest'ultima, infatti, in sede di sommarie informazioni del 27/11/2019 riferiva che in data 22/11/2019 il (...), dopo aver cenato e bevuto alcuni bicchieri di vino, assumeva la sua terapia farmacologica ma cadeva in preda ad una crisi isterica, inveendo nei confronti della (...) con parole del tipo "Zoccola, puttana, troia, non sei una buona madre io ti voglio bene".
Per evitare che la situazione degenerasse, la (...) si recava a casa di un'amica per una ventina di minuti. Al rientro, rinveniva in casa i Carabinieri, che erano stati allertati dal figlio. La (...) spiegava loro l'accaduto, chiedendogli di contattare i soccorsi per prestare cura al (...), che veniva infatti condotto in autoambulanza presso il reparto psichiatrico dell'ospedale Maresca di Torre del Greco. A notte inoltrata i Carabinieri riconducevano il (...) a casa, in condizioni di tranquillità. Il medesimo episodio veniva narrato, in termini assolutamente identici, dalla (...) altresì in sede di sommarie informazioni rese il 5/12/2019.
Tanto in sede di sommarie informazioni del novembre 2019 quanto nel dicembre 2019, la (...) riferiva di non aver mai subito alcun tipo di violenza fisica da parte del figlio, con il quale non vi erano mai stati screzi fino all'episodio narrato. Per tali motivi, dunque, la (...) non sporgeva alcuna formale denuncia querela.
Tuttavia, in data 10/6/2020 la persona offesa decideva di sporgere denuncia querela, acquisita agli atti con il consenso delle parti.
In sede di denuncia la (...), oltre a ricordare la situazione clinica del figlio, precisava che, sebbene il (...) non avesse fino ad allora adoperato violenza nei confronti della madre e della sorella convivente (...), quando si innervosiva era solito sfasciare oggetti e suppellettili di casa.
inoltre, la (...) raccontava agli operanti che, a partire dal 12/3/2020 -ovvero da quando terminava il periodo di arresti domiciliari cui era sottoposto l'imputato - il comportamento del (...) era drasticamente peggiorato. La donna riferiva che l'imputato le chiedeva costantemente denaro - a suo avviso, per acquistare sostanza stupefacente, il cui uso lo rendeva ancora più irascibile - con una media di circa 20,00 euro al giorno, che la donna si determinava a consegnare per non alimentare il suo nervosismo. La (...) precisava che tale condotta non era nuova al (...), che era stato da lei denunciato circa venticinque anni prima per queste richieste di denaro finalizzate all'acquisto di droga.
La donna confermava quanto già narrato in precedenza, ovvero di non essere mai stata picchiata dal (...), che in escandescenze dirigeva i propri impeti nei confronti degli oggetti presenti in casa, limitandosi ad urlare e ad inveire contro la persona offesa, con frasi del tipo "zoccola, puttana".
Durante le discussioni, che avevano cadenza almeno settimanale, la (...) riferiva di essere esasperata, a volte rispondendo alle urla del figlio. La persona offesa, tuttavia, riferiva di un episodio specifico avvenuto la sera precedente la denuncia, in cui la condotta del (...) si era tramutata in vera e propria violenza fisica nei suoi confronti.
Di ritorno dall'incontro con un notaio, interpellato in merito alla vendita di un fondo di proprietà della famiglia, il (...) inveiva contro la (...), accusata di essersi intromessa nella questione, ritardando la vendita. Giunti a casa, l'ira del (...) si direzionava contro alcuni oggetti in casa, nonché verso il tavolo della cucina, scaraventato in direzione della persona offesa, la quale riportava lesioni al piede a causa dell'accaduto.
La (...), in preda al dolore, inveiva contro il figlio, chiamandolo "drogato, alcolizzato" e di tutta risposta il (...) la spintonava, facendo cadere in terra la donna, che rovinava con il braccio. In sede dibattimentale, la (...) precisava che il (...) la spingeva perché la donna, in preda all'ira ed al dolore, aveva preso una mazza per percuoterlo.
Alla scena assisteva (...), figlia della persona offesa, portatrice di handicap, la quale contattava la sorella maggiore. (...), che a sua volta chiamava i carabinieri. La (...) si recava presso il locale nosocomio per le cure del caso, come da referto in atti.
In data 15/6/2020 la (...) veniva escussa nuovamente a sommarie informazioni, acquisite con il consenso delle parti. La donna confermava quanto già narrato nelle precedenti occasioni, riferendo che le discussioni con il (...) diventavano sempre più violente e frequenti, a causa dell'uso contestuale di alcol e droga da parte dell'imputato.
La (...) riferiva che, almeno una volta a settimana, il (...) alzava la voce, la ingiuriava con frasi offensive, rompeva suppellettili e oggetti in casa,
continuando a chiedere la media di 20,00 euro ai giorno, che la donna cedeva per non far innervosire ulteriormente l'imputato. La donna precisava che in taluni casi il (...) prelevava direttamente il denaro dal portafogli, senza dirle nulla. Tuttavia, la donna confermava quanto già riferito più volte, ovvero che prima dell'episodio del 10/6/2020 il (...) non l'aveva mai aggredita fisicamente. La donna riferiva che aveva nuovamente accolto in casa il figlio, dimesso dall'ospedale qualche giorno prima dell'escussione e che, nonostante alcuni momenti di tensione, non vi erano stati da allora nuovi episodi. La (...) concludeva le sommarie informazioni del 15/6/2020 chiedendo aiuto agli operanti affinché indirizzassero il (...) in una comunità di cura, nonostante la volontà contraria dell'imputato.
In data 13/7/2020 la (...) rendeva nuove sommarie informazioni, acquisite con il consenso delle parti, in cui dava conto del fatto che le condotte del (...) non si erano affatto arrestate. Successivamente alla denuncia il (...) continuava a chiedere denaro alla madre, sottraendoglielo in caso contrario, attraverso azioni testualmente definite dalla donna come "nervose" ("...ovvero nel momento in cui nego di volergli dare contanti, lui inizia a sbraitare e ingiuriare.. ").
La (...), tuttavia, riferiva che tale evenienza era rara dal momento che. sapendo di una potenziale reazione violenta, per non innescare discussioni si determinava a cedere il denaro.
La donna si mostrava affranta dalla situazione, nutrendo timore per la propria incolumità e per quella della figlia disabile (...), oltre ad avere preoccupazioni economiche a causa delle continue sottrazioni di denaro ad opera del (...). Per tali motivi, in sede di sommarie informazioni la donna insisteva nella volontà di querela già manifestata nei mesi precedenti.
In data 10/8/2020 la (...) sporgeva una nuova denuncia querela, acquisita agli atti, nella quale dava conto dell'ininterrotta serie di maltrattamenti subiti ad opera del figlio. La donna riferiva agli operanti di essere ormai completamente priva di risorse economiche, tant'è che il (...) aveva iniziato addirittura a sottrarre in casa biancheria ed oggetti personali al fine di rivenderli.
La (...) riferiva che ormai gli alterchi con il figlio avevano frequenza quotidiana ed il timore per la propria incolumità e per quella della figlia (...) era via via crescente, tanto da indurre la persona offesa a trasferirsi momentaneamente a casa della figlia (...) in Palma Campania.
L'esasperazione della (...) era giunta ad un punto tale da chiedere ai carabinieri che il figlio fosse arrestato, pur di porre fine alla situazione, in data 18/9/2020 e 28/9/2020 la (...) rendeva nuove sommarie informazioni, dopo essersi recata spontaneamente presso gli uffici dei Carabinieri di Ottaviano per chiedere informazioni in merito alla stato delle sue denunce. La donna confermava le medesime circostanze già descritte, riferendo che in data 14/9/2020 il (...) le aveva sottratto le ultime 50.00 euro in suo possesso, dopo insistenti richieste accompagnate da urla, strepiti ed ingiurie del tipo "terzignana, puttana, zoccola, fatti prestare i soldi". Episodi analoghi accadevano ormai a giorni alterni, sempre verso il primo pomeriggio.
In data 17/9/2020, in occasione di un'ennesima discussione il (...), completamente ubriaco, chiedeva con insistenza alla madre 15,00 euro. A fronte dei suo rifiuto, l'imputato scagliò un centrotavola in direzione della sorella (...), allontanandosi da casa per poi farvi ritorno, in piena tranquillità, circa un'ora dopo. Il giorno stesso della denuncia, inoltre, la (...) riferiva di aver notato che il (...) aveva posizionato una corda sull'albero di arance in giardino. Chiedendogli spiegazioni, apprendeva dal (...) che lo stesso aveva intenzione di suicidarsi.
In occasione di un'ennesima lite in data 26/9/2020 il (...) minacciava espressamente la madre, dicendole "Preparati, che prossimamente ti do due coltellate, tu sei drogata peggio di me, ti faccio vedere cosa ti combino... " Testualmente, la (...) riferiva ai carabinieri di non riuscire più ad andare avanti, a causa dei problemi di dipendenza del figlio e delle cure necessarie per (...), affetto da handicap mentale. La persona offesa si mostrava impaurita che la situazione precipitasse, riferendo di non riuscire più a dormire con tranquillità perché il (...) diventava sempre più pressante e nervoso ("...La situazione continua ad essere sempre più grave e non riesco più a continuare a vivere in questo modo. Non so che devo fare più. Come ho sempre chiesto, chiedo che mio figlio sia seguito e curato. Io non posso gestire questa situazione che ripeto sta andando via via più ad essere sempre più grave.").
In data 22/1/2021 la (...), oltre a riferire delle ormai consuete e ininterrotte condotte del (...), precisava che lo stesso, pur non avendola più aggredita fisicamente dall'episodio del giugno 2020, in alcune occasioni si limitava a simulare l'aggressione, desistendo dal compierla perché conscio che la donna avrebbe chiamato i Carabinieri. Tuttavia la donna riferiva di un episodio di aggressione fisica perpetrato dal (...) nei confronti della sorella (...), colpita in testa con un mestolo, tra il 26 e il 27 gennaio (probabilmente con errore nel ricordo da parte della (...), giacché le sommarie informazioni sono state rese in data 22 gennaio 2021). il (...), infatti, aveva sottratto un telefono cellulare alla sorella che, avvedutasene, lo colpiva con il mestolo. Il (...), togliendole dalle mani il mestolo, lo usava per colpirla a sua volta. Dopo l'aggressione, in ogni caso, il (...) chiudeva in casa la madre e la sorella, per evitare che la (...) la accompagnasse al pronto soccorso, intimorito dalla potenziali conseguenze legali di un'attività di referto. La donna riferiva che tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre 2020 il (...) era stato sottoposto a perizia psichiatrica su ordine del Tribunale, pur non essendo edotta di quanto relazionato dal perito.
In sede dibattimentale, la (...) ha sostanzialmente confermato tutto quanto narrato in sede di indagini, riferendo tuttavia di essere animata dalla volontà di rimettere le querele sporte e di accertarsi che suo figlio sia debitamente curato. La donna, inoltre, riferiva che successivamente all'arresto del (...) aveva mantenuto un rapporto con quest'ultimo, recandosi a colloquio e inviandogli denaro in carcere.
Così ricostruite le dichiarazioni della persona offesa, nella valutazione delle stesse questo Giudice segue l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. V del 14 giugno - 18 settembre 2000n. 9771, e da ultimo Cass. Sez. II 16 giugno - 11 settembre 2003 n. 35443), che, ormai da tempo ed in modo consolidato, hanno fissato i parametri di riferimento che il giudice deve adottare quando la prova sia rappresentata, anche in via esclusiva, dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa dal reato.
Sul punto è necessario premettere che la persona offesa, pur essendo considerata dal legislatore, anche quando si costituisce parte civile, alla stregua di un qualunque testimone - tanto che la Corte Costituzionale, con la decisione del 19 marzo 1992 nr. 115 ha escluso l'illegittimità dell'art. 197 lettera c), c.p.p., nella parte in cui non include tra i soggetti per i quali vi è l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, la parte civile -, viene collocata, dalla giurisprudenza, in una posizione diversa rispetto a quella del testimone, e ciò proprio per il ruolo che assume nell'ambito del processo, sia quando si costituisce parte civile nel processo penale, sia quando non eserciti tale facoltà.
Se infatti il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi, ovvero perché portatore di un interesse privato al buon esito del processo e, con la costituzione di parte civile, di un evidente interesse, di natura economica, alle restituzioni ed al risarcimento del danno.
Ne deriva che se in relazione alla deposizione resa dal testimone, vanno seguiti i canoni di valutazione unanimemente e costantemente espressi dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, che si esprimono nel principio secondo il quale il giudice può motivare il proprio convincimento con una valutazione centrata sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, traendo la prova del fatto rappresentatogli dalla semplice dichiarazione del teste, senza la necessità di altri elementi che ne confermino la credibilità; con riferimento, invece, alla deposizione resa dalia persona offesa occorre svolgere un esame più rigido e rigoroso della attendibilità intrinseca della deposizione, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno la detta deposizione (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II del 19 novembre 1998 n. 12000).
Pertanto quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché la sua deposizione possa essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporla ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'abbia resa e che, tuttavia, non sia improntato da preconcetta sfiducia nei confronti del teste, dovendosi comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste, sia esso persona offesa sia esso parte civile, riferisca fatti veri, o da lui ritenuti tali.
Si tratta di un canone di valutazione, quello appena esposto, che presuppone che la persona offesa e soprattutto la parte civile si collochino, nel quadro delle prove dichiarative, tra la figura del testimone puro e semplice, che non ha interessi privati da far valere nell'ambito del processo e che è quindi, rispetto alle parti processuali in una posizione di estraneità, e la figura del testimone assistito (da sentire con le modalità di cui all'art, 197 bis c.p.p.) e dell'indagato da esaminare ai sensi dell'art. 210 c.p.p., i quali, per le posizioni rispettivamente ricoperte nel processo e per il coinvolgimento più o meno intenso nei fatti da esaminare, si collocano in una posizione estrema, con la conseguenza che se per gli uni (i testimoni semplici) è sufficiente soffermarsi sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, nei confronti degli altri (ossia i testimoni assistiti e gli indagati o imputati ex 210 c.p.p.) è necessario che le loro dichiarazioni siano riscontrate da altri elementi di prova, che ne confermino l'attendibilità.
In conclusione, dunque, quando la fonte principale di prova sia, come nel caso in esame, la persona offesa, sarà in primo luogo necessario vagliare in modo rigoroso la credibilità del dichiarante e l'attendibilità intrinseca della dichiarazione e, inoltre, andranno verificati gli elementi di conforto cosiddetti estrinseci alla dichiarazione della persona offesa.
Nel caso di specie, le dichiarazioni della (...) oltre ad essere chiare e precise, vieppiù in ragione dell'immediatezza dei fatti in cui sono state rese (essendosi proceduto all'acquisizione delle denunce querele e delle sommarie informazioni rese in fase di indagini, confermate in sede dibattimentale) sono connotate da un elevato grado di attendibilità estrinseca, come si deduce dal fatto che la dichiarante, nonostante il fortissimo legame di sangue con l'imputato, suo figlio, non si è mostrata né astiosa nei suoi confronti né animata da favoritismi verso il (...), avendo confermato in sede dibattimentale tutto quanto precedentemente narrato - mai smentito, senza alcuna soluzione di continuità, nonostante le numerose occasioni in cui la (...) veniva sentita dall'autorità - pur dichiarando di aver recuperato un rapporto positivo con il figlio, auspicando un suo percorso di disintossicazione. Occorre, inoltre, sottolineare che (...), da un lato, non si è costituita parte civile nel presente procedimento, il che corrobora ulteriormente la sua attendibilità come dichiarante, non essendo la stessa animata da alcun interesse economico, dall'altro ha più volte affermato di aver recuperato un rapporto pacifico con il figlio, temporaneamente sottratto all'effetto delle sostanze stupefacenti grazie al suo attuale stato detentivo. Inoltre, le dichiarazioni della persona offesa hanno trovato integrale conferma nel restante materiale probatorio, in primis negli atti di indagine della polizia giudiziaria, acquisiti con il consenso delle parti e rappresentati dalla comunicazione notizia di reato e dall'annotazione di polizia giudiziaria del 10/6/2020. Con riferimento, dunque, agli atti di indagine devono essere seguiti i canoni di valutazione che la giurisprudenza della Suprema Corte indica quando la piattaforma probatoria sia costituita da fonti dichiarative, raccolte in verbali utilizzabili ai fini della decisione, rese da persone estranee rispetto alla vicenda processuale.
Ebbene, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo cui se deve ritenersi esclusa la possibilità di recepire acriticamente una dichiarazione senza un vaglio critico dell'attendibilità della stessa, svolto assumendo a riscontro tutti gli elementi della vicenda, la prova deve ritenersi sussistente e raggiunta quando la dichiarazione, sia essa raccolta in un verbale, sia essa resa a dibattimento, risulti logicamente e armonicamente inserita nel contesto dell'intera vicenda. Applicando al caso di specie la esposta regola di giudizio, ritiene questo Giudice che non vi sia motivo di dubitare dell'attendibilità del contenuto degli atti di indagine redatti dalla p.g. nel caso di specie, attesa l'assenza di incongruenze o di altri vizi logici e considerata, inoltre, la qualifica di pubblico ufficiale nell'esercizio delle funzioni, rivestita dai dichiaranti. I dati desumibili dagli atti di indagine, inoltre, trovano pieno riscontro nelle prove documentali, nonché nelle dichiarazioni rese dalla persona offesa ed utilizzabili in ragione del consenso espresso dalle parti.
Gli atti di polizia giudiziaria confermano integralmente quanto narrato dalla persona offesa, essendo gli agenti intervenuti nell'immediatezza dei fatti narrati dalla (...) e relativi all'episodio del 9/6/2020.
Gli agenti della Legione Carabinieri Campania - stazione di Ottaviano confermavano che in data 9/6/2020 intervenivano presso l'abitazione della (...). per una lite in famiglia segnalata da (...), sorella dell'imputato, recependo nell'immediatezza dei fatti il racconto dell'accaduto da parte della (...) (narrato che, sebbene inutilizzabile ai sensi dell'art. 195 co. 4 c.p.p., rappresenta un ulteriore indice di attendibilità della persona offesa, che riferiva agli agenti una versione dell'accaduto del tutto identica a quella fornita in sede di denuncia querela).
Gli operanti rinvenivano il (...), fortemente agitato e con alito vinoso, che, nonostante la presenza dei militari, continuava ad inveire nei confronti della madre (...), tremante e dolorante, seduta sul divanetto della cucina. Con non poca difficoltà gli operanti riuscivano a calmare il (...), già noto ai loro uffici, permettendo così alla (...), zoppicante, di allontanarsi dall'abitazione, mentre si reggeva il braccio destro. (...), identificata sul posto, a gesti cercava rifugio nelle braccia della sorella, ancora spaventata per l'accaduto.
Inoltre sul posto gli operanti rinvenivano alcune suppellettili di casa danneggiate e la casa a soqquadro - come confermato dal materiale fotografico allegato all'informativa, pienamente conforme a! narrato della persona offesa - invitavano la (...) a recarsi in ospedale per le cure del caso, nonché accompagnavano, come dalla (...) confermato, il (...) presso il reparto psichiatrico dell'ospedale Maresca di Torre del Greco.
La versione accusatoria, inoltre, ha trovato molteplici riscontri altresì nelle fonti di prova documentali, in primo luogo nel materiale fotografico già menzionato, allegato all'annotazione di polizia del 9/6/2020, attestante i postumi della violenta aggressione perpetrata dal (...) nei confronti della madre. Il materiale fotografico in atti, infatti, registra la messa a soqquadro della cucina della (...), nonché il danneggiamento di molteplici mobili e suppellettili. Ancora, il referto medico rilasciato dalla Casa di cura (...), in data 9/6/2020 nei confronti di (...) - che, significativamente ed a sostegno della sua attendibilità, in sede di anamnesi, riferiva al medico curante di essere stata vittima di un'aggressione da persona nota - attesta la diagnosi di una frattura medio-distale all'ulna destra nonché alla falange dell'alluce destro, con una prognosi di giorni trenta e necessità di ingessatura: lesioni personali, queste, pienamente compatibili con la ricostruita dinamica degli eventi da parte della persona offesa. Inoltre, riscontrano pienamente le dichiarazioni della persona offesa circa lo stato di salute del (...) le documentazioni medico - sanitarie confluite in atti, rappresentate dal diario clinico dell'imputato, con richieste di consulenze psichiatriche datate 23/11/2019 e 10/6/2020, nonché dalla perizia psichiatrica disposta dal GIP in sede di incidente probatorio, nella quale il perito attesta condotte tossicomani del (...) (come già riferito dalla persona offesa), nonché concomitante somministrazione di psicofarmaci a causa di un vero e proprio disturbo psicotico non altrimenti specificato in soggetto con abuso di sostanze. A fronte di tali molteplici, granitici e concordanti elementi accusatori, l'imputato ha reso dichiarazioni in sede di interrogatorio di garanzia, ammettendo di fare uso di sostanze stupefacenti ed in parte sconfessando gli addebiti.
Il (...), infatti, pur ammettendo di aver avuto una crisi nervosa in data 9/6/2020 e di aver rovesciato il tavolo di marmo in quell'occasione, provocando delle lesioni al braccio e al piede della madre, negava che si fosse trattato di un gesto volontario, riferendo di amare molto sua madre, di cui non riusciva a spiegarsi il comportamento, atteso che la (...) lo denunciava per l'accaduto. II (...), inoltre, negava di aver mai sottratto oggetti in casa, di aver richiesto denaro alla (...) o di averla ingiuriata, riferendo di avere il sospetto che sua sorella Teresa avesse indotto la madre.
In sede dibattimentale, l'imputato rendeva dichiarazioni spontanee del tutto neutre, limitandosi a dichiarare di essere in carcere senza alcun motivo. Come è evidente, la versione dell'imputato non è risultata funzionale a sconfessare il costrutto accusatorio, in quanto completamente sprovvista di elementi di riscontro, non avendo prospettato il (...) una diversa e ragionevole ricostruzione della vicenda processuale, fornendo, anzi, indirettamente ulteriori elementi di riscontro a sostegno della ricostruzione accusatoria, fondata sul narrato della persona offesa e sulle restanti, concentriche, fonti di prova.
MOTIVI IN DIRITTO E COMMISURAZIONE DELLA PENA
Così ricostruita l'istruttoria dibattimentale, ritiene questo Giudice che (...) deve essere condannato per i fatti a lui ascritti ai capi A) e C) dell'imputazione, non essendovi dubbio alcuno sulla loro sussistenza e sulla riconducibilità degli stessi all'imputato.
Per quanto concerne il reato di cui al capo A), l'istruttoria svolta ha chiaramente
provato che la persona offesa (...) è stata sottoposta, nel corso
della convivenza con (...), a ripetuti atti di violenza, fìsica e morale, da parte del figlio, così come descritti nel capo di imputazione.
La persona offesa, le cui dichiarazioni sono state pienamente riscontrate dalla restante istruttoria, ha con sufficiente grado di precisione ricostruito un contesto di abituali maltrattamenti, subiti anche davanti ad altre persone.
Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti narrati dalla teste, ritiene il Tribunale che gli stessi integrino senza dubbio di sorta la condotta tipica del delitto di cui all' art, 572 c.p., in quanto dotati dei requisiti di omogeneità, reiterazione nel tempo e abitualità, sottesi alla citata fattispecie.
Com'è noto, infatti, la condotta tipizzata dalla disposizione di cui all'art. 572 c.p. è compendiata nella locuzione "maltrattare", che sottende - come suggerito già dal significato che generalmente le si attribuisce nel linguaggio comune - la reiterazione nel tempo, da parte dell'agente, di una pluralità di atti, relativamente omogenei, siano essi caratterizzati dall'esercizio di violenza fisica nei confronti del soggetto passivo, siano essi dotati di carattere aggressivo soltanto sotto un profilo morale, ed a prescindere dalla loro autonoma natura delittuosa, purché gli stessi, considerati nel loro complesso, siano idonei ad offendere l'integrità psicofisica del soggetto passivo (v., ex multis, Cass. Pen, Sez. 6, n. 25183 del 19.6.2012). Da ciò emerge, dunque, la sua ormai pacifica natura di reato abituale, per la cui consumazione è pertanto necessario, ma anche sufficiente, il compimento di una pluralità di atti legati dal vincolo dell'abitualità, cioè della continuità e ripetitività nel tempo: invero, proprio tali caratteristiche riconducono ad unità i singoli atti, e fanno sì che l'unitaria condotta di maltrattamento esprima un disvalore maggiore della somma del disvalore tipico di ciascun atto (peraltro, non necessariamente) delittuoso che concorre ad integrarla.
Ciò premesso in via generale, ritiene il Tribunale che non sussista alcun dubbio circa il fatto che gli episodi di aggressione e violenza di cui ha riferito la (...) (l'aggressione fisica del giugno 2020; episodio della minaccia di accoltellamento del 26/9/2020; episodio del tentativo di suicidio del settembre 2020; il divieto di uscire di casa nel dicembre 2020, per paura di azioni legali; la simulata aggressione fisica del gennaio 2021), in uno con le reiterate ingiurie, le minacce, le aggressioni fisiche anche alla sorella (...) e più in generale le costanti e vessatorie richieste di denaro, talvolta con modalità aggressive di varia intensità, presentino le citate caratteristiche di relativa omogeneità e reiterazione nel tempo, sicché i singoli atti, considerati nel loro complesso, concorrono a comporre l'azione di un unico (e più grave) reato abituale, che li assorbe tutti. Essi, infatti, sono espressione di un complessivo e costante atteggiamento vessatorio, aggressivo, umiliante posto in essere dall'imputato nei confronti della madre, che - come ella stessa ha dichiarato - se da un lato non tollerava più le proprie condizioni di vita, dall'altro non aveva la forza di denunciare i soprusi e le violenze subite finché, esasperata e spinta dal timore, per se stessa e per la figlia (...), decideva di chiedere aiuto alle autorità.
Per queste ragioni, tali episodi delittuosi non devono, pertanto, essere riqualificati in singoli ed autonomi fatti di minacce, di percosse e di lesioni; oltretutto, la circostanza che essi sono stati posti in essere in un arco temporale relativamente lungo (circa due anni), lungi dall'escludere la configurabilità del delitto di maltrattamenti, è invece - evidentemente - espressione di una sua maggiore gravità.
Come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, ai fini della integrazione del delitto di maltrattamenti, se da un lato non è necessario che gli atti vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo invece sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, dall'altro neppure rileva la circostanza che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (in termini v., da ultimo, Cass. Pen., Sez. 3, n. 6724 del 22.11.2017; ma v. già Cass. pen., Sez. 6, n. 8510 del 26/06/1996).
Del reato di cui all'art. 572 c.p. sussiste altresì l'elemento soggettivo. Come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, "Il dolo nel delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) è unitario e programmatico, nel senso che esso funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima e si concretizza nell'inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte. " (Sez. 6, n. 6541 del 11/12/2003 - dep. 17/02/2004, P.M. in proc. (...), Rv. 22827601). Le modalità delle condotte, il tenore inequivocabile delle espressioni ingiuriose e delle minacce profferite dal (...) non lasciano dubbio alcuno circa la sussistenza del dolo di maltrattamenti.
Né il conclamato abuso di sostanze stupefacenti da parte dell'imputato può valere ad escludere il dolo del reato in contestazione, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa in sede di requisitoria.
Come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, "Ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli di cui all'art. 572 cod. pen., il movente non esclude il dolo, alla cui nozione è estraneo, ma lo evidenzia, rivelando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti lesivi, (nella specie l'imputato serbò l'insistente e ininterrotto comportamento lesivo sotto la spinta della droga e dell'incontrollabile ed ostinato bisogno di procurarsi denaro per soddisfare il vizio)." (Sez. 6, Sentenza n. 8557 del 20/06/1987 Ud. (dep. 27/07/1987), Rv. 176441 -01).
Le modalità del fatto, reiterate nel tempo, l'assenza di alcuna motivazione alternativa agli atti di violenza, originati dal movente lucrativo di ottenere denaro per la droga, l'attuazione di gesti esclusivamente volti ad umiliare e mortificare la (...), come l'appellativo "terzignana", il rompere oggetti e suppellettili -oltre a concretizzare l'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma che, lungi dal proteggere soltanto i beni dell'integrità fisica e dell'onore, difende in maniera più ampia la dignità della persona offesa, sottoposta ad un trattamento reificante e mortificante - rappresentano indici inequivoci del dolo da parte dell'imputato, che nessuna spiegazione o motivazione alternativa ha fornito ai suoi comportamenti. Analogamente, sussistono tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di cui al capo C) dell'imputazione, per avere l'imputato, in data 9/6/2020, provocato lesioni alla madre (...), come emerso dalle modalità del fatto descritte nelle denunce querele acquisite e confermato dal referto medico in atti, che attestano la sussistenza in data 9/6/2020 di lesioni personali nei confronti della donna perfettamente compatibili con la ricostruita dinamica degli eventi, ovvero una frattura mediodistale dell'ulna e della falange dell'alluce destro, giudicata guaribile in giorni trenta.
Questo Giudice, infatti, concorda con il risalente e granitico orientamento giurisprudenziale, secondo il quale deve intendersi per lesione qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, anche, come nel caso in esame, localizzata o circoscritta, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, che comunque abbia comportato un processo di reintegrazione sia pur di breve durata.
Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, "il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, anche di modesta entità, a cui può anche non corrispondere ima lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l'adattamento a nuove condizioni di vita, oppure la morte" (cfr. Cass. Pen. Sez. V n. 714/1999); "Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l'aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell'organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa". (Sez. 5, Sentenza n. 33492 del 14/05/2019 Ud. (dep. 24/07/2019) Rv. 276930-01).
Nel caso di specie, le refertate fratture della (...), rappresentando pacificamente una alterazione funzionale e patologica dell'organismo, per giunta di indubbia gravità, risultano senza dubbio alcuno inquadrabili nella nozione di malattia del corpo richiamata dalla norma incriminatrice.
Né sussistono dubbi in ordine alla coscienza e volontà della condotta di cui al capo C) dell'imputazione, in ragione delle modalità dell'azione posta in essere dall'imputato - che ha negato l'addebito, riferendo di un gesto involontario da parte sua, causato dal mero rovesciamento del tavolo - volontariamente realizzando le descritte lesioni alla persona offesa.
Ed infatti - impregiudicata la natura del tutto dolosa e volontaria dello spintonamelo realizzato dal (...) ai danni della madre, come da questa riferito in sede di denuncia querela e confermato in sede dibattimentale - le modalità della condotta immediatamente precedente, ovvero il rovesciamento di un tavolo di marmo, in prossimità della madre ed in occasione di una furente discussione, non lasciano dubbi circa la natura del dolo, quanto meno in forma eventuale, di lesioni da parte del (...) il quale, con la sua condotta - un rovesciamento, improvviso e senza cautele, con la forza dovuta alla sua maggiore stazza fisica rispetto a quella della madre, gracile e di maggiore età, di un oggetto che, per fattura e materiale, era dotato di intrinseca idoneità lesiva ~ si rappresentava l'eventualità di arrecare un'importante lesione fisica nei confronti della (...), come peraltro effettivamente verificatosi nel caso di specie. Come riconosciuto dalla giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, "Integra l'elemento psicologico del delitto dì lesioni volontarie anche il dolo eventuale, ossia la mera accettazione del rischio che dalla propria azione derivino o possano derivare danni fisici alla vittima, (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva riconosciuto la responsabilità dell'imputato a titolo di concorso nel reato, per avere bloccato e spinto fuori dalla propria abitazione un agente di polizia, continuando a tenerlo stretto anche mentre il coimputato, chiamato in aiuto, lo aveva, a sua volta, spinto, facendolo cadere a terra)". (Sez. 4, Sentenza n. 28891 del 11/06/2019, Ud. (dep. 03/07/2019) Rv. 276373 - 01).
Né ha rilievo la pur intervenuta remissione di querela da parte della persona offesa, non rifiutata dall'imputato. La durata superiore a giorni venti delle contestate lesioni rende infatti procedibile d'ufficio il reato contestato al capo C) dell'imputazione.
Per quanto concerne il reato di cui al capo B), l'istruttoria svolta non ha consentito di delineare tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del tentativo di estorsione contestato ai danni della (...) in data 9/6/2020.
Ed invero, l'istruttoria svolta ha consentito di ritenere provata la costante e petulante richiesta di denaro da parte del (...), avvenuta, in alcuni episodi, anche con modalità genericamente definite dalla madre come "nervose". Tuttavia, sebbene richieste petulanti, moleste e violente di denaro integrino pacificamente la prova di fatti idonei a vessare e mortificare la persona offesa, inquadrabili nella fattispecie di cui all'art. 572 c.p., queste sic et simpliciter non integrano la necessaria correlazione tra violenza/minaccia, da un lato, e
l'ottenimento dei profitto ingiusto con altrui danno richiesto dalla fattispecie di cui all'art, 629 c.p.
Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, "Integra il reato di estorsione non già l'esercizio di una generica pressione alla persuasione o la formulazione di proposte esose o ingiustificate ma il ricorso a modalità tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo obbligate, facendo sì che non le venga lasciata alcuna ragionevole alternativa tra il soggiacere alle altrui pretese o il subire, altrimenti, un pregiudizio diretto e immediato, " (Sez. 2, Sentenza n. 39336 del 07/10/2010 Ce. (dep. 09/11/2010) Rv. 248870-01).
Tale correlazione non è emersa, oltre ogni ragionevole dubbio, con riferimento all'unico episodio specifico contestato all'imputato, relativo a quanto accaduto in data 9/6/2020.
in tale occasione la (...) riferiva che il (...), di ritorno a casa, andava in escandescenze perché voleva denaro contante. Sapendo che non vi era denaro in casa, il (...) si innervosiva ancora di più ed iniziava a rompere oggetti e suppellettili, tra cui il tavolo di marmo che, rovinando, provocava lesioni personali alla persona offesa.
Nell'episodio narrato dunque, la minaccia - estrinsecatasi nella violenza contro le cose (Sez. 2, Sentenza n. 33614 del 13/10/2020 Ud. (dep. 27/11/2020 ) Rv. 280234 - 0) - e la successiva violenza fìsica da parte del (...) risultavano del tutto slegate dalla precedente richiesta di denaro da parte dell'imputato, al più interpretabili come un moto di rabbia dello stesso a seguito del rifiuto della persona offesa, residuando quanto meno un dubbio ragionevole sull'esistenza di quel nesso di strumentali tra la richiesta e le modalità violente o minatorie richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
Ne consegue, dunque, che (...) deve essere assolto dal reato di cui al capo B), con formula dubitativa, perché il fatto non sussiste. Venendo all'accertamento della sussistenza delle circostanze, deve escludersi la circostanza aggravante di cui agli artt. 585,576 co. 1 n. 1 riferito all'art. 61 n. 2 c.p., contestata al capo C) dell'imputazione, in ragione della pronuncia assolutoria circa il reato presupposto ("L'esclusione del reato fine in ragione dì ima pronuncia di assoluzione determina il venir meno della circostanza aggravante del nesso teleologico." (Sez. 5, Sentenza n. 6521 del 30/10/2018 Ud. (dep. 11/02/2019) Rv. 275618-01).
Sussiste, inoltre, la recidiva reiterata specifica come contestata nei confronti dell'imputato, gravato da molteplici precedenti penali, non solo specifici per indole ma assolutamente identici (il (...) annovera tra ì molti altri precedenti per furto, lesioni personali, estorsione e rapina). La completa assenza di ogni soluzione di continuità dei precedenti, tutti della medesima indole e commessi a brevissima distanza l'uno dall'altro, non permette alcuna disapplicazione della contestata recidiva, venendo in questione, nel caso all'attenzione di questo Giudice, reati espressivi della medesima devianza e sintomatici di una maggiore colpevolezza e pericolosità del reo (Cass. Sez. sent. n. 5859 del 27/10/2011, dep. 15/02/2012, Rv. 251690), Cass. pen., SS.UU., sent. 27 maggio 2010 (dep. 5 ottobre 2010), n. 35738, Corte cost., sent, 5 giugno 2007 (dep. 14 giugno 2007), n. 192). Devono tuttavia riconoscersi le attenuanti generiche in favore dell'imputato, nonostante la gravità dei reati commessi e la sua personalità delinquenziale. Il disagio esistenziale connesso alla dipendenza da sostanze stupefacenti ed alla perdita del padre, nonché il comportamento processuale altamente collaborativo, il tentativo di ricomposizione del rapporto familiare con la madre (che infatti rimetteva la querela per i fatti in contestazione) e la più generale esigenza di proporzionare la pena al fatto rendono giustificato il riconoscimento del beneficio. Sussiste, altresì, l'attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 c.p. in favore del (...).
Come riconosciuto nell'elaborato peritale versato in atti, infatti, non solo il (...) è affetto da un disturbo psicotico non altrimenti specificato, ma le caratteristiche di tale disturbo - ben evidenziate dalla perizia - permettono fondatamente di ritenere che tale vizio si sia estrinsecato nella realizzazione dei reati in contestazione.
Ed infatti, se tra le caratteristiche del disturbo psicotico si annoverano "comportamento regressivo, umore inadeguato, diminuzione del controllo degli impulsi e da contenuti mentali abnormi come deliri e allucinazioni" appare ben evidente come tali caratteristiche si siano evidenziate nel comportamento del (...) che non ha esitato a malmenare e vessare sua madre pur di ottenere il suo obiettivo.
Rammentando il principio di diritto enunciato dalle Sez. U, Sentenza n. 9363 del 25/01/2005 Ud. (dep. 08/03/2005) Rv. 230317 - 01, secondo il quale "Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalità", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermità", purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di "infermità", (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva erroneamente escluso il vizio parziale di mente sul rilievo che il disturbo paranoideo, dal quale, secondo le indicazioni della perizia psichiatrica, risultava affetto l'autore dell'omicidio, non rientrava tra le alterazioni patologiche clinicamente accertabili, corrispondenti al quadro di una determinata malattia psichica, per cui, in quanto semplice "disturbo della personalità", non integrava quella nozione di "infermità" presa in considerazione dal codice penale)", ne consegue che, nel caso di specie, deve essere pienamente riconosciuta la diminuente del vizio parziale di mente nei confronti del (...), la cui incidenza e gravità è tale da ritenere tale attenuante (cfr. Sez. 3, n. 2205 del 07/12/1992 - dep. 11/01/1993, P.M. in proc. (...), Rv. 19266801), nel bilanciamento ex art. 69 c.p. equivalente rispetto a tutte le contestate aggravanti, inclusa la recidiva ex art. 99 co. 4 c.p-
Stante il margine edittale ostativo, non sussistono i presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., in ogni caso inesistente in fatto data la natura violenta dei fatti ascritti, la reiterazione in un breve lasso temporale di diverse condotte violente e minacciose, le conseguenze dannose e pericolose che rendono le offese contestate nei capi di imputazione - ai danni di un consanguineo particolarmente fragile per età - assolutamente non connotate da particolare tenuità.
Sussiste, inoltre, il vincolo della continuazione tra i reati contestati al (...). La stretta contestualità spazio ~ temporale e la strumentalità dei reati rispetto all'unico disegno criminoso dell'imputato, consistito nell'esercitare la sua violenza contro la propria madre pur di procacciarsi denaro e dunque sostanza stupefacente, rendono evidente come i reati ascritti siano avvinti dal vincolo della continuazione. Deve ritenersi violazione più grave quella contestata al capo A) in ragione del massimo edittale ("Ai fini della determinazione della pena relativa a più fatti unificati sotto il vincolo della continuazione, è necessario innanzitutto individuare la violazione più grave, desumibile dalla pena da irrogare per i singoli reati, tenendo conto della eventuale applicazione di circostanze aggravanti o attenuanti, dell'eventuale giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto, e di ogni altro elemento di valutazione; una volta determinata la pena per il reato base, la stessa deve essere poi aumentata per la continuazione." Sez. 3, n. 225 del 28/06/2017 - dep. 09/01/2018, (...) e altri, Rv. 27221101). Pertanto, alla luce dei criteri enunciati dall'art. 133 c.p. e, segnatamente, in considerazione della gravità dei fatti, estrinsecati in una vera e propria escalation di violenza diretta nei confronti di una persona offesa legata da uno strettissimo rapporto di sangue, fragile per età e condizioni fisiche, delle modalità particolarmente aggressive delle condotte (minacce di morte, violenza contro le cose, atti di umiliazione gratuita, richieste costanti di denaro), delle conseguenze dannose patite dalla persona offesa (sia morali sia fisiche, stante la prognosi di trenta giorni e la necessità di ingessatura), la reiterazione degli atti di violenza fisica e delle minacce, alla luce altresì della pericolosità del soggetto agente, gravato da precedenti importanti, ininterrotti e specifici, assolutamente incline alla violenza fin tanto che soggiogato dalle sostanze stupefacenti, deve ritenersi pena finale congrua quella pari ad anni quattro di reclusione, così calcolata:
1. Pena base per il reato di cui al capo A), previo giudizio di equivalenza delle circostanze: anni tre di reclusione;
2. Aumentata, per la continuazione con il reato di cui al capo C) alla pena finale di cui sopra (aumento di anni uno di reclusione);
Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali nonché di quelle di mantenimento in carcere.
Stante l'applicazione di una pena per il reato più grave non inferiore ad anni tre di reclusione, deve disporsi l'interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque nei confronti dell'imputato ("In caso dì condanna per reato continualo., la pena principale alla quale si deve fare riferimento per stabilire la durata della conseguente pena accessoria è quella inflitta per la violazione più grave, come determinata per effetto del giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti ed aggravanti, e non già quella complessivamente individuata tenendo conto dell'aumento per la continuazione. (Fattispecie relativa alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici)". (Sez. 1, Sentenza n. 7346 del 30/01/2013 Ce. (dep. 14/02/2013) Rv. 254551 -01).
Non sussistono i presupposti di legge per il riconoscimento della pena sospesa. Con riferimento all'applicazione della misura di sicurezza richiesta dal PM, la sintomatologia psicotica florida e riccamente partecipata, la scarsa consapevolezza della malattia da parte del (...) e la sua concomitante condotta tossicomanica, i persistenti segni di disorganizzazione cognitiva e di impoverimento ideo-affettivo e psico-motorio inducono a ritenere socialmente pericoloso l'imputato, autore peraltro di reati connotati da particolare violenza contro una persona, peraltro consanguinea, come altresì attestato dal perito in sede di incidente probatorio. Appare congrua, alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p., e soprattutto in ragione della particolare gravità dei fatti ascritti, desunta dalle modalità e dalle conseguenze dannose dell'azione, nonché in ragione dell'elevata pericolosità del soggetto agente, recidivo reiterato specifico, insofferente ai precetti dell'autorità come evidente dai numerosi precedenti per evasione, l'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione ad una casa di cura e custodia per la durata di anni uno, da eseguirsi al termine dell'espiazione della pena.
Il carico di ruolo gravante sullo scrivente, anche come membro del Collegio, e la complessità della motivazione impongono la fissazione di un congruo termine di sessanta giorni per il deposito dei motivi. Per tale durata, ai sensi del combinato disposto degli art. 304 e 544 c.p.p., deve disporsi la sospensione dei termini di custodia cautelare.
PQM
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole dei reati a lui ascritti ai capi A) e C) e, esclusa la circostanza aggravante di cui agli artt. 585, 576 n. 1 e 61 n. 2 c.p., riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 89 c.p. equivalenti rispetto alla contestata recidiva, ritenuti i reati avvinti dal vincolo della continuazione, io condanna alla pena di anni quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere. Letto l'art. 530 cpv. c.p.p., assolve (...) dal reato di cui al capo B) perché il fatto non sussiste.
Letto l'art. 29 c.p., dichiara (...) interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Letto l'art. 219 c.p., applica nei confronti di (...) la misura di sicurezza dell'assegnazione ad una casa di cura e custodia per la durata di anni uno. Letti gli artt. 304 e 544 c.p.p., fissa in giorni sessanta il termine per il deposito dei motivi con sospensione dei termini di custodia cautelare per tale periodo.
Così deciso in Nola l'8 luglio 2021.
Depositata in Cancelleria il 19 agosto 2021.
(1) Capo di imputazione così corretto dal PM all'udienza dei 30/6/2020 nel senso che laddove è scritto "Palma Campania" deve leggersi e intendersi "Ottaviano"