Tribunale Nola, 05/05/2021, (ud. 05/05/2021, dep. 05/05/2021), n.981

Giudice: Raffaele Muzzica
Reato: 660 c.p.
Esito: Condanna (mesi 4 di arresto)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOLA
GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Sezione Penale Il Giudice monocratico del Tribunale, dott. Raffaele Muzzica, alla pubblica udienza del 5/5/2021 ha pronunciato la seguente SENTENZA (con redazione contestuale dei motivi) nei confronti di: 1) (...), nata a (...) il (...), residente a (...) - libera, non comparsa, già assente Difesa di fiducia dall'avv. (...) 2) Omissis IMPUTATI p. e p. dagli artt. 110 e 660 c.p., perché, in concorso tra loro, col mezzo del telefono, attraverso il reiterato invio di sms dal contenuto ingiurioso e di telefonate senza risposta, sulle utenze telefoniche: nr. (...) intestata ed in uso alla Sig.ra (...), nr. (...) intestata ed in uso al Sig. (...) e nr. (...), intestata ed in uso alla Sig.ra (...), allo scopo di ingenerare disturbo, arrecavano loro molestie. Reato commesso dal 29.10.2017 al 30.10.2017 in Mariglianella (NA) (Si omettono le conclusioni delle parti)
Svolgimento del processo
Gli imputati (...) e (...) venivano citati a giudizio, con decreto di citazione emesso dal PM in sede il 4/3/2020, per rispondere all'udienza del 24/9/2020 del reato in rubrica contestato.
In quell'udienza il Giudice, accertata la regolarità della notifica del decreto di citazione nei confronti dell'imputata (...), ne dichiarava l'assenza, avendo l'imputata ricevuto a mani proprie la notifica del decreto.
Con riferimento alla posizione del coimputato, invece, il Giudice rilevava l'omessa notifica dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e, pertanto, dichiarava la nullità del decreto di citazione a giudizio nei confronti del (...), lo stralcio della sua posizione e la restituzione degli atti al PM in sede. Il processo veniva rinviato in via preliminare all'udienza dei 14/1/202L
In quella sede, in assenza di questioni o eccezioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva i mezzi di prova richiesti dalle parti, in quanto legittimi, non manifestamente superflui o irrilevanti. Si procedeva all'escussione dei testi (...) e (...). Al termine il PM si riservava di produrre certificato di morte della persona offesa (...), anticipando istanza di acquisizione ex art. 512 c.p.p.
Il processo veniva rinviato per tale adempimento, nonché per l'esame dell'imputata e la discussione all'udienza del 29/4/2021, nella quale il difensore faceva pervenire istanza di rinvio per legittimo impedimento, dovuto a concomitante impegno professionale. Il Giudice, sentito il PM, che nulla opponeva, accoglieva l'istanza, rinviando il procedimento, previa sospensione dei termini di prescrizione, all'udienza odierna (sei giorni di sospensione della prescrizione).
In questa sede il PM produceva certificato di morte della persona offesa e contestualmente reiterava la richiesta di acquisizione ex art. 512 c.p.p. delle sue dichiarazioni. Il Giudice, sentito il difensore che nulla opponeva, acquisiva la denuncia querela e le sommarie informazioni rese da (...).
Non residuando ulteriori adempimenti istruttori, questo Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento ed invitava le parti a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe. Al termine della discussione il Giudice si ritirava in camera di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al verbale d'udienza, con riserva di un termine per la redazione dei motivi.
Diritto
Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che, alla luce degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, deve essere pronunciata sentenza di condanna dell'imputata (...) in ordine al reato a lei ascritto.
Giova sul punto evidenziare che gli elementi posti a fondamento del giudizio sono costituiti dalle testimonianze assunte durante il giudizio e, segnatamente, quella di (...) e (...), dagli atti acquisiti ex art. 512 c.p.p. ovvero la denuncia querela della persona offesa (...) e le successive sommarie informazioni, nonché dalle prove documentali in atti, rappresentate dalla copia fotostatica dei messaggi inoltrati ai dichiaranti, il materiale fotografico ritraente le scritte sul muro del ristorante della persona offesa, gli accertamenti anagrafici delle utenze mittenti della messaggistica in atti.
Sulla base delle fonti di prova utilizzabili la vicenda per cui vi è processo può essere così ricostruita.
Dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, acquisite ai sensi dell'art. 512 c.p.p. a seguito del decesso della dichiarante, è emerso che quest'ultima, (...), sporgeva formale denuncia querela in data 31/10/2017 a seguito di alcune molestie ricevute.
La dichiarante premetteva di essere la comproprietaria dal 2015, insieme al marito (...), di un ristorante sito in (...) denominato "(...)".
Nel 2016, per tale ragione, i due venivano a conoscenza di una coppia, formata da tale (...) e dalla moglie (...), con cui, dopo una frequentazione del ristorante, nasceva un rapporto amicale fatto di uscite serali insieme.
Le due coppie si perdevano di vista fino al 29/10/2017, quando la (...) riceveva sulla sua utenza telefonica (...) dei messaggi ingiuriosi - le cui scansioni sono versate in atti - da parte di un'utenza mobile (...).
Nel medesimo giorno pervenivano sull'utenza intestata al marito della persona offesa (...) dei messaggi Whatsapp dall'analogo contenuto offensivo - egualmente versati in atti - provenienti dall'utenza (...).
In data 30/10/2017 ulteriori SMS dal numero mobile (...) - il medesimo che aveva contattato qualche giorno prima la persona offesa - pervenivano sul cellulare di (...), figlia della (...). Immediatamente dopo gli SMS cinque tentativi di telefonate giungevano sul numero della persona offesa, che rispondeva senza avere risposta.
Nella mattinata del 31/10/2017, giorno della denuncia, la (...) veniva avvisata dal cugino (...) che erano stati imbrattati i muri del ristorante di famiglia "(...)" con delle scritte offensive - versate nel materiale fotografico in atti - del tipo "(...) puttana na troia".
Come riferito in sede di sommarie informazioni, il numero (...) era stato registrato con il nome "(...)" dalla persona offesa la quale, avendo cambiato cellulare, aveva perso i precedenti contatti. Dal suddetto numero, per giunta, anche in data 1/11/2017 giungevano altri messaggi ingiuriosi sull'utenza intestata alla persona offesa.
Il numero di telefono (...), invece, attraverso un riscontro mediante la rubrica telefonica del cellulare del marito, risultava essere registrato sotto il nominativo di (...), compagna di (...).
Per questi motivi la persona offesa sporgeva formale denuncia querela nei confronti dei due soggetti.
Così ricostruita la dichiarazione della persona offesa, nella valutazione della stessa questo Giudice segue l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. V del 14 giugno - 18 settembre 2000n. 9771, e da ultimo Cass. Sez. Il 16 giugno - 11 settembre 2003 n. 35443), che, ormai da tempo ed in modo consolidato, hanno fissato i parametri di riferimento che il giudice deve adottare quando la prova sia rappresentata, anche in via esclusiva, dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa dal reato.
Sul punto è necessario premettere che la persona offesa, pur essendo considerata dal legislatore, anche quando si costituisce parte civile come nel caso di specie, alla stregua di un qualunque testimone - tanto che la Corte Costituzionale, con la decisione del 19 marzo 1992 nr. 115 ha escluso l'illegittimità dell'art. 197 lettera c), c.p.p., nella parte in cui non include tra i soggetti per i quali vi è l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, la parte civile -, viene collocata, dalla giurisprudenza, in una posizione diversa rispetto a quella del testimone "puro", e ciò proprio per il ruolo che assume nell'ambito del processo, sia quando si costituisce parte civile nel processo penale, sia quando non eserciti tale facoltà.
Se infatti il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi, ovvero perché portatore di un interesse privato al buon esito del processo e, con la costituzione di parte civile, di un evidente interesse, di natura economica, alle restituzioni ed al risarcimento del danno.
Ne deriva che se in relazione alla deposizione resa dal testimone, vanno seguiti i canoni di valutazione unanimemente e costantemente espressi dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, che si esprimono nel principio secondo il quale il giudice può motivare il proprio convincimento con una valutazione centrata sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, traendo la prova del fatto rappresentatogli dalla semplice dichiarazione del teste, senza la necessità di altri elementi che ne confermino la credibilità; con riferimento, invece, alla deposizione resa dalla persona offesa occorre svolgere un esame più rigido e rigoroso della attendibilità intrinseca della deposizione, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno la detta deposizione (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II del 19 novembre 1998 n. 12000).
Pertanto quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché la sua deposizione possa essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporla ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'abbia resa e che, tuttavia, non sia improntato da preconcetta sfiducia nei confronti del teste, dovendosi comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste, sia esso persona offesa sia esso parte civile, riferisca fatti veri, o da lui ritenuti tali.
Si tratta di un canone di valutazione, quello appena esposto, che presuppone che la persona offesa e soprattutto la parte civile si collochino, nel quadro delle prove dichiarative, tra la figura del testimone puro e semplice, che non ha interessi privati da far valere nell'ambito del processo e che è quindi, rispetto alle parti processuali in una posizione di estraneità, e la figura del testimone assistito (da sentire con le modalità di cui all'art. 197 bis c.p.p.) e dell'indagato da esaminare ai sensi dell'art. 210 c.p.p., i quali, per le posizioni rispettivamente ricoperte nel processo e per il coinvolgimento più o meno intenso nei fatti da esaminare, si collocano in una posizione estrema, con la conseguenza che se per gli uni (i testimoni semplici) è sufficiente soffermarsi sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, nei confronti degli altri (ossia i testimoni assistiti e gli indagati o imputati ex 210 c.p.p.) è necessario che le loro dichiarazioni siano riscontrate da altri elementi di prova, che ne confermino l'attendibilità.
In conclusione, dunque, quando la fonte principale di prova sia, come nel caso in esame, la persona offesa, sarà in primo luogo necessario vagliare in modo rigoroso la credibilità del dichiarante e l'attendibilità intrinseca della dichiarazione e, inoltre, andranno verificati gli elementi di conforto cosiddetti estrinseci alla dichiarazione della persona offesa.
Nel caso di specie, le dichiarazioni di (...), oltre ad essere chiare e precise in quanto rese all'epoca nell'immediatezza dei fatti (essendosi proceduto all'acquisizione ai sensi dell'art. 512 c.p.p. della denuncia querela e delle sommarie informazioni rese dalla persona offesa) sono connotate da un sufficiente grado di attendibilità estrinseca, nonostante il pregresso rapporto tra la persona offesa e l'imputata.
Ed infatti, (...) non ha mostrato alcun preconcetto nei confronti dell'imputata, la cui conoscenza è risultata per giunta effimera e poco consolidata. D'altronde né la persona offesa né i suoi eredi si sono costituiti parte civile nel presente procedimento, mostrandosi pertanto disinteressati dalle conseguenze economiche della vicenda, a dimostrazione ulteriore della loro attendibilità.
Le dichiarazioni della persona offesa, inoltre, hanno trovato integrale conferma nel restante materiale probatorio, in primis nel materiale documentale prodotto dalla stessa nonché dalle dichiarazioni rese dai restanti testi.
Le scansioni dei messaggi prodotte dalla persona offesa collimano perfettamente con il narrato reso dalla (...), sia per quanto concerne la dinamica delle conversazioni, le date in cui le stesse si sono verificate e le utenze coinvolte, nonché per il contenuto petulante e molesto.
Ed infatti, dal numero registrato come "(...)" risultano inoltrati alla (...) sia numerosi messaggi allusivi ad una presunta relazione extraconiugale della donna con il marito della (...) ("Forse sulle foto che mi hanno dato sarà una sosia", "Digli sabato sera a cena cosa gli o detto", "Lo devi lasciare. E basta" "Ti hanno seguita", "Io non parlerò se tu ti metti da parte", "Ho 2000 volantini con delle belle immagini") sia vere e proprie offese ("Stronza ", "puttana", "L'hai preso dietro" "Me lo prendi in bocca").
Il tenore e la reiterazione dei messaggi erano tali da esasperare la persona offesa, come si legge in alcune delle risposte inoltrate dalla (...) ("sono stanca e da domenica che state rompendo con questa assurdità", "mi stai esasperando per una cosa che non ho fatto" "hai mandato tutti quei messaggi alla persona sbagliata e continui a chiamare e il numero sbagliato" "fai come ti pare ma adesso vorrei dormire e cerca di non disturbarti più grazie") che, peraltro, si rivolge all'interlocutore identificandola come Lama ("(...) ascoltami continuo a dirti che non sono io evidentemente il mio numero è stato hackerato vieni al ristorante porta quello che hai e vediamo di risolvere insieme questa cosa perché è evidente che ce qualcosa che non va visto che sono tanti mesi che non vi vedo" "io voglio solo stare tranquilla ma a quanto vedo tua moglie no", "(...) ti giuro su quello che ho più caro ma come telo devo fare capire che non sono io vieni qua ti di il mio telefono o la mia scheda così vedi che a scrivere non sono io") senza che dall'altro capo sorgano contestazioni sul punto, anzi confermando tacitamente l'interlocutrice la sua identità ("Cara ma secondo te io per parlare così ci sarà un motivo. O sono pazza" "Avrò qualche cosa di pesante in mano" "Io ti posso solo dire che se tu non la smetti io non la smetto").
Il dato documentale, inoltre, conferma altresì il narrato della persona offesa in merito all'intestazione dell'utenza (...), dalla quale sono provenuti alcuni dei messaggi in contestazione, in capo a (...), odierna imputata.
Infine, l'escussione dei residui testi di lista del PM ha ulteriormente confermato la ricostruzione accusatoria.
(...) e (...), nonostante lo strettissimo rapporto con la persona offesa - della quale, rispettivamente, sono marito e figlia - hanno reso un narrato pienamente attendibile in quanto privo di illogicità ed anzi perfettamente collimante l'un l'altro e confortato con la restante istruttoria documentale, nonché sprovvisto di segnali di astio o livore nei confronti dell'imputata.
(...) ha riferito di conoscere (...) come una cliente abituale del suo ristorante, che frequentava insieme al suo compagno (...). Tra le due coppie nacque un'amicizia e presero a frequentarsi anche di fuori dell'ambito lavorativo, scambiandosi i numeri di telefono e trascorrendo serate insieme.
A domanda del PM, il teste riferiva che sua moglie, (...), nell'ottobre 2017 ricevette una serie di telefonate (anche una decina al giorno) da parte della (...), che la accusava di essere l'amante del suo compagno. Il (...) precisava che a talune telefonate aveva assistito in prima persona, mentre di altre gli aveva riferito sua moglie. A domanda del difensore, il teste riferiva di non sapere esattamente da quale utenza provenissero le telefonate, ma confermava che i colloqui erano intercorsi tra la moglie e (...).
A domanda del Giudice, il teste riferiva che la moglie - peraltro ammalatasi di cancro un mese dopo l'accaduto e poi deceduta - era spaventata dal tono minaccioso delle telefonate e dei messaggi ed inquietata dalla vicenda. Successivamente a queste telefonate, la (...) cercò ed ottenne un incontro con la (...) - avvenuto a (...) - il quale, anziché essere occasione per un chiarimento, diede modo all'imputata, presentatasi sul posto insieme con altre dorme, di aggredire la (...) e la figlia, costrette a rifugiarsi in un bar per sfuggire all'aggressione.
Anche (...) ha riferito di conoscere (...) come una commensale abituale del ristorante dei genitori, con i quali l'imputata, insieme con il compagno dell'epoca, instaurò una sorta di amicizia anche al di fuori del luogo di lavoro.
La teste ha confermato che tra ottobre e novembre 2017 la madre iniziò a ricevere delle telefonate anonime - anche venti in una sola giornata - che la accusavano di essere una poco di buono, che aveva una storia extraconiugale con il marito della (...). La teste, inoltre, ha confermato il narrato della persona offesa, riferendo che dopo le telefonate anonime rinvennero delle scritte offensive alle pareti del ristorante di famiglia.
A domanda del PM, che le chiedeva come mai fosse sicura che sia le telefonate - alle quali la (...) aveva sia assistito, sia direttamente preso parte talvolta - sia le scritte fossero opera della (...), la teste riferiva che la stessa imputata aveva confermato i loro sospetti, ammettendo di esserne l'autrice.
La (...), infine, confermava l'avvenuto incontro con la (...) in un bar a (...), al fine auspicato di chiarire il malinteso. Come già riferito dal padre (...), invece, la (...) in quell'occasione, oltre a sottrarre alla (...) il suo telefono cellulare, insieme ad altre donne aggredì lei e la figlia, che furono costrette a cercare riparo all'interno del bar.
A domanda del PM, la teste - ancora scossa al momento dell'escussione dibattimentale - riferiva che sia la madre sia l'intera famiglia avevano provato forte disagio e paura per la vicenda.
A fronte di tali elementi accusatori, l'imputata (...) non ha reso dichiarazioni utilizzabili in questa sede né emerge dagli atti a disposizione di questo Giudice una diversa ricostruzione degli eventi.
Pertanto, così ricostruita l'istruttoria dibattimentale, sussistono tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato in contestazione.
Ed infatti, l'istruttoria dibattimentale svolta ha permesso di appurare oltre ogni ragionevole dubbio la sussistenza della condotta di molestie nei confronti della persona offesa, realizzate dall'imputata mediante l'utilizzo del telefono e, segnatamente - stando, almeno al perimetro della contestazione fattuale mossa dal PM nel capo di imputazione - attraverso telefonate anonime e messaggi.
Tale condotta - come è emerso pacificamente nell'istruttoria dibattimentale - è stata idonea a provocare turbamento e disagio sia nei confronti della diretta destinataria degli epiteti e delle offese, sia nei confronti dei suoi familiari. ("Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 660 cod. pen., è necessaria una effettiva e significativa intrusione nell'altrui sfera personale che assurga al rango di "molestia o disturbo" ingenerato dall'attività di comunicazione in sé considerata e a prescindere dal suo contenuto. (Fattispecie nella quale la Corte ha riconosciuto integrata la contravvenzione nell'invio ripetuto di squilli telefonici e sms non graditi dal destinatario)". (Sez. F, Sentenza n. 45315 del 27/08/2019 Ud. (dep. 07/11/2019) Rv. 277291 -01.
Appare, dunque, corretta la qualificazione giuridica fornita dal PM.
Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, "Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 cod. pen. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612 - bis cod. pen. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art.660 cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato. (In motivazione la Corte ha evidenziato che, ai fini della sussistenza del reato di atti persecutori, la prova del turbamento psicologico causato alla vittima deve essere ancorata non soltanto alle dichiarazioni rese dalla stessa ma anche alla obiettiva natura delle condotte molestatrici)". (Sez. 6, Sentenza n. 23375 del 10/07/2020 Cc. (dep. 30/07/2020) Rv. 279601 - 01).
Nel caso in esame la durata contenuta nel tempo delle telefonate e dei messaggi, il tenore petulante ma non persecutorio degli stessi e l'evidente irrazionalità del comportamento della (...) inducono a ritenere la sua condotta - per ampiezza, durata e carica spregiativa - inidonea a provocare un grave e perdurante stato d'ansia ai danni della persona offesa, evento costitutivo tipico del ben più grave reato di cui all'art, 612 bis c.p. (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 29826 del 05/03/2015 Ud. (dep. 10/07/2015) Rv. 264459 - 0).
Sussiste altresì l'elemento costitutivo oggettivo rappresentato dalla "petulanza ovvero del biasimevole motivo" da parte dell'imputata, irrazionalmente convinta di una presunta relazione extraconiugale della persona offesa con il suo compagno ("Perché una condotta possa assumere rilievo, ai fini della configurabilità del reato di molestie di cui all'art. 660 cod. pen., non è sufficiente che essa sia di per se molesta o arrechi disturbo, ma è altresì necessario che sia accompagnata da petulanza o altro biasimevole motivo; condizione, questa, attinente oggettivo del reato, più che al dolo specifico. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto legittima la decisione del giudice di merito il quale aveva escluso la sussistenza del reato di molestie in un caso in cui l'agente si era limitato a chiedere, una sola volta, un bacio ad una donna, dopo aver detto a quest'ultima che era una bella signora)". (Sez. 1, Sentenza n. 12230 del 25/10/1994 Ud. (dep. 03/12/1994) Rv. 199682 - 01).
Né sussistono dubbi in ordine alla coscienza e volontà della condotta molesta perpetrata dal l'imputata. Ed infatti, la Suprema Corte ha più volte affermato che il fine che anima l'autore del delitto di cui all'art. 660 c.p. non vale ad escluderne il dolo generico, sufficiente ad integrare la fattispecie e consistente nella cosciente e volontaria realizzazione di una condotta oggettivamente petulante, pressante e molesta. ("In presenza di una condotta oggettivamente caratterizzata dalla "petulanza", ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente, che per ciò stesso interferisce sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone, è sufficiente, ai finì della configurabilità del reato di cui all'art.660 cod. pen., la coscienza e volontà di tale condotta, nulla rilevando i motivi dai quali il soggetto sia stato spinto ad agire, non avendo essi proprio in quanto "motivi", incidenza alcuna sulla finalità penalmente rilevante dell'azione, in relazione alla quale si configura il dolo." (Sez. 1, Sentenza n. 7051 del 30/04/1998 Ud. (dep. 12/06/1998) Rv. 210724 - 01).
Né vi sono dubbi in merito all'identificazione dell'imputata come autrice delle condotte moleste in contestazione. Sul punto nessuna prova contraria è stata fornita rispetto alla compiuta ricostruzione accusatoria, fondata sulle concordanti e granitiche dichiarazioni della persona offesa e dei testi escussi - che hanno senza dubbio alcuno riferito che l'(...) era colei che inviava messaggi e telefonate alla (...), come loro confermato dalla stessa imputata - e sull'accertamento anagrafico di una delle utenze coinvolte, effettivamente intestata ad (...).
Ciò premesso in ordine alla sussistenza del fatto e della responsabilità penale dell'imputata, non sussistono gli elementi per riconoscere la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto in favore della (...). Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, "La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione in relazione al reato di molestia ex art. 660 cod. pen. nel caso di reiterazione della condotta tipica (nella specie, pedinamento della persona offesa), senza necessità di esplicita motivazione sul punto." (Sez. 1, Sentenza n. 1523 del 05/11/2018 Ud. (dep. 14/01/2019), Rv. 274794 - 01). Nel caso di specie la realizzazione del reato mediante l'utilizzo di diverse utenze e di diverse modalità sia messaggistica che chiamate anonime - e la reiterazione delle stesse per più di una giornata rende il fatto assolutamente non meritevole della causa di non punibilità in questione.
Analoghe ragioni non consentono di ritenere il fatto meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore dell'imputata che, seppur incensurata, è stata autrice di un fatto particolarmente grave per modalità e reiterazione, non ha mostrato la benché minima resipiscenza in favore della persona offesa successivamente al fatto né ha tenuto un comportamento processuale particolarmente meritevole.
Non sussistono gli estremi per riconoscere il vincolo della continuazione tra le diverse condotte accertate: come riconosciuto dalla giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, "Il reato di molestie o disturbo alle persone, pur non essendo necessariamente abituale, in quanto suscettibile di perfezionarsi anche con il compimento di una sola azione da cui derivino gli effetti indicati dall'art. 660 cod. pen., può in concreto assumere la forma dell'abitualità, incompatibile con la continuazione, allorché sia proprio la reiterazione delle condotte (nella specie, numerose telefonate notturne, spesso mute) a creare molestia o disturbo, con la conseguenza che, in tal caso, ai fini della prescrizione, il termine comincia a decorrere dal compimento dell'ultimo atto antigiuridico." (Sez. 1, Sentenza n. 19631 del 12/06/2018 Ud. (dep. 08/05/2019) Rv. 276309 - 01).
Pertanto, alla luce dei criteri enunciati dall'art. 133 c.p. e, segnatamente, in considerazione della gravità del fatto, consistito in più condotte moleste, delle modalità dell'azione, perpetrata attraverso il ricorso al telefono - di per sé strumento dotato di maggiore pervasività offensiva - e mediante sia messaggi che telefonate mute, delle conseguenze dannose o pericolose patite dalla persona offesa e dei suoi familiari, ancora scossi per l'accaduto, alla luce della pericolosità dell'autrice del reato, incensurata ma avvezza alla violenza morale e fisica, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, e per nulla resipiscente, deve ritenersi pena finale congrua quella detentiva, pari a mesi quattro di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali.
Lo stato di incensuratezza dell'imputata, in uno con la gravità della sanzione inflitta e dell'attuale assenza di dissidio tra le parti - essendo peraltro tristemente venuta a mancare la persona offesa - inducono a ritenere che (...) si asterrà dal commettere nuove contravvenzioni della stessa indole, potendosi pertanto concedere la sospensione condizionale della pena nei suoi confronti.
PQM
Letti gli artt. 533-535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato a lei ascritto e per l'effetto la condanna alla pena di mesi quattro di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali.
Concede il beneficio della sospensione condizionale della pena nei confronti dell'imputata.
Motivi contestuali.
Così deciso in Nola il 5 maggio 2021.
Depositata in udienza il 5 maggio 2021.