La massima
Integra il delitto di cui all' art. 640, comma 2, n. 2-bis c.p. la condotta del sanitario che, approfittando della particolare debolezza psicologica dei pazienti, affetti da patologie anche gravi, li induca a sottoporsi, dietro pagamento, ad una metodologia di cura alternativa a quella tradizionale, rassicurandoli circa l'utilità della stessa e suscitando speranze illusorie stante l'assenza di evidenze scientifiche di guarigioni o di miglioramenti (Cassazione penale , sez. II , 17/11/2020 , n. 5053).
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. II , 17/11/2020 , n. 5053
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 14/07/2020, il Tribunale di Brescia, in funzione di giudice del riesame cautelare, in riforma dell'ordinanza emessa dal Gip presso il Tribunale di Mantova il 18/06/2020, appellata dal Pubblico Ministero, applicava nei confronti di C.C. e R.G. la misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione ad una serie di episodi di truffa aggravata, in concorso tra loro, oltre che per esercizio abusivo della professione medica.
2. In sintesi, agli indagati è contestato di aver posto in essere comportamenti truffaldini nei confronti di vari pazienti della C. (medico di base) proponendo cure alternative di tipo nutraceutico - consistenti essenzialmente in una dieta, assunzione di integratori e iniezioni di un farmaco non meglio precisato - dietro pagamento di un corrispettivo, in relazione anche ad analisi delegate a soggetti vagamente indicati, funzionali all'obiettivo di convincere persone spesso affette da severe patologie; la sostanza iniettata era altresì costituita da un farmaco che la C. prescriveva a se stessa per ottenerlo gratuitamente dal Servizio Sanitario, nella consapevolezza anche del R., privo di qualsiasi competenza medica, dell'inefficacia del trattamento da entrambi praticato.
Accogliendo l'appello, il tribunale ha ritenuto sussistente la gravità indiziaria, censurando il provvedimento del gip che, sulla base di una lettura parziale del materiale investigativo, aveva escluso il dolo del delitto di truffa per la convinzione della C. delle capacità terapeutiche delle cure alternative proposte.
3. Avverso l'ordinanza emessa in sede di appello hanno proposto ricorso per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia entrambi gli indagati.
3.1 C.C. ha articolato tre motivi con i quali ha eccepito:
- il vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, relativamente al reato ex art. 640 c.p., comma 2, n. 2 bis di cui al capo A), per i seguenti profili: erronea applicazione dell'art. 43 c.p. per la mancanza di elementi idonei a configurare il dolo; contraddittoria affermazione circa la possibile buona fede dell'indagata e, al contempo, la sussistenza del dolo; mancato esame delle ragioni esposte nella memoria difensiva depositata all'udienza del 14/07/2020 ed illustrata oralmente;
- violazione di legge (art. 274 c.p.p.) e vizio di motivazione in punto di esigenze cautelari per la carenza di elementi concreti e non ipotetici circa l'attualità e la concretezza di tali esigenze e per l'insussistente pericolo di reiterazione della condotta truffaldina;
- omessa motivazione circa la adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare adottata potendo essere funzionale allo scopo una misura interdittiva.
3.2 R.G. con cinque motivi ha eccepito:
- violazione di legge (art. 43 c.p.) in ordine alla sussistenza del profilo psicologico del reato, per la convinzione della efficacia delle metodologie clinico terapeutiche applicate dalla C., aspetto sottolineato dal gip;
- vizio di motivazione ritenuta illogica circa la giustificazione dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato sub a) a fronte delle conversazioni intercorse fra gli indagati dalle quali era emersa "l'intima convinzione da parte di entrambi delle metodologie applicate" (pag. 14 del ricorso), situazione incompatibile con l'affermata consapevolezza di ingannare i pazienti offrendo loro soluzioni diagnostico - terapeutiche in realtà inadeguate;
- in ordine alle esigenze cautelari, vizio di motivazione sul pericolo di reiterazione dei reati in termini di attualità e concretezza, per l'asserita prosecuzione dell'attività criminosa pur dopo la perquisizione a carico della C., sul presupposto del successivo rinvenimento di provette, medicinali e denaro in contanti presso il domicilio del R., circostanza neutra rispetto alla collocazione temporale della condotta censurata; inoltre, anche la ricerca da parte della C. di ambulatori gestiti da medici prossimi alla pensione, al fine di subentrare agli stessi, doveva essere letto come obiettivo di nuove occasioni lavorative senza suggestioni a riguardo;
- vizio di motivazione in ordine all'adeguatezza della misura cautelare adottata ed alla possibilità di comminare misure meno afflittive;
- violazione di legge (artt. 274 e 275 c.p.p.) e dei principi di adeguatezza, proporzionalità e necessaria gradualità delle misure cautelari, in considerazione anche della misura applicata alla C. implicante la recisione del legame tre i due indagati e, quindi, la possibilità di reiterare i propositi truffaldini.
4. Con memoria difensiva pervenuta il 10/11/2020 il difensore della C. ha puntualizzato i motivi di ricorso.
Con memoria difensivi e motivi aggiunti del 10/11/2020 anche il difensore del R. ha ampliato i motivi di ricorso, con riferimento alla condotta truffaldina, all'aggravante contestata, ai gravi indizi di colpevolezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono basati su motivi infondati, la cui trattazione può essere unitaria vertendo su questioni pressochè sovrapponibili, a fronte della medesima condotta concorsuale ascritta.
Le censure, incentrate su un vizio motivazionale dell'ordinanza impugnata e la violazione delle norme sostanziali e processuali di riferimento, sono riconducibili a due profili: la sussistenza del dolo delle truffe aggravate contestate, negata dal gip e affermata dal tribunale bresciano (primo motivo del ricorso della C.; primo e secondo motivo del ricorso del R.); l'attualità e la concretezza delle esigenze cautelari rispetto ad una misura - quella degli arresti domiciliari ritenuta non adeguata rispetto al prospettato pericolo di reiterazione del reato (secondo e terzo motivo del ricorso della C.; terzo, quarto e quinto motivo del ricorso del R.).
2. Per quanto riguarda il primo profilo i ricorrenti ripropongono tesi difensive, erroneamente condivise dal gip, confutate dal giudice dell'appello cautelare con motivazione adeguata e giuridicamente corretta, in linea con quanto affermato da questa Corte in vicende affini (il caso "stamina" di cui a Cass. sez. 2, sent. n. 46118 del 20/10/2015 - dep. 20/11/2015 - Rv. 265216; il caso "Scientology" di cui a Sez. 2, sent. n. 9520 del 21/05/1992 - dep. 16/09/1992 - Rv. 192506).
La premessa metodologica fuorviante da cui muovono i ricorrenti è che la totale adesione psichica rispetto alle metodologie di volta in volta applicate - ossia la convinzione della bontà della pratica terapeutica denominata nutraceutica escluda di per sè il dolo.
2.1 Sostiene in particolare, il R. (pag. 10) che coscienza e volontà devono investire tutti gli elementi strutturali della truffa (artifizi o raggiri, induzione in errore delle vittime, danno cagionato ai pazienti, ingiusto profitto), invertendo tuttavia i poli dell'indagine, assumendo che la buona fede escluderebbe di per sè la condotta truffaldina; deve invece verificarsi se sia altamente probabile che gli indagati abbiano posto in essere i comportamenti dettagliatamente descritti nel capo d'incolpazione sub A) e, in seguito, se ne abbiano avuto piena consapevolezza.
Di tale fondamentale snodo argomentativo il tribunale bresciano dà conto allorchè rileva che "anche ammettendo che la C. fosse intimamente convinta della bontà della pratica nutraceutica...non può non osservarsi come tale profilo si ponga su un piano distinto e non interferente con la verifica dei requisiti degli elementi costitutivi della truffa, alla luce delle modalità con cui quest'ultima risulta estrinsecata" (pag. 4 della sentenza impugnata).
2.2. La condotta penalmente rilevante non è costituita dalla mera proposta di una cura alternativa a quella tradizionale nella convinzione personale che possa essere efficace; come la sentenza del caso "stamina" attesta ciò che si sanziona penalmente è il ricorso dietro pagamento ad una metodologia - certamente estranea all'ambito delle prestazioni che la C. effettuava per conto del Servizio Pubblico Nazionale - non già per libera scelta del paziente, a seguito di adeguata informazione, ma per l'azione induttiva del medico e dell'altro indagato, che hanno approfittato della particolare debolezza psicologica di persone affette da patologie anche gravi per suscitare speranze, sicuramente illusorie, perchè in nessun caso ai querelanti sono state fornite evidenze scientifiche di guarigioni o miglioramenti, in effetti mai verificatisi (sull'efficacia delle terapie somministrate, d'altra parte, non è cenno nei ricorsi).
2.3 Risulta dall'accertamento in fatto che sfugge alla verifica di legittimità coerente con il materiale investigativo indicato e immune da vizi logici - il collaudato modus procedendi della C., con l'apporto più defilato, ma essenziale del R., volto alla speculazione, a fini di lucro delle debolezze fisiche e psichiche dei numerosi soggetti che si trovava di fronte e che a lei si rivolgevano, fiduciosi, nella sua qualità di medico di medicina generale di riferimento.
In tal senso, i comportamenti analiticamente riportati alle pagine da 5 a 11 dell'ordinanza (il subentro ad un medico in pensione e l'immediato approccio a pazienti sconosciuti nelle relative storie cliniche, anche complesse e risalenti, per rappresentare come panacea di tutte le malattie la terapia nutraceutica; la prospettazione di inesistenti collaborazioni con professionisti, evocati con rassicuranti titoli; l'effettuazione a pagamento - in contanti ed "in nero" - di tamponi salivari e di prelievi di capelli, i cui esiti non solo non venivano documentati ma erano riportati verbalmente, in termini vaghi, per sostenere la necessità di terapie alternative a fronte di non meglio specificate infezioni da virus e batteri; cicli di costose iniezioni integrative di farmaci, preparati artigianalmente, per stimolare il sistema immunitario, senza fornire indicazioni ai pazienti se non in ordine alla promessa efficacia; la variabilità delle pretese economiche, modulata secondo le condizioni dei pazienti e dalla conseguenti disponibilità all'esborso, a tal fine attentamente valutate; l'approccio confidenziale iniziale ed il brusco mutamento di atteggiamento a fronte di incertezze e rifiuti, fino ad imporre la scelta di altro medico di base; la modalità truffaldine di approvvigionamento dei farmaci, rinvenuti presso le abitazioni di entrambi gli indagati, con i quali venivano praticate le iniezioni, sempre disponibili ma sui quali era mantenuto un rigoroso silenzio con i pazienti, ulteriore artificio per non destare sospetti; l'azione congiunta degli indagati, attestata dalla frequente presenza del R. in ambulatorio dove la C. discuteva della terapia con i pazienti, dal tenore dei colloqui di sms intercettati, dal materiale rinvenuto a seguito di perquisizione nelle rispettive abitazioni, dall'esecuzione da parte di costui degli esami dei tamponi salivari inviati dalla C.).
2.4 Così accertata la condotta, non è ipotizzabile escludere il dolo che nel reato di truffa si concreta - appunto - nella volontarietà del fatto, nella consapevolezza di usare artifici e raggiri e nella intenzione di indurre taluno in errore per procurarsi un ingiusto profitto con una verifica in concreto che deve rapportarsi all'azione delittuosa posta in essere, a prescindere da considerazioni avulse dalla contestazione e astrattamente riferite all'efficacia del trattamento praticato, senza peraltro rapportare tale convinzione alle singole patologie dei querelanti, così diverse per diagnosi clinica e terapia medica (dermatosi, tumori, depressioni), sì che anche la buona fede - secondo il condivisibile ragionamento del tribunale risulta difficilmente sostenibile e costituisce uno snodo argomentativo al fine di escluderne qualsiasi rilevanza.
3. Anche per quanto attiene alle esigenze cautelari ed al regime degli arresti domiciliari, gli indagati non si confrontano adeguatamente con la motivazione del tribunale da ricercarsi, a riguardo, non soltanto nell'ultima parte dell'ordinanza ma nella struttura dell'intero provvedimento, teso ad evidenziare la preordinata ricerca di pazienti ai quali proporre il trattamento, il consolidato modus operandi adoperato, la capacità di porsi come convincenti interlocutori di una serie di soggetti affetti - come evidenziato - dalle più svariate patologie, la sinergia fra i coindagati e la capacità di avvalersi delle stesse risorse per approfittare delle aspettative delle vittime.
Ciò posto, l'adeguatezza degli arresti domiciliari in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all'art. 274 c.p.p., lett. c) deve essere valutata alla stregua di un giudizio prognostico fondato su elementi specifici inerenti al fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità dell'indagato, elementi tutti presenti nella decisione del tribunale che ha sottolineato come l'azione truffaldina si sia esplicata disinvoltamente in un contesto esterno facilmente replicabile e che solo l'isolamento domiciliare è in grado, allo stato, di neutralizzare.
Il pericolo attuale e concreto di recidiva è stato altresì motivato con circostanze di fatto di indubbio valore sintomatico, nonostante le alternative valutazioni fornite dalle difese, con una lettura peraltro parziale, incentrata sui singoli dati e non sul tenore complessivo degli indizi. L'azione delittuosa risulta infatti iniziata nel (OMISSIS), allorchè la C. si servì del ricettario di un collega - che le aveva dato la disponibilità del proprio ambulatorio per svolgere la libera professione - per prescrivere a se stessa i farmaci poi utilizzati nelle iniezioni praticate ai pazienti truffati; si caratterizza per accurate ricerche sul territorio, in località diverse da quelle interessate dalla indagine in questione, per reperire ambulatori di medici prossimi alla pensione e bacini di pazienti ai quali proporsi; è proseguita verosimilmente anche dopo la perquisizione domiciliare presso l'abitazione della C. e l'emersione delle prime querele, posto che presso il domicilio del R., a distanza di qualche mese, furono rinvenuti farmaci e provette - oltre una cospicua somma di danaro - strumenti dei quali l'indagato avrebbe avuto interesse a disfarsi, spiegandosene invece il possesso con la persistente finalità di utilizzo.
4. Al rigetto dei ricorsi segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 Reg. esec. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021